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La tutela penale ambientale alla luce della recente direttiva UE 2024/1203

dell’Avv. Luca Mazza, Dottorando di Ricerca in “Ambiente, Diritto Comparato e Transizioni”, presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” (CE)

Abstract

Il presente contributo si propone di analizzare il modello di protezione penale ambientale anticipatorio previsto nell’ambito di un sistema connotato da una profonda accessorietà alla normativa amministrativa, alla luce del contenuto della Direttiva (UE) 2024/1203, emanata l’11 aprile 2024, di riforma in materia di tutela penale ambientale, al fine di attuare una sostanziale azione di prevenzione e repressione della criminalità ambientale.

Parole chiave

Tutela penale ambientale – Modello di protezione anticipata – Direttiva (UE) 2024/1203

Abstract

This paper aims to analyze the model of anticipatory environmental criminal protection envisaged within a system marked by a profound ancillary nature to administrative law, in light of the content of Directive (EU) 2024/1203, issued on April 11, 2024, reforming environmental criminal protection, in order to implement substantial action to prevent and suppress environmental crime.

Keywords

Environmental criminal protection – Advance protection model – Directive (UE) 2024/1203

Sommario

1. La teoria dell’accessorietà: un modello di tutela “pan-penalistico” – 2. Lo sviluppo della normativa penale ambientale: dal sistema contravvenzionale ai c.d. “eco-delitti” – 3. La Direttiva (UE) 2024/1203: quali spazi di riforma per il futuro?

  1. La teoria dell’accessorietà: un modello di tutela “pan-penalistico

Il primo e immediato pensiero che si ha nel momento in cui ci si rapporta alla tutela ambientale, di matrice penalistica o meno, è: cosa s’intende per ambiente?[1] Esiste un diritto dell’ambiente?[2] Autorevole dottrina afferma che «l’incertezza definitoria dell’ambiente in sé (sotto il profilo etico, scientifico e metodologico) è essa stessa condizione di una strutturale complessità che genera conflitto […] una confusione tra valori e competenze» palesatasi anche all’interno del contenzioso ambientale, alla ricerca continua di esigenze unitarie e standard di tutela minimi inderogabili ma, allo stesso tempo, bisognosa di profili di differenziazione ed autonomia[3].

     Ancora oggi, infatti, il dibattito resta aperto poiché il concetto di ambiente può risultare di rilevante importanza per un settore dell’ordinamento giuridico, senza però possedere il medesimo rilievo per un altro ramo del medesimo sistema di leggi[4].

     L’ambiente, dunque, quale valore e principio di derivazione specialmente costituzionale e giurisprudenziale – soprattutto in seguito alla modifica degli artt. 9 e 41 Cost. e la connessa introduzione della tutela ambientale tra i principi fondamentali[5] – rileva penalmente in relazione al quadro completo degli interessi ambientali tutelati ed è oggetto di protezione penale su più livelli: in primo luogo, in chiave eco-centrica, la disciplina penalistica concentra la sua tutela su ciò che sono le sfaccettature ecologiche dell’ambiente, i ossia i suoi elementi naturali come l’acqua, l’aria o il suolo; in secondo luogo, invece, è volta alla tutela della salute umana o dei suoi interessi, e solo incidentalmente (recte indirettamente) ha il fine di proteggere il bene giuridico “ambiente”, in piena visione antropocentrica[6].

     In realtà, le due ottiche di salvaguardia coincidono necessariamente, non essendoci ordinamento giuridico esistente che non si possa definire antropocentrico; caratteristica, quest’ultima, di un diritto storicamente nato sì dall’uomo per l’uomo[7], riconducibile alla matrice filosofia greca, ma finalizzato anche a tutelare interessi non prettamente umani, in virtù di un più realistico “eco-centrismo moderato[8].

     Altro livello di tutela, viceversa, emerge dal collegamento del diritto penale ambientale con la sottesa disciplina amministrativa, attorno al quale si è concretizzata la teoria dell’accessorietà[9] del diritto penale al diritto amministrativo in materia ambientale[10]. Tale connessione risulta alquanto inevitabile in un contesto nel quale «l’ambiente finisce per porsi in un rapporto di anticipazione di tutela rispetto alla salute dell’uomo e di conflitto con altri interessi o usi delle risorse naturali da parte dell’uomo la cui composizione è subordinata a procedure, prescrizione e limiti soglia, in parte fissati dalla legge, in parte demandati ad organi amministrativi».

     Ne deriva, dunque, come è stato autorevolmente osservato, che «la logica del contemperamento degli interessi, che, in sede di accertamento della responsabilità penale, solitamente rileva a livello dell’antigiuridicità, nel diritto dell’ambiente forgia direttamente la tipicità»[11].

     A ciò, di conseguenza, si collega una terza ed ultima ipotesi di tutela penale ambientale, la c.d. “tutela di funzioni[12], integrante la protezione non tanto di beni giuridici, bensì di funzioni amministrative, in modo da creare una tutela anticipata[13] dell’ambiente di deriva convenzionale[14] e pan-penalistica[15]. In un siffatto contesto, non vi è difficoltà nell’ammettere che il deterioramento ovvero la compromissione di una componente ambientale necessariamente passa attraverso la violazione di una disposizione amministrativa[16], settoriale oppure di portata generale, che possa collegarsi alla protezione dell’ecosistema, considerato complessivamente ovvero in ogni sua singola componente, non essendo rilevante, a tal fine, la mera trasgressione di atti di soft law, quali raccomandazioni o circolari[17].

