di Clemente Forte – Presidente di Sezione onorario della Corte dei conti, e Marco Pieroni – Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte
Sommario: 1. L’“antefatto” dell’ordinanza di rimessione della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Umbria in sede di giudizio di parificazione del rendiconto 2023: la sentenza n. 224/2023 della Corte costituzionale; 2. Le questioni sottoposte all’esame della Corte costituzionale vagliate nella sentenza n. 224 del 2023; 3. I tre profili preliminari della sentenza n. 224 del 2023 della Corte costituzionale; 4. La sentenza n. 224 del 2023: l’analisi nel merito; 5. I riflessi giuridici e contabili della pronuncia di incostituzionalità in sede di parificazione sugli esercizi pregressi: il precedente di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 4 del 2020; 6.L’onere finanziario: inscindibilità dei profili di competenza e di cassa.
1. L’“antefatto” dell’ordinanza di rimessione della Sezione di controllo della Corte dei conti per la Regione Umbria in sede di giudizio di parificazione del rendiconto 2023: la sentenza n. 224/2023 della Corte costituzionale.
Con l’ordinanza del 15 gennaio 2025 della Corte dei conti nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Umbria per l’esercizio finanziario 2023 (Atto di promovimento 15 gennaio 2025, n. 31) la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti dell’Umbria ha sollevato questione di legittimità costituzionale. Nelle parole dell’ordinanza, “si prospetta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» – tra i quali è da annoverarsi il diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 Cost. – «che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», anch’essa, peraltro, da correlarsi alle disposizioni del decreto legislativo n. 118/2011, in particolare l’art. 20, che, attraverso regole di trasparenza, esprimono e impongono un vincolo tra risorse e finalità da perseguire quale modalità contabile finalizzata alla effettività del finanziamento ed alla conseguente garanzia dei LEA; la destinazione a generico favore del funzionamento dell’A.R.P.A. di risorse del perimetro sanitario è, in ultima analisi, suscettibile di pregiudicare l’effettiva erogazione dei LEA, minando la stessa tutela del diritto alla salute (fondamentale, come di recente ribadito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 195/2024), distraendo ad altri fini risorse destinate alla sua garanzia. Si ritiene, poi, concretizzata la violazione degli articoli 81, 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost, posti a garanzia dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità della spesa, dato l’ampliamente della capacità di spesa ordinaria, che deriva dall’aver destinato risorse riservate ai LEA a finalità estranee al perimetro, che la regione avrebbe dovuto soddisfare attraverso risorse ordinarie di bilancio” (punto 10 del Considerato in diritto).
Quanto più precipuamente ai profili di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e) e m), Cost., la Sezione rimettente recepisce in modo pedissequo il ragionamento sotteso alla sentenza n. 1 del 2024 della Corte costituzionale (peraltro, richiamata dell’ordinanza di rimessione), secondo cui le disposizioni regionali di cui all’art. 16, comma 1, della legge reginale Umbria n. 9 del 1998, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla legge della medesima Regione n. 12 del 2024 nonché l’art. 1 della l.r. Umbria n. 18 del 2022, confliggerebbero con la norma interposta di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011.
Senza entrare nel merito delle questioni prospettate dalla Sezione regionale rimettente, segnatamente per i riflessi dell’eventuale pronuncia di caducazione delle disposizioni regionali con riferimento agli esercizi pregressi al 2023, per i quali la Sezione regionale aveva parificato il rendiconto regionale, e cioè per egli esercizi dal 1998 al 2022, il richiamo, nell’ordinanza, della citata sentenza n. 224 del 2023 costituisce l’occasione per una riflessione in ordine alla medesima sentenza della Corte costituzionale.
2. Le questioni sottoposte all’esame della Corte costituzionale vagliate nella sentenza n. 224 del 2023.
2.1. Con la sentenza n. 224 del 2023, la Corte costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: – dell’art. 43, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui non prevede che l’utilizzo delle risorse agli stessi enti attribuibili a valere sul fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all’art. 243-ter del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, deve avvenire solo a titolo di cassa; – dell’art. 43, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, nella parte in cui non prevede che è garantita idonea iscrizione nel fondo anticipazione di liquidità di una somma di importo pari alle anticipazioni di liquidità incassate nell’esercizio e non restituite, non impegnabile e pagabile, destinato a confluire nel risultato di amministrazione, come quota accantonata.
2.2. Le questioni, sollevate dalla Corte dei conti, nella sede del controllo, in occasione del giudizio sul piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PRFP) e sullo stato degli equilibri economico-finanziari di un Comune, avevano per oggetto: a) l’art. 43 citato; b) l’art. 53, comma 4, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126.
Entrambi gli articoli venivano ritenuti in contrasto con i seguenti parametri: artt. “81, commi terzo e sesto, 97, primo comma e 119, commi primo e settimo, della Costituzione, quest’ultimo [recte, art. 81, sesto comma, Cost.] in relazione all’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1”.
