di Carmine Petteruti, Ricercatore di diritto pubblico comparato, Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli
Abstract
Nonostante l’approccio religioso alle risorse naturali, l’India deve affrontare gli stessi problemi di approvvigionamento idrico del resto del mondo. Questo approccio tradizionale spiega perché l’acqua è considerata parte del diritto alla vita dell’art. 21 della Costituzione indiana, e trova tutela sia dalle State High Courts che dalla Supreme Court. Tuttavia, l’inquinamento delle acque e i problemi di razionalizzazione del sistema idrico hanno un impatto serio sulla società e sull’ambiente. A questo proposito, ogni cittadino ha il dovere di proteggere l’ambiente come previsto dalla Costituzione indiana. Il sistema indiano di protezione e gestione delle acque è influenzato dal federalismo cooperativo indiano. La Costituzione prevede diversi tipi di competenze legislative tra l’Unione e gli Stati. In questo quadro, è molto interessante il ruolo dei Water Disputes Tribunals per la risoluzione dei conflitti fluviali interstatali. Altrettanto interessante è la storia del Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia che ha rappresentato una delle istituzioni più antiche e uniche per la risoluzione dei conflitti idrici in Spagna. Un tribunale locale, di carattere consuetudinario, che aveva giurisdizione sui canali di irrigazione di una pianura valenciana, nota per la sua elevata fertilità.
Despite its religious approach to natural resources India has to face the same problems of water supply as the rest of the world. This traditional approach explains why the water is considered a part of the right to life of the art. 21 of Indian Constitution, and it finds protection in the State High Courts and in the Federal Supreme Court.
However, water pollution and the problems of water system rationalization have a serious impact on society and environment. In this regard, every citizen has the duty of environment protection laid down by the Indian Constitution.
The Indian system of water protection and management is influenced by the Indian cooperative federalism. The Constitution provides different kind of legislative competences between the Union and the States. In that division of powers, it’s very interesting the story of Water Disputes Tribunals which involved for the resolution of interstate river conflicts.
Equally interesting is the history of the Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia which represented one of the oldest and unique institutions for the resolution of water conflicts in Spain. A local court, of a customary character, which had jurisdiction over the irrigation canals of a Valencian plain, known for its high fertility.
Parole chiave: acqua, Costituzione indiana, ambiente, Water Disputes Tribunals, Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia
Keywords: water, Indian Constitution, environment, Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia
Sommario: 1. L’ambiente nella Costituzione indiana. – 2. Il diritto all’acqua. – 3. La competenza in materia idrica del governo locale e dello Stato centrale. – 4. La risoluzione dei conflitti sui corsi d’acqua interstatali. – 5. L’esperienza spagnola sulla risoluzione dei conflitti sui fiumi. Profili di comparazione.
1. L’ambiente nella Costituzione indiana
Il costituzionalismo ambientale indiano costituisce un’esperienza inquadrabile nel più ampio costituzionalismo sud asiatico[1] nel quale emerge un approccio integrato, progressista ed olistico volto a fronteggiare le sfide ambientali[2]. Una fusione unica di diritti fondamentali, doveri statali e responsabilità civiche finalizzata alla promozione dello sviluppo sostenibile. Sebbene il costituzionalismo indiano ed i processi di democratizzazione si siano affermati in una fase post-coloniale[3], non si è verificata la perdita di quei tratti della cultura giuridica anglosassone che si è radicata nel tempo e che è divenuta parte integrante del diritto indiano, in una prospettiva allo stesso tempo di continuità e di ricerca di una condizione di equilibrio delle diverse componenti[4].
È in tale contesto, dunque, che la normativa ambientale è stata influenzata dal diritto ambientale internazionale. Non a caso,le origini del diritto ambientale indiano vengono individuate nella prima Conferenza internazionale sull’ambiente umano (Stoccolma 1972) quando l’allora Primo ministro Indira Gandhi manifestò le proprie preoccupazioni sulla protezione dell’ambiente, invitando le autorità indiane ad intervenire secondo quanto statuito a livello internazionale. In effetti, sebbene la Costituzione indiana del 1950 sia stata definita come «la costituzione più lunga al mondo»[5], essa non contiene alcuna esplicita previsione riguardo l’ambiente e la sua tutela. Tuttavia, il recepimento dei diritti fondamentali di matrice ambientale, riconosciuti dall’ordinamento internazionale, ha legittimato la loro tutela innanzi alle Corti. La costituzionalizzazione di tali diritti avvenuta, dunque, attraverso l’ausilio della giurisprudenza ed in particolare di quella della Corte Suprema[6], che ha collocato l’ambiente nell’alveo del diritto alla vita e alla dignità umana[7].
Sotto il profilo ambientale, la Costituzione indiana può essere collocata tra le Costituzioni “revisionate” vale a dire tra quei testi costituzionali nei quali le disposizioni sull’ambiente sono state introdotte successivamente alla sua entrata in vigore e, quindi, tra quelli «che non si caratterizzano per una impostazione generale già orientata»[8] in favore dell’ambiente. La Costituzione indiana del 1950, come quella italiana, appartiene al ciclo delle Costituzioni democratiche del secondo dopoguerra e quindi, per evidenti ragioni storiche, contiene una serie di diritti sociali di “prima generazione” fra i quali non figura, in base alla sensibilità dell’epoca, il diritto all’ambiente[9].
In realtà, l’unico articolo che faceva riferimento alla protezione dell’ambiente era l’art. 47 che, collocato tra i principi direttivi della politica statale, prevedeva come dovere primario dello Stato l’innalzamento degli standard di vita e il miglioramento della salute pubblica. Solo con il Forty-Second Constitution Amendment Act del 1976 sono stati inseriti gli artt. 48-A e 51-A che introducono (rispettivamente) la protezione e la promozione dell’ambiente tra i compiti fondamentali dello Stato. L’art. 48A rientra tra i Directive Principles of the State ai quali fu, inizialmente, attribuita una funzione declaratoria ritenendo che fossero privi di efficacia giuridica e costituissero meri obiettivi programmatici. In seguito, la dottrina ha riconosciuto loro la valenza di principi complementari rispetto ai diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, con conseguente obbligo dei poteri statali (tra cui governo e magistratura) di rispettarli (art. 36)[10]. Il dovere di tutela posto a carico dello Stato viene poi esteso ad ogni cittadino[11] dall’art. 51A[12]: tutelare e migliorare l’ambiente vengono così a costituire un obbligo per lo Stato ed un dovere per ogni cittadino. Così come affermato da S. Divan e A. Rosencratz[13], il combinato disposto delle due disposizioni costituzionali evidenzia l’importanza attribuita alla tutela dell’ambiente, gettando le basi per una giurisprudenza volta alla protezione di tale bene. Questa riforma costituzionale ha, dunque, «spianato la strada» per un maggior coinvolgimento della giurisprudenza in materia ambientale.
La Corte Suprema indiana, attraverso l’interpretazione dell’art. 48A della Costituzione ha affermato il dovere del Governo centrale e di quelli statali di adottare adeguate misure per preservare l’ambiente, stabilendo una profonda connessione tra i principi direttivi dello Stato e il catalogo dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla vita sancito dall’art. 21 della Costituzione. Infatti, benché non si possa individuare un processo giuridico interpretativo delle istanze non previste espressamente dal legislatore, simile a quello italiano relativo al ‘diritto all’ambiente salubre’, la giurisprudenza della Corte Suprema ha avuto modo, in più occasioni, di affermare che il danno alle matrici ambientali (acqua, aria, suolo), considerate essenziali per la vita, è riconducibile ad una violazione del diritto alla vita[14], ampliando la portata di quel diritto fino ad includervi il diritto ad un ambiente salubre.
Allo stesso tempo la Corte ha affermato anche l’obbligo di ogni cittadino di proteggere l’ambiente, considerandolo come dovere fondamentale sancito dall’art. 51-A della Costituzione. A questo proposito, si segnala il giudizio introdotto con una public interest litigation (azione nell’interesse collettivo) che vedeva coinvolto lo Stato del Bihar[15] per le emissioni inquinanti provenienti da un impianto per la ricostruzione degli pneumatici in un’area residenziale. La High Court di Patna contestò ai funzionari statali un comportamento incurante sotto il profilo dei controlli ambientali in base all’art. 48-A della Costituzione e l’imputabilità all’azienda responsabile dell’inquinamento atmosferico dei costi dell’inquinamento e del ristoro dovuto alle vittime dell’inquinamento stesso come attuazione del dovere di protezione dell’ambiente sancito dall’art. 51-A della Costituzione indiana.
In effetti, analizzando le pronunce giurisprudenziali, emerge l’orientamento a considerare la tutela dell’ambiente come un elemento imprescindibile della dignità umana.
Da ciò emerge una certa tendenza dell’ordinamento giuridico indiano a riconoscere la prevalenza del diritto internazionale sul diritto interno, almeno in caso di conflitti applicativi, e a utilizzarlo soprattutto nel campo dei diritti fondamentali. Nel tempo, la Corte Suprema indiana ha adottato i principi dello sviluppo sostenibile, di precauzione e del principio “chi inquina paga” come parte integrante del diritto ambientale indiano[16]. L’adesione a questi principi è in linea con la loro interpretazione globale. Ad esempio, nella sentenza Vellore Citizens’ Welfare Forum v. Union of India and Others[17], la Corte Suprema ha applicato il principio di precauzione, facendo ricadere (come confermato in successive pronunce in tema di inquinamento elettromagnetico, colture geneticamente modificate, ecc.), sull’autore dell’azione potenzialmente dannosa, l’onere di dimostrare, in mancanza di evidenze scientifiche sufficienti, che tale attività non danneggi l’ambiente. In merito al principio “chi inquina paga”, nella sentenza M.C. Mehta v. Union of India[18], la Corte suprema indiana ha chiarito che la sua applicazione deve essere intesa non solo in termini risarcitori ma anche di ripristino ambientale.
In India, dunque, emerge un ruolo significativo della giurisprudenza nell’attribuire all’ambiente una dignità costituzionale, attraverso l’ampliamento dei diritti fondamentali elencati nelle Costituzioni, un’azione può collocarsi nell’ambito di un costituzionalismo di tipo liberale la cui esistenza è provata, per certi versi, dall’esistenza di un attivismo giudiziario che si manifesta proprio in relazione alla tematica ambientale.
2. Il diritto all’acqua
Nell’ambito del diritto ambientale indiano l’acqua ha da sempre assunto un ruolo di particolare importanza ed un significato fortemente simbolico, confermato dal fatto che lo stesso nome del sub-continente è legato ad un fiume, l’Indo, che nel quadro idrico indiano assume una rilevanza tutt’altro che secondaria. Seppure il valore religioso dell’acqua abbia mantenuto nel tempo la propria integrità nella cultura indiana, non altrettanto si può dire dal punto di vista ambientale. Negli ultimi decenni, la crescita demografica e il cambiamento degli stili di vita, dovuti all’ingresso dell’India nei mercati internazionali dopo la liberalizzazione economica degli anni Novanta, hanno portato a un significativo impoverimento delle risorse idriche, soprattutto dal punto di vista qualitativo. Secondo alcune stime, l’India è uno dei Paesi con un elevato rischio idrico e, a breve, potrebbe avere una disponibilità idrica pro capite molto limitata, influenzando notevolmente la crescita economica del Paese e la tutela della salute[19].
