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Crisi dello ius sanguinis e riforma della cittadinanza: profili costituzionali e implicazioni per gli italiani all’estero

di Rui Aurélio De Lacerda Badaró[1], professore presso il PPGD dela PUC Minas, Segretario Generale della Commissione per il Commercio Estero dell’OAB/SP

 

Introduzione: l’ermeneutica del sospetto e il crepuscolo dello jus sanguinis. 2. Il triangolo contestuale: demografia, nazionalismo e sicurezza. 3. Analisi critico-ermeneutica dei considerando del decreto legge. 3.1. I recital come narrazione giustificativa: un’ermeneutica del sospetto. 3.2. La finzione giuridica della “non acquisizione retroattiva”: un sofisma normativo. 3.3. Il taglio temporale retroattivo: il parossismo della sproporzione. 3.4. Eccezioni alla regola generale: insufficienza e arbitrarietà. 3.5. Restrizioni probatorie come ostacoli procedurali all’efficacia del diritto. 4. Le molteplici incostituzionalità del decreto. 4.1. Violazione dei principi costituzionali italiani. 4.2. La collisione con l’ordinamento comunitario. 4.3. Il confronto con il diritto internazionale dei diritti umani. 5. Il decreto come sintomo di una crisi di civiltà. 5.1. Cittadinanza tra sangue e suolo: una falsa dicotomia. 5.2. La crisi dello Stato nazionale e le sue contraddizioni interne. 6. Finalmente: tra spargimento di sangue e speranza costituzionale – strategie di resistenza legale. 7. Riferimenti.

 

INTRODUZIONE: L’ERMENEUTICA DEL SOSPETTO E IL CREPUSCOLO DELLO JUS SANGUINIS

Siamo di fronte a un caso paradigmatico di quella che io chiamo (alla Lenio Streck!) “ermeneutica della sfiducia”: quella che si instaura quando lo Stato, nel cuore della notte e senza un adeguato dibattito pubblico, decide di cambiare le regole fondamentali del gioco giuridico internazionale. Il 28 marzo 2025, come un ladro nella notte che non annuncia il suo arrivo, il governo Meloni ha promulgato il decreto legge n. 36/2025, un documento che rappresenta non solo una rottura con la tradizione giuridica italiana, ma un vero e proprio “parricidio normativo”. Del resto, che cos’è questo decreto se non l’assassinio del padre legale della cittadinanza italiana – il principio dello jus sanguinis che ha definito l’identità giuridica degli italiani per oltre un secolo?

Si tratta, potremmo dire, della negazione assoluta dell’eredità di PASQUALE STANISLAO MANCINI, il grande giurista italiano del XIX secolo che non solo difese lo jus sanguinis come principio fondamentale della nazionalità, ma lo elevò a elemento costitutivo della stessa identità nazionale italiana. [2]MANCINI, nella sua famosa lezione del 1851 all’Università di Torino, “Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti” , articolò una teoria in cui la nazione – intesa come comunità di origine, lingua, costumi e, soprattutto, coscienza di appartenenza – precede logicamente lo Stato. E nella costituzione di questa nazionalità, il sangue (nel senso di discendenza comune) non rappresentava solo un criterio tecnico-giuridico, ma un principio quasiontologico di identità collettiva.

[3]Scartando lo jus sanguinis illimitato, il decreto Meloni non solo modifica un criterio giuridico, ma commette un vero e proprio epistemicidio giuridico, cancellando il contributo fondamentale di MANCINI al diritto internazionale e all’autocoscienza giuridica dell’Italia . Siamo, per usare una categoria streckiana, di fronte a un “basso dogma”: quel momento in cui il diritto abbandona i suoi fondamenti principiologici per servire una momentanea convenienza politica, in un volgare pragmatismo mascherato da tecnicismo giuridico.

Non si tratta di una semplice modifica legislativa o di un adeguamento tecnico-procedurale. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione paradigmatica” nel campo della cittadinanza italiana – la sostituzione brusca e traumatica di un modello storico con un altro, senza la necessaria transizione o mediazione democratica. [4]Si tratta, come direbbe ANTONIO CASSESE, credo, di una rottura unilaterale del tacito patto tra l’Italia e la sua diaspora, quello che teneva uniti gli italiani peninsulari e i discendenti della grande emigrazione storica con il vincolo giuridico della cittadinanza .

[5]Va ricordato che per MANCINI , lo jus sanguinis non era semplicemente un mezzo tecnico per attribuire la nazionalità, ma l’espressione giuridica di una concezione organica della nazione come entità che trascende i confini e le generazioni. Quando difendeva la prevalenza del “principio di nazionalità” sul “principio territoriale” nel diritto internazionale, MANCINI anticipava per molti versi i dibattiti contemporanei su identità transnazionali e diasporiche. La sua eredità, ora minacciata da questo decreto, riconosceva che l’italianità non è confinata ai limiti geografici della penisola, ma si proietta attraverso le generazioni ovunque si trovino i discendenti italiani.