Infatti, secondo il rimettente il Comune, sottoposto al controllo della Corte dei conti, trovandosi in PRFP, avrebbe impiegato risorse ottenute dal fondo di rotazione a titolo di copertura di nuove spese, ai sensi dell’art. 43 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, con un automatico miglioramento del saldo di parte disponibile, senza alcuna posta di neutralizzazione, considerando tali erogazioni alla stregua di un mutuo.
In particolare, secondo la rimettente Sezione di controllo della Corte dei conti, né i residui passivi, né i fondi accantonati e destinati agli investimenti del risultato di amministrazione recavano per intero l’importo del fondo ancora da restituire; in tal modo, il Comune avrebbe così coperto i debiti fuori bilancio e, contemporaneamente, avrebbe beneficiato del miglioramento del risultato di amministrazione.
In sostanza, la rimettente Sezione regionale di controllo del Lazio lamentava che il comma 1 dell’art. 43 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, avrebbe introdotto, illegittimamente, la facoltà di impiegare il fondo di rotazione come risorsa di copertura, espressamente prevedendo l’utilizzo delle relative risorse tra le misure di cui alla lettera c) del comma 6 dell’art. 243-bis t.u. enti locali, necessarie per il ripiano del disavanzo di amministrazione e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.
Il successivo comma 2 veniva censurato perché, da un punto di vista contabile, si veniva ad interrompere il collegamento tra erogazione e obbligo di restituzione, imponendo di registrare i due flussi finanziari, in entrata e in spesa, come due trasferimenti tra loro non comunicanti.
2.3. La medesima questione è stata sollevata con riferimento all’art. 53, comma 4, del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, poiché tale disposizione avrebbe attribuito valenza legislativa al principio contabile applicato di cui al paragrafo 3.20-bis dell’Allegato 4/2 al d.lgs. n. 118 del 2011 che, a sua volta, riproducendo i contenuti dell’art. 43 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, «lo intrepreta nel senso che esso autorizza l’utilizzabilità del fondo a scopo di copertura. […] Il doppio richiamo normativo, quindi, espone l’art. 53, comma 4, agli stessi vizi di incostituzionalità delle norme richiamate».
2.4. La doglianza muoveva dall’assunto che le disposizioni censurate (art. 43, commi 1 e 2, cit.), autorizzando l’indebitamento per finanziare spese pregresse, diverse da investimenti, avrebbero violato l’art. 119, settimo comma, Cost. in quanto l’utilizzo di tali risorse per la copertura delle passività pregresse si sarebbe posta in contrasto con la regola aurea ai sensi della quale gli indebitamenti sono consentiti solo a fini di investimento.
La violazione del principio della necessaria copertura, a sua volta, determinerebbe la violazione del principio dell’equilibrio di bilancio, di cui agli artt. 97, primo comma, e 119, primo comma, Cost., posto che copertura ed equilibrio costituirebbero «due “facce della stessa medaglia”».
3. Tre profili preliminari della sentenza n. 224 del 2023 della Corte costituzionale.
3.1. Prima di passare all’esame nel merito della pronuncia vanno evidenziati tre profili: a) quello dell’impossibilità di attribuire alla norma (art. 43 cit.) un’interpretazione costituzionalmente orientata; b) quello dell’inammissibilità della questione riguardante il citato art. 53; c) quello dell’assorbimento della questione riferita all’art. 81, sesto comma, in relazione all’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1.
3.2. Quanto al primo profilo, nella parte motiva, la Corte omette di dare conto di ciò che aveva rilevato nella parte in fatto, che cioè, come ammesso dallo stesso rimettente (punto dell’ordinanza di rimessione n. 4.6.1.), della norma oggetto di scrutinio risultano interpretazioni non univoche nella giurisprudenza della Corte dei conti[1], nel senso cioè che alcune di tali pronunce esprimono un orientamento verso la qualificabilità della norma in questione non nel senso di prevedere un’ “anticipazione di liquidità”, ma una “norma di copertura” per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali (sent. n. 224, punto 4 del diritto).
In sostanza, il rimettente, sulla premessa del contrasto giurisprudenziale nell’ambito delle pronunce della Corte dei conti, anziché richiedere l’intervento nomofilattico della Corte dei conti, ha sollevato comunque la questione alla Corte costituzionale, che, a sua volta, messa al corrente del disallineamento giurisprudenziale, ha superato, senza lasciare traccia nella motivazione della sentenza in esame, il dubbio ermeneutico formulato nell’ordinanza di rimessione ritenendo implicitamente che la previsione di cui al citato art. 43 (che prevede la possibilità di attingimento da un Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, con copertura a debito da parte dello Stato, come noto, non sottoposto alla golden rule di cui all’art. 119, settimo comma, Cost.) fosse certamente da qualificare quale “anticipazione di liquidità”.