Oltre al dato strutturale di carattere demografico che vede le politiche dell’acqua volte a “gestire” un fabbisogno crescente in un contesto di scarsità, vi è un altro fattore da considerare: quello della tradizione. Gli usi moderni delle risorse idriche (in particolare quelli legati all’industria ed alla produzione di energia idroelettrica)[20] devono confrontarsi con l’uso tradizionale dell’acqua da sempre legato a forme di organizzazione sociale basate sul villaggio, dunque, su una gestione comunitaria.
Tuttavia, nell’ordinamento costituzionale indiano non è possibile rintracciare una dichiarazione esplicita di diritto all’acqua. L’emersione di un ‘diritto all’acqua’ è stata frutto di un’evoluzione legata all’introduzione del Water Act del 1974 e all’interpretazione della giurisprudenza della Corte Suprema sull’art. 21 della Costituzione e sul diritto alla vita, che ha assunto lo status di diritto fondamentale. Un orientamento che ha consentito l’applicazione di questo articolo anche ai casi in cui le ‘condizioni di base’ della vita, quali la salubrità ambientale o la qualità delle risorse ambientali, vengano messe a rischio.
Prima del Water Act, infatti, la giurisprudenza dei tribunali tendeva a privilegiare gli interessi di natura economica, fino a quando l’aumento dei fenomeni di degrado ambientale ha spinto le Corti ad aderire alla elaborazione di un diritto all’acqua come diritto fondamentale.
Oltre al summenzionato art. 21, possono essere rintracciati nella Costituzione altri riferimenti testuali in grado di supportare, in via interpretativa, l’esistenza di un diritto all’acqua, alcuni di portata generale, altri legati allo specifico contesto costituzionale indiano. Fra i primi possiamo menzionare l’art. 14, in materia di eguaglianza (che si profila in India come un vero e proprio diritto)[21], in particolare per quanto riguarda l’eguaglianza “di fronte alla legge”, nozione che è stata utilizzata per proteggere i cittadini contro condotte irragionevoli dello Stato (ad esempio per quanto riguarda la diseguale distribuzione delle risorse idriche). Fra i secondi vanno ricordati l’art. 17, che abolisce la categoria degli “intoccabili” (i cosiddetti “fuori casta”), ai quali era impedito, in passato, l’accesso a pozzi, lavatoi, servizi igienici per motivi di discriminazione castale; oppure l’art. 15 (divieto di discriminazione in base alla religione) che impedisce qualsiasi restrizione di accesso ai fiumi considerati ‘sacri’ dagli induisti.
Va poi sottolineato come l’orientamento della Corte Suprema a interpretare in via estensiva articolo 21 abbia avuto ulteriori sviluppi anche, a livello di Stati membri, attraverso la giurisprudenza delle High Courts statali. Ad esempio, la High Court dello Stato del Kerala, con una pronuncia del 1990, dichiarò che una delle componenti del diritto alla vita è il diritto all’acqua potabile.
In realtà già negli anni Ottanta la Corte Suprema aveva maturato un consolidato orientamento giurisprudenziale che, pur non dichiarando esplicitamente il diritto all’ambiente salubre, configurava i comportamenti lesivi dell’ambiente come violazioni del diritto alla vita[22] tanto da legittimare interventi restrittivi dei singoli Stati membri, rispetto ad attività potenzialmente lesive per l’ambiente (per esempio le industrie insalubri). È il caso della controversia MC Mehta v. Union of India (c.d. Ganga Pollution Case) del 1988 che riguardava l’inquinamento del fiume Gange da parte delle industrie e delle fabbriche che scaricavano rifiuti non trattati nel fiume. La decisione finale della Corte fu la chiusura delle industrie che non avevano impianti di trattamento dei rifiuti e l’ulteriore implementazione dei sistemi di trattamento adeguati per prevenire l’inquinamento del fiume.
D’altra parte, come visto precedentemente, lo scopo di ricondurre il diritto all’ambiente al diritto alla vita nasceva anche da esigenze di carattere processuale, legate all’opportunità di ampliare la portata dell’art. 32 della Costituzione indiana[23], così legittimando le azioni collettive davanti alla Corte Suprema in materia ambientale in quanto riconducibili alla violazione dell’art. 21. Infatti, in un’altra sentenza del 1991[24] la Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi su di una vicenda che coinvolgeva lo Stato del Bihar in merito al diritto di fruire di acqua non contaminata (quella del fiume Bokaro inquinato da parte di industrie locali), affermò che di fronte a comportamenti o attività che, in violazione delle norme, sono in grado di mettere in pericolo o nuocere alla qualità della vita, ogni cittadino ha il diritto di proporre ricorso in base all’art. 32 della Costituzione per rimuovere l’inquinamento dal corpo idrico interessato.
Fondamentale, inoltre, l’intervento della Corte su questioni relative al trattamento delle acque reflue e conseguente inquinamento di carattere industriale. Nel caso Delhi Jal Board v. National Green Tribunal (2019), che riguardava l’inquinamento del fiume Yamuna e il mancato trattamento delle acque reflue a Delhi, la Corte Suprema confermò le direttive del National Green Tribunal (NGT). In particolare, le direttive impartite riguardavano la pulizia del fiume, la costruzione di nuove infrastrutture per il trattamento delle acque reflue e la riduzione dell’inquinamento industriale. Misure che sottolineavano l’importanza della gestione delle risorse idriche urbane e la protezione dei corpi idrici dalle acque reflue.
L’anno successivo, con il caso Paryavaran Suraksha Samiti v. Union of India (2020)[25] furono emanate direttive rigorose per garantire la conformità ed operabilità degli impianti di trattamento delle acque reflue industriali agli standard ambientali, rafforzando l’applicazione delle normative ambientali ed evidenziato il diritto della popolazione ad un ambiente non inquinato.
Sul versante delle politiche pubbliche va comunque sottolineato il forte impegno dei governi indiani, costante nel tempo, a privilegiare l’uso umano e la distribuzione della risorsa idrica al maggior numero possibile di cittadini. Obiettivo non scontato in un contesto economicamente e geograficamente complesso come quello del sub-continente indiano. L’indirizzo tracciato, a livello federale, dalla National Water Policy del 2002 (un documento di orientamento generale sulla gestione delle risorse idriche) fu affiancato da azioni introdotte attraverso il piano economico quinquennale (2007-2012) sulla gestione efficiente delle risorse idriche, che sottolineava la necessità di utilizzo delle risorse idriche, superficiali e sotterranee secondo modalità razionali, eque ed economiche[26]. In questa prospettiva, la gestione della risorsa idrica in India è stata orientata verso una tipologia di interventi e di progetti finalizzati all’aumento della disponibilità di acqua potabile, considerata la contrazione della risorsa idrica in diverse parti del Paese.
3. La competenza in materia idrica del governo locale e dello Stato centrale
La ripartizione delle competenze legislative nell’ordinamento costituzionale indiano deve essere inquadrata nell’ambito di un federalismo di tipo cooperativo, quale è quello indiano, e delle disposizioni della Costituzione, con particolare riferimento alle prescrizioni dell’art. 246. Tale articolo prevede tre diverse tipologie di competenze secondo le elencazioni riportate nell’Allegato settimo alla Costituzione: la competenza legislativa dell’Unione (Union List)[27],la competenza legislativa degli Stati membri (State List)[28] e la competenza concorrente (Concurrent List)[29].
Quanto, poi, alla competenza legislativa residuale, diversamente da quanto accade in genere negli Stati federali, essa è attribuita all’Unione[30]. Si tratta, tuttavia, di una competenza “residuale” in senso stretto considerato che buona parte delle materie sono ripartite tra gli Stati e l’Unione. Pertanto, lo spazio per le competenze residuali dell’Unione è estremamente ristretto[31]. Ciò non vuol dire che la Costituzione indiana non offra margini di ampliamento delle competenze legislative dell’Unione. A questo proposito, l’art. 252 prevede che l’Unione possa legiferare sulle materie di competenza statale quando sia richiesto da due o più Stati. In tal caso, la legge è destinata ad essere applicata solo agli Stati che ne hanno fatto richiesta o a quelli che l’abbiano esplicitamente recepita attraverso una specifica deliberazione della propria Assemblea legislativa. Sul presupposto della «necessità ed opportunità» rispetto all’interesse nazionale, l’art. 249 della Costituzione indiana prevede, poi, che il Parlamento possa legiferare su materie di competenza legislativa degli Stati qualora vi sia una specifica deliberazione della Camera degli Stati (Council of States) approvata a maggioranza dei due terzi dei propri membri[32].
In questo sistema di ripartizione delle competenze legislative tra l’Unione e gli Stati membri, l’acqua è collocata nella State List come materia di competenza degli Stati relativamente agli aspetti di fornitura idrica, all’irrigazione e ai canali, agli scarichi e agli argini, alla conservazione dell’acqua e all’energia idrica e a tutto quanto sia comunque connesso alle acque, fatta eccezione per i fiumi interstatali che rientrano nella competenza esclusiva dell’Unione[33].
Quanto all’Unione, la Union list prevede la competenza dello Stato centrale per la regolamentazione e lo sviluppo dei fiumi interstatali nonché delle valli dei fiumi nei limiti in cui siano dichiarati dal Parlamento utili all’interesse pubblico. Sulla scorta di tali competenze, l’Unione interviene principalmente per l’erogazione dei fondi, per la promozione della ricerca, per il monitoraggio della qualità delle acque, per la definizione delle linee guida dei vari programmi di approvvigionamento idrico.
Non vi è, invece, alcun riferimento all’acqua nella Concurrent List che, tuttavia, fa riferimento a diversi aspetti legati all’ambiente come le foreste, la protezione della natura, le miniere.
Nell’ordinamento indiano gli Stati membri hanno la responsabilità di provvedere alla disponibilità di acqua potabile, che può essere anche delegata alle autonomie locali (Panchayati Raj), oltre a dover provvedere in genere alle attività di uso e controllo della risorsa idrica. Questa responsabilità scaturisce da quello che la Supreme Court ha ritenuto essere un vero e proprio obbligo di carattere costituzionale derivante, in particolar modo, dagli art. 47 e 48-A che, rispettivamente, attribuiscono agli Stati il compito di migliorare gli standard di vita e di conservare e tutelare l’ambiente[34].
