della dott.ssa Emilia Morra
Abstract: This article examines the crucial role of environmental information in promoting sustainability and protecting the environment. Starting with the Aarhus Convention and its transposition at the European and national levels, this paper comes to examine the constitutional relevance of the right to environmental information. The intent is to emphasize the importance of public participation and transparency in environmental governance in order to promote sustainability and ensure a healthy environment for future generations.
Key words: Environmental information – Aarhus Convention – Participation – Environmental protection – Transparency
Abstract: Il presente articolo analizza il ruolo cruciale dell’informazione ambientale nella promozione della sostenibilità e nella tutela dell’ambiente. Partendo dalla Convenzione di Aarhus e dal suo recepimento a livello europeo e nazionale, questo contributo giunge a esaminare la rilevanza costituzionale del diritto all’informazione ambientale. L’intento è quello di sottolineare l’importanza della partecipazione pubblica e della trasparenza nella governance ambientale, al fine di promuovere la sostenibilità e garantire un ambiente sano alle generazioni future.
Parole chiave: Informazione ambientale – Convenzione di Aarhus – Partecipazione – Tutela dell’ambiente – Trasparenza
SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. La Convenzione di Aarhus e il suo recepimento a livello europeo – 3. La comunicazione ambientale nell’ordinamento italiano – 3.1. La rilevanza dell’informazione ambientale all’interno delle costituzioni europee – 4. Conclusioni
- Introduzione
Nel contesto delle crescenti preoccupazioni globali riguardo i cambiamenti climatici e i rischi ambientali, la comunicazione ha assunto un ruolo sempre maggiore nel diritto ambientale. Non si tratta soltanto di un mero esercizio di trasparenza o di diffusione delle informazioni, ma di un vero e proprio pilastro fondamentale per la partecipazione pubblica e per l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini, nell’ottica di una governance ambientale sostenibile.
Per poter comprendere a fondo le implicazioni di questa tematica, è opportuno precisare cosa si intende per “comunicazione ambientale”. Ebbene, ai fini di questa riflessione, con l’espressione “comunicazione ambientale” ci si riferisce a tutte le forme di trasmissione e scambio di informazioni riguardanti l’ambiente naturale e le problematiche ambientali, comprendendo tanto quelle di tipo istituzionale, pubblico, ufficiale, tanto quelle di tipo informativo, scientifico o divulgativo, a scopo propagandistico, o di denuncia.[1] Insomma, la comunicazione in materia ambientale è un processo integrativo e multidirezionale, caratterizzato da forme e modalità differenti, che condividono un unico scopo comune: comprendere e affrontare le sfide ambientali contemporanee e promuovere una gestione sostenibile delle risorse naturali.
Uno dei primi ad affrontare in modo specifico il tema della comunicazione connessa ad ambiente e salute è stato il testo dell’OMS, Ufficio Regionale Europeo: “La comunicazione dei rischi ambientali e per la salute in Europa”, pubblicato nel 1998, che ancora oggi resta di utile riferimento anche se non è stato molto utilizzato dalle strutture dedicate alla gestione di politiche ambientali e di salute a cui era rivolto.[2]
In effetti, in ambito europeo la comunicazione ambientale ha assunto rilievo da tempo: basti pensare che già la Carta di Aalborg del 1994, siglata durante la conferenza sulle città sostenibili, poneva l’accento sulla necessità di strumenti di sviluppo locale sostenibile che rafforzassero la partecipazione di tutti gli attori locali. Proprio le politiche di sviluppo sostenibile hanno dimostrato negli anni la centralità del coinvolgimento consapevole delle popolazioni, soprattutto a livello locale, per fare in modo che si sentano parte attiva nei processi di cambiamento del territorio.[3] Così, l’appartenenza all’Unione Europea ci offre una serie di strumenti in tema di comunicazione ambientale che vanno dall’obbligo informativo, allo sviluppo di strumenti di comunicazione, alla promozione della partecipazione.