3.3. Quanto al secondo profilo, la sentenza, pur nelle aporie motivazionali che verranno subito evidenziate, getta dubbi di legittimità costituzionale sia sull’art. 53, comma 4, citato (per la cui questione la Corte ha ritenuto l’inammissibilità per non rilevanza nel giudizio principale), sia sull’art. 1, comma 960, della legge n. 145/2018, in quanto si tratterebbe di norme che presentano tenore analogo a quello dell’art. 43, dichiarato incostituzionale.
Va anche qui evidenziato, quanto all’art. 1, comma 960, della legge n. 145/2018, come il giudice rimettente non ne abbia inteso sollevare questione di costituzionalità, nonostante il Comune si fosse avvalso della richiesta di anticipo al fondo di rotazione (sentenza in titolo, punto 1, della parte in fatto).
3.4. Quanto al terzo profilo, la questione, per come sollevata, non poteva dirsi tecnicamente assorbibile, in quanto il rimettente poneva il dubbio della sussistenza di una riserva di legge rinforzata su ambiti materiali, disciplinati, invece, senza le garanzie rafforzate previste dall’art. 81, sesto comma, Cost., con conseguente illegittima invasione di competenza da parte del legislatore di cui al d.l. n. 133 del 2014. La doglianza andava dunque esaminata nel merito.
4. La sentenza n. 224 del 2023: l’analisi nel merito.
4.1. Passando all’esame della soluzione adottata dalla Corte costituzionale si evidenziano le seguenti criticità:
- la sicura qualificabilità, da parte della Corte costituzionale, dell’attingimento dal Fondo di rotazione di cui all’art. 43 quale anticipazione di liquidità e non come modalità di copertura con fondi dello Stato per garantire la stabilità finanziaria degli enti;
- la asserita violazione dell’art. 119, settimo comma, Cost. che prevede la c.d. regola aurea del divieto di indebitamento degli enti locali se non per finalità di investimento;
- la asserita violazione dei parametri 81, terzo comma, Cost. e 97, primo comma, quale conseguenza della violazione della predetta regola aurea;
- una possibile divaricazione tra dispositivo e parte motiva;
- la difficoltosa comprensione della reale portata e, conseguentemente, degli effetti giuridici del dispositivo;
- la mancata considerazione della ricaduta della pronuncia sull’impostazione prospettica dei bilanci dell’ente (nonché, per conseguenza, di tutti quelli interessati).
Si forniscono qui alcune brevi giustificazioni circa le evidenziate criticità della sentenza, ancorché tali da involgere ampie considerazioni su alcuni passaggi-chiave della nostra architettura costituzionale in materia di contabilità pubblica.
4.2. In riferimento al punto a) (la sicura qualificabilità, da parte della Corte costituzionale, dell’attingimento dal Fondo di rotazione di cui all’art. 43 quale anticipazione di liquidità e non come modalità di copertura con fondi dello Stato per garantire la stabilità finanziaria degli enti), nella sentenza in esame, in considerazione della ratio del Fondo di rotazione in questione, che costituisce un fondo di copertura per le spese di rimborso debiti degli enti locali destinatari, manca una motivazione circa l’equiparazione degli attingimenti dal Fondo al ricorso all’istituto delle anticipazioni di liquidità. Ciò tanto più che la disponibilità del Fondo di rotazione trova copertura nella legge statale che ne ha previsto l’istituzione a vantaggio degli enti territoriali che ne facciano richiesta a fini di stabilità finanziaria, con obbligo di restituzione, e, d’altro canto, la possibilità di ricorrere all’anticipazione deve essere prevista da una legge, il che non accade nella fattispecie esaminata.
4.3. In riferimento al punto b) (la asserita violazione dell’art. 119, settimo comma, Cost. che prevede la c.d. regola aurea del divieto di indebitamento degli enti locali se non per finalità di investimento), la violazione di tale regola per la restituzione di fondi statali da attingimento dall’apposito Fondo di rotazione mostra, a sua volta, incertezze motivazionali. Come già rilevato, anzitutto il fondo è istituito da una legge dello Stato ed è iscritto nel bilancio dello Stato, per cui non è chiaro il motivo per cui si evoca l’art. 119, settimo comma, Cost., relativo agli enti locali. Inoltre, anche la restituzione delle anticipazioni di liquidità può dare luogo ad indebitamento da parte dell’ente che ne abbia beneficiato[2] [3]. Va aggiunto poi che, ove mai fosse stato richiamato, dalla normativa di riferimento (il che non è avvenuto), l’istituto dell’anticipazione di liquidità, l’assunto della Corte, nel senso di un’interpretazione in tale direzione, avrebbe posto il problema della violazione dell’art. 81, terzo comma, proprio per la sussistenza di una correlazione diretta tra utilizzo dell’anticipazione ed aggravio del fabbisogno del settore statale, a causa del correlato incremento della spesa per interessi.
