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La riconfigurazione dei paradigmi di accountability ambientale e rendicontazione non finanziaria nell’alveo dell’economia circolare: gli effetti della Direttiva (UE) 2024/1760 sulla corporate governance

di Vito Carone, Dottorando di Ricerca in Ambiente, Diritto Comparato e Transizioni presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli

Abstract [it]: Nell’evoluzione della normativa ambientale dell’Unione Europea, la portata innovativa della Direttiva (UE) 2024/1760 si manifesta attraverso la ridefinizione dei parametri della responsabilità imprenditoriale in materia di sostenibilità. Questo studio offre un’analisi critica delle disposizioni cardine del citato atto legislativo, esaminando l’estensione del dovere di diligenza ambientale all’intera filiera produttiva. In special modo, l’attenzione si focalizza sull’obbligo di elaborare piani di transizione climatica e sulla promozione di un modello economico circolare. La ricerca affronta le sfide attuative, inclusa la necessità di contemperare l’efficacia delle prescrizioni con il principio di proporzionalità, e le conseguenze sulla governance aziendale nell’ottica della salvaguardia ambientale. In ultima istanza, l’indagine esplora le interconnessioni della Corporate Sustainability Due Diligence Directive rispetto al quadro giuridico esistente, dedicando particolare attenzione alla finanza sostenibile e delineando un’inedita architettura di governance ecologica sovranazionale.

Parole chiave: Dovere di diligenza; Sostenibilità; Responsabilità d’impresa; Governance ambientale; Transizione climatica

Abstract [en]: In the evolution of European Union environmental legislation, the innovative scope of Directive (EU) 2024/1760 manifests through the redefinition of corporate responsibility parameters in sustainability matters. This study offers a critical analysis of the key provisions within the aforementioned legislative act, examining the extension of environmental due diligence obligations across the entire production chain. Specifically, it focuses on the requirement to develop climate transition plans and promote a circular economic model. The research addresses implementation challenges, including the need to balance the effectiveness of prescriptions against the principle of proportionality, and the implications for corporate governance in the context of environmental protection. Ultimately, the investigation explores the interconnections between the Corporate Sustainability Due Diligence Directive and the existing legal framework, paying particular attention to sustainable finance while outlining a novel architecture of supranational ecological governance.

Keywords: Due diligence; Sustainability; Corporate liability; Environmental governance; Climate transition

Sommario: 1. La metamorfosi dell’accountability imprenditoriale in prospettiva ecosistemica nell’alveo della Direttiva (UE) 2024/1760 – 2. La compenetrazione dei paradigmi di sostenibilità nell’architettura della corporate governance – 3. Il framework normativo per l’attuazione della due diligence ambientale ex Corporate Sustainability Due Diligence Directive – 4. Le antinomie applicative e le prospettive strategiche nell’adempimento degli obblighi relativi alla CSDDD – 5. Le riflessioni conclusive sulla portata trasformativa del dovere di diligenza ambientale nell’ordinamento giuridico europeo

  1. La metamorfosi dell’accountability imprenditoriale in prospettiva ecosistemica nell’alveo della Direttiva (UE) 2024/1760

Il principio di due diligence ambientale, codificato dalla Direttiva (UE) 2024/1760, assurge a paradigma normativo preminente nell’acquis comunitario, incarnando un innovativo fondamento dell’accountability imprenditoriale. Tale obbligo, permeando l’intera struttura della corporate governance, si configura come precetto giuridico che ridefinisce i parametri della diligenza qualificata esigibile dagli attori economici nell’esercizio dell’attività caratteristica[1], in conformità ai principi di sostenibilità e tutela ambientale cristallizzati nel diritto primario e derivato dell’Unione Europea[2]. Il vincolo normativo in questione, caratterizzato da una evidente portata trasformativa, impone agli operatori giuridico-economici l’adozione di un modus operandi connotato da proattività e sistematicità nell’identificazione, prevenzione e mitigazione degli impatti pregiudizievoli delle loro attività sull’ecosistema. Invero, dispiegandosi lungo l’intero continuum della filiera produttiva, il summenzionato precetto normativo postula una metamorfosi sostanziale nelle prassi operative e nelle strategie imprenditoriali, assurgendo ipso facto a paradigma di governance aziendale improntato ai canoni dell’ecosostenibilità.

L’imperativo giuridico de quo sancisce un dovere di diligenza qualificata gravante sulle persone giuridiche, con particolare riguardo alla medesime che si configurano come soggetti economici di notevole consistenza patrimoniale e strutturale[3]. Tali entità sono chiamate a ideare e implementare protocolli non solo volti a scongiurare qualsivoglia nocumento all’ambiente, ma altresì tesi ad assicurare l’imprescindibile rispetto dei diritti inalienabili della persona[4], in ottemperanza ai principi di sviluppo sostenibile. L’anzidetta prescrizione si pone in piena conformità ai dettami fondamentali enunciati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e alle linee direttrici emanate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, elevando così il livello di tutela ambientale e sociale a un rango di preminente significato.