Anche a livello extraeuropeo si registra da tempo un certo interesse rispetto al tema della comunicazione ambientale, che si sostanza nel garantire il diritto d’accesso dei cittadini alle informazioni ambientali, enunciato nel decimo principio della Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo (1992)[4], dove si afferma che: «il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati ai diversi livelli». Ciò, come è evidente, chiarisce l’inestricabile relazione tra trasparenza, sensibilizzazione, accesso effettivo ai procedimenti giudiziari e partecipazione ai processi decisionali, ma attraverso norme di soft law, e cioè attraverso la semplice enunciazione di diritti, di per sé inidonea a vincolare gli Stati e a far sorgere in capo agli stessi diritti e doveri.[5] Tuttavia, nel riconoscere l’importanza della partecipazione del pubblico ai fini di un’efficace tutela ambientale, la Dichiarazione di Rio ha anticipato quei diritti che pochi anni più tardi sarebbero stati espressamente sanciti dalla Convenzione di Aarhus, vale a dire “la più compiuta codificazione dei diritti di partecipazione del pubblico a livello internazionale”.[6]
- La Convenzione di Aarhus e il suo recepimento a livello europeo
Il diritto all’informazione in materia ambientale, e dunque l’importanza preminente di comunicazione, pubblicità e trasparenza in queste tematiche, è stato consacrato dalla Convenzione di Aarhus, firmata il 25 giugno 1998 e ratificata da 45 Stati e dall’Unione Europea.
Se infatti con la Conferenza di Rio del 1992 è iniziato un processo globale di progressivo aumento dell’informazione e della partecipazione pubblica alle scelte in materia ambientale, la Convenzione di Aarhus costituisce a tutti gli effetti una sintesi, e al tempo stesso un nuovo motore di tale sviluppo.[7]
Essa rappresenta un nuovo tipo di accordo ambientale che “unisce le ragioni ambientali a quelle dell’uomo”[8], stabilendo che l’obiettivo dello sviluppo sostenibile può essere raggiunto soltanto attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti responsabili.
Nel fissare tale principio la Convenzione definisce un nuovo modello di governance ambientale che si fonda su tre c.d. «pilastri» della democrazia ambientale: l’accesso alle informazioni (artt. 4 e 5), la partecipazione ai processi decisionali (artt. 6-8) e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (art.9).[9]
Con la Convenzione di Aarhus gli stati firmatari hanno assunto non solo l’impegno a garantire, nei propri ordinamenti, il diritto a un ambiente salubre, nell’interesse delle generazioni presenti e future, ma anche a predisporre un programma di azione che si fondi sui tre suddetti principi cardine.
Nel preambolo della Convenzione sono richiamati il primo principio della Dichiarazione di Stoccolma[10], del 1972, sul diritto fondamentale dell’uomo a vivere in un ambiente sano, e il decimo principio della Dichiarazione di Rio, riguardante la necessità di assicurare la massima partecipazione dei cittadini nelle questioni ambientali[11]. In sostanza, ciascun essere umano ha il diritto di vivere in un ambiente sano e, al tempo stesso, il dovere di proteggerlo, per garantire uno sviluppo sostenibile nell’interesse delle generazioni presenti e di quelle future. Per realizzare questi obiettivi, è necessario che gli Stati consentano ai cittadini di accedere alle informazioni, di partecipare ai processi decisionali e di avere accesso alla giustizia in materia ambientale.[12]
La comunicazione, così come codificata all’interno della Convenzione, si compone tanto di una dimensione passiva, cioè di risposta alle richieste dei cittadini da parte delle pubbliche autorità, tanto di una dimensione attiva, che consiste nella raccolta e divulgazione di dati da parte di quelle stesse pubbliche autorità. Con riferimento alla prima componente, la Convenzione all’art. 2 par. 3 fornisce una definizione specifica di quelle “informazioni ambientali” che possono essere richieste, come «qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale riguardante: a) lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria e l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, il paesaggio e i siti naturali, la biodiversità e le sue componenti, compresi gli organismi geneticamente modificati e l’interazione fra questi elementi; b) fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore, le radiazioni, e attività o provvedimenti, compresi i provvedimenti amministrativi, gli accordi ambientali, le politiche, le disposizioni legislative, i piani e i programmi che incidono o possono incidere sugli elementi di cui alla lettera a), nonché le analisi costi-benefici ed altre analisi ed ipotesi economiche utilizzate nei processi decisionali in materia ambientale; c) lo stato di salute, la sicurezza e le condizioni di vita delle persone, nonché lo stato dei siti e degli edifici di interesse culturale, nella misura in cui siano o possano essere influenzati dallo stato degli elementi ambientali o, attraverso tali elementi, dai fattori, dalle attività o dai provvedimenti di cui alla lettera b)». In ogni caso, il diritto di accesso formalizzato nella Convenzione non è assoluto, ma subordinato a una richiesta da parte dei privati che può essere respinta laddove la divulgazione possa pregiudicare interessi preminenti e meritevoli di tutela.