     Da un punto di vista puramente dottrinale, tale necessaria interdipendenza del diritto penale ambientale alla normativa extra-penale di settore amministrativo costituisce, pertanto, il frutto della congiunzione di due diversi elementi: in primo luogo, l’appartenenza della tutela penale ambientale al diritto c.d. “complementare”, pervaso, com’è ovvio, da una stretta compenetrazione tra diritto penale e disciplina extra-penale; in secondo luogo, invece, il carattere compositivo e composto che la strategia di tutela assume in maniera rilevante in un settore come quello ambientale[18].

     Il legame tra la tutela penale e la tutela amministrativa troverebbe la propria corretta identificazione «nella necessità di presidiare efficacemente l’esercizio da parte della pubblica amministrazione sia di funzioni di controllo, sia di funzioni compositive»; nel primo caso, organi altamente qualificati, da un punto di vista tecnico[19], si pongono lo scopo di restringere entro limiti giuridicamente accettabili i rischi intrinsechi all’esercizio di predeterminate attività di rilevanza sociale, ma, in astratto, teoricamente lesive di interessi pubblici; nel secondo caso, invece, le autorità competenti perseguono il fine di bilanciare le differenti esigenze che ruotano attorno ad una pluralità di interessi, ognuno meritevole di adeguata protezione, con la conseguente impossibilità di determinare, ex ante, il dominio netto di uno di essi sugli altri, allo scopo di concentrare e costituire all’interno della materia una tipologia di tutela incondizionata[20].

     In un sistema di tutela così costituito, dunque, ove non è possibile risolvere in via definitiva un conflitto di interessi in termini di prevalenza di uno sull’altro, emerge l’impossibilità per il Legislatore di definire un modello penalistico puro, essendo maggiormente adeguato, invece, un modello di tutela integrata. Nel caso del diritto ambientale, infatti, si è avvertita la necessità di ricorrere a forme integrate di tutela[21], di carattere sia penale che amministrativo, perseguendo e garantendo, in tal senso, una duplice finalità: da un lato, cercare di prevenire i conflitti di interessi così trasversali in materia ambientale, anche costituendo un più efficace sistema di controlli; dall’altro, invece, fornire di volta in volta il miglior bilanciamento possibile tra interessi contrapposti, rimettendone al giudice la soluzione in base al caso concreto.

  • Lo sviluppo della normativa penale ambientale: dal sistema contravvenzionale ai c.d. “eco-delitti

Alla luce delle storiche difficoltà che tutt’oggi connotano la tutela penale dell’ambiente, occorre osservare che il Legislatore si è a lungo disinteressato di fornire adeguata protezione per reprimere la criminalità ambientale, sulla scorta, probabilmente, anche di una mancata previsione costituzionale (ad oggi presente), affidandosi alla prassi giurisprudenziale che, di volta in volta, adattava le fattispecie delittuose contenute nel Codice Rocco.

     Dalla metà degli anni ’90 – a seguito sia di una maggiore attenzione della Consulta nei confronti dell’ambiente, sia dell’influenza proveniente dal diritto sovranazionale[22] – la legislazione interna si è arricchita di alcune discipline settoriali (tra tutti, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22[23], c.d. “Decreto Ronchi”, in tema di rifiuti, e il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152[24], in tema di tutela delle acque) che, però, sanzionavano le condotte criminose con pene bagatellari[25].

     Successivamente, al fine di raggruppare la materia, onde evitare un settorialismo esasperato, è iniziata la stagione della promulgazione dei testi unici: dapprima, il Testo unico in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380[26]), poi, il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42[27]), e, infine, il Codice dell’ambiente, di recepimento della Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004[28] in tema di responsabilità ambientale e di riparazione del danno.

     Nonostante la molteplicità di interventi legislativi, il diritto ambientale penale risultava ancora pervaso – come si è diffusamente affermato – da una logica sanzionatoria spiccatamente contravvenzionale, con il rischio di vanificare qualsiasi efficacia general-preventiva del sistema[29].

     In seguito sia alla Direttiva 2008/99/CE del 19 novembre 2008[30] – la quale aveva rimarcato l’importanza della presenza all’interno di un ordinamento giuridico di specifiche fattispecie incriminatrici per condotte, dolose o colpose, che siano pericolose o lesive sia per gli individui che per l’ambiente – e sia alla riscossione mediatica e giuridica che suscitò il caso “Eternit[31] – che aveva messo in luce le problematiche relative all’inadeguatezza del Codice penale del 1930 rispetto alla materia ambientale –, il Legislatore fu costretto nuovamente ad intervenire: in primo luogo, con il D.Lgs. 7 luglio 2011, n. 121[32], con il quale vennero introdotte due nuove contravvenzioni a tutela della flora e della fauna (art. 727-bis c.p.) e degli habitat naturali protetti (art. 733-bis c.p.)[33]; in secondo luogo, infine, con la Legge 22 maggio 2015, n. 68[34], con la quale venne aggiunto il Titolo VI-Bis al Codice Penale, recante “Dei delitti contro l’ambiente[35].

     La c.d. “legge sugli Eco-reati”, seppur non esente da critiche[36], rappresenta il passaggio[37], anche dal punto di vista giuridico, da un sistema antropocentrico ad uno eco-centrico, ponendo al centro della tutela penale direttamente l’ambiente e le sue componenti – in virtù di un c.d. “diritto dell’ambiente” – e abbandonando il retaggio culturale di natura antropocentrica che costituiva la base per il c.d. “diritto all’ambiente”, il quale prevedeva come oggetto della tutela ancora la persona umana[38] e solamente in via mediata l’ambiente[39].