Per decenni, forse per secoli, lo Stato italiano si è presentato al mondo come una “Repubblica della diaspora”, un’entità politica che riconosceva nei suoi discendenti, per quanto lontani geograficamente, il marchio indelebile dell’italianità trasmessa dal sangue. Ora, con un semplice decreto (nemmeno una legge approvata dal Parlamento!), si vuole cancellare questo legame storico, sostituendolo con criteri territoriali e burocratici che hanno più a che fare con le convenienze politiche del momento che con lo spirito costituzionale italiano.

In queste brevi righe propongo, seppur audacemente, un’analisi critico-ermeneutica di questo decreto-legge, partendo dalla premessa gadameriana che i testi giuridici non possono essere interpretati al di fuori del loro orizzonte storico e dei loro contesti di applicazione. Cercherò di dimostrare come questo decreto non solo presenti gravi lacune tecnico-giuridiche, ma rappresenti anche una profonda incostituzionalità materiale: una violazione non solo della lettera, ma anche dello spirito della Costituzione italiana e degli impegni internazionali assunti dalla Repubblica, tradendo così l’eredità manciniana che, per oltre un secolo e mezzo, ha definito il rapporto tra lo Stato italiano e la sua diaspora globale.

 

  1. IL TRIANGOLO CONTESTUALE: DEMOGRAFIA, NAZIONALISMO E SICUREZZA

[6]Come insegna HANS-GEORG GADAMER , non c’è interpretazione senza precomprensione. E la precomprensione di questo decreto è ancorata a un triangolo contestuale che deve essere spiegato: la crisi demografica europea, il neonazionalismo politico e l’ossessione contemporanea per la sicurezza.

L’Italia, come gran parte dell’Europa occidentale, sta affrontando quello che i demografi chiamano “inverno demografico”: una combinazione tossica di bassi tassi di natalità, invecchiamento della popolazione e pressione sul sistema di welfare. [7]Secondo i dati dell’ISTAT ( ), l’età media nel Paese è ora superiore a 47 anni, con un tasso di fertilità inferiore a 1,3 figli per donna – molto al di sotto del livello di sostituzione della popolazione .

Allo stesso tempo, assistiamo all’ascesa di governi e movimenti politici di matrice nazionalista-identitaria, che cercano di ridefinire l’appartenenza nazionale in termini sempre più escludenti. [8]L’amministrazione Meloni, con la sua retorica “prima gli italiani”, si allinea a una tendenza globale identificata da WENDY BROWN come “neofascismo neoliberale” – la paradossale combinazione di ultranazionalismo culturale e politiche economiche di austerità e deregolamentazione.

[9]Il terzo angolo di questo triangolo è quello che ZYGMUNT BAUMAN ha definito “securitizzazione dell’esistenza”, ovvero la trasformazione di questioni sociali, politiche e culturali in problemi di sicurezza. [10]Nella logica securitaria, così ben analizzata da GUY GOODWIN-GILL nel campo del diritto internazionale, la cittadinanza è vista come un rischio potenziale, soprattutto quando è staccata dal controllo territoriale diretto dello Stato.

È in questo contesto che dobbiamo intendere il decreto non come un fenomeno isolato, ma come un sintomo di un “momento costituzionale” – quello in cui, anche senza modificare formalmente il testo costituzionale, si verificano profondi cambiamenti nella comprensione dei principi fondamentali che strutturano l’ordinamento giuridico.

Stiamo assistendo a un tentativo di metamorfosi costituzionale silenziosa: il passaggio da un concetto di cittadinanza basato sull’eredità di sangue (jus sanguinis) a uno basato sul controllo del territorio e sulla fedeltà politica verificabile (jus territorialitatis). Questa transizione, tuttavia, non avviene con il mezzo costituzionalmente appropriato (la revisione costituzionale), ma attraverso uno strumento eccezionale (il decreto legge) che, per sua natura, dovrebbe servire solo a situazioni di vera emergenza.

Sì, viviamo davvero nell’era dello “stato di eccezione permanente”, in cui le misure di emergenza vengono normalizzate e incorporate nella prassi governativa ordinaria. Il decreto 36 del 28 marzo 2025 è un esempio di questo fenomeno: utilizza l’argomento dell’urgenza per attuare un cambiamento strutturale che, per la sua rilevanza e il suo impatto, richiederebbe un ampio dibattito parlamentare e sociale.

 

III. ANALISI CRITICO-ERMENEUTICA DEI CONSIDERANDO DEL DECRETO LEGGE

3.1. I recital come narrazione giustificativa: un’ermeneutica del sospetto

I considerando del decreto costituiscono la sua narrazione giustificativa. Questa narrazione merita un’ermeneutica del sospetto, che cerca di svelare i significati latenti e i presupposti non dichiarati del discorso ufficiale.

Fin dall’inizio, il decreto invoca gli articoli 77 e 87 della Costituzione italiana, cercando sostegno nella previsione costituzionale di un decreto legge come strumento normativo eccezionale. Poi elenca una serie di atti legislativi storici sulla cittadinanza italiana, dal Codice civile del 1865 all’attuale legge 91/1992, quasi a stabilire una linea di continuità storica che, paradossalmente, il decreto stesso interrompe.

Nel passaggio in cui si afferma che “le disposizioni successivamente adottate in materia di cittadinanza a partire dalla riunificazione nazionale sono state finora interpretate nel sentido di accordare alle persone nate all’estero una facoltà di chiedere il riconoscimento della cittadinanza senza alcun limite temporale o generazionale”, troviamo l’esplicita ammissione che l’interpretazione storica dello jus sanguinis italiano era, di fatto, temporalmente illimitata.