L’attuazione del succitato regime giuridico impone l’adozione di misure di due diligence ambientale, la cui osservanza esige un livello di competenza e vigilanza proporzionato alla rilevanza dei beni giuridici tutelati e alla complessità del contesto operativo delle imprese coinvolte. In tale scenario, il medesimo vincolo normativo si articola in più fasi fondamentali e interconnesse: l’incorporazione del dovere di diligenza nelle politiche aziendali, l’individuazione e la valutazione degli effetti negativi, la prevenzione e minimizzazione di tali effetti, il monitoraggio e la valutazione dell’efficacia delle misure adottate, la comunicazione trasparente dei risultati e, in ultima istanza, la riparazione dei danni eventualmente arrecati[5]. Questo approccio multidimensionale e strutturato segna una transizione paradigmatica dalla responsabilità sociale d’impresa intesa come mera opzione a un obbligo giuridico cogente, che le aziende devono ottemperare al fine di preservare la loro legittimità operativa e assicurare la sostenibilità a lungo termine[6].

Riveste precipua pregnanza evidenziare come la Direttiva (UE) 2024/1760 si inserisca in un rapporto di complementarità e coerenza con i principi fondamentali e gli intendimenti programmatici statuiti dal Regolamento (UE) 2021/1119. Quest’ultimo si erge a fulcro dell’architettura giuridica delle politiche ambientali dell’Unione Europea, delineando un quadro d’intervento di vasta portata, finalizzato ad affrontare le sfide epocali poste dalle alterazioni climatiche ed a promuovere una metamorfosi sostanziale verso un paradigma economico improntato all’equilibrio ecosistemico[7]. In specie, il Regolamento de quo statuisce l’obbligo giuridicamente cogente per l’UE di conseguire la neutralità climatica entro l’anno 2050, prevedendo altresì, quale obiettivo intermedio, una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra in misura non inferiore al 55% entro l’anno 2030, assumendo come parametro di riferimento i livelli di emissione rilevati nell’anno 1990[8]. Per tale cagione, esso si erge a pilastro fondamentale nell’impalcatura normativa comunitaria in materia ambientale, mediante il quale l’ordinamento giuridico europeo si prefigge di ottemperare agli impegni assunti sul piano internazionale nell’ambito della mitigazione dei mutamenti climatici e della promozione di un’economia improntata alla sostenibilità ecologica[9].

Gli obiettivi così delineati postulano una radicale riconfigurazione dei paradigmi produttivi e di consumo delle imprese, nonché una profonda revisione dei loro modelli di governance, prefigurando una metamorfosi strutturale del tessuto imprenditoriale. Le persone giuridiche sono chiamate a implementare prassi di sostenibilità che, oltre a garantire la piena ottemperanza al quadro normativo vigente, contribuiscano proattivamente alla transizione verso un modello economico circolare, in ossequio agli orientamenti delineati nella comunicazione della Commissione Europea COM(2020) 98 final[10].

L’approccio menzionato si coniuga altresì con la Strategia dell’Unione Europea per la Biodiversità al 2030, la quale sottolinea la necessità impellente di tutelare gli ecosistemi e istituire la salvaguardia dell’equilibrio biosferico quale substrato imprescindibile dell’espansione economica[11]. Nel siffatto quadro normativo, risulta imperativo porre in evidenza come la Direttiva (UE) 2024/1760 si allinei armonicamente e sostanzialmente con le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 1° dicembre 2020, le quali hanno esortato la Commissione a presentare un quadro giuridico organico per la governance societaria sostenibile, inclusivo di obblighi di due diligence lungo le filiere di approvvigionamento globali[12]. Cotale visione onnicomprensiva della responsabilità sociale d’impresa si configura quale conditio sine qua non per garantire che gli operatori economici trascendano la mera ottemperanza formalistica ai dettami ambientali, profondendo un impegno fattivo e sostanziale nella salvaguardia dell’ecosistema e nella tutela delle prerogative inalienabili della persona, cooperando alla plasmazione di un substrato sociale informato a principi di più elevata equità e sostenibilità archetipica[13].

L’inesorabile e vieppiù pervasiva pressione promanante dalla pletora degli stakeholders – precipuamente consumatori e investitori – volta all’implementazione di prassi imprenditoriali informate ai canoni della sostenibilità, si innalza a fenomeno di ineludibile centralità nel coevo sistema giuridico-economico globalizzato. Tale dinamica, in primis, eleva il dovere di diligenza ambientale non solo a precetto normativo cogente e inderogabile, bensì lo trasforma anche in imperativo strategico per gli operatori economici; questi ultimi, in secundis, si trovano ipso facto nella condizione di dover necessariamente ottemperare a codesto obbligo onde preservare e accrescere la propria posizione concorrenziale nell’odierno scenario mercatuale transnazionale, il quale risulta oltretutto connotato da interconnessioni sistemiche e sfide ecosistemiche di portata globale[14].