Quanto invece alle forme attive di comunicazione delle p.a., ci si riferisce a banche dati elettroniche che siano facilmente accessibili e rapporti nazionali ad intervalli periodici. Tuttavia, la Convenzione precisa che quanto previsto rappresenta solo un minimo comune denominatore per gli Stati aderenti, i quali restano liberi di prevedere forme più incisive di partecipazione.[13]
L’attenzione della Convenzione alla tematica della partecipazione dei cittadini alle questioni in materia ambientale ha fatto sì che, in ambito accademico, essa venisse riconosciuta come rivoluzionaria, dal momento che per prima si è concentrata sugli obblighi delle nazioni verso i loro cittadini e verso la società civile.
La Convenzione di Aarhus è stata ratificata dall’Unione Europea a seguito della decisione del Consiglio europeo del febbraio 2005, ma diversi atti precedentemente avevano già recepito gli impegni sottoscritti ad Aarhus. In particolare, la Direttiva 2003/4/CE ha attuato le previsioni della Convenzione, adottando una definizione ampia di informazione ambientale, di cui all’art. 2 par. 1: «si intende per “informazione ambientale” qualsiasi informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora, elettronica o in qualunque altra forma materiale concernente: a) lo stato degli elementi dell’ambiente, quali l’aria e l’atmosfera, l’acqua, il suolo, il territorio, il paesaggio e i siti naturali, compresi gli igrotopi, le zone costiere e marine, la diversità biologica e i suoi elementi costitutivi, compresi gli organismi geneticamente modificati, nonché le interazioni tra questi elementi; b) fattori quali le sostanze, l’energia, il rumore, le radiazioni o i rifiuti, compresi quelli radioattivi, le emissioni, gli scarichi e altri rilasci nell’ambiente, che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente di cui alla lettera a); c) le misure (comprese quelle amministrative) quali le politiche, le disposizioni legislative, i piani, i programmi, gli accordi ambientali e le attività che incidono o possono incidere sugli elementi e sui fattori di cui alle lettere a) e b), nonché le misure o attività intese a proteggere i suddetti elementi; d) le relazioni sull’attuazione della legislazione ambientale; e) le analisi costi-benefici ed altre analisi e ipotesi economiche usate nell’ambito delle misure e attività di cui alla lettera c); e f) lo stato della salute e della sicurezza umana, compresa la contaminazione della catena alimentare, ove pertinente, le condizioni della vita umana, i siti e gli edifici di interesse culturale nella misura in cui sono o possono essere influenzati dallo stato degli elementi dell’ambiente di cui alla lettera a) o, attraverso tali elementi, da qualsiasi fattore di cui alle lettere b) e c)».
La direttiva precisa che le disposizioni del diritto comunitario non possono discostarsi da quelle contenute nella Convenzione, e sottolinea la necessità di garantire che qualsiasi persona fisica o giuridica possa accedere all’informazione ambientale detenuta dall’autorità pubblica senza dover dichiarare il proprio interesse.[14] Il rifiuto di fornire tali informazioni, secondo i principi generali del diritto all’informazione, è possibile soltanto per motivi specifici e ben definiti, in virtù dei quali dovrà essere effettuato un bilanciamento tra l’interesse alla divulgazione e quello al rifiuto.
Anche la Corte di Giustizia UE è intervenuta in materia, sottolineando l’importanza dell’informazione ambientale per la realizzazione del più ampio e comune obiettivo della tutela ambientale. In particolare, con la sent. 71/2011, la Corte ha precisato che l’esigenza che le informazioni ambientali trovino ampia diffusione si fonda sul fatto che la conoscenza di questi dati non risponde semplicemente all’interesse del privato richiedente ma realizza un interesse pubblico, generalizzato: quello alla tutela dell’ambiente e quello della salute della collettività.
- La comunicazione ambientale nell’ordinamento italiano
In Italia una prima traccia dell’informazione in tema ambientale si rinviene già nella legge istitutiva del Ministero dell’ambiente del 1986[15] che, all’art. 14, ha introdotto, in termini forse ancora embrionali, il diritto all’informazione sullo stato dell’ambiente, delineando un inedito diritto di accesso, ancora pressoché sconosciuto nell’epoca precedente alla legge n. 241/1990[16].