4.4. In riferimento alla lettera c) (la asserita violazione dei parametri 81, terzo comma, Cost. e 97, primo comma, quale conseguenza della violazione della predetta regola aurea), lascia, poi, adito a dubbi la stretta ricaduta della (ritenuta) violazione dell’art. 119, settimo comma, Cost., in specie, sull’art. 81, terzo comma, Cost.; ciò in quanto non risulta chiara la ragione per quale la presunta violazione della regola aurea di cui al citato art. 119, settimo comma, da parte dell’ente locale determinerebbe, in sé, la violazione del parametro di cui all’art. 81, terzo comma, Cost., dato che la copertura a debito è consentita per lo Stato – come è noto, svincolato dal disposto di cui all’art. 119, settimo comma, Cost. – al verificarsi delle condizioni previste dall’ordinamento europeo ed interno (in quest’ultimo caso di cui all’art. 81, secondo comma, Cost.). Nella logica della sentenza di assimila dunque lo Stato agli enti locali, anziché, per i profili interessati, procedere in senso contrario.
4.5. In riferimento alla lettera d) (una possibile divaricazione tra dispositivo e parte motiva), il dispositivo della sentenza n. 224 non sembra, poi, risultare completamente coerente con la motivazione. Infatti, questo intervento della Corte costituzionale ha carattere meramente additivo e non demolitorio dell’art. 43, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, lasciando permanere nell’ordinamento la possibilità di attingere, da parte degli enti, al Fondo di rotazione per il finanziamento di debiti fuori bilancio, ma per “cassa”.
Quanto poi all’affermazione secondo cui gli enti territoriali in difficoltà finanziaria possono, ora, attingere dal Fondo solo “per cassa”, non sembrerebbe che il valore additivo della sentenza, per come formulato, apporti una sostanziale modifica della norma rimasta in vigore con l’addizione sopra riportata, in quanto anche prima della sentenza della Corte gli enti potevano attingere anche “per cassa”, oltre che per competenza. Di seguito si svolgerà qualche considerazione ulteriore al riguardo.
In realtà, la ratio decidendi della pronuncia è individuabile nell’affermazione che “le anticipazioni di liquidità non possono essere impiegate per risanare bilanci strutturalmente in perdita (sentenza n. 4 del 2020), ma esclusivamente a titolo di cassa, per pagare debiti pregressi già inscritti in bilancio con le rispettive coperture e il cui mancato pagamento dipende unicamente da sfasature temporali tra la cassa e la competenza” (punto 5.2. del diritto).
Sicché, maggiore coerenza della motivazione con il dispositivo della sentenza avrebbe consigliato una caducazione integrale della norma oppure una sua esplicita riformulazione in termini di anticipazione di cassa, ove possibile. Solo in questo modo si sarebbe raggiunto l’obiettivo espresso nella parte motiva della sentenza in esame, che cioè gli enti non possono fare impiego delle risorse attinte dal Fondo di rotazione se non per obbligazioni già giuridicamente perfezionate evitando surrettizi miglioramenti del disavanzo di amministrazione[4], preoccupazione, peraltro, infondata dal momento che il fondo ha una sola finalità.
4.6. In riferimento al punto e) (difficoltosa comprensione della reale portata e conseguentemente degli effetti giuridici del dispositivo), da quanto illustrato al par. 6.4 consegue – tra l’altro – che non è chiaro quale sia l’effetto giuridico della sentenza, almeno per i punti 1) e 2) del dispositivo, anche ad ammettere che la norma in discussione avesse una valenza solo in termini di competenza, come sembrerebbe dedursi dal punto 1) del dispositivo medesimo (i cui effetti si riverberano peraltro anche sul punto 2), atteso il collegamento tra i due commi. Peraltro, venendo così al punto f) (la mancata considerazione della ricaduta della pronuncia sull’impostazione prospettica dei bilanci dell’ente), tale incertezza sugli effetti della sentenza mostra un proprio carattere dirompente sull’attività dei comuni, i quali si trovino ad essere interessati dalla pronuncia, in un contesto in cui non risultano chiari gli effetti giuridici di quest’ultima.
5. I riflessi giuridici e contabili della pronuncia di incostituzionalità in sede di parificazione sugli esercizi pregressi: il precedente di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 4 del 2020.
5.1. Da ultimo, merita un rilievo il paragrafo finale del punto 6 del Considerato in diritto, che testualmente fa presente che, “conformemente a quanto già affermato da questa Corte nella sentenza n. 4 del 2020, si deve ribadire che in un simile contesto non è necessario che l’amministrazione riapprovi, risalendo all’indietro, i bilanci antecedenti alla presente pronuncia, «essendo sufficiente che siano ridefinite correttamente tutte le espressioni finanziarie patologiche prodottesi nel tempo, applicando a ciascuna di esse i rimedi giuridici consentiti nel periodo di riferimento, in modo da ricalcolare il risultato di amministrazione secondo i canoni di legge. […]. Tenuto conto dell’accentuata mutevolezza del “tempo finanziario” che determina continue sopravvenienze di natura fattuale e normativa, è proprio il rispetto del principio dell’equilibrio dinamico ad assicurare la bilanciata congiunzione tra il principio di legalità costituzionale dei conti e l’esigenza di un graduale risanamento del deficit, coerente con l’esigenza di mantenere il livello essenziale delle prestazioni sociali durante l’intero periodo di risanamento».