Appare ineluttabile, conseguentemente, che gli attori economici approntino piani d’intervento strutturati e tempestivi, contemplanti sia programmi di aggiornamento professionale continuativo delle risorse umane, sia l’implementazione di meccanismi di vigilanza e rendicontazione caratterizzati da soglie avanzate di trasparenza e precisione analitica, al fine di ottemperare compiutamente ai dettami della normativa ambientale e alle crescenti aspettative della compagine sociale in materia di responsabilità d’impresa[15]. Tali strategie operative dovrebbero considerare l’implementazione di sistemi di gestione ambientale e l’adozione di strumenti di reporting ambientale, come gli standard ISO 14001, il Global Reporting Initiative (GRI) Standard e il Carbon Disclosure Project (CDP), per contribuire a una rendicontazione trasparente ed esaustiva delle performance ambientali. Il prefato orientamento, in armonia con le più avanzate prassi di settore e in piena conformità ai principi sanciti dalla Corporate Sustainability Due Diligence Directive, si profila quale impegno di rilevanza ontologica e di ampio respiro temporale, conditio sine qua non per la garanzia di un futuro contraddistinto da una sostenibilità pervasiva e sistemica. L’anzidetta visione prospettica mira a coniugare le esigenze degli attori economici con quelle del sistema ecologico, in armonia con i canoni fondanti del diritto ambientale e gli imperativi di tutela ecosistemica sanciti dal legislatore[16].

L’esegesi della fattispecie in esame conduce inevitabilmente a inferire che l’obbligo di diligenza ambientale, ex art. 3 Direttiva (UE) 2024/1760, trascende la mera cogenza giuridica, assurgendo a imperativo etico nell’interconnessione tra attività economiche e sostenibilità ecosistemica[17]. Le persone giuridiche si trovano, ipso facto, dinanzi all’ineluttabile necessità di integrare organicamente il paradigma della sostenibilità nelle loro strategie operative e nei processi decisionali. L’implementazione di prassi ecosostenibili si traduce non solo come un adempimento normativo inderogabile, bensì quale opportunità strategica di primaria rilevanza per la mitigazione dei rischi ambientali e antropici, generando in via consequenziale prospettive di vantaggio competitivo sia sul piano economico che reputazionale. In tale prospettiva, la Direttiva de qua trascende la mera imposizione di un obbligo ex lege, assurgendo a stimolo propulsivo che esorta le imprese a concepire la sostenibilità alla stregua di un volano di innovazione, creazione di valore condiviso e resilienza nel contesto di un ecosistema socio-economico interconnesso[18].

  • La compenetrazione dei paradigmi di sostenibilità nell’architettura della corporate governance

La profonda trasformazione del contesto imprenditoriale, indotta da un’inedita convergenza di imperativi normativi e istanze sociali, sta ridisegnando i fondamenti della governance aziendale, elevando la due diligence in materia ambientale e sociale a principio cardinale delle strategie societarie[19]. Il summenzionato iter di ridefinizione trova la sua più compiuta espressione giuridica nella Direttiva in epigrafe, la quale inaugura un paradigma normativo che impone alle persone giuridiche, con precipuo riguardo alle entità di rilevanti dimensioni ed a quelle quotate sui mercati regolamentati, una sostanziale rimodulazione dei propri indirizzi operativi interni, al fine di integrare prassi di sostenibilità conformi ai precetti ivi sanciti[20].

Preme sottolineare come il summenzionato dovere di diligenza non si esaurisca nella mera ottemperanza formale alle disposizioni de quibus, bensì esiga un impegno proattivo e costante da parte delle imprese nell’individuare, prevenire e mitigare gli effetti pregiudizievoli delle proprie attività sull’ecosistema lungo l’intera filiera produttiva. A questo riguardo, l’art. 3 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive delinea un quadro normativo che impone alle persone giuridiche l’adozione di misure concrete, quantificabili e progressive, volte al continuo miglioramento delle prestazioni ambientali e all’incremento della sostenibilità complessiva delle loro operazioni[21]. Le suddette misure includono, inter alia, la valutazione e la mitigazione dei rischi ambientali, nonché l’implementazione di pratiche ecosostenibili in ogni fase dell’attività aziendale. Questa disposizione si pone in perfetta sintonia con il principio dello sviluppo sostenibile, pietra angolare dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, cristallizzato nell’art. 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). L’approccio olistico alla responsabilità ambientale postula una metamorfosi radicale della cultura organizzativa societaria, promuovendo una visione prospettica che trascende la mera osservanza normativa per abbracciare un paradigma di sviluppo ecocompatibile integrato. Pertanto, le imprese sono chiamate a sottoporre a disamina critica i propri iter deliberativi, strategie d’investimento e modelli operativi alla luce della rinnovata consapevolezza ecologica, adottando un modus operandi sistemico che contempli l’impatto ambientale quale variabile cardinale in ogni stadio del ciclo vitale aziendale[22].