L’art. 14, in particolare, prevede che il Ministro dell’ambiente debba assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell’ambiente, e un particolare regime di pubblicità degli atti adottati dal Consiglio nazionale per l’ambiente, nelle ipotesi in cui la loro conoscenza interessi la generalità dei cittadini e risponda a esigenze informative di carattere diffuso. Al co. 3 è contenuta la previsione più importante e, al tempo, innovativa: «Qualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della pubblica amministrazione, e può ottenere copia previo rimborso delle spese di riproduzione e delle spese effettive di ufficio il cui importo è stabilito con atto dell’amministrazione interessata».
Tuttavia, il limite di questa disciplina era costituito dall’assenza di previsioni attuative e di adeguati mezzi di tutela, sia procedimentale che giurisdizionale, e inoltre il rinvio alle leggi vigenti quale cornice entro cui collocare il diritto all’informazione, poteva indurre ad attribuire alla normativa una valenza solo programmatica[17].
Poco più tardi è intervenuta la l. 241/1990 che, nel riconoscere il principio di pubblicità dei documenti amministrativi, ha segnato un totale cambiamento di prospettiva consentendo il superamento del diritto alla riservatezza nel rapporto amministrazione-privato, in favore di una sorta di controllo sull’azione dei pubblici poteri.[18] Il legislatore ha quindi predisposto una disciplina specifica per le materie rispetto alle quali si è avvertita la necessità di approntare una normativa peculiare e più incisiva: tra queste c’è l’ambiente, settore nel quale la circolazione delle informazioni ha assunto un’importanza crescente, come crescente è la rilevanza della tutela dell’ecosistema.
Una disciplina specifica del diritto d’accesso in materia ambientale era infatti contenuta nella direttiva del Consiglio 90/313/CEE del 1990, recepita in Italia dal d. lgs. 39/1997[19]. Il decreto, aderendo al contenuto della direttiva, definiva in termini ampi il concetto di “informazioni relative all’ambiente”, con una nozione ben più estesa di quella prevista all’art. 22 della l. 241/1990.
La Direttiva 90/313/CEE aveva previsto la verifica, nel tempo, della disciplina ivi contenuta, al fine di studiare eventuali modifiche in seguito alla sua applicazione pratica. Così, trascorso un decennio e alla luce della Convenzione di Aarhus e della Conferenza di Rio, è intervenuta la direttiva 2003/4/CE del 28 gennaio 2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente l’accesso del pubblico all’informazione ambientale. La direttiva ha confermato la scelta di garantire l’accesso a qualsiasi persona fisica e giuridica, senza necessità di dichiarare il proprio interesse[20], obbligando peraltro le autorità pubbliche a mettere a disposizione del richiedente l’informazione richiesta attraverso l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili[21]. Come anticipato, la nozione di “informazione ambientale”, di cui all’art. 2 della Direttiva, risulta particolarmente ampia ed è indicativa della volontà di estendere il più possibile la partecipazione democratica all’elaborazione delle decisioni pubbliche, attraverso una titolarità indifferenziata.[22]
L’Italia, al pari degli altri paesi comunitari e della Comunità Europea, ha sottoscritto la Convenzione di Aarhus sin dal principio e, in anticipo rispetto agli altri Stati, ha provveduto alla sua ratifica con la l. 108/2001, e alla ratifica della direttiva 2003/4/CE con il d. lgs. 195/2005. Tale decreto, che ha ridisegnato l’intero sistema delle garanzie partecipative e giustiziali del cittadino comunitario in materia, segue lo schema dei tre pilastri cui si ispira la Convenzione di Aarhus[23] e consta di 12 articoli, i cui caratteri innovativi possono rintracciarsi nella nozione di “informazione ambientale” [24] e nella disciplina del diritto di accesso. Quanto al primo aspetto, il decreto aderisce all’impostazione della direttiva che recepisce, ma utile e copiosa è la giurisprudenza sul tema[25]. Alcune recenti decisioni, ad esempio, vi hanno ricompreso anche i piani di caratterizzazione e di bonifica dei siti inquinati, le misure di gestione diretta del demanio marittimo, i livelli di inquinamento elettromagnetico, le misure in tema di rifiuti: insomma la definizione si presta ad una interpretazione estensiva.