     All’indomani della riforma, il sistema risulta essere diviso in tre componenti fondamentali: in primo luogo, si ritrovano gli illeciti contravvenzionali – strutturati come reati di pericolo astratto ispirati ad una tutela mediata dell’ambiente – di natura extra-codicistica; in secondo luogo, i nuovi eco-delitti previsti dalla riforma, incentrati sui reati di pericolo concreto; in terzo luogo, infine, quello che viene definito l’approccio “randomizzato”, connotato dall’emergenza del pericolo[40].

     In termini pratici, la L. 68/2015 consta di un nucleo fondamentale, costituito dall’art. 1, il quale contiene un complesso di previsioni che inserisce nel Codice Penale il Titolo VI-Bis, formato da dodici articoli in totale e, in particolare, cinque nuovi delitti: inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.)[41], disastro ambientale (art. 452-quater c.p.)[42], traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452-sexies c.p.), impedimento del controllo (452-septies c.p.), omessa bonifica (452-terdecies c.p.); l’intervento normativo, inoltre, prevede – al fine di una attenuazione della pena finale – una procedura di collaborazione dell’autore del reato con l’autorità giudiziaria[43].

     Una delle innovazioni della riforma del 2015, dunque, è il superamento del paradigma contravvenzionale – che negli anni si è rivelato inidoneo nel campo della tutela penale ambientale[44] – a favore sia del ricorso ai reati di danno e di pericolo concreto, per il quale è prevista l’adozione di sanzioni penali “efficaci, proporzionate e dissuasive[45], sia all’introduzione di un meccanismo c.d. “estintivo”, di difficile applicazione pratica e non in linea, prima facie, con lo spirito della riforma[46].

     In particolare, il Legislatore ha inserito nel T.U.A. una parte VI-bis – recante “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela dell’ambiente” – le cui previsioni troverebbero applicazione solamente alle contravvenzioni previste dal Codice dell’ambiente che non cagionino danno o pericolo concreto e/o attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette e non, quindi, ai nuovi delitti introdotto con la riforma (art. 318-bis ss. TUA)[47]. Tale meccanismo, difatti, prevede una speciale ipotesi di estinzione del reato qualora l’autore dello stesso esegua in maniera corretta gli ordini impartiti dall’organo competente di vigilanza[48].

     In particolare, «la garanzia del “premio” è legata alla disponibilità del soggetto che si sia reso responsabile della violazione a operare “una salvaguardia in extremis dell’interesse a rischio”, ovvero “una restaurazione a posteriori del bene offeso”»[49].

     Secondo una parte della dottrina, tale procedura, in applicazione della tipica funziona ripristinatoria del diritto penale ambientale, non risulta in contraddizione con i contenuti della riforma, atteso che, da un lato, si tende a far prevalere, in piena ottica deterrente, le nuove fattispecie delittuose qualora sia avvenuto un danno all’ambiente, e dall’altro, nel caso in cui vi sia la mancanza di un danno, la sanzione penale di tipo contravvenzionale con il prevalere dello scopo premiale a finalità preventiva per chi ponga in essere comportamenti di adeguamento alla prescrizione violata[50].

     In accordo con un secondo filone presente in dottrina, invece, il meccanismo prescrittivo-estintivo, in quanto procedura che richiede una preparazione di alto livello tecnico per gli operatori dell’organo di vigilanza[51] – la cui azione dovrebbe essere caratterizzata da un costante monitoraggio volto alla tutela dell’ambiente al fine di scongiurare la concretizzazione del pericolo e di evitare, altresì, il fallimento della finalità preventiva –, troverebbe spazi angusti e residuali di applicazione a causa sia della sua operatività nei confronti dei soli reati aventi natura permanente[52], sia della sua mancata applicazione nei casi in cui l’adeguamento alla normativa violata non sia onere solamente del trasgressore[53].

  • La Direttiva (UE) 2024/1203: quali spazi di riforma per il futuro?

Dopo l’entrata in vigore del c.d. “Decreto Giustizia”, ossia D.L. 10 agosto 2023, n. 105[54], recante “Disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione”, convertito in L. 9 ottobre 2023, n. 137[55], con la quale è stata attuata la modifica agli artt. 452-bis e 452-quater c.p.[56], rubricati, rispettivamente, “Inquinamento ambientale” e “Disastro ambientale”, l’11 aprile 2024 veniva emanata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea la Direttiva (UE) 2024/1203[57] sulla tutela penale dell’ambiente, in sostituzione delle precedenti Direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE.

     L’art. 1, difatti, in ragione dell’inefficienza del sistema sanzionatorio penale e della crescita esponenziale della commissione dei reati ambientali, dispone che, con tale novella legislativa, si dispongono “norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni al fine di tutelare più efficacemente l’ambiente, nonché per le misure finalizzate alla prevenzione e al contrasto della criminalità ambientale e all’applicazione efficace del diritto ambientale dell’Unione”.