Il paradigma delineato dalla Corporate Sustainability Due Diligence Directive si pone in sinergia funzionale con il Regolamento (UE) 2021/1119, comunemente denominato Legge europea sul clima, instaurando un assetto giuridico di precipua rilevanza per la governance ecosistemica delle imprese nell’Unione Europea[23]. Nell’alveo di tale cornice giuridica, gli operatori economici sono indotti non solamente a una scrupolosa osservanza dell’impianto normativo vigente, bensì a un contributo proattivo e sostanziale alla transizione verso un paradigma economico circolare e sostenibile, come prefigurato nella Comunicazione della Commissione Europea sul Green Deal europeo[24]. Quest’ultima assurge a vademecum programmatico per l’implementazione di politiche ambientali integrate e per la promozione della sostenibilità in seno all’UE, ponendo in risalto l’impellente necessità di una significativa riduzione dell’impatto ecologico delle attività economiche e di un’ottimizzazione nell’impiego delle risorse. L’efficace attuazione di siffatto approccio postula una cooperazione simbiotica tra la sfera pubblica e quella privata, finalizzata all’elaborazione e all’implementazione di strategie innovative e all’adozione di prassi d’eccellenza atte a coniugare la competitività economica con l’imperativo categorico della tutela ambientale. Ciò in piena consonanza con il principio dello sviluppo sostenibile, cristallizzato nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea[25] e ulteriormente declinato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[26].

La Corporate Sustainability Due Diligence Directive, inoltre, prescrive l’adozione di un paradigma basato sul rischio, il quale impone alle persone giuridiche di effettuare una valutazione sistematica e approfondita dei potenziali effetti ambientali delle loro operazioni lungo l’intera catena di approvvigionamento[27]. Il prefato approccio postula una responsabilità proattiva nella governance delle filiere, imponendo agli operatori economici di assicurare l’aderenza dei propri partner ai medesimi parametri di sostenibilità ecologica. Risulta, pertanto, imprescindibile l’implementazione di sistemi gestionali ambientali sofisticati e integrati, atti all’identificazione e alla valutazione degli impatti ecosistemici, nonché all’adozione ex ante di misure correttive. Tali meccanismi necessitano di essere suffragati da processi di monitoraggio e rendicontazione improntati a canoni di trasparenza di elevata caratura, onde consentire la quantificazione dei progressi e la comunicazione circostanziata dei risultati ai portatori d’interesse, in ossequio all’art. 6 del summenzionato atto legislativo. Nell’ambito di codesto assetto, la trasparenza e l’accuratezza della rendicontazione assurgono a pilastri fondamentali per la preservazione della fiducia degli investitori e dei consumatori, nonché per garantire l’effettiva consonanza tra prassi aziendali e obiettivi di sostenibilità dichiarati.

È doveroso osservare come la Direttiva (UE) 2024/1760 si armonizzi perfettamente con le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 1° dicembre 2020, che ha esortato la Commissione Europea a presentare un quadro giuridico organico per la governance societaria sostenibile, comprensivo di obblighi di dovere di diligenza lungo le catene di approvvigionamento globali[28]. Difatti, il Consiglio dell’Unione Europea ha posto in evidenza l’imprescindibilità di adottare un quadro normativo che non si limiti a promuovere la sostenibilità ambientale, ma che sia altresì funzionale alla tutela dei diritti umani nell’intero spettro della catena di approvvigionamento globale[29].

In ossequio ai principi di condotta d’impresa responsabile, si rende imprescindibile il richiamo a taluni strumenti sovranazionali di preminente rilevanza, inter alia, i Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani, adottati dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite con risoluzione 17/4 del 16 giugno 2011[30], e le Linee Guida dell’OCSE per le Imprese Multinazionali, oggetto di revisione nel 2011[31]. Questi ultimi, ancorché privi di cogenza ex se, hanno svolto un ruolo catalizzatore nell’evoluzione del diritto internazionale in materia di responsabilità sociale d’impresa e hanno influenzato significativamente l’elaborazione della Direttiva (UE) 2024/1760[32]. Essi assurgono a parametri ermeneutici di primaria rilevanza nell’architettura giuridica internazionale, fungendo da vademecum per l’interpretazione e l’applicazione dei precetti in materia di responsabilità sociale d’impresa. Più specificatamente, la loro valenza paradigmatica si esplica nella capacità di orientare le condotte degli operatori economici verso prassi improntate alla sostenibilità e al rispetto dei diritti umani, trascendendo i confini della mera compliance normativa per approdare a un modello di governance aziendale eticamente orientato[33]. Gli stessi riconoscono expressis verbis la responsabilità delle persone giuridiche di esercitare la due diligence in materia di diritti umani e tutela ambientale, mediante l’identificazione, prevenzione e mitigazione degli impatti negativi delle loro attività, nonché la rendicontazione trasparente e verificabile delle modalità di gestione di tali criticità[34]. Inoltre, le Linee Guida dell’OCSE si configurano quale archetipo operativo per gli attori economici, preconizzando strategie di mitigazione dei rischi ambientali e sociali lungo le filiere e postulando una governance aziendale permeata da trasparenza e responsabilità[35].