Questo è il primo paradosso ermeneutico: il decreto riconosce l’esistenza di una tradizione interpretativa consolidata solo per rompere bruscamente con essa, senza alcun periodo di transizione che possa preservare la certezza del diritto e le legittime aspettative dei giudici. [11]Come ci insegna HABERMAS , la legittimità del diritto non dipende solo dalla sua legalità formale, ma dal riconoscimento intersoggettivo della sua validità da parte degli attori sociali interessati dalla norma. Rompendo unilateralmente con una comprensione storica senza offrire un processo dialogico di transizione, il decreto viola la “pretesa di correttezza normativa” insita nel discorso giuridico.

Inoltre, quando il decreto caratterizza i discendenti italiani come persone che “sono prevalentemente legate ad altri Stati da vincoli profondi di cultura, identità e fedeltà”, osserviamo una generalizzazione arbitraria ed empiricamente discutibile. [12]Come mostra IAN BROWNLIE , l’appartenenza nazionale non è una questione di tutto o niente, ma un continuum che ammette molteplici legami, identità e fedeltà.

Particolarmente preoccupante è la trasformazione della questione della cittadinanza in un problema di sicurezza nazionale, quando il decreto afferma che l’eventuale assenza di legami effettivi con la Repubblica “costituisce un fattore di rischio serio ed attuale per la sicurezza nazionale e, in virtù ‘appartenenza dell’Italia all’Unione europea, degli altri Stati membri della stessa e dello Spazio Schengen”. Questa “securizzazione” della cittadinanza rappresenta una politicizzazione estrema dell’istituto giuridico della cittadinanza, subordinando i diritti fondamentali a considerazioni contingenti di politica interna ed estera.

Infine, la richiesta di urgenza si basa sul presunto rischio di “un aumento eccezionale e incontrollabile del numero di residenti, tale da impedire ordinato funzionamento dei tribunali stranieri, comunali e giudiziari”. [13]Tuttavia, come osserva ANTONIO CASSESE , difficoltà amministrative o burocratiche difficilmente giustificherebbero misure così drastiche contro i diritti fondamentali, soprattutto quando esistono alternative meno onerose, come l’aumento temporaneo del personale o la semplificazione delle procedure.

3.2 La finzione giuridica della “non acquisizione retroattiva”: un sofisma normativo

Il cuore operativo del decreto si trova nell’articolo 1, che inserisce il nuovo articolo 3-bis nella legge 91/1992, stabilendo che:

“La cittadinanza italiana si considera non acquisita da coloro che sono nati all’estero prima della data di entrata in vigore del presente articolo e sono in possesso di altra cittadinanza…”

Questa formulazione costituisce quello che chiamerò (ancora una volta alla Lenio Streck!) un “sofisma normativo” – una costruzione linguistica che, sotto la veste della logica, nasconde una profonda contraddizione performativa. Stabilendo che alcune persone “si ritiene non abbiano mai acquisito” uno status che, secondo l’interpretazione giuridica consolidata, avevano già, il decreto tenta di aggirare il divieto di retroattività pregiudiziale attraverso una finzione giuridica indifendibile.

Ed eccomi di nuovo a citare Hans Kelsen nei miei testi! [14]Per KELSEN , una norma giuridica non può essere retroattiva per negare l’esistenza di fatti giuridici già avvenuti sotto l’egida dell’ordinamento precedente. Il massimo che potrebbe fare è regolare prospetticamente le conseguenze di questi fatti. Sostenendo che alcune persone “non hanno mai acquisito” la cittadinanza che, secondo l’interpretazione corrente, era già riconosciuta come loro, il decreto incorre in una “contraddizione normativa”: il tentativo di negare, per via legislativa, un fatto giuridico già consolidato dall’ordinamento stesso.

Questa contraddizione diventa ancora più grave se si considera che l’ordinamento giuridico non è solo un insieme di norme, ma un’integrità che comprende principi e valori fondamentali. Uno di questi principi universalmente riconosciuti è quello della certezza del diritto, che vieta proprio il tipo di retroattività nascosta che il decreto tenta di attuare.

[15]Dal punto di vista del diritto internazionale, la finzione della “non acquisizione retroattiva” si scontra con il principio della tutela del legittimo affidamento, riconosciuto come principio generale del diritto dai tribunali internazionali e articolato con particolare chiarezza da HERSCH LAUTERPACHT . Questo principio protegge le ragionevoli aspettative create da pratiche statali consolidate, soprattutto in materia di diritti fondamentali come la nazionalità.

3.3 Il taglio temporale retroattivo: il parossismo della sproporzione

Se la finzione della “non acquisizione retroattiva” sarebbe sufficiente per mettere in discussione la costituzionalità del decreto, la fissazione di un limite temporale immediatamente precedente alla pubblicazione della norma costituisce una violazione davvero estrema del principio di proporzionalità.

Il decreto, pubblicato il 28 marzo 2025, stabilisce che sono valide solo le domande amministrative o giudiziarie presentate entro il 27 marzo 2025 (ore 23:59), creando una barriera temporale già superata nel momento in cui i destinatari della norma potevano venire a conoscenza della sua esistenza.