     Gli Stati membri, dunque, il cui termine per adottare le disposizioni necessarie per conformarsi alla Direttiva scade il 21 maggio 2026, in accordo con l’art. 3, paragrafo secondo, sono obbligati a provvedere affinché talune condotte, di seguito indicate, se illecite e compiute intenzionalmente, costituiscano nuove fattispecie di reato. In particolare, la normativa europea amplia le condotte penalmente rilevabili e punibili in materia di:

  1. scarico, emissione o immissione di un quantitativo di materie, sostanze, energia o radiazioni ionizzanti, anche qualora connesso all’immissione sul mercato di un determinato prodotto;
  2. fabbricazione, immissione o messa a disposizione sul mercato, esportazione o uso di sostanze, sia allo stato puro che all’interno di miscele o articoli, compresa la loro incorporazione negli articoli;
  3. fabbricazione, impiego, stoccaggio, importazione o esportazione di mercurio, composti del mercurio, miscele di mercurio e prodotti con aggiunta di mercurio;
  4. valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati;
  5. raccolta, trasporto o trattamento dei rifiuti, nonché le operazioni di sorveglianza e controllo dei siti di smaltimento, anche qualora riguardanti rifiuti speciali;
  6. riciclaggio di navi;
  7. scarico di sostanze inquinanti effettuato dalle navi;
  8. esercizio o chiusura di un impianto in cui è svolta un’attività pericolosa o in cui sono immagazzinate o utilizzate sostanze o miscele pericolose;
  9. costruzione, esercizio e dismissione di un impianto nel settore degli idrocarburi;
  10. fabbricazione, produzione, lavorazione, manipolazione, impiego, detenzione, stoccaggio, trasporto, importazione, esportazione o smaltimento di materiale radioattivo o di sostanze radioattive;
  11. estrazione di acque superficiali o sotterranee;
  12. uccisione, distruzione, prelievo, possesso, commercializzazione o offerta a scopi commerciali di uno o più esemplari delle specie animali o vegetali selvatiche;
  13. immissione o messa a disposizione sul mercato dell’Unione o esportazione dal mercato dell’Unione di materie prime o prodotti pertinenti;
  14. deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;
  15. introduzione nel territorio dell’Unione, immissione sul mercato, detenzione, allevamento, trasporto, utilizzo, scambio, permesso di riproduzione, crescita o coltivazione, rilascio nell’ambiente o diffusione di specie esotiche invasive;
  16. produzione, immissione sul mercato, importazione, esportazione, uso o rilascio delle sostanze che riducono lo strato di ozono, allo stato puro o sotto forma di miscele;
  17. produzione, immissione sul mercato, importazione, esportazione, uso o il rilascio dei gas fluorurati a effetto serra, allo stato puro o sotto forma di miscele.

     La Direttiva, inoltre, al paragrafo terzo del medesimo articolo, individua i c.d. “reati qualificati”, ossia determinate condotte che, alternativamente, provochino:

  • la distruzione di un ecosistema[58] di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all’interno di un sito protetto o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi a tale ecosistema o habitat;
  • danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi alla qualità dell’aria, del suolo o delle acque.

     Tuttavia, a parere di chi scrive, l’implementazione di tali nuove e numerose fattispecie di reato promosse dalla Direttiva (UE) 2024/1203, nell’ambito di un’azione di prevenzione e repressione della criminalità ambientale, suscita non poche perplessità circa l’effettività di una concreta tutela; il possibile rischio di over-regulation, ad ogni modo, potrà essere osservato solamente in piena fase di recepimento della normativa comunitaria.

     La normativa, altresì, stabilisce, al paragrafo sesto, i criteri per valutare in via generale la rilevanza del danno in relazione alle condizioni originarie dell’ambiente colpito, la durata (lunga, media o breve), la portata e la reversibilità del danno.

     Per ciò che concerne, invece, il sistema sanzionatorio, la Direttiva prevede un netto inasprimento delle pene sia per le persone fisiche – con la reclusione fino ad otto anni per i reati qualificati, fino a dieci anni in caso di morte di un soggetto e, infine, tra i tre e i cinque anni negli altri casi – che per le persone giuridiche, con sanzioni di natura interdittiva ovvero pecuniaria, qualora si accerti che le fattispecie di reato siano state commesse a loro vantaggio ovvero in assenza della necessaria attività di vigilanza e controllo rilevante ai sensi del D.Lgs. 231/01, ossia in materia di “Responsabilità amministrativa degli Enti dipendente da reato[59].

     Da ultimo, la novella europea – atteso l’obbligo di ogni Stato membro di adottare campagne di informazione e sensibilizzazione, nonché programmi di ricerca e istruzione, al fine di ridurre i reati ambientali, in ragione dell’importanza della c.d. “informazione ambientale” – dispone che gli Stati membri, entro il 21 maggio 2027, dovranno elaborare un piano di strategia nazionale in materia di lotta contro i reati ambientali.


[1]Si tende, cioè, ad una concezione unitaria del bene ambientale comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni.”. Corte Costituzionale, Sentenza n. 210 del 28 maggio 1987, in Consulta Online, www.giurcost.org.

In accordo con Ramacci, «l’ambiente, inteso come l’insieme degli elementi che lo compongono, è di per sé estremamente mutevole e risente del momento storico, del grado di sviluppo della società, della minore o maggiore sensibilità della comunità e del grado di incidenza dell’intervento umano in un determinato contesto». L. Ramacci., I reati ambientali ed il principio di offensività, in www.lexambiente.it, 2003, p. 8.

[2] La formula utilizzata non è casuale e va altresì differenziata dal “diritto all’ambiente” o “diritto alla salvaguardia ambientale” che integra una sorta di diritto fondamentale della persona o delle collettività ex art. 2 Cost., a favore una di concezione antropocentrica della tutela ambientale. F. Rescigno, Memoria per l’Audizione dinanzi alla Commissione affari costituzionali del Senato concernente la discussione dei disegni di legge costituzionali volti alla modifica dell’articolo 9 in tema di ambiente e tutela degli esseri animali, in Osservatorio AIC. Bimestrale di attualità costituzionale, Fasc. 1, 2020, pp. 58-60.