A livello centrale, invece, lo sviluppo, la conservazione e la gestione delle risorse viene svolta dal Ministero delle risorse idriche (Union Ministry of Water Resources)[35]che si occupa della politica generale sulle acque oltre che di fornire supporto agli Stati per l’irrigazione, l’esplorazione dei corsi d’acqua sotterranei, il controllo delle alluvioni, la sicurezza delle dighe. Inoltre, il Ministero si occupa dello sviluppo dei fiumi interstatali e della valutazione sulla qualità delle acque.
Tutte queste funzioni vengono svolte con l’ausilio di organismi centrali. Come, per esempio, la Central Water Commission[36] (CWC) che ha la responsabilità di regolamentare l’uso delle acque superficiali per l’irrigazione, gli usi industriali e quelli della potabilità delle acque.
Il controllo sull’inquinamento delle acque è, invece, regolamentato dal Water Prevention and Control of Poluttion Act del 1974[37] successivamente emendato in due tornate, di cui l’ultima nel 1988. Il Water Act, adottato dal Parlamento in forza di quanto disposto dall’art. 252 della Costituzione, prevede misure di prevenzione e di controllo sull’inquinamento nonché disposizioni per il ripristino della salubrità dell’acqua, introducendo apposite agenzie specializzate (il Central Pollution Control Board[38] e gli State Boards). Il Central Board, i cui membri sono nominati dal governo centrale[39],oltre a svolgere una funzione di coordinamento e di supporto tecnico per i diversi State Boards, può intervenire in loro sostituzione in caso di inadempimento o di grave emergenza. Esso si occupa anche delle azioni di comunicazione e di informazione sull’inquinamento delle acque ed in genere di tutto quanto riguarda la raccolta e la gestione dei dati sull’inquinamento idrico finalizzate alla elaborazione di linee guida per lo smaltimento delle acque reflue. Inoltre, il Central Board svolge le funzioni attribuite dal Water Act agli State Boards per i territori dell’Unione.
Particolarmente dettagliate sono, invece, le funzioni attribuite dalla Sezione 17 del Water Act agli State Pollution Control Boards. Si tratta di funzioni per lo più legate alla pianificazione delle misure di riduzione della contaminazione degli ambienti idrici ed alla diffusione delle informazioni sulla prevenzione, sul controllo e sull’abbattimento dell’inquinamento idrico. A ciò si aggiungono le funzioni relative al controllo e all’ispezione sul trattamento e lo scarico delle acque reflue nonché quelle relative al loro riutilizzo. Svolgono, altresì, un’attività di supporto consulenziale per i governi statali, redigono i programmi di riduzione dell’inquinamento idrico, oltre a predisporre gli standards per gli scarichi nei corpi idrici[40].
Non trascurabile, infine, è l’apporto delle risorse finanziarie provenienti dal settore privato nel settore idrico. A questo proposito, già negli anni Novanta la National Commission for Integrated Water Resources Development Plan, istituita dal Ministero delle risorse idriche, prese in considerazione la possibilità di far erogare al privato servizi nel settore idrico con modalità migliori e più efficienti. L’ipotesi del coinvolgimento dei privati nell’erogazione dei servizi idrici è stata nuovamente rilanciata nel 2000, in occasione dell’elaborazione del piano quinquennale per la gestione efficiente delle risorse idriche. Il gruppo di lavoro costituito per la elaborazione del piano ipotizzò il coinvolgimento del privato, attraverso apposite associazioni tra utenti (Water Users Associations), nella pianificazione, budgeting, realizzazione e gestione di sistemi di irrigazione, introducendo una tariffazione per assicurare la copertura dei costi di funzionamento e manutenzione delle opere[41]. Sulla scorta di queste pregresse valutazioni, la National Water Policy, rimodulata nel 2002, incoraggiò la partecipazione del settore privato nella progettazione, sviluppo e gestione di interventi sulle risorse idriche per usi diversi, al fine di favorire la generazione di finanziamenti e l’introduzione di modelli di gestione aziendale per migliorare l’efficienza del servizio e responsabilizzare gli utenti.
4. La risoluzione dei conflitti sui corsi d’acqua interstatali.
La natura di bene comune dell’acqua ha avuto nei tempi più recenti momenti di crisi legati alla riduzione della disponibilità della risorsa che ha intensificato le rivendicazioni degli Stati (ma anche dei diversi utilizzatori) sulla fruizione dei corsi d’acqua in India. Tale situazione scaturisce anche da una differenziata disponibilità delle acque sotterranee, che in alcune regioni è particolarmente ristretta a causa di un eccessivo sfruttamento per fini commerciali che supera la capacità di rigenerazione dei corpi idrici.
La gestione comune delle acque ha storicamente assicurato in India una conservazione ed un’ottimizzazione della risorsa idrica secondo i criteri dello sviluppo sostenibile che nei tempi più recenti sono state messe in discussione anche a causa dell’utilizzo delle acque per scopi diversi da quelli prioritari. La protesta, anche violenta, nei confronti della Coca Cola, accusata di aver contribuito con l’impiego delle acque nei propri processi produttivi al decadimento ed alla riduzione della disponibilità dell’acqua potabile[42], è sintomatica di un fenomeno di “globalizzazione idrica” che mette in pericolo la conservazione e la gestione dei corpi idrici indiani.
La difficoltà per le comunità locali di mantenere un effettivo controllo sulle risorse idriche ha impedito una gestione efficiente tanto da compromettere la stessa disponibilità di acqua anche a causa di interventi che, più che guardare al fabbisogno della popolazione, sono stati attuati secondo logiche privatistiche e di mercato. A questo si aggiungono tentativi di centralizzazione della gestione delle risorse idriche che si sono poi rivelati fallimentari, come nel caso della costruzione della diga di Bhakra nel 1963, a confine tra gli Stati del Punjab e dell’Himachal Pradesh, sul fiume Sutlej. La pressione del governo a centralizzare la gestione idrica in quell’area si rivelò ben presto inappropriata anche perché la realizzazione della diga non produsse i benefici economici ed ambientali preventivati; anzi contribuì ad un impoverimento idrico della regione peraltro maggiormente esposta al rischio di alluvioni. La conseguenza della modificazione dei modelli di distribuzione dell’acqua in un bacino, specialmente se si verificano significative variazioni interbacino, non può che essere l’innesco di conflitti interstatali[43].
Infatti, sebbene i conflitti sull’uso dell’acqua possano essere diversificati sotto il profilo soggettivo, coinvolgendo attori diversi (Stati, aree geologiche, utilizzatori), sotto il profilo causale tutti sono originati dalla crisi idrica che si è diffusa nel Paese e tutti sono riconducibili a contestazioni e rivendicazioni in merito a diritti di proprietà, a modifiche su diritti e modalità d’impiego, all’equa ripartizione della risorsa idrica disponibile, specialmente per quel che riguarda gli interventi di irrigazione e la deviazione delle acque.
In questo scenario, particolare attenzione meritano i conflitti di tipo interstatale in considerazione del fatto che la quasi totalità dei corsi d’acqua presenti in India attraversa il territorio di diversi Stati membri, innescando rivendicazioni circa la ripartizione delle acque. Uno dei principali problemi che si profilano per questa tipologia di conflitti è la loro durata, che in alcuni casi si trascina da centinaia di anni, obbligando alla continua ricerca di soluzioni, più o meno negoziate, che devono tener conto dei cambiamenti economici, sociali ed ambientali che inevitabilmente si presentano nel corso del tempo. A ciò deve aggiungersi che il coinvolgimento del governo centrale e degli organi giurisdizionali, coinvolti nella risoluzione dei conflitti, danno vita ad una procedura particolarmente articolata che complica ulteriormente la possibilità di una rapida soluzione delle controversie.
Accanto a quelle che costituiscono le cause scatenanti dei conflitti interstatali sull’utilizzo delle acque dei fiumi, si affiancano spesso ulteriori elementi riconducibili a fattori di tipo politico e sociale. Infatti, i conflitti politico-sociali nascono spesso sull’onda di rivendicazioni proprio in merito all’uso ed alla proprietà delle risorse. Nella risoluzione di questi conflitti le prerogative politiche e sociali di uno Stato possono diventare effettivamente determinanti per il riconoscimento delle proprie rivendicazioni.
Un esempio significativo fu quello dell’efferato conflitto che negli anni Ottanta coinvolse lo Stato del Punjab. Tale conflitto ebbe origine proprio in relazione alla ripartizione delle acque dei fiumi ma venne presentato come una guerra di religione nata dal separatismo sikh. In realtà, il conflitto nascondeva contrapposizioni sul diverso modo di vedere lo sviluppo dell’uso dei fiumi di quello Stato[44].
Altro esempio significativo fu la vicenda delle acque del fiume Kaveri, contese tra gli Stati del Tamil Nandu e del Karnataka che entrarono in conflitto a seguito di una decisione del Kaveri Water Disputes Tribunal di ridurre la fornitura d’acqua allo Stato del Tamil Nandu in forza di un accordo del 1892. L’accordo prevedeva un potere di veto dello Stato del Tamil Nandu (che all’epoca era una provincia del Raj britannico) sulle opere di irrigazione intraprese dallo Stato del Karnataka, e della realizzazione di una diga prevista da un accordo del 1924[45]. Anche in questo caso il conflitto che ne scaturì vide coinvolti aspetti che andavano ben al di là delle strette problematiche ambientali, accendendo violenti scontri tra la popolazione ed aprendo una crisi con il governo centrale all’indomani della conferma della pronuncia adottata dal Kaveri Water Disputes Tribunal.
I Water Disputes Tribunals sono tribunali costituiti dal governo centrale per la risoluzione delle controversie interstatali sui corsi d’acqua in base al disposto dell’art. 262 della Costituzione indiana, che deroga all’art. 131 il quale prevede invece, come regola generale, la competenza della Corte Suprema. In particolare, il testo dell’art. 262 della Costituzione indiana prevede che il Parlamento possa legiferare in merito alla risoluzione di qualsiasi controversia o reclamo relativo all’uso, alla distribuzione o al controllo delle acque di qualsiasi fiume interstatale, precludendo alla Corte Suprema o alle altre corti la possibilità di esercitare la propria giurisdizione.
Sulla scorta di tale disposizione, con l’Inter-State Water Disputes Act del 1956, il Parlamento indiano introdusse la procedura di risoluzione delle controversie interstatali sulle acque dei fiumi in quei casi in cui non fosse possibile una composizione attraverso negoziazioni. In particolar modo, l’Inter-State Water Disputes Act prevede l’istituzione di tribunali speciali, i Water Disputes Tribunals appunto, che si pronunciano su quel tipo di controversie. Sotto questo profilo esiste una forte analogia tra l’India e gli Stati Uniti d’America che, altresì, prevedono procedure simili per la risoluzione delle controversie interstatali che hanno ad oggetto i diritti sulle acque[46]. Tuttavia, la differenza tra i due ordinamenti è costituita dal fatto che nell’ordinamento indiano la Costituzione contempla la possibilità per il Parlamento di prevedere un particolare tipo di tribunali per le controversie sui fiumi interstatali.