Si tratta di un punto metodologico di estrema rilevanza, perché mette a fuoco uno dei tratti caratteristici della giurisprudenza costituzionale circa gli effetti delle proprie decisioni nella materia finanziaria riguardante gli enti territoriali.
Va premesso che, a conclusione del paragrafo immediatamente precedente (secondo capoverso del punto 6 del diritto), si afferma che, “fermo restando che non è comunque consentita alcuna utilizzazione delle anticipazioni di liquidità per modificare il risultato di amministrazione, va precisato che la presente pronuncia produce un’efficacia immediatamente vincolante per la nuova definizione del disavanzo e conseguentemente impone l’adozione di adeguate correzioni atte a porvi rimedio”. Il che significa che correttamente gli effetti della sentenza sono solo prospettici, tralasciando però, così, la non secondaria questione delle modalità con cui un ente territoriale possa sistemare in maniera “immediatamente vincolante” il venir meno, con riferimento a bilanci pregressi, di alcuni istituti su cui era stata fondata la serie di decisioni finanziarie assunte del passato. È questo uno dei tratti caratteristici, infatti, della giurisprudenza costituzionale in tali materie, non avere riguardo, cioè, a quella necessaria gradualità atta a rendere il recepimento delle sentenze non traumatico e ragionevolmente sostenibile per l’ente interessato.
In coerenza con l’“efficacia immediatamente vincolante” ai fini del nuovo disavanzo a seguito della sentenza, viene poi richiamato, nella pronuncia in titolo, il risalente principio di cui all’ultimo capoverso prima riprodotto integralmente, sulla cui logica conviene qui brevemente focalizzare l’attenzione. In sostanza, se correttamente intesa, la giurisprudenza della Corte prescrive contestualmente, da un lato, che occorre immediatamente provvedere all’esecuzione della sentenza, ma che non è necessario però riapprovare, “risalendo all’indietro, i bilanci antecedenti alla presente pronuncia”, essendo “sufficiente che siano ridefinite correttamente tutte le espressioni finanziarie patologiche prodottesi nel tempo, applicando a ciascuna di esse i rimedi giuridici consentiti nel periodo di riferimento, in modo da ricalcolare il risultato di amministrazione secondo i canoni di legge”.
5.2. Va valutata dunque quest’ultima affermazione, a prescindere dalla coerenza o meno tra le due statuizioni. Essa sembrerebbe significare che bisogna rivedere le decisioni pregresse, come sarebbe logico attendersi dal periodo precedente e prima riportato (“immediata efficacia vincolante”), ma che ciò non è necessario però (“anche senza riapprovare i bilanci pregressi”), essendo sufficiente che vengano “ridefinite correttamente tutte le espressioni finanziarie patologiche prodottesi nel tempo, applicando a ciascuna di esse i rimedi giuridici consentiti nel periodo di riferimento, in modo da ricalcolare il risultato di amministrazione secondo i canoni di legge”.
A questo punto si pone l’interrogativo delle modalità con cui aggiustare tutte le poste dei bilanci pregressi considerate patologiche nel loro prodursi nel tempo senza che ne risultino modificati conseguenzialmente i relativi risultati di bilancio e se questa attività di revisione non implichi – necessariamente – una nuova approvazione degli stessi, non essendo chiari, tra l’altro, né come procedere ex tunc né l’organo deputato a siffatta revisione senza che ciò si eviti una nuova deliberazione. In altre parole, ci si chiede come si fa a non modificare i bilanci pregressi, dovendosi limitare ad aggiustare le relative poste rivelatesi ex post illegittime, e chi dovrebbe legittimamente procedere in tal senso se non l’organo che ha deliberato i bilanci, con la ovvia conseguenza che in tal modo li riapprova, ciò che invece è escluso dalla pronuncia. Stupisce, insomma, la mancata percezione del fatto che un bilancio pubblico costituisce la raffigurazione contabile di una serie infinita di fatti, atti e decisioni, modificando anche uno dei quali viene irrimediabilmente a modificarsi anche il totale per un mero fatto aritmetico.