Con riferimento, invece, alla disciplina in materia di diritto d’accesso, l’art. 3 del decreto conferma ancora una volta la scelta di consentire l’accesso a chiunque ne faccia richiesta, prescindendo dallo specifico motivo, il quale potrà essere di studio, di ricerca, di successiva partecipazione. In questa richiesta “generalizzata”, che prescinde dalla dimostrazione di un interesse differenziato sta in effetti la principale differenza della disciplina in materia ambientale rispetto a quella generale in tema di accesso agli atti, di cui alla l. 241/1990. Ma se è vero che l’accesso all’informazione ambientale trova, nel nostro ordinamento, ampia tutela da parte della giurisprudenza, occorre precisare che l’accesso non è fine a se stesso, ma è funzionale e strumentale al raggiungimento di un ulteriore e superiore obiettivo: l’effettiva partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. La tutela di questo secondo obiettivo nel tempo è risultata talvolta carente, perché alle dichiarazioni di principio non segue, spesso, il riconoscimento di un vero, efficace, concreto diritto partecipativo, laddove per vero, efficace e concreto si intenda un diritto in grado di incidere sulle decisioni finali, al fine di raggiungere l’obiettivo di scelte condivise o, quanto meno, rispetto alle quali le ragioni di opposizione siano state effettivamente vagliate dall’autorità pubblica.[26]
- La rilevanza dell’informazione ambientale all’interno delle costituzioni europee
La sempre maggiore importanza che la tutela dell’ambiente è andata assumendo, anche a partire dalla sua internazionalizzazione e dall’inserimento nelle dichiarazioni internazionali, ha fatto sì che anche a livello nazionale si avvertisse la necessità di costituzionalizzarla. Difatti la dimensione etica, scientifica e di corresponsabilità multilivello che il concetto relazionale di ambiente di per sé richiama, richiede soluzioni a livello costituzionale, proprio perché la complessità dei problemi ambientali necessita di principi-guida che trovano la propria sede ideale all’interno delle Costituzioni. Così, i singoli Stati hanno iniziato a definire anche a livello nazionale i valori e gli obiettivi per la tutela dell’ambiente, individuando gli organi preposti a decidere le soluzioni da adottare in concreto e i principi che devono guidare tali scelte.[27]
Ciononostante, in Europa prima degli anni Novanta, il fenomeno della costituzionalizzazione del valore ambientale appariva ancora piuttosto limitato. La vera e propria assunzione di coscienza della centralità delle questioni ambientali ha preso le mosse da eventi drammatici e di forte impatto ambientale, come la catastrofe di Chernobyl del 1986. Difatti, diverse costituzioni dell’area euro-orientale nate all’inizio degli anni Novanta, sono caratterizzate dal riconoscimento del diritto all’informazione libera e tempestiva sullo stato dell’ambiente[28].
Chiaramente le modalità che i singoli Stati hanno adottato per realizzare questo obiettivo, variano di paese in paese perché rispecchiano inevitabilmente i problemi, le esigenze e le priorità degli stessi. Così, nei diversi testi costituzionali, pur accomunati dal perseguimento dello stesso obiettivo, quello della tutela dell’ambiente, si registrano approcci e tendenze differenti: talvolta, ad esempio, l’ambiente viene ricostruito come diritto della personalità, altre volte invece viene confinato entro le posizioni giuridiche soggettive. Allo stesso modo, talvolta si fa espressamente riferimento all’informazione ambientale quale strumento essenziale e funzionale alla tutela ambientale, altre volte invece manca un esplicito richiamo.
Si pensi, ad esempio, alla Costituzione della Norvegia del 1814, così come modificata dalla revisione del 2014, che non solo riconosce con impostazione fortemente antropocentrica un vero e proprio “diritto all’ambiente”, ma anche un “diritto all’informazione ambientale” in favore dei cittadini. Anche la Costituzione della Polonia, del 1997, pur non fissando un preciso diritto all’ambiente, all’art. 74 riconosce il diritto all’informazione ambientale e incoraggia la partecipazione prevedendo il dovere, per le pubbliche autorità, di sostenere le attività dei cittadini volte al miglioramento e alla tutela dell’ambiente.
Analogamente, la Costituzione della Slovacchia, del 1992, riconosce esplicitamente il diritto a una tempestiva informazione sullo stato dell’ambiente. Stessa cosa accade all’interno della Costituzioni della Moldavia (1994), dell’Albania (1998) e della Serbia (2006).