[16]La proporzionalità, insegna ALEXY , si articola in tre sotto-principi: adeguatezza, necessità e proporzionalità in senso stretto. Questa riduzione temporale retroattiva fallisce categoricamente tutti questi criteri:

  1. Questo non è appropriato, in quanto pone come condizione il rispetto di una scadenza che era già passata al momento della pubblicazione della norma, rendendo impossibile per gli interessati adeguare il proprio comportamento;
  2. Non è necessario, in quanto i legittimi obiettivi di gestione amministrativa potrebbero essere raggiunti con un ragionevole periodo di transizione dopo la pubblicazione del decreto, dando alle parti interessate il tempo di formalizzare le loro richieste;
  3. Non è proporzionale in senso stretto, perché il sacrificio imposto ai diritti individuali – l’impossibilità assoluta di esercitare il diritto – è manifestamente eccessivo rispetto ai benefici amministrativi perseguiti.

Nel diritto internazionale, quando ci sono modifiche sostanziali ai regimi di cittadinanza, vengono stabiliti periodi di transizione ragionevoli e proporzionati, considerando l’importanza fondamentale di questo status giuridico. Anche in situazioni estreme, come conflitti territoriali o successioni di Stati, i termini per optare per la cittadinanza sono tipicamente calcolati in mesi o anni, mai in modo retroattivo. Questa tecnica legislativa costituisce un’anomalia giuridica che si scontra con i principi fondamentali dello Stato di diritto e della tutela delle legittime aspettative.

3.4 Eccezioni alla regola generale: insufficienza e arbitrarietà

L’articolo 3-bis stabilisce le eccezioni alla regola dell'”acquisto non retroattivo” della cittadinanza italiana:

  1. a) Richieste amministrative o giudiziarie già formalizzate fino al 27/03/2025;
  2. b) Figli di padre/madre nati in Italia;
  3. c) figli di un genitore che abbia risieduto in Italia per almeno due anni continuativi prima della nascita; d) nipoti di nonni nati in Italia.

Queste eccezioni, pur attenuando l’impatto del provvedimento, sono palesemente insufficienti e arbitrarie. La prima, che si riferisce alle domande già formalizzate prima della pubblicazione del decreto, è efficace solo per coloro che, per coincidenza o preveggenza, avevano già avviato i processi, lasciando senza protezione tutti gli altri che confidavano nella continuità del regime giuridico storico dello jus sanguinis.

Le altre eccezioni stabiliscono criteri esternamente razionali ma internamente arbitrari: non c’è alcuna giustificazione sostanziale per limitare il riconoscimento ai nipoti nati in Italia, ma non ai pronipoti; o per richiedere due anni continuativi di residenza dei genitori, piuttosto che uno o tre. Perché proprio due anni? Perché solo i nipoti e non le altre generazioni? Queste scelte rivelano la natura casistica e politica del decreto.

Dal punto di vista del diritto internazionale, queste distinzioni arbitrarie sono discutibili alla luce del principio di non discriminazione. Stabilendo diverse categorie di discendenti senza una chiara motivazione, il decreto crea un sistema di privilegi ed esclusioni che sarebbe difficile da sostenere sotto lo scrutinio di proporzionalità.

La Commissione di Venezia e la Corte di giustizia dell’Unione europea hanno ripetutamente sottolineato che le distinzioni di trattamento di categorie di cittadini o potenziali cittadini devono essere giustificate da criteri oggettivi e ragionevoli, non da una momentanea convenienza amministrativa.

 

3.5. Restrizioni probatorie come ostacoli procedurali all’efficacia del diritto

L’articolo 2 del decreto modifica il regime probatorio per le azioni di riconoscimento della cittadinanza, stabilendo due gravi restrizioni:

“2-bis. Salvo i casi espressamente previsti dalla legge, nelle controversie in materia di liquidazione della cittadinanza italiana non sono richiesti il giudizio e la prova testimoniale.”

“2-ter. Nelle controversie relative alla liquidazione della cittadinanza italiana, è necessario addurre e provare l’insufficienza delle cause di perdita o di acquisto della cittadinanza previste dalla legge”.

[17]Queste modifiche procedurali rivelano quelli che MICHELE TARUFFO definisce “ostacoli epistemologici alla ricerca della verità processuale”.  Escludendo i mezzi di prova tradizionalmente accettati (testimoni e giuramento) e imponendo al richiedente l’onere di provare fatti negativi (l’inesistenza di cause di perdita della cittadinanza), il decreto crea barriere artificiali al riconoscimento di diritti legittimi.

L’inversione dell’onere della prova, in particolare, è un esempio di “probatio diabolica” – prova diabolica, impossibile o estremamente difficile da produrre. Come si fa a dimostrare che un fatto non esiste? Come si può dimostrare che qualcosa non è accaduto? Questo requisito procedurale viola il principio della parità delle armi nel processo e crea uno squilibrio ingiustificato a favore dello Stato.