I Water Disputes Tribunals possono essere paragonati agli administrative tribunals di common law, vale a dire a quella tipologia di tribunali che concorrono alla costruzione di regole in deroga al diritto comune[47]. Infatti, gli administrative tribunals sono istituiti con legge del Parlamento su diversi settori dell’azione amministrativa ed intervengono nella risoluzione delle controversie prima che esse approdino al giudice vero e proprio. Tuttavia, a differenza degli administrative tribunals, che tradizionalmente sono utilizzati per la risoluzione di controversie tra cittadini ed una autorità amministrativa, i Water Disputes Tribunals esercitano i loro statutory powers nei conflitti interstatali, assumendo maggiormente il ruolo di court substitute piuttosto che di autorità amministrativa.
Dunque, quando uno o più Stati ritengono che le iniziative di un altro (o di più Stati) possano ledere i propri interessi, essi possono richiedere al governo di istituire un Water Disputes Tribunal in base all’Inter-State Water Disputes Act del 1956, il quale, nel giro di un anno, provvede ad instituire il tribunale, se constata l’effettiva impossibilità di risolvere la controversia attraverso negoziazioni. Il Tribunal è costituito da tre membri nominati dal Chief Justice of India tra i giudici della Corte Suprema e delle High Courts statali ai quali possono essere affiancati due consulenti di nomina governativa. Il procedimento si conclude con la pronuncia di un lodo inappellabile (award)[48], la cui pubblicazione sulla gazzetta ufficiale produce effetto vincolante tra le parti, assumendo una efficacia equivalente ad una pronuncia della Corte Suprema. Tuttavia, nonostante l’Inter-State Water Disputes Act ribadisca l’esclusione della giurisdizione della Corte Suprema e di ogni altra corte sulle questioni sottoposte ai tribunali per le controversie sulle acque, nella pratica accade che comunque la Corte Suprema venga investita dagli Stati membri del tentativo di revisione di lodi pronunciati dai Water Disputes Tribunals. Ciò può verificarsi attraverso una procedura speciale d’appello dello Stato membro interessato alla suprema giurisdizione oppure attraverso una richiesta consultiva del Presidente dell’Unione (Presidential Reference) alla Corte Suprema su di un provvedimento normativo adottato dallo Stato membro, interessato dal conflitto, in contrasto con il lodo pronunciato che, in tal modo, viene indirettamente sottoposto al vaglio della Corte Suprema[49].
Senza contare, poi, i tentativi di ostacolare l’efficacia vincolante degli stessi lodi come nel caso della controversia sul fiume Ravi-Beas. In questa controversia che coinvolse gli Stati del Punjab e dell’Haryana il lodo non venne pubblicato dal governo centrale poiché nel 2004 il Punjab adottò una legge che rigettava ogni contestazione di responsabilità nei confronti dello Stato dell’Haryana per un eccesso di prelievo d’acqua dal fiume Ravi-Beas. Per questo motivo il Presidente dell’Unione richiese alla Corte Suprema di esprimere un parere (Presidential Reference) reso il 10 novembre 2016. Il riferimento presidenziale n. 1 del 2004 ricevette risposta dalla Corte Suprema, che affermò, in funzione di giurisdizione consultiva, che il Punjab Termination of Agreements Act del 2004 non poteva essere considerato conforme alle disposizioni della Costituzione indiana. Tuttavia, come suggerito dal Solicitor General of India (SGI)[50], la legge non venne dichiarata illegittima dalla Corte su richiesta delle parti.
La particolarità di questi giudizi è quella di richiamare spesso l’applicazione di principi dell’ordinamento internazionale in materia di acque ed in particolar modo le Regole di Helsinki (adottate nel 1966) sugli usi delle acque fluviali internazionali.
Ad esempio, i Tribunali hanno spesso fatto richiamo al principio di equa ripartizione delle acque per la risoluzione di controversie, sfruttando la flessibilità del concetto di equità per nascondere preferenze di carattere politico o economico[51]. Il limite di questa prassi è quello di richiamare un concetto di equità non codificata con la conseguenza che ciascuna delle parti in causa avrà una propria ‘idea di equità’ sulla base della quale contesterà le concessioni fatte a favore dell’altra a proprio discapito.
Uno dei casi in cui il principio ha trovato applicazione è quello relativo alla controversia sulla ripartizione delle acque del fiume Krishna tra gli Stati Maharashtra, Karnataka, Andhra Pradesh ed Orissa. Il lodo adottato nel 1973, intervenendo sulla ripartizione delle acque in eccedenza, invocò il principio di equa ripartizione per la distribuzione delle acque, occupandosi di tre questioni: il grado di tutela da assicurare agli usi esistenti rispetto a quelli futuri; la modalità di deviazione delle acque su di un altro bacino; l’individuazione delle regole di determinazione degli usi prioritari. Sulle diverse questioni, il Tribunale ritenne che gli interventi programmati fossero da preferire rispetto ai diritti storicamente acquisiti; che fosse possibile la deviazione delle acque su di un altro bacino purché all’interno dei confini politici degli Stati rivieraschi; infine, che gli usi esistenti in merito alla deviazione delle acque fuori dal bacino fossero meritevoli di tutela. In realtà tali determinazioni furono assunte dal Tribunale sulla scorta di un accordo che, nelle more del giudizio, era stato raggiunto tra le parti in causa e che fu recepito nel lodo finale del 1979. Nel 2004 la disputa sulle acque del fiume Krishna fu riaperta e venne istituito un secondo tribunale (Krishna Water Disputes Tribunal II, KWDT-II). Sulla base delle mutate condizioni idrologiche e dei fabbisogni crescenti degli Stati, il KWDT-II, con il lodo del 2010, ridistribuì i corsi d’acqua; tuttavia, questa decisione fu contestata, soprattutto dopo la creazione del nuovo Stato di Telangana nel 2014, che complicò ulteriormente la questione rivendicando una parte delle risorse idriche precedentemente allocate all’Andhra Pradesh. Successivamente, il mandato fu prorogato ed il Governo Centrale, con la Gazete Notification del 6 ottobre 2023, che ha ufficialmente rinviato ulteriori termini di riferimento al suddetto tribunale per la risoluzione della controversia, che resta ancora aperta.[52].
Un’altra vicenda interessante è quella che ha riguardato il fiume Cauvery (detto anche Kavery), nell’India meridionale, sulle cui acque è sorta un’altra controversia tra gli Stati del Karnataka, del Kerala, del Tamil Nadu e del Territorio dell’Unione del Pondichery. Si tratta di un fiume il cui flusso viene alimentato attraverso le piogge monsoniche e le cui acque vengono per buona parte utilizzate per esigenze di irrigazione nonché per uso industriale e potabile. Accade spesso che le controversie interstatali sulle acque dei fiumi scaturiscano dalla rivendicazione di diritti acquisiti per un uso protratto nel tempo piuttosto che sulla base di un riconoscimento giuridico-normativo. Nel caso del fiume Cauvery, nel 1892 il Karnataka si impegnò con il Tamil Nadu a non realizzare altri interventi di irrigazione senza il preventivo consenso del secondo, consenso, tuttavia, dovuto se risultavano preservati i diritti acquisiti. Successivamente nel 1924 venne raggiunto un nuovo accordo tra gli Stati sempre in relazione ad una serie di interventi irrigui da realizzare, in applicazione del principio di equa ripartizione[53]. La controversia è scaturita proprio dalla contestazione dei diritti acquisiti in particolare dallo Stato del Karnataka in merito al prelievo delle acque dal fiume. Il lodo adottato nel 2007 dal Cauvery Water Disputes Tribunal, richiamando gli accordi del 1892 e del 1924 di cui confermò l’efficacia, intervenne a regolamentare la quantità di acque utilizzabili da ciascuno Stato e dall’Unione dei territori, peraltro riservandone una quantità alla protezione dell’ambiente. L’aspetto interessante di questa vicenda è costituito dal fatto che, all’esito del giudizio, furono istituiti due organi: la Cauvery River Authority ed il Monitoring Committee. Il primo fu costituito per dare attuazione al lodo provvisorio con il quale il Tribunale aveva imposto allo Stato del Karnataka di assicurare una certa quantità di acque allo Stato del Tamil Nadu. Il Monitoring Committee, invece, fu costituito per raccogliere dati, monitorare l’attuazione delle decisioni delle autorità e in caso di difficoltà, di rinviare la questione alla Cauvery River Authority. La istituzione di tali organismi è, in effetti, espressamente contemplata dall’Inter-State Water Disputes Act del 1956 che attribuisce al Governo centrale il potere di istituire organi che provvedano alla effettiva attuazione dei lodi pronunciati dai tribunali.
Questa modalità di risoluzione delle controversie interstatali deve necessariamente confrontarsi con quelle che sono le caratteristiche della forma federale dello Stato indiano. Proprio la struttura federale dell’India rappresenta il punto di debolezza di questo tipo di risoluzione delle controversie, poiché non è raro che gli Stati rifiutino di accettare le decisioni dei Water Disputes Tribunals.
Nonostante ciò, nel 2018 la Corte Suprema ha dichiarato il fiume Cauvery una risorsa nazionale e ha confermato gli accordi di condivisione dell’acqua stabiliti dal Cauvery Water Dispute Tribunal, invitando il Governo Centrale a formalizzare il Cauvery Management Scheme. Non sono mancate, però, nuove tensioni sorte fra gli stati del Karnataka e del Tamil Nadu in merito alle quote di ripartizione, ma la stessa Corte Suprema (in data 21 settembre 2023) ha rifiutato di pronunciarsi a favore dell’uno o dell’altro contendente.
Il problema fu sollevato anche dalla Sarkaria Commission del 1988 (che doveva riformare il sistema dei rapporti tra governo centrale e Stati membri) la quale diede indicazione sulla opportunità che l’Inter-State Water Disputes Act fosse modificato in modo da assicurare ai lodi dei tribunali la stessa efficacia delle sentenze della Corte Suprema.
Sebbene tali modifiche non siano state introdotte, in realtà esistono nell’ordinamento giuridico indiano elementi sufficienti per ritenere i lodi pronunciati dai tribunali vincolanti: i poteri molto simili a quelli della Corte Suprema (acquisire informazioni, richiedere testimonianze, recuperare le spese di giudizio) e l’esclusione della giurisdizione della Corte Suprema e delle altre corti dalle questioni sottoposte ai Water Disputes Tribunals sono sicuramente elementi indicativi del carattere vincolante degli awards.