5.3. Anche il riferimento alle “espressioni finanziarie patologiche prodottesi nel tempo” costituisce poi un passaggio tra i più rilevanti e carico di conseguenze. Viene ad evidenziarsi in tal modo una visione fluttuante e in qualche modo in progress dei fenomeni finanziari pubblici, quale trova una consacrazione nell’ultimo periodo della citata sentenza n. 4 del 2020, richiamato nella sentenza n. 224 in titolo al riportato, ultimo capoverso del punto 6. A suggello della citata visione mutevole ed instabile dei bilanci nel corso del tempo viene infatti soggiunto, a mo’ di conclusione, che, “tenuto conto dell’accentuata mutevolezza del ‘tempo finanziario’ che determina continue sopravvenienze di natura fattuale e normativa, è proprio il rispetto del principio dell’equilibrio dinamico ad assicurare la bilanciata congiunzione tra il principio di legalità costituzionale dei conti e l’esigenza di un graduale risanamento del deficit, coerente con l’esigenza di mantenere il livello essenziale delle prestazioni sociali durante l’intero periodo di risanamento”. Bisogna ora focalizzare, dunque, l’attenzione su questo ulteriore dictum.
Si suggella così anzitutto il concetto di “tempo finanziario”, che non viene però definito e che, dunque, si può prestare a notevoli interpretazioni. Quale che sia il modo di procedere per dare un senso a tale concetto, non può essere dimenticato però che i fatti finanziari sia pubblici che privati debbono rispettare scadenze dettate dall’ordinamento e non rappresentano un quidche si va conformando nel tempo in talora informe, talaltra proteiforme. Nonostante la vaghezza del concetto, nella sentenza se ne trae però la conseguenza che tale “tempo finanziario” “determina continue sopravvenienze di natura fattuale e normativa”. Nella visione della Corte costituzionale i bilanci, anche pregressi, rappresentano dunque riquadri contabili che si modificano continuamente e che potrebbero non risultare mai chiusi, di conseguenza, anche quando essi siano stati definiti con una risalente legge che ne approva il rendiconto.
Si tratta di un principio, se questa è l’interpretazione, dalla portata che si può intuire essere difficilmente inquadrabile all’interno di una finanza pubblica ordinata e che proceda per cicli successivi, laddove quelli che man mano sopravvengono si innestano sulla base di quelli precedenti e formalmente certificati. La certezza dei fenomeni finanziari non sembra rappresentare una preoccupazione, invece, e l’ordinamento non ha certezze in tal modo, neanche per fatti pregressi. Se ne potrebbe dedurre, anzi, sul piano letterale, la possibilità di ritornare ad infinitum su decisioni già assunte e conchiuse, rimettendo peraltro così in continua discussione anche i bilanci successivi, pur se già approvati in sede o preventiva o successiva o per entrambi i versi.
5.4. A questo punto interviene, nella richiamata sentenza n. 4 del 2020, un altro concetto, ossia quello dell’“equilibrio dinamico”, che, se riferito all’ottica di medio periodo del Patto di stabilità e crescita, può avere un senso, ma che, se invece collegato al descritto percorso finanziario dell’ente pubblico immaginato in continua evoluzione anche in riferimento a bilanci pregressi e chiusi, rischia di confermare la illustrata visione fluttuante e mai definita dei fenomeni finanziari dell’ente territoriale.
Ma all’interno di questa visione polimorfa e caleidoscopica dei bilanci – come per altri aspetti, peraltro – non sembra vengano in rilievo profili di assoluta delicatezza, come gli eventuali aspetti civilisti dei bilanci pubblici ed in particolare (ma non solo) quelli nascenti dalla sopraggiunta illegittimità di tali bilanci. Argomento, questo, poco affrontato sia dalla dottrina che dalla giurisdizione di contabilità pubblica di ogni ordine e grado. Sia consentita qui solo un’istantanea su questo tema di enorme rilevanza, su cui occorrerà prima o poi ritornare.
Se tutto scorre e nulla è definito e se sopraggiungono pronunciamenti in sede giurisdizionale di illegittimità di bilanci pregressi, come si desume per es., da ultimo, dalle due recenti sentenze n. 39 e 58 della Corte costituzionale, prima o poi non potrà non essere considerato (oltre alle conseguenze dell’immediato aggiustamento degli effetti di tali pronunce, come prima rilevato) soprattutto l’effetto giuridico del vuoto nell’ordinamento quale si determina per l’assenza dei bilanci per alcuni esercizi. Escludendo, infatti, che questi ultimi possano essere riapprovati in forma modificata (non essendo tra l’altro chiari i relativi parametri), nel qual caso comunque si modificherebbe tutta la sequenza dei bilanci successivi, compreso quello in corso di gestione alla data di entrata in vigore della sentenza, forse è arrivato il momento di mettere a fuoco gli effetti che si possono ipotizzare nel rapporto tra debitori e creditori dell’ente pubblico interessato a seguito della sopravvenuta assenza di bilanci per uno ovvero alcuni anni. Il che rileva non solo per l’incertezza in cui vanno ad essere collocate retroattivamente le situazioni giuridiche degli interessati che abbiano avuto rapporti creditori e debitori con l’ente, ma anche per le conseguenti tutele giurisdizionali che l’ordinamento prevede per ciascuna fattispecie. Forse si avvicina dunque il momento in cui si dovrebbe iniziare a riflettere sul fatto che il bilancio di un ente locale (così come, ovviamente, dello Stato), in quanto punto di equilibrio tra il dare e l’avere nei confronti della collettività, costituisce il titolo giuridico per rapporti anche civilistici in termini di crediti e di debiti nel rapporto tra ente e terzi, per cui la sua assenza, anche per anni lontani nel tempo, può rischiare di innescare effetti giuridicamente rilevanti.