A seguito della riforma del 2022[29], anche la Costituzione italiana contiene un espresso richiamo alla tutela dell’ambiente. In particolare, la nuova formulazione dell’art. 9 riconosce oggi, tra i principi fondamentali, la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, con riferimento anche all’interesse delle generazioni future e alla tutela degli animali, attraverso una riserva di legge statale che ne disciplini forme e modalità. La riforma è intervenuta anche sull’art. 41 che, nella sua nuova formulazione, prevede che l’iniziativa economica non potrà svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente[30].
Tali modifiche alla costituzione italiana hanno innalzato la rilevanza della finalità di salvaguardia dell’ambiente e, pur non pronunciandosi espressamente in tema di informazione ambientale, l’hanno senz’altro valorizzata di riflesso[31]. L’introduzione della tutela ambientale in Costituzione, per di più tra i principi fondamentali, presuppone infatti implicitamente il rispetto e l’attuazione dei principi su cui essa si fonda a livello comunitario e nazionale come, appunto, la partecipazione dei cittadini e l’informazione ambientale. Sicuramente, in ottica comparatistica, il legislatore ha operato in maniera molto prudente, e le norme riformate restano ancora lontane dalle disposizioni delle altre costituzioni europee, anche e soprattutto per il mancato richiamo ai principi che devono reggere e orientare la tutela ambientale.
Tuttavia, pur non abbracciando espressamente quell’idea di costituzionalismo della responsabilità, necessario e auspicabile per la salute delle generazioni future, la revisione costituzionale rappresenta senza dubbio un primo passo importante nella giusta direzione, dal momento che è ben possibile accostare la tensione verso le generazioni future del novellato articolo 9 alla tradizione del solidarismo sociale europeo[32].
- Conclusioni
La comunicazione ambientale rappresenta un elemento cardine nell’odierno panorama del diritto ambientale, una disciplina che si trova al crocevia tra esigenze di trasparenza, partecipazione pubblica e sostenibilità. La sua evoluzione, fortemente influenzata da strumenti normativi internazionali come la Dichiarazione di Rio, la Convenzione di Aarhus e le Direttive Europee, ha segnato una svolta epocale nel modo in cui le informazioni ambientali vengono gestite e divulgate. Questi strumenti hanno consolidato il principio secondo cui la partecipazione informata dei cittadini è essenziale per una governance ambientale efficace e per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile.
L’importanza della comunicazione ambientale risiede nella sua capacità di abilitare i cittadini, conferendo loro il potere di accedere alle informazioni necessarie per comprendere e influenzare le decisioni che riguardano il loro ambiente. Questo accesso è non solo un diritto ma anche un dovere di tutte le autorità pubbliche, che devono garantire una trasparenza effettiva e una diffusione attiva delle informazioni. L’inclusione del diritto all’informazione ambientale all’interno delle costituzioni europee, come avvenuto in Norvegia, Polonia e Slovacchia, e il recente riconoscimento della tutela ambientale nella Costituzione italiana, testimoniano l’impegno crescente degli stati nel riconoscere l’importanza di queste tematiche.
La rilevanza di una comunicazione ambientale efficace è ulteriormente evidenziata dalle pronunce della giurisprudenza europea[33], che ha sottolineato come la diffusione delle informazioni ambientali risponda a un interesse pubblico generale, contribuendo alla protezione dell’ambiente e alla salute collettiva. Inoltre, la giurisprudenza italiana[34] ha confermato l’importanza di garantire un accesso ampio e non discriminatorio alle informazioni ambientali, come elemento fondamentale per una partecipazione attiva e consapevole dei cittadini[35].
In conclusione, la comunicazione ambientale non è solo una questione di diffusione delle informazioni, ma è un vero e proprio strumento di empowerment per i cittadini, perché permette loro di partecipare attivamente alla tutela e alla gestione del proprio ambiente. Questo processo integrativo e multidirezionale richiede il continuo impegno delle istituzioni pubbliche per garantire trasparenza, accessibilità e coinvolgimento della comunità, promuovendo così una cultura della sostenibilità e della responsabilità condivisa. Solo attraverso una comunicazione efficace e partecipativa è possibile affrontare le sfide ambientali contemporanee e garantire uno sviluppo sostenibile per le generazioni presenti e future.