Un’altra vicenda da segnalare è quella che ha riguardato gli Stati di Andra Pradesh e di Odisha e che vide quest’ultimo, nel febbraio 2006, inviare una denuncia al governo centrale ai sensi della sezione 3 dell’Inter-State River Water Disputes Act (ISRWD) del 1956, in merito alle controversie sulle acque relative al fiume interstatale Vansadhara, per la costituzione di un tribunale interstatale per le controversie sull’acqua per la risoluzione. La tesi di base della denuncia dello Stato di Odisha era che il canale di flusso delle inondazioni avrebbe comportato il prosciugamento e il conseguente spostamento del letto del fiume. All’udienza del 6 febbraio del 2009, la Corte Suprema ordinò al governo centrale di costituire un tribunale per le controversie in materia di acqua. Con l’approvazione del Consiglio dei Ministri (datato 25 giugno dello stesso anno), il Ministero delle Risorse Idriche costituì il Vansadhara Water Dispute Tribunal (VWDT). Il 17 dicembre 2013 il National Company Law Tribunal ha emesso la sua sentenza, consentendo al governo dell’Andhra Pradesh di costruire lo sbarramento del canale laterale insieme alle opere accessorie come proposto e ha, tra l’altro, costituito un comitato di supervisione di tre membri per la gestione e la regolamentazione del flusso sul fiume Vansadhara. Il 13 settembre del 2017 l’ Inter-State River Water Disputes Tribunal (il Tribunale per le Controversie sulle Acque Interstatali) presentò il suo rapporto al Governo centrale ai sensi della Sezione 5(2) dell’ISRWD Act del 1956.
Inoltre, lo Stato di Odisha e il Governo centrale presentarono, nel dicembre del 2017, ricorso ai sensi della Sezione 5(3) dell’ISRWD Act, 1956. Lo Stato di Odisha ha anche depositato Interlocutory Application n. 1 del 2019 presso il Tribunale, che ha emesso la sua sentenza nel 2019. Successivamente, lo Stato dell’Odisha ha depositato lo Special Leave Petition (Civil) – SLPC(C) – n. 27930/2019 davanti alla Corte Suprema contro l’ordinanza del 23 settembre. Lo scioglimento del VWDT con decorrenza dal 10 marzo 2022 è stato pubblicato nella Gazzetta dell’India, il lodo del Tribunale, invece, non è ancora stato pubblicato[54].
Significativa è anche la vicenda al vaglio del Mahanadi Water Disputes Tribunal. Nel luglio 2002, lo Stato di Goa presentò una richiesta ai sensi della Sezione 3 dell’Inter-State River Water Disputes Act del 1956 per la costituzione del Tribunale, per per il giudizio e la decisione della controversia relativa al fiume Mandovi (noto anche come Mandoli). Le questioni menzionate nella richiesta includevano la valutazione delle risorse idriche utilizzabili, disponibili nel bacino in vari punti e l’assegnazione di queste acque ai tre Stati del bacino (Goa, Karnataka e Maharashtra), tenendo presente la priorità dell’uso dell’acqua all’interno del bacino stesso nonché la decisione sui meccanismi per attuarela decisione del tribunale. Nell’agosto del 2018 il Tribunale ha presentato al Governo centrale la sua relazione ai sensi dell’articolo 5(2) della Legge. Lo Stato di Goa ha, poi, presentato un’istanza ai sensi dell’Ordine 39, Regola 2A, del Codice di procedura civile del 1908 e della Sezione 5(3) dell’ISRWD Act del 1956 al Tribunale in data 20 agosto 2018. Successivamente, gli Stati interessati hanno depositato ulteriori riferimenti ai sensi dell’articolo 5(3) dell’ISRWD Act davanti al Tribunale ed una Special Leave Petitions contro la relazione e la decisione finale del 14 agosto 2018 del Tribunale presso la Corte Suprema.
Come previsto dall’ordinanza della Corte Suprema del 2020, il Governo centrale ha pubblicato il lodo MWDT del 14 agosto del 2018 nella Gazzetta ufficiale dell’India tramite la notifica del 27 febbraio 2020. Il mandato del Tribunale è stato prorogato su base annuale e prorogato fino allo scorso agosto.
La situazione attuale del Mahanadi Water Disputes Tribunal (MWDT) è in evoluzione. Recentemente, il Ministro dell’Unione per Jal Shakti, CR Patil, ha dichiarato che la disputa sull’acqua del fiume Mahanadi tra Odisha e Chhattisgarh sarà risolta a breve, affermazione che da speranza verso una soluzione imminente, soprattutto considerando che il Bharatiya Janata Party (BJP), il partito del Popolo indiano, ad oggi governa entrambi gli stati.
Nel 2017 è stato presentato sull’Inter-State River Water Disputes Act un disegno di legge, l’Inter-State River Water Disputes (Amendment) Bill[55]. Presentato il 14 marzo 2017 alla Lok Sabha[56] (Camera bassa del Parlamento indiano) dal Ministro delle risorse idriche, dello sviluppo fluviale e del ringiovanimento del Gange, Uma Bharti, l’emendamento aveva come obiettivo principale il miglioramento dell’efficienza e della rapidità all’interno della risoluzione di queste controversie, spesso causa di tensioni significative tra stati indiani.
Il disegno di legge proponeva la costituzione di un unico tribunale permanente per risolvere tutte le dispute relative ai fiumi interstatali, sostituendo la necessità di crearne uno ad hoc per ogni caso in esame. Il nuovo tribunale, composto da un Presidente, un Vicepresidente e non più di sei membri (giudici della Corte Suprema o di un’Alta Corte), nominati dal Presidente della Corte Suprema dell’India, può prevedere anche la nomina, da parte del governo centrale, di due esperti in veste di valutatori, per accompagnare il collegio nei suoi procedimenti. Il tribunale può essere suddiviso in più sezioni per trattare simultaneamente diverse controversie, al fine di accelerare il processo decisionale. È questo, infatti, l’obiettivo principale dell’Amendment, rendere il processo di risoluzione delle controversie più efficiente e meno dispendioso in termini di tempo[57].
Prima di fare ricorso al tribunale, il disegno di legge introduce la costituzione di un Comitato di Risoluzione delle Dispute (Disputes Resolution Committee – DRC) che tenterà di risolvere la questione attraverso la mediazione, una fase preliminare volta, anch’essa, alla riduzione dei tempi e delle tensioni fra Stati.
Ad integrare e migliorare il disegno di legge del 2017 è l’Inter-State River Water Disputes (Amendment) Bill del 2019, cheriprende molti dei principi e obiettivi del suo predecessore includendo, però, disposizioni aggiuntive. Approvato dalla Lok Sabha il 31 luglio 2019, accelera ulteriormente il processo di risoluzione e rendere il meccanismo di gestione delle controversie interstatali più efficace. Le novità principali constano nel: rafforzamento del ruolo del tribunale unico; introduzione di meccanismi per la rapida implementazione delle decisioni e composizione dei comitati di mediazione; specifica di ulteriori regole per l’esecuzione delle decisioni dei tribunali[58].
5. L’esperienza spagnola sulla risoluzione dei conflitti sui fiumi. Un’analisi diacronica.
L’esperienza indiana non è l’unica nel mondo ad essere caratterizzata dal ricorso a procedure alternative di risoluzione dei conflitti sulle acque. In Europa, in una realtà autonomica come quella spagnola, con le dovute differenze dal punto di vista storico, giuridico e sociale, si può fare riferimento all’esperienza del Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia in Spagna caratterizzato, in passato, da una modalità di accesso molto simile a quello del Public Interest Litigation (PIL). Diversamente dall’India, però, la Spagna ha solo storicamente permesso l’accesso diretto alla propria giurisdizione circoscrivendola all’ambito territoriale valenziano e rivelando una tradizione di risoluzione alternativa dei conflitti sulle risorse idriche, con particolare riferimento ai corsi d’acqua inter-regionali che transitano in questa zona. La risoluzione di queste dispute ha portato alla creazione di un sistema che comprende meccanismi specifici per la gestione e la risoluzione di queste questioni di carattere idrico.
Questo sistema di risoluzione dei conflitti sulle acque ha subito, nel corso del tempo, un forte ridimensionamento e l’affidamento, alla giustizia ordinaria (Tribunal Constitutional e Tribunal Supremo), della trattazione di tali controversie. Va in proposito rilevato che, a differenza di quello indiano, l’ordinamento spagnolo rivela un testo costituzionale collocabile tra le Costituzioni c.d. revisionate[59]. Infatti, la Costituzione spagnola del 1988 contiene ab origine riferimenti all’ambiente tanto da poter essere collocata nella categoria delle Costituzioni cd. ambientali. In particolare, l’articolo 45, inserito nel Capitolo III sui principi che reggono la politica sociale ed economica del Titolo I della Costituzione (diritti e doveri fondamentali), ad una prima lettura, rivela un approccio di tipo soggettivo e oggettivo[60]: l’approccio soggettivo si sostanzia nella previsione di un diritto ad utilizzare l’ambiente idoneo allo sviluppo della persona. Quanto all’approccio oggettivo, esso si sostanzia in un dovere, in capo ai pubblici poteri, di tutela e valorizzazione dell’ambiente. In questo quadro, l’art. 149[61] assegna allo Stato la competenza esclusiva sulla legislazione di base sulla protezione dell’ambiente, senza pregiudizio per le facoltà delle Comunità Autonome di stabilire norme aggiuntive di protezione. La Costituzione spagnola fornisce, quindi, una base giuridica forte per la protezione ambientale, con un’enfasi sulla responsabilità condivisa tra cittadini e poteri pubblici. Attraverso la legislazione, le iniziative delle Comunità Autonome e la giurisprudenza, la Spagna continua a rafforzare il suo impegno verso la sostenibilità e la conservazione delle sue risorse naturali, mediante un approccio olistico e partecipativo alla gestione ambientale, essenziale per affrontare le sfide ambientali contemporanee e garantire un futuro sostenibile per le generazioni future[62]. L’art 148 della Costituzione spagnola conferisce alle Comunità autonome competenze in materia di gestione ambientale, sebbene spetti allo Stato la competenza esclusiva sulla legislazione di base in relazione alla protezione dell’ambiente (art.149)[63].
In questo quadro costituzionale si delinea una giurisprudenza piuttosto interessante sulla risoluzione dei conflitti sui fiumi.
Nel caso del Tajo[64], il fiume che attraversava diverse regioni spagnole (Castiglia-La Mancha, Murcia, Valencia e Almería) nel sistema del Trasvase Tajo-Segura, è stato affrontato uno degli episodi più significativi e controversi del Paese sul prelievo di acqua da parte di diverse regioni, che toccava vari aspetti legali, ambientali, economici e politici. Altre pronunce hanno, invece, riguardato questioni di competenza tra il governo centrale e le autorità regionali in merito alla gestione delle risorse idriche[65].Le dispute riguardano, in particolar modo, il rapporto tra le regioni donatrici, che chiedono ulteriori riduzioni nei trasferimenti d’acqua, e le regioni beneficiarie che, invece, difendono la necessità del trasvase per la loro economia. Di recente, la Presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, ha annunciato che il governo regionaleavrebbe intentato una causa davanti alla CorteSuprema contro il nuovo Piano Idrologico del Tago, ritenendo che lo stesso cambiasse radicalmente le regole, boicottando il sistema di approvvigionamento idrico dell’autonomia.