Dal punto di vista del diritto processuale internazionale, queste restrizioni probatorie sono particolarmente gravi. L’accesso alla giustizia non è solo un diritto formale di andare in tribunale, ma una garanzia di mezzi procedurali adeguati per realizzare i diritti materiali. [18]Nel contesto specifico della cittadinanza, la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, nei lavori preparatori della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia , ha riconosciuto che requisiti probatori eccessivi in materia di cittadinanza possono equivalere alla negazione del diritto sostanziale stesso.

 

  1. LE MOLTEPLICI INCOSTITUZIONALITÀ DEL DECRETO

4.1. Violazione dei principi costituzionali italiani

Il decreto si scontra con diversi principi fondamentali della Costituzione italiana:

  1. a) Principio di uguaglianza sostanziale e formale (art. 3): [19]Come insegna LUIGI FERRAJOLI , l’uguaglianza costituzionale richiede che le differenziazioni normative siano razionalmente giustificate e proporzionate. Discriminando i discendenti italiani solo in base al luogo di nascita, senza considerare gli effettivi legami culturali e affettivi che possono avere con l’Italia, il decreto stabilisce un criterio di differenziazione arbitrario ed essenzialista.
  2. b) Principio di solidarietà (art. 2): [20]Nell’ermeneutica costituzionale di STEFANO RODOTÀ , la solidarietà è un principio strutturante che permea l’intero sistema giuridico italiano. Una brusca interruzione dei legami con i discendenti degli emigrati storici è in contrasto con la dimensione temporale e intergenerazionale di questo principio, che dovrebbe promuovere legami di solidarietà tra italiani residenti e non residenti.
  3. c) Principio di tutela dell’identità culturale (artt. 6 e 9): [21]Come ha dimostrato ALESSANDRO PIZZORUSSO , l’identità culturale è costituzionalmente protetta nelle sue molteplici manifestazioni. L’italianità della diaspora, con le sue tradizioni, la sua lingua e le sue pratiche culturali, costituisce un patrimonio culturale che lo Stato deve proteggere, non estinguere.

[22]d) Principio di ragionevolezza e proporzionalità: derivato dall’interpretazione sistematica della Costituzione, questo principio, secondo LIVIO PALADIN , richiede che gli interventi che limitano i diritti fondamentali siano appropriati e necessari. Il termine di 24 ore e le restrizioni probatorie del decreto non superano manifestamente questo test.

 

4.2 La collisione con l’ordinamento comunitario

Nella dimensione europea, il decreto solleva questioni alla luce dei principi sviluppati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea:

[23]a) Limite alla discrezionalità degli Stati in materia di cittadinanza: come stabilito nel caso MICHELETTI e perfezionato nel caso ROTTMANN , sebbene gli Stati membri abbiano il potere di definire le norme sulla cittadinanza, tale potere deve essere esercitato in conformità al diritto comunitario. Ciò implica il rispetto dei principi di proporzionalità e di tutela delle legittime aspettative.

[24]b) Principio dell’efficacia del diritto comunitario: secondo JOSEPH WEILER , il diritto comunitario richiede che la sua applicazione non sia resa impossibile da ostacoli procedurali nazionali sproporzionati. Le restrizioni probatorie del decreto potrebbero compromettere l’efficacia della cittadinanza europea come statuto fondamentale.

[25]c) Principio di non discriminazione: per ELEANOR SPAVENTA , la discriminazione basata sulla nazionalità o sulla residenza richiede una giustificazione particolarmente solida nel contesto europeo. La distinzione assoluta tra italiani “residenti” e “non residenti” stabilita dal decreto difficilmente soddisfa questo criterio.

4.3 Il confronto con il diritto internazionale dei diritti umani

Anche a livello internazionale il decreto solleva seri interrogativi:

  1. a) Diritto alla nazionalità: il diritto di avere diritti inizia con l’appartenenza a una comunità politica. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 15) e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici proteggono contro le privazioni arbitrarie della cittadinanza. Pertanto, le misure che revocano retroattivamente i diritti di cittadinanza consolidati si avvicinano pericolosamente a questo divieto.

[26]b) Tutela della famiglia e della vita privata: per ANTONIO CASSESE , il diritto alla vita familiare include il rispetto dei legami identitari e culturali. Interrompendo il riconoscimento giuridico dei legami familiari storici attraverso la cittadinanza, il decreto incide su dimensioni tutelate dal diritto internazionale.

[27]c) Principio del legittimo affidamento: come mostra SERGIO BARTOLE , il principio del legittimo affidamento, riconosciuto dal diritto internazionale, tutela le ragionevoli aspettative basate su prassi statali consolidate. Una brusca rottura con decenni di riconoscimento dello jus sanguinis illimitato violerebbe queste aspettative tutelabili.

 

  1. IL DECRETO COME SINTOMO DI UNA CRISI DI CIVILTÀ

5.1. Cittadinanza tra sangue e suolo: una falsa dicotomia

Il decreto italiano mira a superare il modello dello jus sanguinis illimitato a favore di un modello misto che privilegia i legami territoriali. Tuttavia, questa polarizzazione tra sangue e suolo è una falsa dicotomia che non riesce a cogliere la complessità delle relazioni contemporanee di appartenenza politica.