Alla luce del quadro delineato, l’implementazione di politiche improntate alla sostenibilità trascende la mera ottemperanza agli obblighi de jure condito, assurgendo a leva strategica nel panorama imprenditoriale coevo. Ciò riflette, a ben vedere, l’intrinseca correlazione tra attività economiche e sostenibilità ecosistemica, principio questo cristallizzato, non da ultimo, nella Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021, la quale ne ha evidenziato la portata sistemica nell’ordinamento comunitario[36]. Siffatto modus operandi, oltrepassando la finalità di contenimento dei rischi ecosistemici e sociali, si erge a volano di opportunità economiche di rilevante portata, fungendo altresì da catalizzatore per un’apprezzabile valorizzazione dell’auctoritas aziendale nel contesto mercatuale[37].

L’integrazione di tali pratiche può altresì influire positivamente sulla performance finanziaria a lungo termine, migliorando l’accesso ai mercati e agli investimenti. Proprio per questa cagione, la CSDDD non si limita a sancire un obbligo normativo, ma esorta le imprese a concepire la sostenibilità quale volano di crescita e innovazione, capace di generare valore condiviso per tutti gli stakeholder. A tal proposito, l’art. 4 della Direttiva (UE) 2024/1760 delinea un quadro olistico e proattivo del dovere di diligenza, imponendo alle imprese l’adozione di un approccio sistemico e preventivo. L’anzidetta prerogativa punta a garantire che le operazioni aziendali siano conformi ai requisiti di sostenibilità attraverso l’implementazione di misure adeguate, calibrate per conseguire gli obiettivi del dovere di diligenza e affrontare efficacemente gli impatti negativi, in modo proporzionato al grado di gravità e alla probabilità degli stessi[38].

A complemento di quanto suesposto, l’art. 22 statuisce l’adozione di un piano di transizione climatica basato su evidenze scientifiche, con obiettivi temporalmente definiti e azioni di implementazione concrete, elevando de facto la questione climatica a imperativo strategico aziendale; tale disposizione si raccorda con gli orientamenti della Commissione sulla comunicazione di informazioni climatiche[39], conferendo loro una rinnovata valenza giuridica. L’art. 13, inoltre, prescrive un approccio di dialogo integrato con i portatori di interesse, prefigurando un modello di governance partecipativa che potrebbe ridefinire i confini della responsabilità sociale d’impresa; questa norma, letta in combinato disposto con gli articoli relativi al dovere di diligenza, delinea un sistema di gestione ambientale che va oltre la semplice collaborazione con le autorità competenti, richiedendo un coinvolgimento attivo e strutturato di tutti gli stakeholder rilevanti, in sintonia con le migliori pratiche di gestione ambientale già delineate a livello europeo[40], ma conferendo loro una cogenza precedentemente assente.

In considerazione dell’analisi condotta, emerge come priorità inderogabile per le persone giuridiche l’investimento sostanziale in due ambiti cruciali: da un lato, programmi di formazione professionale continuativa volti alla valorizzazione del proprio capitale umano; dall’altro, l’implementazione di sistemi di rendicontazione ambientale di elevata sofisticazione. Questi ultimi devono essere concepiti in modo da assicurare il massimo grado di trasparenza e affidabilità delle informazioni disseminate agli stakeholder[41].

A ulteriore conferma, la Direttiva in parola sancisce l’imprescindibilità, per le imprese, di sottoporre i dati ambientali a verifica da parte di enti terzi indipendenti, presentandoli in maniera perspicua e fruibile, onde garantirne l’esaustività, l’accuratezza e la tempestività[42]. Siffatto approccio segna un’evoluzione di non poco momento verso una maggiore trasparenza e accountability nel reporting ambientale delle imprese. L’efficacia delle strategie di sostenibilità poste in essere dipenderà, in larga misura, dalla capacità degli enti di veicolare cum grano salis i traguardi conseguiti e di suffragare il proprio impegno verso una gestione ecologicamente virtuosa e duratura[43]. Invero, l’obbligo di diligenza ambientale ivi contemplato si configura quale sfida non già trascurabile e, al contempo, quale occasione per le entità commerciali di abbracciare approcci metodologicamente rigorosi e onnicomprensivi, volti alla salvaguardia dell’ecosistema e alla tutela dei diritti umani[44].