[3] N. Pignatelli, La dimensione ambientale nel più recente contenzioso costituzionale Stato-Regioni: profili processuali e sostanziali, in federalismi.it, 2022, N. 23, p. 242.

[4] Secondo Bernasconi, «il termine ‘ambiente’ (…) indica un concetto tendenzialmente macroscopico e di difficile determinazione, che manifesta un’intrinseca complessità strutturale dovuta, in particolare, al suo carattere poliedrico e multidimensionale. Tanto che, ad avviso di una parte della dottrina, nel linguaggio normativo l’ambiente, per quanto di continuo evocato, non è definito né definibile. In altre parole, non sarebbe possibile individuare una nozione di ambiente che sia apprezzabile in termini giuridici e che, nello stesso tempo, non risulti troppo generica, sfuggente e, quindi, sostanzialmente inutile». C. Bernasconi, Il reato ambientale, Edizioni ETS, Pisa 2008, p.10.

[5] Ad oggi, il riconoscimento dell’ambiente quale valore e principio costituzionale fondamentale è teorizzato in Costituzione attraverso la modifica degli artt. 9 e 41 Cost., avvenuta con la Legge Costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1. L’attuale art. 9 Cost., comma terzo, aggiunto proprio dalla riforma, prevede che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”; l’art. 41 Cost., invece, aggiunge al secondo comma la previsione secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi “in modo da arrecare danno alla salute e all’ambiente”, disponendo al terzo comma che l’attività economica, sia pubblica che privata, debba essere coordinata a fini non solo più sociali ma anche “ambientali”. Per un approfondimento si v. D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, il Mulino, Bologna 2022, pp. 257-268; M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell’ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2021, N. 3, p. 285-314; L. Cassetti, Salute e ambiente come limiti “prioritari” alla libertà di iniziativa economica, in Federalismi.it – paper, www.federalismi.it, 23 giugno 2021, pp. 1-7; T. E. Frosini, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in Federalismi.it – paper, www.federalismi.it,23 giugno 2021, p. 1-4; I. A. Nicotra, L’ingresso dell’ambiente in Costituzione, un segnale importante dopo il Covid, in Federalismi.it – paper, www.federalismi.it,30 giugno 2021, p. 1-5; R. Bifulco, Primissime riflessioni intorno alla l. cost. 1/2022 in materia di tutela dell’ambiente, in Federalismi.it – paper, www.federalismi.it, 6 aprile 2022, pp. 1-8; A.L. De Cesaris, Ambiente e Costituzione, in Federalismi.it – paper, www.federalismi.it, 30 giugno 2021, pp. 1-4.

[6] La dottrina, in particolare, individua altre due diverse sfere di tutela: l’assetto del territorio e l’integrità del paesaggio e del patrimonio storico, artistico e architettonico. Questi quattro diversi livelli di tutela costituiscono il substrato di quella che è considerata l’accessorietà del diritto penale al diritto amministrativo in materia ambientale. Ramacci., I reati ambientali ed il principio di offensività, cit., p. 11.

[7] F. Rescigno, I diritti degli animali. Da res a soggetti, G. Giappichelli, Torino 2005, p. 1.

[8] Secondo autorevole dottrina, «la valorizzazione del bene ambiente come autonomo e rilevante interesse tutelabile, dotato di un proprio substrato empirico, non pare essere una prerogativa della sola prospettiva eco-centrica. La visione “etichettata” come antropocentrica esprime solo l’esigenza che vi sia un necessario contemperamento tra la protezione del bene naturale e quella dei beni personali degli individui o di altri beni collettivi parimenti rilevanti all’interno del contesto sociale. Circostanza, questa, mai messa in dubbio neppure dai sostenitori della visione eco-centrica, i quali – non a caso – non trascurano mai di qualificare il propugnato eco-centrismo con aggettivi quali “moderato”, “debole”, o sinonimi. Rischiano, dunque, di apparire velleitarie le considerazioni di chi auspica una “rivoluzione culturale” nel segno dell’eco-centrismo moderato, salvo poi riconoscere che la tutela dell’ambiente in qualità di bene autonomo, dotato di identità materialistica, non necessariamente implica il disconoscimento del collegamento tra esso e gli interessi umani. Ignorare tale collegamento è, infatti, operazione ermeneutica priva di utilità, se si considera che ogni bene giuridico tutelato dal diritto penale è, in quanto tale, un bene a dimensione antropocentrica, protetto in funzione dello scopo di conservare le condizioni di vita dell’uomo, come singolo o come collettività organizzata in gruppo sociale o Stato». Bernasconi, Il reato ambientale, cit., pp. 16-17.

Sul punto, è stato osservato che «una delle peculiarità di questa disciplina è la funzione che essa assume nel suo complesso, che non è quella di evitare in assoluto il pericolo o la lesione del bene-ambiente, ma piuttosto, almeno generalmente, quella di perimetrare il pericolo e di contenere il danno, attraverso un’analitica regolamentazione delle attività dell’uomo; si tratta di un elemento trasversale a tutte le macro-aree giuridiche che toccano l’ambiente». A. De Lia, Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella “biutiful cauntri”: osservazioni rapsodiche, in federalismi.it, 2018, N. 21, p. 10.

