di Valentino De Nardo, Teorico generale del diritto
La sentenza della Corte Costituzionale si muove correttamente in una visione dell’ordinamento costituzionale, sempre più Antropocentrica (Mortati, Codacci Pisanelli), finalizzata alla tutela effettiva dei diritti dei cittadini, e non più Statocentrica (Crisafulli, Sandulli), indirizzata alla tutela della legalità costituzionale in senso oggettivo ( tutela della legalità dell’ordinamento nel suo complesso in senso oggettivo), anche se non ancora pienamente realizzata con il riconoscimento dei diritti acquisiti, oltre che dei diritti innati, perché, pur richiamandosi ad una sua più recente giurisprudenza, in base alla quale è “la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio del bilancio a condizionarne la doverosa erogazione” (v. sentenze n. 275 del 2016; n. 152 del 2020, in materia di pensione di invalidità; n. 309 del 1999, in materia di assistenza sanitaria all’estero), è poi prevalsa anche in questa sentenza la tesi del bilanciamento fra interessi pubblici contrapposti, per cui i LEP rappresentano il frutto di un bilanciamento da operare tenendo conto delle risorse disponibili, sottolineata “ la discrezionalità politica del legislatore nella determinazione – secondo canoni di ragionevolezza- dei livelli essenziali (v. sentenza del 169 del 2017), ciò in contraddizione ai lavori preparatori della legge costituzionale n. 3 del 2001, ove l’inciso “livelli minimi di garanzia” (contenuto nel testo unificato della I^ Commissione della Camera) fu sostituito dall’Aula con la forma attuale “livelli essenziali delle prestazioni”, proprio per assicurare l’uniformità dei diritti fondamentali in tutto il Paese (seduta n. 774 del 20 settembre 2000) e ciò per assicurare uno standard di tutela superiore al nucleo minimo del diritto, in collegamento (per quanto riguarda i diritti sociali) con l’art. 3, 2°co., Cost.,che affida alla Repubblica il compito – di più ampio respiro rispetto all’erogazione delle prestazioni minime –di “ rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Peraltro, la stessa sentenza riconosce “che l’orizzonte concettuale dei LEP sia l’eguaglianza e non il nucleo minimo del diritto, come risulta anche dall’art. 120, 2°co., Cost., nell’ambito del quale la garanzia dei LEP rientra nella “tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica e in particolare nella tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”.
Ciò del resto corrisponde ai nuovi criteri della giustizia amministrativa, stabiliti dalla legge sul procedimento amministrativo e dalla nuova legge sul processo amministrativo, ove ormai tutti i profili dei vizi di merito sono compresi nei vizi di legittimità (efficacia, economicità, congriutà ed equità).
Pertanto, secondo la più recente visione costituzionale pienamente democratica, sulla base dei principi di eguaglianza formale e sostanziale, tutti i diritti dei cittadini sono fondamentali ed inviolabili, perché fondati sulla legge (massima espressione della rappresentanza della volontà popolare), che solo la Corte Costituzionale può annullare, ma solo per i futuri diritti sorti dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge.
Per il resto, giustamente la sentenza limita a specifiche funzioni e non a intere materie (come del resto risulta dall’esatta interpretazione della norma di cui all’art. 116, 3°co., Cost.), le intese sulle richieste di differenziazione delle singole Regioni, purché adeguatamente motivate e rispettose del principio costituzionale di sussidiarietà.
Parimenti, la sentenza critica la delega legislativa in bianco conferita dalla Legge in esame al Governo per determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernente i diritti civili e sociali (LEP) e la distinzione aprioristica fra materie LEP e no LEP, a prescindere da funzioni che possono riguardare, anche nel secondo caso, prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, come anche criticata è la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP.
Inoltre, essa osserva che l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo, in quanto la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (prendere o lasciare), ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata.
Parimenti, censurata è la facoltatività, piuttosto della doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica.
Infine, considerati il principio di indivisibilità ed unitarietà della Repubblica ed i principi di solidarietà e di eguaglianza, soprattutto riferita ai diritti civili e sociali dei cittadini, oltre che la copiosa normativa quadro di cornice, statale ed eurunitaria, dell’ordinamento della Repubblica, ben poche funzioni interessanti peraltro solo attività strettamente pubblicistiche e di interesse esclusivamente locale potranno essere trasferite con le c.d. intese di differenziazione fra Stato e Regioni.
Sia ben chiaro, comunque che a tutti i cittadini e soggetti dell’ordinamento debbono essere garantiti la tutela integrale ed ottimale e non solo minima dei loro diritti generali e particolari, civili e sociali, innati o acquisiti in base alle leggi all’epoca vigenti.