L’attitudine ad assimilare e declinare operativamente i paradigmi di sostenibilità nell’alveo delle dinamiche aziendali si profila quale fattore discriminante per la longevità imprenditoriale e la costruzione di un avvenire ecologicamente armonico e resiliente[45]. L’esegesi, l’implementazione e l’ulteriore evoluzione dell’impianto normativo risultano imprescindibili affinché l’obbligo di diligenza ambientale si traduca in prassi tangibili e misurabili, atte a generare un impatto positivo e duraturo sul tessuto socio-ecosistemico[46]. Nell’ottica del quadro giuridico così definito, emerge con preponderanza la necessità di un approccio olistico che coniughi sapere giuridico, expertise manageriale e cognizioni scientifiche in ambito ecologico[47]. La sinergia tra queste sfere conoscitive si rivela cruciale per l’elaborazione di strategie di compliance innovative ed efficaci, idonee a fronteggiare le sfide derivanti dalla crescente complessità del quadro normativo ambientale e dalle aspettative sempre più elevate dei portatori d’interesse in materia di responsabilità sociale d’impresa[48]. La diligenza ambientale, lungi dal configurarsi quale mero adempimento formalistico, assurge a paradigma gestionale onnicomprensivo, richiedendo una sostanziale ricalibratura dei modelli di governance aziendale e un’attività sistematica di monitoraggio e ottimizzazione delle performance ecologiche[49]. Tale approccio trascende la mera conformità normativa, ponendosi quale catalizzatore di innovazione e valore aggiunto nel lungo periodo.

Nella complessità dell’evoluzione normativa dell’Unione Europea in materia di responsabilità d’impresa, la Direttiva (UE) 2024/1760 assume i contorni di un provvedimento avente una portata trasformativa, delineando un quadro giuridico innovativo per l’applicazione del dovere di diligenza ambientale e ridefinendo sostanzialmente i paradigmi della governance aziendale in relazione alle tematiche ecologiche. Lungi dall’essere un atto isolato, essa si inserisce organicamente in un tessuto legislativo europeo più ampio e articolato, che comprende financo il Regolamento (UE) 2017/821 sul dovere di diligenza per le catene di approvvigionamento di minerali e il Regolamento (UE) 2023/1542 sul ciclo di vita delle batterie e la gestione dei rifiuti, contribuendo così alla creazione di un sistema integrato di responsabilità d’impresa che abbraccia in modo olistico le dimensioni ESG (environmental, social and governance). L’interazione sinergica tra gli anzidetti strumenti normativi, ciascuno focalizzato su aspetti specifici ma interconnessi della sostenibilità aziendale, genera un framework regolatorio coeso e multidimensionale, riflettendo la crescente consapevolezza del legislatore europeo circa la necessità di affrontare le sfide della sostenibilità in modo sistemico e integrato[50].

L’effettiva osservanza dell’obbligo di diligenza ambientale postula, in capo ai soggetti giuridici, l’adozione di un impianto metodologico sui generis, precipuamente volto alla ricognizione, al monitoraggio assiduo e alla gestione previdente delle esternalità che il dispiegarsi dell’attività imprenditoriale ingenera sul tessuto ecosistemico. Codesta impostazione si fonda sul principio di precauzione sancito dall’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea[51] e si allinea con i principi di sviluppo sostenibile enunciati nella Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992[52]. Le prassi di scrutinio e governo degli impatti ambientali possono annoverare, inter alia, la quantificazione dell’impronta carbonica, la disamina del consumo idrico, l’analisi dell’efficienza energetica e la gestione dei residui, in ossequio ai principi sanciti dalla Direttiva 2010/75/UE in materia di emissioni industriali[53]. È congruo che le persone giuridiche contemplino paradigmi sovranazionali di riconosciuta autorevolezza, quali gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) promulgati dalle Nazioni Unite, onde informare le proprie strategie di ecocompatibilità[54].

Si osserva in modo tangibile che la stratificazione del corpus iuris europeo in materia di sostenibilità e rendicontazione non finanziaria riflette un impegno crescente e sempre più articolato verso la trasparenza e la responsabilità ambientale e sociale delle imprese[55], tanto che il legislatore ha elevato i medesimi crismi a pilastri della governance aziendale moderna all’interno di un sistema normativo che annovera numerose prospettive di equilibro eco-sistemico. Nel solco di questa evoluzione, la Direttiva 2014/95/UE[56], la Direttiva 2013/34/UE[57] e la più recente Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD)[58] hanno progressivamente ampliato e rafforzato gli obblighi di rendicontazione non finanziaria, gettando le fondamenta per una comunicazione trasparente e strutturata delle informazioni di carattere ambientale, sociale e di governance.