La posta in gioco è il concetto stesso di democrazia e i suoi limiti: chi costituisce il “demos” legittimo? Chi può far parte della comunità politica? La risposta semplicistica del decreto – solo chi ha un legame territoriale diretto o un’ascendenza molto stretta – ignora la molteplicità delle forme di appartenenza e partecipazione che caratterizzano le democrazie pluraliste contemporanee.

5.2. La crisi dello Stato nazionale e le sue contraddizioni interne

[28]Il decreto rivela, nella sua essenza, quello che ULRICH BECK ha definito “nazionalismo metodologico”: l’ostinazione a pensare alle categorie politiche entro gli stretti limiti dello Stato-nazione tradizionale, anche quando la realtà sociale ha ampiamente trasceso questi limiti.

L’Italia, un Paese formato in gran parte dalla sua diaspora storica, si trova ora a cercare di ritirarsi all’interno dei suoi confini fisici, negando la sua natura transnazionale. Questa tensione tra territorialità e transnazionalità è costitutiva della stessa modernità politica, ma assume contorni particolarmente drammatici nel contesto della globalizzazione contemporanea.

 

  1. FINALMENTE: TRA SPARGIMENTO DI SANGUE E SPERANZA COSTITUZIONALE – STRATEGIE DI RESISTENZA LEGALE

 

Il decreto legge n. 36/2025 non è solo una modifica della legislazione italiana sulla cittadinanza, ma un vero e proprio terremoto giuridico che ha il suo epicentro nel concetto stesso di italianità. Da un lato, risponde alle legittime preoccupazioni per l’espansione potenzialmente illimitata della cittadinanza italiana e per le sue conseguenze sulla gestione amministrativa e sulla sicurezza. Dall’altro, attua questa risposta in modo sproporzionato, arbitrario e potenzialmente incostituzionale.

Per i sostenitori del decreto, siamo di fronte a un necessario “riallineamento” tra cittadinanza formale e appartenenza sostanziale – un tentativo di far coincidere lo status giuridico di cittadino con legami reali e verificabili con la Repubblica italiana. Per i suoi detrattori, siamo di fronte a un “parricidio giuridico”: l’assassinio del principio dello jus sanguinis che, nel bene e nel male, è stato il fondamento storico dell’identità giuridica italiana.

La verità, come sempre, è più complessa di queste polarizzazioni. Ciò che emerge, al di là del dibattito tecnico-giuridico, è una profonda crisi d’identità dello Stato nazionale italiano, che oscilla tra la sua eredità storica di “patria allargata” e le sue aspirazioni contemporanee di “fortezza territoriale”. Questa crisi non si risolverà con decreti di emergenza o finzioni giuridiche, ma richiede un ampio dibattito pubblico sul significato di cittadinanza in tempi di globalizzazione e transnazionalità.

Tuttavia, di fronte alla realtà concreta dell’immediata validità del decreto, è necessario riflettere sulle strategie politico-giuridiche per far fronte ai suoi effetti devastanti. L’orizzonte delle possibilità è complesso e richiede un’attenta analisi.

Inizialmente, l’arena politica è il palcoscenico di questa battaglia. Nei prossimi 60 giorni, il dibattito parlamentare per la conversione del decreto in legge offre una finestra ristretta – ma cruciale – per possibili mitigazioni. Le mobilitazioni sociali e politiche, sia in Italia che tra le comunità della diaspora, potrebbero influenzare i parlamentari a introdurre emendamenti che, se non stravolgono completamente lo spirito del decreto, almeno ne eliminano gli aspetti più pesanti, come la velata retroattività che caratterizza la finzione della “non acquisizione” di un diritto già consolidato. È significativo che anche voci della destra italiana abbiano espresso disagio per alcuni aspetti del decreto, rivelando possibili spaccature nel blocco politico che lo sostiene.

Sarebbe però ingenuo riporre eccessive speranze nel processo legislativo. La storia recente della politica italiana suggerisce che la decretazione d’urgenza, una volta emanata, raramente subisce modifiche sostanziali durante la sua conversione in legge, avverte Nicola COSENTINO in Dialoghi italo-brasiliani. Il Parlamento, costretto dai tempi ristretti e dalla complessità tecnica della materia, tende a ratificare il testo originale con modifiche periferiche. Come direbbe GIORGIO AGAMBEN, stiamo assistendo alla normalizzazione dello stato di eccezione, alla trasformazione delle misure di emergenza in una tecnica ordinaria di governo.

È qui che la Corte Costituzionale italiana emerge come l’arena decisiva per questa disputa giuridico-politica. Una volta che il decreto è stato convertito in legge, si aprono le vie del controllo di costituzionalità, sia in via incidentale (sulla base di casi concreti portati in tribunale) sia in via principale (attraverso un’azione diretta delle regioni italiane che si sentono danneggiate dal provvedimento). La Consulta, come è nota la Corte costituzionale italiana, ha storicamente dimostrato indipendenza e impegno nei confronti dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano, anche in contesti politici avversi.

Nel contesto della giurisdizione costituzionale, sarà necessario articolare non solo argomenti tecnico-giuridici – come la violazione dei principi di certezza del diritto, proporzionalità e tutela del legittimo affidamento – ma anche argomenti storico-istituzionali che dimostrino come il decreto rappresenti una rottura con la stessa identità costituzionale italiana. Come ha insegnato COSTANTINO MORTATI, la costituzione materiale dell’Italia – quell’insieme di valori e principi che modellano l’identità dello Stato italiano al di là del testo formale – comprende il riconoscimento della diaspora storica come parte integrante della comunità politica nazionale.