[9] «L’ambito normativo in considerazione può essere considerato espressione del Verwaltungsstrafrecht: in particolare ciò emerge nella costruzione delle fattispecie incriminatrici, mediante il rinvio operato ad atti o provvedimenti amministrativi. D’altra parte, l’accessorietà dell’intervento penale alla regolamentazione operata in quella sede risponde essenzialmente alla specifica esigenza di bilanciamento tra diversi valori: non soltanto quelli direttamente legati alla protezione delle risorse ambientali e della salute, ma anche quelli riconducibili allo svolgimento di attività di interesse per l’uomo che, dunque, possono risultare in competizione tra loro». G. Rotolo, Modelli ‘dinamici’ di tutela dell’ambiente e responsabilità penale: problemi e prospettive, in Jus, 2016, N. 1, pp. 124-125.

[10] C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, G. Giappichelli Editore, Torino 2021, p .9.

[11] Rotolo, Modelli ‘dinamici’ di tutela dell’ambiente e responsabilità penale: problemi e prospettive, cit., p. 125.

[12] Con l’espressione “tutela di funzioni” ci si riferisce ad un’anticipazione della tutela penale rispetto a condotte che, di per sé, non danneggiano il bene finale, limitandosi ad occultare ovvero ad ostacolare la conoscenza di determinare attività potenzialmente pericolose per l’ambiente. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, cit., p. 13.

[13] A tal proposito, è stato osservato che «nelle società moderne ci si trova di fronte, da un lato, a beni “a largo raggio”, privi di quello spessore necessario per renderli agevolmente afferrabili, sicché l’oggetto della tutela si sposta dagli interessi di soggetti giuridici a complessi funzionali che sono in larga parte l’oggetto di disciplina di altri settori del diritto e dell’attività amministrativa dello Stat”; dall’altro lato, ad una pluralità di beni, ritenuti meritevoli di tutela, ma tra di loro in conflitto, con la conseguenza che il legislatore si limita per lo più ad affidare la composizione di tale conflitto alla pubblica amministrazione, la quale provvede, innanzitutto, ad una gestione preventiva dello stesso, invocando poi, se del caso, l’intervento della sanzione penale per una gestione repressiva; per garantire, cioè, il rispetto delle modalità legalmente stabilite per la composizione dei diversi interessi in gioco. Si comprende, pertanto, come il diritto penale, in simili ipotesi, sia sempre più spesso caratterizzato dalla presenza di norme penali accessorie all’attività dello Stato e di altri enti pubblici, in quanto destinate a “sostenerne” le funzioni». Bernasconi, Il reato ambientale, cit., p. 123.

[14] Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, cit., p. 12.

[15] De Lia, Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella “biutiful cauntri”: osservazioni rapsodiche, cit., p. 14.

[16] In riferimento a ciò, fu sollevata una questione di legittimità costituzionale in relazione alla possibile violazione del principio di riserva di legge in materia penale; ciò a causa dell’uso di norme penali “in bianco” ancorate alla presenza o meno dell’atto amministrativo. M. Telesca, La tutela penale dell’ambiente, G. Giappichelli Editore, Torino 2021, p. 3.

[17] F. Consulich, Il giudice e il mosaico: la tutela dell’ambiente tra diritto dell’Unione e pena nazionale, in Legislazione Penale, 2018, p. 14.

[18] Bernasconi, Il reato ambientale, cit., pp. 21-22.

[19] Il diritto ambientale è stato definito, sin dalle sue origini, come un diritto prevalentemente tecnico. Ciò ha sempre sollevato questioni rilevanti in relazione al rapporto fra diritto e scienza e, in particolare, al rischio di eterodeterminazione delle norme in materia ambientale, ossia quel fenomeno secondo il quale non è il legislatore a decidere il senso della norma ma, viceversa, sono i tecnici – attraverso l’imposizione di standards, parametri e limiti – che finiscono per dettare le regole di comportamento in relazione alle varie fattispecie concrete. Tale “sudditanza” del diritto ambientale alle istanze tecnico-scientifiche, come osservato da autorevole dottrina, rappresenta una delle quattro aporie delineate nello studio del diritto dell’ambiente. Per un approfondimento sulle aporie del diritto ambientale, si v. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, cit., pp. 27-31; D. Amirante, L’ambiente preso sul serio. Il percorso accidentato del costituzionalismo ambientale, in DPCE, Fasc. speciale, 2019, pp. 5-8.

Si pensi, a tal proposito, che la nuova Direttiva (UE) 2024/1203 – i cui contenuti si analizzeranno in seguito – si propone l’obiettivo di rafforzare, all’art. 18, la formazione di Giudici, Pubblici Ministeri, personale di polizia, personale giudiziario e personale delle autorità competenti coinvolti nei procedimenti penali e nelle indagini, a riprova del profondo tecnicismo della normativa ambientale.

[20] Bernasconi, Il reato ambientale, cit., p. 23.

[21] Ibi, cit., p. 25.

[22] Basti pensare all’individuazione della c.d. “triade dei principi di gestione dell’ambiente”, enunciati, ad oggi, all’art. 191 T.F.U.E., ma di deriva internazionale. Per un approfondimento, si v. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, cit., pp. 61-69.

[23] Gazzetta Ufficiale, N. 38, 15 febbraio 1997.

[24] Gazzetta Ufficiale, N. 177, 30 luglio 1999.

[25] De Lia, Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella “biutiful cauntri”: osservazioni rapsodiche, cit., p. 5.

[26] Gazzetta Ufficiale, N. 245, 20 ottobre 2001.

[27] Gazzetta Ufficiale, N. 45, 24 febbraio 2004.

[28] Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, N. 143, 30 aprile 2004.