Sul rapporto tra governo centrale e comunità autonoma, si può citare il caso del fiume Guadalquivir, nella Regione dell’Andalusia, uno dei casi più emblematici nel panorama dei contenziosi legati alle risorse idriche in Spagna. La disputa, che coinvolse governo centrale e comunità autonoma dell’Andalusia era incentrata sul controllo e sulla gestione delle risorse idriche del fiume all’indomani della riforma del 2007 dello Statuto di Autonomia dell’Andalusia. L’origine della disputa coincide con la riforma del 2007 dello Statuto di Autonomia dell’Andalusia, a seguito della quale fu introdotta una disposizione che assegnava alla regione la competenza esclusiva sulla gestione delle acque del Guadalquivir. Il governo centrale contestò questa disposizione portando il caso davanti al Tribunale costituzionale per sostenere che, in base alla Costituzione, la gestione delle risorse idriche inter-regionali fosse una competenza esclusiva dello Stato; circostanza rilevante considerato che il corso d’acqua attraversava il territorio di più regioni[66]. La sentenza del Tribunal Constitucional n. 30/2011 del 16 marzo 2011[67], dichiarò incostituzionale la disposizione dello Statuto sulla gestione esclusiva da parte dell’autonomia andalusiana. Tuttavia, la sentenza ha inaugurato una implementazione del modello di gestione condivisa, in cui il governo centrale mantiene la competenza principale, ma in collaborazione con la comunità autonoma dell’Andalusia[68]. In realtà, il sistema ordinario di risoluzione delle controversie sui corsi idrici prevede che esse debbano generalmente essere incardinate innanzi ai tribunali prima di poter giungere innanzi al Tribunal Supremo, che interviene principalmente come giudice di cassazione, focalizzandosi sulle questioni di diritto derivanti dalle decisioni dei tribunali inferiori.
Infatti, l’iter per ottenere un parere dal Tribunal Supremo in materia ambientale è più strutturato rispetto a quello indiano, non esistendo un meccanismo di ricorso diretto simile a quello dei PIL (Public Interest Litigation – Ricorso di Interesse Pubblico)[69] indiano eccezion fatta, storicamente, per il Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia (Tribunale delle Acque di Valencia) [70]
Nel IX secolo, nella zona centrale della Comunità Valenciana si attribuì ad un Tribunale locale, di carattere consuetudinario, la giurisdizione sui canali di irrigazione di una pianura molto fertile e coltivata, derivanti dal fiume Turia.
Il Tribunale delle Acque di Valencia, formalmente riconosciuto nel 1238 dal re Giacomo I d’Aragona dopo la riconquista della città dai Mori[71], è composto da otto membri, chiamati síndicos, ognuno dei quali rappresenta una delle otto principali acequias (canali di irrigazione) della zona: Quart, Benàger-Faitanar, Tormos, Mislata, Mestalla, Favara, Rascanya e Rovella. Il tribunale, ad oggi ha una valenza prettamente storica e culturale, riconosciuta anche dall’Unesco che ha provveduto, nel 2009, a dichiararlo Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità[72].
Le riunioni si svolgono ogni giovedì a mezzogiorno presso la Porta degli Apostoli della Cattedrale di Valencia, con sessioni aperte al pubblico. Una volta che il Tribunale si è accomodato, un funzionario dell’ordine giuridico, chiamato “alguacil”, con il permesso del Presidente, nominato dagli 8 sindaci a tempo indeterminato, esclama, rivolto a tutti i presenti una tradizionale frase in lingua valenciana che pronuncia così: “Denunciats de la sèquia de …!” (frase che serve per conoscere se ci sono “denuncianti”).
Il giudizio si sviluppa in forma rapida, orale e interamente in valenciano. Il denunciante, che solitamente è il responsabile della “acequia” (dei canali d’irrigazione che partano dal fiume Turia e si diramano nel territorio) alla quale appartiene il trasgressore, espone il caso davanti al Tribunale, dopo di che il denunciato si difende da solo e risponde alle domande del Sindaco della “Comunidades de Regantes” alla quale appartiene.
Poi il Tribunale, con l’esclusione del Sindaco della “acequia” in questione, attribuisce la colpa o la non colpevolezza del denunciato. In caso affermativo è il síndico corrispondente che impone la pena da pagare al trasgressore, in accordo con le ordinanze della propria Comunità di Regantes. La pena è imposta in “sueldos”, così come avveniva in tempo medioevale, intendendo attualmente per “sueldos”, lo stipendio giornaliero del responsabile del canale d’irrigazione, in spagnolo “el guarda de la acequia”[73]. La sua funzione giurisdizionale è riconosciuta dalla legislazione spagnola, sebbene nel corso del tempo il ricorso a questa giurisdizione consuetudinaria è andato sempre più ad affievolirsi.
[1] Seguendo la definizione proposta da P.R. Brass, The Routledge Handbook of South Asia Politics, New York, 2010, il termine South Asia identifica l’area geografica che comprende India, Pakistan, Bangladesh, Buthan, Nepal, Sri Lanka e Maldive.
[2] Nell’area denominata South Asia non è rintracciabile un costituzionalismo univoco essendo possibile rintracciare esperienze che rivelano caratteristiche diverse di cui: alcune si rifanno al costituzionalismo liberale; altre rivelano componenti teocratiche; altre ancora prendono in prestito la forma costituzionale pur essendo ‘anticostituzionali’. Al riguardo si veda il contributo di W.C. Chang, L. Thio, Kevin YL Tan, J. Yeh, Constitutionalism in Asia. Cases and Materials, Oxford, 2014, 187 ss.
[3] M. Chiba (ed.), Asian Indigenous Law in Interaction with Received Law, Abingdon-New York, 2013, 5 ss. Nell’Asia meridionale, il diritto statale si basa spesso sul trapianto del diritto occidentale introdotto in epoca coloniale soprattutto per esigenze politiche, amministrative e commerciali. Tuttavia, la scarsa disponibilità sociale a recepire il diritto imposto hanno fatto sì che nel tempo le leggi indigene sopravvivessero sul piano sociale.
[4] D. Francavilla, Il diritto nell’India contemporanea. Sistemi tradizionali, modelli occidentali e globalizzazione, Torino, 2010, 55 ss.
[5] D. Amirante, India, Bologna, 2007, 52; Idem, La democrazia dei superlativi. Il sistema costituzionale dell’India contemporanea, Napoli, 2019, 66 ss.
[6] Nel caso Ratlam Municipality v. Vardhichand (1980), sentenza pionieristica della Corte Suprema indiana in materia di diritto ambientale, la Corte rigettò l’appello della municipalità di Ratlam, confermando l’ordine di rimozione della causa di disturbo pubblico dovuto alle pessime condizioni sanitarie ed ambientali dell’area destinata all’estrazione del carbone. La sentenza si segnala per essere un precedente importante per il principio di responsabilità, avendo affermato che le autorità locali hanno il dovere inderogabile di garantire condizioni sanitarie adeguate al fine di prevenire il degrado ambientale, indipendentemente dalle disponibilità economiche. La pronuncia, inoltre, alla salute pubblica il valore di diritto fondamentale, collegandola al diritto alla vita garantito dall’art. 21 della Costituzione indiana. Da qui l’attribuzione alle autorità locali della responsabilità di garantire il mantenimento di condizioni igieniche adeguate. Municipal Council, Ratlam vs Shri Vardhichand & Ors on 29 July, 1980 (escr-net.org).
[7] S. Ghosh, India, Bangladesh, and Pakistan, in L. Rajamani, J. Peel (eds.), The Oxford Handbook of International Environmental Law, Oxford, 2021, 1078 ss.
[8] D. Amirante, Ambiente e principi costituzionali nel diritto comparato, in D. Amirante (cur.), Diritto ambientale e Costituzione. Esperienze europee, Milano, 2000, 30 ss; Idem, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, Bologna, Il Mulino, 2022.
[9] La Carta fondamentale indiana contiene un ricco e dettagliato Bill of Rights, in relazione alla cui protezione è prevista anche una procedura di ricorso diretto alla Corte Suprema, non applicabile, invece, ai diritti sociali, contenuti nella parte relativa ai principi direttivi della politica statale. Tale inquadramento ha determinato un sostanziale rafforzamento dei diritti fondamentali sul piano costituzionale che se da una parte non ha incoraggiato revisioni costituzionali volte ad affermare nuovi diritti nel Bill of Rights, dall’altra ha determinato un ampliamento del loro campo di applicazione attraverso interventi giurisprudenziali.
[10] G. Singh, Environmental Law in India, New Delhi, 2011, 69. Quanto ai principi direttivi dello stato, si veda anche D. Amirante, India, cit., 107, il quale afferma: «Dal punto di vista giuridico, i principi direttivi non contengono in genere delle vere e proprie situazioni giuridiche soggettive, ma si sono dimostrati comunque piuttosto efficaci, sia grazie alla loro concretizzazione nella legislazione e nell’attività amministrativa dell’Unione e degli Stati, sia attraverso vari meccanismi che, prevalentemente in via indiretta, possono portare a un controllo giurisdizionale sulla loro applicazione. Da questo punto di vista possiamo considerarli dei “diritti sociali”, anche se non in senso propriamente tecnico».
[11] Lo stesso dovere è previsto dall’art. 28 della Costituzione dello Sri Lanka.
[12] Il riferimento alla compassione per tutte le creature viventi riportato nell’articolo è stato interpretato dalla dottrina come un esplicito riferimento alle radici culturali delle maggiori religioni indiane. Secondo W. Menski, Comparative Law in a Global Context. The Legal Systems of Asia and Africa, Cambridge, 2006, 214 ss., l’art. 51A può essere letto come una riformulazione in chiave moderna di concetti tradizionali e, in particolare, del dharma. W.C. Chang, L. Thio, Kevin YL Tan, J. Yeh, op. cit., 80.
[13] S. Divan, A. Rosencratz, Environmental Law and Policy in India, Cases, Materials and Statues, New Delhi, 2001, 45.
[14] M.C. Mehta v. Kamal Nath (2000) 6 SCC 213: AIR 2000 SC 1997; Hinch Lal Tiwari v. Kamla Devi (2001) 6 SCC 496.
[15] Sitaram Chhaparia v. State of Bihar AIR 2002, Patna 134.
[16] A.P. Pollution Control Board v. M.V. Nayudu, AIR 1999 SC 812; Narmada Bachao Andolan v. Union of India, AIR 2000 SC 3751.
[17] Consultabile: https://indiankanoon.org/doc/1934103/
[18] M.C. Mehta v. Union of India, AIR 1987 SC 1086, consultabile: https://indiankanoon.org/doc/1486949/#:~:text=This%20is%20the%20principle%20on%20which%20this
[19] V. Shiva, Le guerre dell’acqua, Milano, 2004, 17; P. Mukheibir, Water Access, Water Scarcity, and Climate Change, in Environmental Management, 2010, 45, 5, 1028. Attualmente si stima che dai 5.300 mc. pro capite/anno del 1955 si è passati a 2.200 mc. pro capite/anno, con una previsione al 2020 di una ulteriore riduzione a 1.600 mc. pro capite/anno.