[1] Cfr. M.C. Belloni, La comunicazione ambientale: alcuni modi di intenderla e possibili direzioni di sviluppo, Quaderni di sociologia, 30/2022.
[2] Cfr. F. Bianchi e P. Comba, Indagini epidemiologiche nei siti inquinati: basi scientifiche, procedure metodologiche e gestionali, prospettive di equità. 2006.
[3] Ibidem.
[4] La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo definisce in 27 principi diritti e obblighi delle nazioni, riconosce come fondamentali i principi di causalità e di prevenzione e definisce, quali presupposti per uno sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà, una politica demografica adeguata, la riduzione dei modi di produzione e consumo non sostenibili nonché un’ampia informazione e partecipazione della popolazione nei processi decisionali. Tale dichiarazione è stata redatta in occasione del Summit sulla Terra tenutosi a Rio De Janeiro nel giugno 1992, prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente e luogo privilegiato per l’elaborazione dei principi dello sviluppo sostenibile e della democrazia partecipativa condivisi dalla comunità globale
[5] Cfr. A. Angeletti, che sul punto aggiunge: «Il ricorso al soft law, se da un lato favorisce la partecipazione di più Nazioni e la raccolta di un consenso pressoché generalizzato sul riconoscimento dell’esistenza di un problema condiviso e sulla necessità di avviare forme di cooperazione internazionale, dall’altro, trattandosi di uno strumento di natura raccomandatoria, non giuridicamente vincolante, si rivela inidoneo ad indurre effettivamente i partecipanti a rispettare standard ed obblighi specifici.», Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[6] Ibidem.
[7] Cfr. S. Baiona, La Convenzione di Aarhus: il quadro istituzionale internazionale, all’interno di Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale(a cura di Angeletti A.), Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[8] Ibidem.
[9] Cfr. A. Angeletti, Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[10] Secondo tale principio: «L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Egli ha il dovere solenne di proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future», e nel preambolo della stessa dichiarazione si legge: «La protezione ed il miglioramento dell’ambiente è una questione di capitale importanza che riguarda il benessere dei popoli e lo sviluppo economico del mondo intero; essa risponde all’urgente desiderio dei popoli di tutto il mondo e costituisce un dovere per tutti i governi». Per consultare il testo integrale della Dichiarazione di Stoccolma si veda il sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica: https://www.mase.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/educazione_ambientale/stoccolma.pdf.
[11] Secondo il Principio 10 della Dichiarazione di Rio: «Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze ed attività pericolose nelle comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo». Per consultare il testo integrale della Dichiarazione di Rio, si veda il sito https://www.isprambiente.gov.it/files/agenda21/1992-dichiarazione-rio.pdf.
[12] Cfr. S. Baiona, La Convenzione di Aarhus: il quadro istituzionale internazionale, all’interno di Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale(a cura di Angeletti A.), Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[13] Cfr. F. Carpita, L’accesso alle informazioni ambientali nel quadro della Convenzione di Aarhus: sfide ancora aperte, Revista Española de la Transparencia, n. 8/2019.
[14] Il riferimento è al Considerando 8 della Direttiva.
[15] Legge 8 luglio 1986, n. 349 Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale.
[16] Cfr. M. Lipari, L’accesso alle informazioni ambientali e la nuova trasparenza amministrativa, testo aggiornato al 1 Luglio 2022 e disponibile su https://www.giustiziaamministrativa.it/documents/20142/24538237/LIPARI.pdf/d7b43075-864e-7a02-5bd631cb22c38713?t=1675688480000.
[17] Cfr. M. Lipari, L’accesso alle informazioni ambientali e la nuova trasparenza amministrativa, testo aggiornato al 1 Luglio 2022 e disponibile su https://www.giustiziaamministrativa.it/documents/20142/24538237/LIPARI.pdf/d7b43075-864e-7a02-5bd631cb22c38713?t=1675688480000.
[18] Cfr. S. Rodriquez, Accesso agli atti, partecipazione e giustizia: i tre volti della Convenzione di Aarhus nell’ordinamento italiano, all’interno di Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale (a cura di Angeletti A.),Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[19] Provvedimento abrogato dal d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195.
[20] Il riferimento è al Considerando n. 8: «È necessario garantire che qualsiasi persona fisica o giuridica abbia il diritto di accedere all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse senza dover dichiarare il proprio interesse», ma anche all’art. 3 co. 1: «Gli Stati membri provvedono affinché le autorità pubbliche siano tenute, ai sensi delle disposizioni della presente direttiva, a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse».