[29] De Lia, Ambiente, diritto penale e principi costituzionali nella “biutiful cauntri”: osservazioni rapsodiche, cit., p. 6.

[30] Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, N. 328, 6 dicembre 2008.

[31] Tale procedimento aveva visto la condanna per disastro doloso a pene severissime (16 anni in primo grado e 18 anni in appello) del magnate belga che fino agli anni ‘80 era stato a capo del gruppo che deteneva il controllo degli stabilimenti “Eternit”. Sul punto si v. Cass. Pen., Sez. I, 19/11/2014, n. 7941, Rv. 262789.

[32] Gazzetta Ufficiale, N. 177, 1 agosto 2011.

[33] Tale intervento normativo – che introdusse per la prima volta nuovi illeciti con la struttura del reato di danno e di pericolo concreto –, nonostante fosse già diretto all’attuazione e al recepimento della Direttiva del 2008, non riuscì a sganciare l’intero sistema sanzionatorio dal modello contravvenzionale. M. Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: Godot è arrivato?, in Diritto penale contemporaneo, 2016, pp. 8-9.

[34] Gazzetta Ufficiale, N. 122, 28 maggio 2015.

[35] La scelta di introdurre una c.d. “mini-codificazione verde” subito dopo quello riguardante i delitti contro l’incolumità pubblica non è affatto casuale. In tal modo, infatti, il Legislatore ha cercato di rimarcare nuovamente la stretta interdipendenza che intercorre tra l’incolumità pubblica e l’ambiente: esempio ne è la fattispecie di disastro ambientale (art. 452-quater) che prevede quale evento aggravante ed alternativo il caso di offese all’integrità fisica delle persone. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, cit., pp. 43-44.

[36] Sul punto, parte della dottrina ha osservato che «l’auspicata rottura con il vecchio sistema si è rivelata del tutto illusoria; con il risultato di confrontarsi con un ordito normativo disorganico, privo di razionalità e carente di effettività. Paradossalmente ai vecchi problemi se ne sono aggiunti dei nuovi con il rischio di vanificare, come si accennava, gli aspetti positivi che la legge di riforma pure annovera. […] La recente l. n. 68/2015, abbandonati gli impeti populistici, ad un esame meno emotivo rischia di porsi, invece, come l’ennesimo provvedimento da annoverare nel lungo elenco delle occasioni mancate». Telesca, La tutela penale dell’ambiente, cit., pp. 2-8.

[37] Sintomatico, al riguardo, è l’introduzione dei delitti di inquinamento e disastro ambientale (artt. 452-bis e 452-quater c.p.).

[38] Secondo altra parte della dottrina, invece, la riforma risulta ancora pervasa da una logica antropocentrica a causa della severità della cornice edittale quando all’offesa all’ambiente si aggiunge quella alla persona. M. Di Giuseppe, Responsabilità da reato ambientale alla luce della nuova legge n. 68/2015, in A. Cadoppi – S. Canestrari – A. Manna – M. Papa, Diritto penale dell’economia, N. 1, UTET Giuridica, Torino 2019, p. 3584.

[39] «L’art. 3 della direttiva 2008/99/CE, pone sullo stesso piano la persona umana e l’ambiente, tanto da stabilire una tutela a tutto campo verso quelle condotte “che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora”. Si tratta di un passaggio “epocale”, in quanto, per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico, l’ambiente in quanto tale costituisce oggetto diretto della tutela penale, a prescindere delle conseguenze “riflesse” che un fenomeno di aggressione al bene ambientale può provocare sulla persona umana. Una conferma di tale “passaggio”, del resto, la si ha nella stessa struttura della fattispecie incriminatrice dettata dall’art. 452-ter, c.p., che prevede, infatti, come fattispecie autonoma del reato “base” di cui all’art. 452-bis, c.p. (inquinamento ambientale) quella della “morte o lesioni come conseguenza” di tale delitto». A. Scarcella, Tutela dell’ambiente, verso una concezione eco-centrica, in Eco-scienza, 2019, N. 4, p. 2.

[40] Consulich, Il giudice e il mosaico: la tutela dell’ambiente tra diritto dell’Unione e pena nazionale, cit., pp.9-10.

[41] La configurazione di un reato di evento naturalistico, come quello dell’inquinamento ambientale, comporta forti perplessità in relazione al tema della concausalità. F. D’Alessandro, La tutela penale dell’ambiente tra passato e futuro, in Jus, 2016, N. 1, pp. 95-96.

[42] Sulla novella del disastro ambientale, si v. A. Gargani, Fattispecie deprivate: disastri innominati e atipici in materia ambientale, in Legislazione Penale, 2020, pp. 1-14.

[43] Scarcella, Tutela dell’ambiente, verso una concezione eco-centrica, cit., p. 6.

 A titolo esemplificativo, oltre alle novelle già indicate, si segnalano le seguenti novità: la previsione della responsabilità da reato degli enti per tutti i nuovi reati; il raddoppio dei termini di prescrizione; la confisca obbligatoria per equivalente, che coglie appieno l’aspetto lucrativo spesso associato alla criminalità di tipo ambientale; la nuova circostanza aggravante ambientale, applicabile a tutti i reati e comportante un aumento di pena consistente. Con le disposizioni relativa alla confisca per equivalente e al ravvedimento operoso emerge la consapevolezza del legislatore circa l’intreccio di interessi economici che spesso connota le fattispecie di danno ambientale. L. Masera, La riforma del diritto penale dell’ambiente, in Costituzionalismo.it, 2015, N. 3, p. 217.