[20] In merito a tali problemi ed ai tentativi di soluzione degli stessi, attraverso politiche di decentramento della gestione delle risorse idriche. L’impoverimento della risorsa idrica è riconducibile al suo sfruttamento eccessivo e all’inquinamento prodottisi nel corso del ‘900. A ciò si aggiunge una gestione del suolo non sempre improntata a scelte ambientali sostenibili (costruzione di dighe, deviazione di corsi d’acqua o cavi nelle falde acquifere, ecc.).M.C. Torri, Decentralising Governance of Natural Resources in India: Lessons from the Case Study of Thanagazi Block, Alwar, Rajasthan, India, Law, in Environment and Development Journal, 6/2, 2010, 228.
[21] D. Amirante, Azioni positive, “quote riservate” e società multiculturale. Il Novantesimo emendamento e la “politica delle quote” nell’ordinamento indiano, in Diritto pubblico comparato ed europeo, vol. IV, 2007, 1599 ss.
[22] T. Damodhar Rao v. S.O. Municipal Corp., Hyderabad, AIR 1987 A.P. 171, 181; M.C. Metha v. Union of India, AIR 1988 SC 965.
[23] L’art. 32 della Costituzione indiana garantisce la tutela dei diritti fondamentali davanti alla Corte Suprema che provvede con directions, orders, writs anche sottoforma di habeas corpus, mandamus, prohibition, quo warranto e certiorari.
[24] Subhash Kumar v. State of Bihar AIR 1991 SC 420.
[25] Paryavaran Suraksha Samiti & Anr vs Union Of India on 22 February, 2021 (indiankanoon.org).
[26] L’ultimo piano quinquennale (2012-17) prevede la programmazione di una serie di progetti per la gestione efficiente dei corpi idrici di dimensione differenziata per l’incremento della irrigazione delle aree agricole. A questa linea di azione si affiancano: l’individuazione di interventi per la rigenerazione dei corpi idrici; il miglioramento della manutenzione del sistema di irrigazione; la individuazione delle aree principali, per lo più di tipo rurale, in cui è necessario intervenire per il superamento del gap infrastrutturale.
[27] La Union List comprende 97 materie tra cui la difesa, la politica estera, l’energia nucleare, il trasporto interstatale, la navigazione, la regolamentazione e lo sviluppo di giacimenti petroliferi e delle miniere, i fiumi interstatali.
[28] La State List comprende 66 materie tra cui la salute pubblica, l’agricoltura, l’approvvigionamento idrico, l’irrigazione.
[29] Nella Concurrent List sono incluse 52 materie tra cui le foreste e la protezione della natura, il controllo demografico, i porti minori e lo sviluppo delle miniere per quegli aspetti che non rientrano nella Union List. L’art. 254 della Costituzione indiana precisa che in caso di contrasto la legislazione dell’Unione prevale su quella dei singoli Stati. Tuttavia, nell’ambito della competenza legislativa concorrente, la legislazione statale prevale su quella centrale se successiva alla legge del Parlamento indiano ed abbia ricevuto l’assenso del Presidente.
[30] L’art. 248 della Costituzione indiana prevede che il Parlamento ha la competenza legislativa esclusiva in tutte quelle materie che non sono indicate nella Concurrent List o nella State List. G. Singh, Environmental Law in India, New Delhi, Ubs Publishers Distributors, 2005, 57 ss.; J.C. Johari, The Constitutiton of India. A Politico-Legal Study, New Delhi, Sterling Publishers, 2007, 299 ss.
[31] D. Amirante, India, Bologna, il Mulino, 2007, 69. D. Amirante, La democrazia dei superlativi. Il sistema costituzionale dell’India contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019, 91 ss.
[32] In via straordinaria, l’art. 252 prevede la possibilità che l’Unione legiferi su materie di competenza degli Stati nel caso in cui sia proclamato lo stato di emergenza da parte del Presidente dell’Unione (art. 352). Tale procedura è stata attivata, per esempio, proprio in materia di acque in relazione alla normativa sulla tutela dall’inquinamento: il Water (Prevention and Control of Pollution) Act del 1974. S. Divan, A. Rosencranz, Environmental Law and Policy in India, New Delhi, 2001, 176.
[33] L’attribuzione agli Stati delle competenze legislative in materia di acqua può essere considerata in linea con la tendenza della Costituzione indiana a privilegiare la competenza legislativa degli Stati stessi in materia ambientale. Ciò, tuttavia, non ha impedito all’Unione di esercitare un ruolo significativo nella elaborazione della legislazione ambientale indiana soprattutto attraverso il meccanismo dell’attuazione uniforme dei trattati internazionali sulle diverse problematiche ambientali. Sul punto si veda D. Amirante, India, op. cit., 70.
[34] Susetha v. State of Tamil Nadu (2006) 6 SCC 543: AIR 2006 SC 213. S.S. Shastri, Environmental Law, Lucknow, Eastern Book Company, 2008, 212; A.K. Tiwari, Environmental Laws in India, New Delhi, Deep & Deep Publications, 2006, 10. Altro caso da citare è il Pani Haq Samiti v. Brihan Mumbai Municipal Corporation (BMC) & Ors del 2014, nel quale la Corte Suprema ha stabilito che l’accesso all’acqua potabile è un diritto fondamentale derivante dal diritto alla vita sancito dall’articolo 21 della Costituzione. Per cui la Corte ordinò al governo locale di Mumbai di garantire la fornitura di acqua potabile alle popolazioni emarginate e ai senzatetto, affermando che l’obbligo di fornire acqua potabile rientrava all’interno delle responsabilità dello Stato e delle autorità locali (Panchayati Raj).
[35] In sintesi, le competenze dello Union Ministry of Water Resources, esercitate attraverso diversi organi centrali, sono: sviluppo della politica generale; assistenza tecnica, formazione sulla ricerca e lo sviluppo dell’irrigazione negli stati di irrigazione; elaborazione di progetti multifunzionali; esplorazione e sfruttamento delle acque sotterranee; interventi di controllo delle inondazioni, sicurezza delle dighe, opere idrauliche per la navigazione e l’energia idroelettrica; regolamentazione e sviluppo dei fiumi interstatali; procedure di valutazione sulla qualità delle acque; normativa sulle acque anche per quel che concerne l’ordinamento internazionale; cooperazione nel campo dello sviluppo delle risorse idriche.
[36] La Central Water Commission (CWC) è un’organizzazione tecnica leader dell’India nel campo delle risorse idriche ed è attualmente in funzione come ufficio annesso al Ministero delle risorse idriche (Ministero di Jal Shakti). La Commissione ha la responsabilità generale di avviare, coordinare e promuovere, in consultazione con i governi degli Stati interessati, programmi di controllo, conservazione e utilizzazione delle risorse idriche in tutto il paese, ai fini del controllo delle inondazioni, dell’irrigazione, della navigazione, dell’approvvigionamento di acqua potabile e dello sviluppo di energia idrica.
[37] Il Water Act è stato oggetto di successivi emendamenti da parte del Parlamento indiano nel 1978 ed in particolar modo nel 1988 a seguito della emanazione del Environment Protection Act del 1986.
[38] Il Central Board è un’organizzazione statutaria, costituita nel settembre 1974 in virtù della legge sulle acque dello stesso anno. Funge da formazione sul campo e fornisce anche servizi tecnici al Ministero dell’Ambiente e delle Foreste, promuovendo la pulizia dei corsi d’acqua e dei pozzi in diverse aree degli Stati mediante la prevenzione, il controllo e la riduzione dell’inquinamento idrico, il miglioramento della qualità dell’aria e la prevenzione, il controllo o la riduzione dell’inquinamento atmosferico nel paese.
[39] Il Central Board è composto da un Presidente, che deve essere esperto in materia ambientale, da non più di cinque funzionari del governo centrale, da non più di cinque membri degli State Boards, da non più di tre rappresentanti di categoria, da due membri rappresentativi di società gestite dal governo centrale e da un segretario. Quanto alla composizione degli State Boards, essa ricalca quella prevista per il Central Board.
[40] Il finanziamento delle attività dei Central e State Boards viene garantito attraverso le tasse sull’acqua introdotte da una legge del 1977, che, al fine di incentivare l’investimento di capitali nel controllo dell’inquinamento, ha previsto uno sconto del 25% della tassa applicabile in caso di installazione di impianti sottoposti al trattamento degli effluenti e di rispetto delle norme.
[41] Nell’ordinamento indiano i servizi idrici sono a buon mercato o addirittura erogati gratuitamente, attenuando o eliminando completamente una percezione economica della risorsa idrica da parte dell’utente.
[42] Nel 2010 lo Stato del Kerala ha imputato alla Coca Cola la responsabilità per l’esaurimento e l’inquinamento delle falde acquifere sotterranee, intimandole il pagamento di un cospicuo risarcimento. V. Shiva, op. cit., 107 ss.
[43] V. Shiva, op. cit., 81.
[44] V. Shiva, op. cit., 11.
[45] Il conflitto si riferisce alla scadenza nel 1974 dell’accordo tra i due Stati sugli interventi di irrigazione delle terre. La Corte Suprema, interessata della controversia a seguito del ricorso presentato dall’Associazione degli agricoltori nel 1983, incaricò il governo centrale di istituire un Water Dispute Tribunal per la risoluzione della controversia. Tuttavia, nonostante il lodo pronunciato dal Tribunale, sulla scia del provvedimento provvisorio che imponeva allo Stato del Karnataka di fornire allo Stato del Tamil Nandu acqua con cadenza settimanale, lo Stato del Karnataka adottò un’ordinanza per bloccarne gli effetti, obbligando il Presidente dell’Unione a rimettere la questione innanzi alla Corte Suprema. Così, nei primi anni Novanta, la Corte Suprema, rilevando una incompetenza legislativa dello Stato del Karnataka, confermò la sentenza del Kaveri Water Disputes Tribunal scatenando aggressioni reciproche tra la popolazione dei due Stati, con gravi conseguenze sociali ed economiche.