Allo stesso tempo, il sistema regionale europeo per la protezione dei diritti fondamentali offre ulteriori trincee di resistenza. La Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla base di casi come MICHELETTI e ROTTMANN, ha già posto dei limiti alla discrezionalità dello Stato in materia di cittadinanza, richiedendo che anche le decisioni sovrane in questo campo rispettino i principi fondamentali del diritto comunitario, come la proporzionalità e la tutela del legittimo affidamento. Per coloro che sono stati colpiti dal decreto, una strategia processuale combinata – che combina azioni nella giurisdizione nazionale italiana con un eventuale ricorso alla giurisdizione europea – sembra essere una strada percorribile, anche se lunga e costosa.

Il campo accademico-dottrinale deve prepararsi a un lungo percorso. Non si tratta solo di produrre critiche a breve termine al decreto – pur necessarie per informare il dibattito pubblico immediato – ma di sviluppare una riflessione approfondita sulle trasformazioni contemporanee dell’istituto della cittadinanza nel contesto della globalizzazione e delle diaspore transnazionali. Questa riflessione, necessariamente interdisciplinare, deve articolare il diritto costituzionale con il diritto internazionale, la teoria politica con la sociologia delle migrazioni, la storia istituzionale con la filosofia dell’identità.

I prossimi mesi saranno decisivi in questa disputa sul significato costituzionale della cittadinanza italiana. Come ha ben dimostrato PIETRO COSTA nella sua magistrale storia della cittadinanza, il contenuto di questo istituto non è mai fisso e definitivo, ma frutto di lotte concrete per il riconoscimento e l’appartenenza. L’attuale battaglia per lo jus sanguinis è solo l’ultimo capitolo di questa perenne storia di dispute sul significato della comunità politica.

Per quei milioni di discendenti italiani che vedono ora a rischio il loro legame giuridico con la terra ancestrale, resta la speranza che, dopo la necessaria maturazione del confronto politico-giuridico, la solida tradizione costituzionale italiana ed europea prevalga sull’opportunismo politico del momento.

Che il sangue italiano – metafora di un legame che trascende confini e generazioni – non venga versato sull’altare del nazionalismo territoriale. Che la promessa costituzionale di un’Italia plurale, solidale e aperta al mondo non venga sacrificata da un decreto che, nella sua fretta e sproporzione, tradisce lo spirito stesso della Costituzione che avrebbe dovuto proteggere e l’eredità manciniana che per tanto tempo ha definito l’identità giuridica dell’Italia come comunità che trascende i confini geografici e temporali.

 

RIFERIMENTI

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BARTOLE, Sergio. Costituzionalismo internazionale e condizionalità: l’esperienza della Commissione di Venezia. Rivista AIC, n. 4, 2014.

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[1] Dottore in Diritto Internazionale presso la Universidad Católica de Santa Fe, Master in Diritto Internazionale presso l’Universidade Metodista de Piracicaba, Professore presso il PPGD della PUC Minas, Consigliere della Società Brasiliana di Diritto Internazionale, Segretario Generale della Commissione di Stato per il Commercio Estero dell’OABSP, membro della Commissione di Stato per il Diritto Internazionale dell’OABSP e membro della Commissione di Stato per le Relazioni Internazionali e l’Integrazione del Mercosur dell’OABRS. Avvocato in Brasile e Portogallo. Email: rui.badaro@lawby.com.br

[2][2] Pasquale Mancini ha stabilito la nazionalità come principio fondante del diritto internazionale, opponendosi alle teorie che privilegiavano lo Stato come soggetto primario. Mancini sostiene che la nazione, definita da elementi quali il territorio, la razza, la lingua, i costumi, la storia e, soprattutto, dalla coscienza collettiva di appartenenza (l’elemento psicologico o “coscienza della nazionalità”), costituisce l’unità naturale e legittima dell’organizzazione umana. Egli sostiene che il principio di nazionalità dovrebbe essere il fondamento del diritto internazionale moderno, sostituendo le concezioni puramente territoriali o statali. Per quanto riguarda la cittadinanza, Mancini fornisce le basi teoriche del principio dello jus sanguinis, sostenendo che i legami nazionali trascendono i confini geografici e persistono attraverso le generazioni, in quanto riflettono un’identità culturale collettiva che la legge deve riconoscere e proteggere. Questo concetto ha influenzato profondamente la legislazione italiana sulla cittadinanza e ha segnato il diritto internazionale del XIX secolo.

[3] MANCINI, Pasquale Stanislao. Diritto internazionale. Prelezioni con un Saggio sul Machiavelli. Napoli: Giuseppe Marghieri, 1873

[4] In “Self-determination of peoples: A legal reappraisal” (Cambridge University Press, 1995), Cassese analizza gli obblighi giuridici degli Stati nei confronti delle loro popolazioni transnazionali. La sua discussione sulla “continua autodeterminazione esterna” (pp. 125-130) dimostra l’esistenza di un patto tacito tra gli Stati e le loro diaspore. Cassese critica l'”eccessiva territorializzazione del diritto internazionale” (pp. 348-354) e difende le “legittime aspettative protette” contro i cambiamenti unilaterali dei regimi di nazionalità (pp. 235-240). Questi concetti sostengono la caratterizzazione del decreto italiano come una rottura unilaterale con la comunità transnazionale italiana storicamente formata dal principio dello jus sanguinis.Cf CASSESE, Antonio. Self-determination of peoples: A legal reappraisal. Cambridge: Cambridge University Press, 1995.