[44] La legislazione penale ambientale, difatti, è influenzata, per lo più, da attività produttive, industriali o meno, che risultano, almeno in via potenziale, inquinanti. La scarsezza dell’apparto sanzionatorio ha comportato, quindi, un duplice danno: da un lato, infatti, non è riuscito ad incidere sulla creazione di una politica di impresa ecologica realmente attuata dalle attività economiche; dall’altro, invece, ha contribuito a formare una vera e propria “cultura della monetizzazione”, spingendo le aziende – attraverso il ricorso all’istituto dell’oblazione ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p. – a computare il prezzo della sanzione pecuniaria inflitta alla persona fisica tra i costi da iscrivere in bilancio. Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: Godot è arrivato?, cit., pp. 3-5.

[45] Masera, La riforma del diritto penale dell’ambiente, cit., p. 209.

[46] Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: Godot è arrivato?, cit., p. 22.

[47] Si ricordi che, nonostante la novella del 2015, restano applicabili in ogni caso le contravvenzioni previste nel Codice dell’ambiente qualora dalle condotte criminose non sia derivato un danno all’ambiente o un pericolo alla salute pubblica. Masera, La riforma del diritto penale dell’ambiente, cit., p. 217.

[48] Ibi, p. 213.

[49] Rotolo, Modelli ‘dinamici’ di tutela dell’ambiente e responsabilità penale: problemi e prospettive, cit., p. 142.

[50] Secondo Masera, «tale duplicità di prospettiva è coerente con uso della sanzione penale (specie detentiva) come extrema ratio da riservare ai casi in cui si sia verificata un’effettiva lesione dei beni giuridici coinvolti (ambiente e salute), mentre nelle ipotesi in cui l’offesa si sia arrestata alla soglia del pericolo (astratto) risulta più funzionale ad un’efficace tutela di tali interessi incentivare una pronta eliminazione delle fonti di pericolo, piuttosto che insistere nell’applicazione di una sanzione penale comunque ben poco afflittiva». Masera, La riforma del diritto penale dell’ambiente, cit., pp. 218-219.

[51] «Tuttavia, è proprio della reale capacità delle autorità preposte a intervenire con funzione preventiva a tutela dell’ambiente che si ha ragione di sospettare. […] D’altra parte, un atteggiamento meramente passivo da parte dei soggetti chiamati al costante monitoraggio delle situazioni di rischio potrebbe addirittura risolversi a detrimento delle garanzie fondamentali del singolo, oltre che comportare il fallimento degli obiettivi di intervento preventivo in vista di una più efficace tutela degli interessi tutelati». Rotolo, Modelli ‘dinamici’ di tutela dell’ambiente e responsabilità penale: problemi e prospettive, cit., p. 144.

[52] Sulla natura permanente dei reati ambientali, si v. C. Ruga Riva, Questioni controverse nelle contravvenzioni ambientali: natura, consumazione, permanenza, prescrizione, in Lexambiente, 2019, N. 3, pp. 1-17.

[53] In relazione all’efficacia della riforma del 2015, si è osservato che «Ciò che più rende scettici in ordine all’effettiva utilità della nuova disciplina è, innanzitutto, il fatto che il meccanismo di accertamento dell’infrazione sembra non tener conto delle peculiarità del danno ambientale, il quale normalmente è il frutto di condotte seriali e reiterate nel tempo: difficilmente, infatti, una singola condotta è in grado di produrre delle conseguenze immediatamente percepibili in termini di offesa al bene ambiente». Raimondo, La responsabilità degli enti per i delitti e le contravvenzioni ambientali: Godot è arrivato?, cit., p. 24.

[54] Gazzetta Ufficiale, N. 186, 10 agosto 2023.

[55] Gazzetta Ufficiale, N. 236, 9 ottobre 2023.

[56] In particolare, la novella legislativa ha determinato l’aggiunta di un secondo comma in ambedue le fattispecie di reato, disponendo un inasprimento della pena – da un terzo alla metà – qualora il danno ambientale abbia luogo in “un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette”. Solo in relazione al delitto di inquinamento ambientale, inoltre, la pena è ulteriormente aumentata, da un terzo a due terzi, se “l’inquinamento cagiona deterioramento, compromissione o distruzione di un habitat all’interno di un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico”.

[57] Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, N. 28, 30 aprile 2024.

[58] La Direttiva definisce l’ecosistema quale un “complesso dinamico di comunità di piante, animali, funghi e microrganismi e del loro ambiente non vivente che, mediante la loro interazione, formano un’unità funzionale, e comprende tipi di habitat, habitat di specie e popolazioni di specie”.

[59] Tale stretta interconnessione tra la responsabilità sociale d’impresa e la tutela ambientale, anche nell’ottica del D.Lgs. 231/01, è stata recentemente rimarcata dal Documento di consultazione del giugno scorso, diffuso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e pubblicamente consultabile fino al 2 agosto 2024, nell’ambito del “Tavolo per la Finanza Sostenibile” per il “Dialogo di Sostenibilità tra PMI e Banche”, laddove si evidenzia l’importanza dell’adozione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo e di un Codice Etico per una corretta gestione della governance aziendale sostenibile. Per un approfondimento tra responsabilità sociale d’impresa e sviluppo sostenibile, si v. F. Fimmanò, Art. 41 della Costituzione e valori ESG: esiste davvero una responsabilità sociale dell’impresa?, in Atti del XIV Convegno Annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale” Imprese, mercati e sostenibilità: nuove sfide per il diritto commerciale, Roma 2023, pp. 1-32.

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