[21] A tal proposito si richiama il Considerando n. 9: «È altresì necessario che le autorità pubbliche mettano a disposizione del pubblico e diffondano l’informazione ambientale nella massima misura possibile, in particolare ricorrendo alle tecnologie d’informazione e di comunicazione. È opportuno tener conto dell’evoluzione futura di dette tecnologie nell’ambito delle relazioni sulla direttiva e in sede di revisione della stessa», ma anche l’art. 7 co. 1: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che le autorità pubbliche strutturino l’informazione ambientale rilevante per le loro funzioni e in loro possesso o detenuta per loro conto ai fini di un’attiva e sistematica diffusione al pubblico, in particolare mediante le tecnologie di tele- comunicazione informatica e/o le tecnologie elettroniche, se disponibile». Per il testo integrale della direttiva si veda https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32003L0004.
[22] S. Rodriquez, Accesso agli atti, partecipazione e giustizia: i tre volti della Convenzione di Aarhus nell’ordinamento italiano, all’interno di Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale (a cura di Angeletti A.),Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[23] Cfr. F. Fonderico, Il diritto di accesso all’informazione ambientale, in Gior. Dir. Amm., 676, 2006.
[24] Per la definizione di “informazione ambientale” contenuta nel decreto si rimanda all’art. 2 d. lgs. 195/2005, reperibile sul sito https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2005-08-19;195!vig=.
[25] Cfr. S. Rodriquez, Accesso agli atti, partecipazione e giustizia: i tre volti della Convenzione di Aarhus nell’ordinamento italiano, all’interno di Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale (a cura di Angeletti A.),Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nuova serie 15, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011.
[26] Ibidem.
[27] Cfr. C. Sartoretti, La via europea al costituzionalismo ambientale e il formante legislativo/costituzionale, DPCE Online, n. Sp. 2/2023.
[28] Cfr. D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, Il Mulino, 2022.
[29] Legge costituzionale 1/2022.
[30] Cfr. D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, Il Mulino, 2022.
[31] Cfr. M. Lipari, L’accesso alle informazioni ambientali e la nuova trasparenza amministrativa, testo aggiornato al 1 Luglio 2022 e disponibile su https://www.giustiziaamministrativa.it/documents/20142/24538237/LIPARI.pdf/d7b43075-864e-7a02-5bd631cb22c38713?t=1675688480000.
[32] Cfr. D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene, Il Mulino, 2022.
[33] Si veda, a titolo esemplificativo, Trib. I Grado Unione Europea Sez. VIII, 7 marzo 2019, n. 716/14, Anthony C. Tweedale e altri c. Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Nel pronunciarsi su due domande di accesso a studi scientifici sul glifosato (prodotto chimico utilizzato nei pesticidi), rigettate dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), il Tribunale dell’Unione Europea ha statuito che l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente deve prevalere – a meno di casi eccezionali – sulla tutela di interessi commerciali e industriali e consiste non solo nel sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche nel comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione.
[34] Secondo T.A.R. Catania 30 novembre 2020 n. 3195, la richiesta di informazioni ambientali (anche finalizzata ad accertare la non corretta gestione e la tracciabilità dei rifiuti) deve essere sempre garantita a chiunque ne faccia richiesta, poiché l’interesse alla tutela ambientale è prevalente (anche a livello costituzionale ed europeo) su eventuali interessi “antagonisti”. Sul punto anche T.A.R. Catanzaro, (Calabria) sez. I, 19 novembre 2015, n.1747: il regime di pubblicità in materia ambientale ha carattere tendenzialmente integrale, sia per ciò che concerne la legittimazione attiva, con un ampliamento dei soggetti legittimati all’accesso, e sia per il profilo oggettivo, prevedendosi un’area di accessibilità alle informazioni ambientali svincolata dai più restrittivi presupposti dettati in via generale dagli artt. 22 e segg. della l. n. 241 del 1990
[35] Cfr. M. Lipari, L’accesso alle informazioni ambientali e la nuova trasparenza amministrativa, testo aggiornato al 1 Luglio 2022 e disponibile su https://www.giustiziaamministrativa.it/documents/20142/24538237/LIPARI.pdf/d7b43075-864e-7a02-5bd631cb22c38713?t=1675688480000.