[5] MANCINI, Pasquale Stanislao. Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti. Torino: Tipografia Eredi Botta, 1851.

[6] GADAMER, Hans-Georg. Verità e metodo: tratti fondamentali di un’ermeneutica filosofica. 10a ed. Petrópolis: Vozes, 2008, p. 354-385.

[7] ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica). Indicatori demografici: stime per l’anno 2023. Roma: ISTAT, 3 aprile 2024.

[8] BROWN, Wendy. In the Ruins of Neoliberalism: The Rise of Antidemocratic Politics in the West. New York: Columbia University Press, 2019, p. 137-142.

[9] BAUMAN, Zygmunt. Modernità liquida. Rio de Janeiro: Zahar, 2001, pagg. 43-49.

[10] GOODWIN-GILL, Guy S. International Law and the Movement of Persons Between States. Oxford: Clarendon Press, 1978, p. 201-208.

[11] HABERMAS, Jürgen. Diritto e democrazia: tra fatticità e validità. Vol. I. Rio de Janeiro: Tempo Brasileiro, 1997, p. 190-193.

[12] BROWNLIE, Ian. Principi di diritto internazionale pubblico. 7a ed. Oxford: Oxford University Press, 2008, pagg. 382-390.

[13] CASSESE, Antonio. Diritto internazionale in un mondo diviso. Oxford: Clarendon Press, 1986, p. 124-128.

[14] KELSEN, Hans. Teoria pura del diritto. 8a ed. São Paulo: Martins Fontes, 2009, p. 215-219.

[15] LAUTERPACHT, Hersch. Lo sviluppo del diritto internazionale da parte della Corte internazionale. Cambridge: Cambridge University Press, 1982, pagg. 173-176.

[16] ALEXY, Robert. Teoria dei diritti fondamentali. 2a ed. San Paolo: Malheiros, 2014.

[17] TARUFFO, Michele. La prova dei fatti giuridici: nozioni generali. Milano: Giuffrè, 1992, p. 318-324.

[18] NAZIONI UNITE. Commissione di diritto internazionale. Annuario della Commissione di diritto internazionale, 1954, vol. II, pagg. 67-69.

[19] FERRAJOLI, Luigi. Diritto e ragione: la teoria del garantismo penale. 4° ed. São Paulo: Revista dos Tribunais, 2014, p. 804-811.

[20] RODOTÀ, Stefano. Solidarietà: Un’utopia necessaria. Roma: Laterza, 2014, p. 45-52.

[21] PIZZORUSSO, Alessandro. Minoranze e maggioranze. Torino: Einaudi, 1993, p. 108-112.

[22] PALADIN, Livio. Il principio costituzionale d’eguaglianza. Milano: Giuffrè, 1965, p. 187-192.

[23] In questo storico precedente, la Corte ha stabilito che, sebbene la determinazione delle condizioni per l’acquisizione e la perdita della cittadinanza sia di competenza di ciascuno Stato membro, essa deve essere esercitata in conformità al diritto dell’UE. Il caso riguardava un cittadino italo-argentino (con doppia cittadinanza) a cui le autorità spagnole avevano negato il riconoscimento dei diritti derivanti dalla cittadinanza europea, sulla base della legislazione spagnola che considerava prevalente la cittadinanza del Paese di residenza abituale. La Corte ha stabilito che uno Stato membro non può limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza da parte di un altro Stato membro imponendo condizioni aggiuntive per il riconoscimento della cittadinanza in vista dell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato. Questa sentenza ha stabilito un importante limite alla discrezionalità degli Stati in materia di cittadinanza, quando questa incide sui diritti derivanti dalla cittadinanza europea. Causa C-369/90, Mario Vicente Micheletti e altri contro Delegación del Gobierno en Cantabria, giudicata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea il 7 luglio 1992.

[24] WEILER, Joseph H. H. The Constitution of Europe: “Do the New Clothes Have an Emperor?” and Other Essays on European Integration. Cambridge: Cambridge University Press, 1999, pagg. 324-335.

[25] SPAVENTA, Eleonora. La cittadinanza nell’ordinamento giuridico europeo: ideali, sviluppi e sfide. In: CRAIG, P.; DE BÚRCA, G. (Eds.). The Evolution of EU Law. 2a ed. Oxford: Oxford University Press, 2011, p. 357-362.

[26] CASSESE, Antonio. I diritti umani nel mondo contemporaneo. Roma-Bari: Laterza, 1998, p. 87-93.

[27] BARTOLE, Sergio. Costituzionalismo internazionale e condizionalità: l’esperienza della Commissione di Venezia. Rivista AIC, n. 4, 2014, p. 6-8.

[28] BECK, Ulrich. La visione cosmopolita. Cambridge: Polity Press, 2006, p. 24-32.

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