Contestualmente, nell’ambito della finanza sostenibile, il legislatore europeo ha elaborato un quadro normativo comprensivo mediante l’introduzione del Regolamento (UE) 2019/2088 (SFDR)[59], che impone obblighi di trasparenza sui rischi di sostenibilità per gli operatori finanziari, del Regolamento (UE) 2020/852[60], il quale stabilisce una tassonomia delle attività economiche ecosostenibili, del Regolamento (UE) 2019/2089[61], in grado di definire i criteri per gli indici di riferimento climatici, e del Regolamento (UE) 2019/2033[62], volto a integrare i rischi ESG nel quadro prudenziale delle imprese di investimento. Questo corpus normativo, nel suo persistente ampliamento e sincretismo, è finalizzato a instillare nelle imprese un approccio proattivo e integrato alla gestione delle performance non finanziarie, con l’obiettivo ultimo di promuovere un’economia più resiliente e responsabile, in cui la creazione di valore economico si coniughi armoniosamente con la tutela ambientale e il progresso sociale.

Le imprese sono esortate a produrre rapporti di sostenibilità chiari e coerenti, in osservanza del principio di buona fede e del dovere di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni, come sancito dall’art. 1175 del Codice Civile[63]. Siffatti elaborati non debbono circoscriversi a una sterile elencazione di dati e parametri, bensì fornire una rappresentazione perspicua delle strategie di sostenibilità implementate, dei progressi conseguiti e delle sfide ancora da dirimere, in ossequio ai principi di intelligibilità e raffrontabilità dell’informativa finanziaria sanciti dai principi contabili internazionali IAS/IFRS[64]. La divulgazione di informazioni di carattere ambientale e sociale si configura quale efficace strumento di coinvolgimento degli stakeholder e di edificazione della fiducia, in consonanza con i dettami di responsabilità sociale d’impresa promulgati dalla Comunicazione della Commissione europea COM(2011) 681[65].

Invero, è fondato ritenere che l’adozione di prassi rendicontative d’avanguardia costituisca un paradigma innovativo nell’alveo della governance societaria, in quanto essa promuove una concezione olistica della sostenibilità idonea a trascendere la mera ottemperanza agli obblighi normativi vigenti. Tale approccio, in linea con i principi enunciati nel Libro Verde della Commissione europea sulla responsabilità sociale d’impresa[66] e successivamente cristallizzati nella Direttiva 2014/95/UE[67], non solo tutela l’ecosistema e i diritti umani, ma potenzia la resilienza organizzativa e genera valore durevole. L’implementazione di questi strumenti richiede un’evoluzione delle competenze manageriali e delle strutture organizzative, in ossequio al principio di sana e prudente gestione sancito dall’art. 5 del Testo Unico Bancario italiano[68], il quale trova applicazione nell’intero tessuto economico, come evidenziato dalla recente Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD)[69].

Le entità imprenditoriali sono chiamate a sviluppare capacità analitiche avanzate per la gestione di dati ambientali e sociali complessi e a integrare considerazioni di ecocompatibilità nei processi decisionali a tutti i livelli gerarchici, in conformità con i principi di gestione ambientale stabiliti dalla norma ISO 14001:2015[70]. La metamorfosi dell’assetto aziendale in esame, sebbene non priva di profili problematici che saranno oggetto di analisi nei paragrafi successivi, apre un ventaglio di opportunità pivotali, incentivando l’innovazione, ottimizzando l’efficienza operativa e rafforzando il posizionamento strategico nel contesto competitivo di riferimento, coerentemente con gli obiettivi di crescita sostenibile delineati nella strategia Europa 2020[71]. Attraverso l’introduzione di obblighi di due diligence e l’enfasi sulla trasparenza e la rendicontazione, si delinea un quadro normativo che promuove una gestione proattiva e strategica degli impatti ambientali e sociali, allineando gli obiettivi di business con le esigenze di tutela dell’ecosistema, dei diritti umani e di progresso sostenibile, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Un elemento cardine per l’efficace attuazione del dovere di diligenza ambientale, ex art. 4 della Direttiva (UE) 2024/1760, risiede nella formazione e sensibilizzazione del personale a tutti i livelli gerarchici dell’organizzazione[72]. Questa disposizione riflette il riconoscimento da parte del legislatore europeo del ruolo cruciale che la cultura aziendale e la consapevolezza diffusa svolgono nell’implementazione efficace delle pratiche di sostenibilità. Difatti, si enfatizza la rilevanza di programmi formativi strutturati e continuativi, che non si circoscrivano alla mera trasmissione di nozioni tecniche, bensì aspirino a promuovere una cultura della sostenibilità pervasiva e radicata. Del resto, il suddetto atto normativo introduce altresì il concetto di “approccio basato sul rischio” nella gestione degli impatti ambientali, prescrivendo alle aziende di ampliare il proprio raggio d’azione oltre i confini societari, per includere l’intera catena di approvvigionamento come sotteso dalle Linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali[73]. Tale disposizione implica una responsabilità attiva delle entità economiche nel monitorare e influenzare le prassi ambientali dei propri fornitori e partner commerciali, promuovendo un effetto a cascata di ottimizzazione delle performance di sostenibilità lungo l’intera filiera produttiva attenendosi altresì ai principi di responsabilità estesa del produttore sanciti dalla Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti[74]. Questo modus operandi, tenta di supportare le imprese nell’ottica di minimizzare i rischi reputazionali e operativi connessi a pratiche non sostenibili nella supply chain, in ottemperanza ai principi di gestione del rischio delineati nel Regolamento (UE) n. 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento[75].