5.5. Sempre in tema di “equilibrio dinamico”, premesso che una sua definizione sarebbe stata necessaria anche per orientare l’interprete e soprattutto chi è chiamato a dare attuazione alla sentenza, non può non essere ricordato poi che detto principio va valutato anche alla luce di quello costituzionale di annualità, che – sia pur con l’attenuazione della concatenazione dei bilanci degli enti territoriali per poste di riporto tra i vari esercizi (di contro alla maggiore rigidità del bilancio dello Stato da questo punto di vista) – rimane tuttavia asse fondante del nostro ordinamento in base all’art. 81, quarto comma, Cost.. Può essere sufficiente al riguardo considerare il solo motivo di base secondo cui alle spese di un certo periodo è correlato l’assolvimento dell’obbligo di contribuzione da parte della collettività, appunto, in riferimento a determinate finalità di spesa per un determinato periodo di tempo: sono i tre tratti di fondo della contabilità pubblica moderna, con il corollario della doverosa espressione di detta contabilità secondo i canoni di quella finanziaria e non dunque di quella economico-patrimoniale.
Non può sfuggire, dunque, che, sulla base di tali considerazioni, l’asserita dinamicità dell’equilibrio di bilancio va vista con grande cautela, perché con tutta evidenza essa non può travalicare il limite dell’annualità prevista in Costituzione, per la ratio ivi sottesa ed appena illustrata, tale da affondare le radici nell’essenza stesso di buona parte del diritto finanziario pubblico contemporaneo. Ciò a parte l’impossibilità di rendere fluttuanti – anche retroattivamente – i rapporti estinti del dare e dell’avere tra l’ente e i terzi.
5.6. Prosegue poi la citata sentenza n. 4 che “è proprio il rispetto del principio dell’equilibrio dinamico ad assicurare la bilanciata congiunzione tra il principio di legalità costituzionale dei conti e l’esigenza di un graduale risanamento del deficit, coerente con l’esigenza di mantenere il livello essenziale delle prestazioni sociali durante l’intero periodo di risanamento”, con ciò ponendo in correlazione tre concetti distinti: principio di legalità costituzionale, esigenza di un graduale risanamento del deficit e relativa coerenza rispetto all’esigenza di mantenere il livello essenziale delle prestazioni sociali durante il periodo di risanamento. Ebbene, a tal riguardo vanno effettuate due osservazioni metodologiche: anzitutto, non esiste di per sé alcuna conseguenzialità ed alcun nesso tra i tre suddetti concetti, che anzi molto probabilmente presentano elementi intrinsecamente contraddittori (risanamento versussoddisfacimento dei diritti), ed in secondo luogo si tratta di concetti che, a parte quello di cui alla legalità costituzionale, rappresentano obiettivi non certo giuridici, ma politici. Tanto per offrire qualche flash, non si può non osservare, quanto al risanamento del deficit, a parte l’indeterminatezza del riferimento (quale deficit?), che non sono mancate certo, in qualche anno, manovre espansive da parte dei Governi, per es., ma non per questo si è potuto ipotizzare una loro illegittimità: il risanamento del deficit è una questione di politica economica, ma non direttamente ed immediatamente una circostanza giudiziabile, come dimostra quanto è avvenuto (anzi!) dall’entrata in vigore del Patto di stabilità e crescita in sede europea e dalla conseguente ricezione in Costituzione (con riferimento anche agli enti territoriali). Circa poi il contemperamento tra risanamento del deficit e rispetto dei LEP, anche qui si tratta di proposte e di scenari politici, ma non di criteri giuridici su cui impostare una sentenza, non essendo, tra l’altro, ancora definiti tutti i LEP ed i relativi fabbisogni finanziari in un quadro coerente con gli equilibri di bilancio: come è noto, infatti, al momento la materia è tutta da definire, anche in quanto collegata a provvedimenti legislativi ancora in itinere, e che comunque è legata a scelte anzitutto discrezionali e solo successivamente giuridiche.
6. L’onere finanziario: inscindibilità dei profili di competenza e di cassa.
Merita, infine, un breve approfondimento il precedente punto d), per la parte in cui ci si riferisce al punto 1) del dispositivo, nel senso che la sentenza dichiara l’illegittimità della norma richiamata in quanto non tale da non prevedere effetti solo di cassa. A tal riguardo, si è già osservato che non è chiaro il senso dell’evocazione del concetto di cassa. Anzitutto, non esiste, se non previa esplicita previsione legislativa in tal senso, una spesa disposta solo in termini di cassa ovvero solo in termini di competenza, attesa l’inscindibilità tra i due profili, almeno al tempo della entrata in vigore della legge. In secondo luogo, la presunta previsione, da parte di una norma di legge, solo dei profili di competenza non impedisce un risultato non desiderato e, anzi, da evitare quale un fittizio miglioramento dei saldi di bilancio dell’ente interessato. Ma, in terzo luogo, ove mai la sentenza sottintendesse che la disposizione impugnata è illegittima in quanto tale da non recare il riferimento alla cassa, come si afferma nel dispositivo, punto 1), si verrebbe a toccare così uno dei punti di fondo, non inquadrato dalla pronuncia, sui rapporti tra competenza e cassa nella valutazione degli effetti contabili della legislazione ordinaria.