[46] Negli Stati Uniti d’America esistono tre tipologie di procedimenti per la risoluzione delle controversie sui fiumi interstatali. La prima è il Congressional Apportionment: si tratta di una procedura poco utilizzata che vede l’intervento del Congresso che con un’apposita legge stabilisce le modalità di ripartizione delle acque di un fiume. La seconda procedura, invece, si riferisce alla presentazione da parte di uno Stato di una istanza alla Corte Suprema per la risoluzione della controversia in base al principio di ripartizione equa delle acque. Infine, la terza procedura prevede la risoluzione della controversia attraverso la stipula di un contratto (compact) la cui efficacia vincolante è pari a quella della legge. Quest’ultima modalità è contemplata anche nell’ordinamento indiano che prevede la possibilità di stipulare signing agreements tra gli Stati per la risoluzione di una controversia su fiumi interstatali. Tuttavia, diversamente dall’ordinamento statunitense, l’ordinamento costituzionale indiano non fa alcun riferimento a questa modalità di risoluzione lasciando incerta l’efficacia stessa degli accordi. Buona parte di questi accordi hanno origini risalenti nel tempo, quando l’India era ancora una colonia britannica, e molte controversie nascono proprio dalla necessità di determinare l’efficacia di questi accordi, come nel caso della controversia sulle acque del fiume Kavery. Per un’analisi comparativa tra India e Stati Uniti, si veda D. Seligman, Resolving Interstate Water Conflicts, in www.lkyspp.nus.edu.sg/iwp.
[47] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffré, 2010, 17. M. Macchia, La riforma degli administrative tribunals nel Regno Unito, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 1, 209 ss.; B.G. Mattarella, Il procedimento, in G. Napolitano (cur.), Diritto amministrativo comparato, Milano, Giuffré, 2007, 288. G. Quadri, La giustizia amministrativa nell’Unione Europea tra ‘droit administratif’ e ‘common law’, in Studi e note di economia, 1998, 1, 168 ss.; G. Recchia, Ordinamenti europei di giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 1996, 674 ss.
[48] Il lodo del Water Disputes Tribunal non può esser impugnato diversamente dalle pronunce degli administrative tribunals che possono, invece, esser appellate davanti al giudice ordinario sia per questioni di competenza (judicial review) che per questioni di diritto.
[49] L’art. 143 della Costituzione indiana attribuisce al Presidente dell’Unione il potere di richiedere alla Corte Suprema pareri su questioni di fatto o di diritto.
[50] Il Procuratore Generale è il secondo più alto funzionario di area giuridica del paese. Oltre a svolgere un ruolo fondamentale nell’influenzare significativamente l’interpretazione, l’applicazione e lo sviluppo delle leggi nel paese, fornisce consulenza al governo dell’Unione e compare per conto di quest’ultima dinanzi alla Corte suprema e alle altre corti.
[51] Il principio di equa ripartizione fu richiamato anche dalla Corte Suprema statunitense che lo definì come un principio elastico che richiedeva l’«excercise of an informed judgement» dopo aver preso in considerazione una serie di fattori, tra cui le caratteristiche fisiche e climatiche, l’uso dell’acqua, la consistenza degli usi, la capacità di conservazione e gli effetti dello spreco dell’acqua. Un esempio fu sicuramente la disputa che ha coinvolto Florida e la Georgia, la n. 142 dell’aprile del 2021, sulla ripartizione delle acque del bacino fluviale di Apalachicola-Chattahoochee-Flint. La Corte riconobbe la complessità del bilanciamento delle esigenze di conservazione e l’uso efficiente delle risorse idriche, stabilendo alla fine che la riduzione del flusso d’acqua, causata dalle azioni della Georgia, non danneggiò in modo significativo l’ecosistema della baia in oggetto.
[52] KRISHNA WATER DISPUTES TRIBUNAL | Department of Water Resources, River Development and Ganga Rejuvenation | India (jalshakti-dowr.gov.in)
[53] Mentre l’accordo del 1892 era un accordo di carattere generale che interessava un certo numero di fiumi interstatali, quello del 1924 era specificamente destinato allo sviluppo dell’irrigazione nel bacino del fiume Cauvery. La finalità di questi accordi era quella di impedire la realizzazione di opere ed interventi che potessero danneggiare il sistema di irrigazione dei territori interessati. Ed infatti, la controversia è nata per la preoccupazione dello Stato di Tamil Nadu di vedere compromessi i propri diritti di prelievo e di fruizione delle acque da alcuni interventi programmati dallo Stato del Karnataka.
[54] Department of Water Resources, River Development and Ganga Rejuvenation (www.jalshakti-dowr.gov.in).
[55] The Inter-State River Water Disputes (Amendment) Bill, 2017 (prsindia.org)
[56] Camera del popolo che, insieme alla camera alta, il Rajya Sabha, compone l’organo legislativo indiano.
[57] Il tribunale è tenuto a dare una decisione entro due anni dall’istituzione della controversia, con la possibilità di estendere il termine di un altro anno in casi eccezionali.
[58] The Inter-State River Water Disputes (Amendment) Bill, 2019 (prsindia.org)
[59] Anche in questo caso si fa riferimento alla classificazione di D. Amirante, Costituzionalismo ambientale, op. cit., 90 ss. L’A. distingue tra: Costituzioni ambientali (CA), che contengono, fin dalle loro origini, una caratterizzazione in senso ambientale e prevedono specifici articoli dedicati all’ambiente; Costituzioni ambientali revisionate (CAR) nelle quali sono stati inseriti uno o più articoli ambientali, in strutture e contesti costituzionali già dati; Costituzioni silenti (CS) vale a dire quelle costituzioni in cui mancano riferimenti testuali all’ambiente e in cui la sua rilevanza costituzionale può essere ricostruita attraverso l’apporto della giurisprudenza.
[60] L’art. 45 della Costituzione Spagnola prevede che tutti hanno il diritto di utilizzare un ambiente idoneo allo sviluppo della persona, cosí come il dovere di conservarlo. I poteri pubblici hanno l’obbligo di vigilare sulla utilizzazione razionale di tutte le risorse naturali al fine di proteggere e migliorare la qualità di vita, difendere e ripristinare l’ambiente, in un ambito di solidarietà collettiva.
[61] Art. 149 della Costituzione spagnola: «Legislación básica sobre protección del medio ambiente, sin perjuicio de las facultades de las Comunidades Autónomas de establecer normas adicionales de protección. La legislación básica sobre montes, aprovechamientos forestales y vías pecuarias».
[62] Si rinvia alla Strategia Spagnola di Sviluppo Sostenibile (EEDS) del 2007, elaborata in conformità con la Strategia dell’Unione Europea per lo Sviluppo Sostenibile del 2005 e con quella più recente del 2020, al Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) 2021-2030, alla Strategia di Economia Circolare Spagnola (España Circular 2030), al Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PACC). La legislazione ambientale spagnola, ispirata dai principi costituzionali, annovera leggi avanzate in materia ambientale come la Legge n. 42/2007 sul Patrimonio Naturale e la Biodiversitàe la Legge n. 22/2011 sui Rifiuti e i Suoli Contaminati, che regolano l’uso delle risorse naturali e promuovono la conservazione della biodiversità.
[63] Tra le competenze indicate dall’art 148 troviamo quelle relative al monitoraggio e alla regolamentazione della qualità dell’aria e dell’acqua, implementando misure per la riduzione l’inquinamento. La gestione delle risorse idriche in Spagna è un esempio di governance multilivello, in cui lo Stato centrale e le Comunità autonome collaborano per garantire un uso sostenibile ed efficiente delle risorse idriche. Trattasi di una competenza condivisa, con una vera e propria divisione di responsabilità che permette di adattare le politiche idriche alle specificità locali, garantendo allo stesso tempo una gestione coordinata a livello nazionale. J. Alcázar, M. Hernández, La Gestión del Agua en España: Retos y Propuestas, in Revista de Estudios Jurídicos, no. 15. 2015.
[64] Si rinvia alla sentenza del Tribunal Supremo Sala de lo Contencioso-Administrativo, Madrid n. 211/2023 del 21 febbraio 2023 (che ha respinto il ricorso presentato dalla Generalitat Valenciana contro diverse disposizioni del Regio Decreto 35/2023, del 24 gennaio), in materia di creazione di flussi ecologici, di bilanciamento del fabbisogno idrico dei diversi bacini fluviali e di legittimità e partecipazione delle Comunità Autonome a tali processi. Consejo General del Poder Judicial: Buscador de contenidos.
[65] Il termine “trasvase Tajo-Segura” si riferisce al sistema di trasferimento d’acqua del fiume Tajo che, dalla Meseta Centrale, arriva fino alla regione di Murcia e alle aree costiere della Comunità Valenciana. Questo sistema è stato implementato per affrontare le disparità regionali nella distribuzione delle risorse idriche nel paese. Si rinvia, in merito alla competenza tra il governo centrale e le autorità regionali in merito alla gestione delle risorse idriche alla sentenza del Tribunal Supremo Sala de lo Contencioso-Administrativo, Madrid, n. 1134/2017 del 20 giugno 2017.
[66] Articolo 149: «La legislación, ordenación y concesión de recursos y aprovechamientos hidráulicos cuando las aguas discurran por más de una Comunidad Autónoma, y la autorización de instalaciones electricas cuando su aprovechamiento afecte a otra Comunidad o el transporte de energía salga de su ámbito territorial”. (La legislazione, ordinamento e concessioni relative alle risorse e utilità idrauliche quando le acque scorrano attraverso più di una Comunità Autonoma e l’autorizzazione alle installazioni elettriche quando le relative utilità interessino altra Comunità o il trasporto di energia sia diretto all’esterno del suo ambito territoriale)».
[67] Sentencia 30/2011, de 16 de marzo de 2011. Recurso de inconstitucionalidad 5120-2007. Interpuesto por el Consejo de Gobierno de la Junta de Extremadura en relación con diversos preceptos de la Ley Orgánica 2/2007, de 19 de marzo, de reforma del Estatuto de Autonomía para Andalucía. Competencias en materia de aguas: nulidad de la disposición estatutaria que atribuye a Andalucía competencias exclusivas sobre las aguas de la cuenca hidrográfica del Guadalquivir que transcurren por su territorio y no afectan a otra Comunidad Autónoma (BOE-A-2011-6545 Pleno).
[68] Sono stati sviluppati, inoltre, dei piani di gestione idrografica per il bacino del Guadalquivir che tengono conto delle esigenze ambientali, agricole e urbane, promuovendo un uso sostenibile delle risorse idriche. A. Garrido, M. Ramón Llamas, Water Policy in Spain, CRC Press, London, 2009, pag. 16 ss.
[69] Si tratta di un importante strumento legale che consente a qualsiasi cittadino o organizzazione, anche se non direttamente coinvolto nella questione, di portare questioni di interesse pubblico davanti alla Corte Suprema o agli Alti Tribunali indiani. Questo meccanismo permette di affrontare problemi che riguardano il bene comune, inclusi i diritti fondamentali, le questioni ambientali, la corruzione, e altre problematiche sociali.
[70]“El Tribunal de las Aguas de Valencia: un patrimonio cultural inmaterial”. Valencia: Generalitat Valenciana, 2010.
[71] “El Tribunal de las Aguas de Valencia: historia, derecho y etnografía de una institución milenaria”. Valencia: Ediciones Carena, 1998.
[72] “Nomination file no. 00171 for Inscription on the Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity: Tribunal de las Aguas de la Vega de Valencia”. 2009.
[73] “Historia del Tribunal de las Aguas de Valencia”. Valencia: Institució Alfons el Magnànim, 1996.