Semplicemente merita di essere ricordato al riguardo che, nell’impianto costituzionale di cui all’art. 81 Cost., a prescindere dalla versione anteriore o successiva al 2012, nel momento in cui si fissa, all’attuale comma 3, che ogni legge onerosa comporta la relativa copertura, il primo aspetto da sottolineare è che è la legge, non altri fonti normative, a fissare obblighi per il bilancio dello Stato, appunto in quanto il contesto è quello dello Stato di diritto[5]. Ne deriva –essendo coinvolto il principio supremo della separazione dei poteri nel nostro ordinamento – che l’indicazione di un onere in una legge ordinaria non può che fissare un quantum di prestazione a carico dello Stato in termini sia di competenza che di cassa, trattandosi infatti, successivamente alla sua approvazione, solo di darvi corso avuto riguardo alle varie fasi della spesa, che partono dall’impegno (competenza) e terminano con il pagamento (cassa).
Per motivi costituzionali, dunque, non è consentito ipotizzare un onere di una legge solo in termini di competenza e non di cassa, in quanto ciò significherebbe che chi adempie potrebbe non disporre il pagamento della prestazione. Questo è esattamente l’effetto di una recentissima riforma, tale da introdurre una nuova nozione di impegno (ad esigibilità e dunque pagabilità di cassa), che potrebbe non avere nulla a che vedere con il dettato legislativo: si tratta di una questione sui cui aspetti di legittimità costituzionale occorrerà soffermarsi meglio, ma che comunque non inerisce alla norma oggetto della sentenza, che quindi non poteva essere dichiarata illegittima per mancata previsione della cassa, dal momento che, per motivi costituzionali, come si è rilevato, la competenza non si può divaricare dalla cassa in un contesto di Stato di diritto, che registra, come da Costituzione, la legge come strumento per impegnare finanziariamente lo Stato (con tutte le implicazioni di tale evidenza che non appare qui opportuno neanche farvi cenno). Inconsapevolmente (tant’è che manca qualsiasi motivazione sul punto), però, la sentenza divarica competenza e cassa, con le implicazioni di natura anzitutto costituzionale che ciò comporta sotto il profilo del rapporto tra legge e bilancio.
Si tratta, dunque a ben vedere, di profili di particolare rilevanza – in merito ai rapporti tra competenza e cassa – che attendono ulteriori approfondimenti sia dal punto di vista concettuale che interpretativo, anche per i riflessi di ordine costituzionale. Ciò anche in riferimento al nuovo regime instauratosi a partire dal 2019 in riferimento alla possibilità di divaricare – senza alcuna trasparenza – l’effetto del titolo giuridico sul bilancio e la relativa esigibilità (pagabilità).
[1] Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione, n. 7/2021; sezione regionale di controllo per la Calabria n. 3/2020/PRSP; sezione regionale di controllo per il Lazio n. 108/2021/PRSP, nonché sezione regionale di controllo per l’Umbria, n. 1/2021/PAR).
[2] S’intende, laddove le previsioni di entrata, in attesa della cui riscossione si è fatto ricorso ad anticipazione, non si realizzino come previsto nel bilancio di previsione, cronicizzando lo iato temporale tra la realizzazione delle entrate e l’effettuazione delle spese.
[3] Corte cost. sentt. n. 181/2015; n. 80/2021; n. 4/2020.
[4] Va, peraltro, evidenziato che anche le anticipazioni di liquidità, se non correttamente sterilizzate, possono dare luogo al fenomeno del miglioramento del surrettizio risultato di amministrazione: cfr., A. Brancasi, La Corte costituzionale torna sulla nozione di anticipazioni di cassa e sulle modalità della loro contabilizzazione (Nota a: Corte costituzionale, 23 luglio 2015, n.181), in Giurisprudenza Costituzionale, fasc.4, 2015, pag. 1380.
[5] Corte dei conti, Decisione n. 23/SSRRCO/PARI/23, Giudizio di parificazione del Rendiconto generale dello Stato 2022, in particolare, Relazione allegata, Volume I Tomo II – I conti dello Stato e le politiche di bilancio 2022; in argomento, funditus, Corte conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, delibera n. 8/SSRRCO/RQ/2024, cit., cfr. punto d. Gli effetti dell’entrata in vigore della c.d. “competenza potenziata” p. 43.