In un contesto globale contraddistinto da sfide ecologiche sempre più pressanti e da una crescente consapevolezza dell’opinione pubblica, le imprese che sapranno abbracciare in toto il principio di diligenza ambientale non si limiteranno a conformarsi al quadro normativo vigente, bensì si posizioneranno come pioniere nella creazione di valore sostenibile a lungo termine, acquisendo un vantaggio competitivo significativo nel panorama economico contemporaneo[76]. Non dimeno, la profonda rivisitazione dei modelli di governance aziendale esorta le organizzazioni a integrare considerazioni ecosistemiche in ogni aspetto dei loro processi decisionali e operativi, riecheggiando i principi di gestione ambientale cristallizzati nella norma ISO 14001:2015, la quale assurge a modello euristico preminente nell’ottica dei sistemi di gestione ambientale efficaci e sostenibili nel lungo periodo[77]. L’adozione di pratiche di due diligence ambientale non si esaurisce nella sola compliance normativa, ma si estende alla creazione di una cultura organizzativa permeata da principi di sostenibilità e responsabilità sociale, come auspicato dalla Comunicazione della Commissione europea sulla responsabilità sociale delle imprese[78].

La Direttiva in esame catalizza altresì un processo di trasformazione sistemica, stimolando l’innovazione tecnologica e gestionale nel campo della sostenibilità ambientale, concretizzando de facto gli ambiziosi obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e traducendoli in un quadro normativo cogente e operativo[79]. Le imprese sono chiamate a sviluppare competenze interdisciplinari, coniugando expertise giuridica, manageriale e scientifica per affrontare le complesse sfide poste dalla transizione ecologica, come delineato nel Piano d’azione per l’economia circolare[80]. Nell’alveo dell’indagine condotta finora, emerge chiaramente come il ruolo del giurista d’impresa, in ossequio ai principi di corporate governance delineati nella Direttiva (UE) 2017/1132, possa assumere una valenza strategica, configurandosi quale figura chiave nell’interpretazione e nell’applicazione pratica del quadro normativo, nonché nella formulazione di strategie di compliance innovative ed efficaci[81].

In aggiunta, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive introduce un aspetto di peculiare pregnanza concernente l’obbligo per le persone giuridiche di identificare, prevenire e mitigare gli impatti ambientali e sociali delle loro attività. Il provvedimento normativo sancisce che le imprese debbano adottare misure consone a garantire la sostenibilità delle loro operazioni, senza tuttavia prescrivere metodologie specifiche, nel rispetto del principio di proporzionalità sancito dall’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea[82]. Per questa cagione, risulta di cruciale rilevanza che le aziende elaborino strategie ambientali quantificando i progressi verso gli obiettivi di sostenibilità e, al contempo, assicurando così una rendicontazione perspicua e responsabile[83]. Questo approccio quantitativo alla sostenibilità non solo facilita la trasparenza e la comparabilità, ma promuove anche un miglioramento continuo delle pratiche adottate dalle entità economiche. L’implementazione degli strumenti summenzionati non si limita a consentire alle imprese l’adempimento degli obblighi normativi, bensì favorisce l’adozione di pratiche gestionali virtuose, promuovendo una cultura aziendale che contribuisce a plasmare un modello operativo in cui l’etica e l’efficienza si coniugano in un virtuoso connubio, elevando gli standard qualitativi del core business e generando un impatto positivo sul tessuto socio-economico pertinente.

Dalla disamina del quadro normativo delineato dalla Direttiva (UE) 2024/1760, si può arguire che il medesimo strumento legislativo non si limita a prescrivere un mero adempimento formale agli obblighi di legge, bensì promuove un approccio sistemico e propositivo alla sostenibilità aziendale[84]. L’innovazione sostanziale risiede nell’adozione di una prospettiva olistica, che trascende la tradizionale dicotomia tra interesse economico e tutela ambientale, per abbracciare una concezione più ampia e integrata di responsabilità imprenditoriale. In quest’ottica, l’unità produttiva è chiamata a considerare il proprio ruolo non solo in termini di profitto, ma anche – e soprattutto – in relazione al suo impatto sull’ecosistema e sul tessuto sociale in cui opera[85]. Collocandosi in perfetta sintonia con i principi cardine dello sviluppo sostenibile, cristallizzati nella Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992, la Direttiva in esame incarna il principio di integrazione ambientale, secondo cui le istanze di tutela ecologica devono permeare ogni fase del processo decisionale, sia a livello pubblico che privato[86]. Questo mutamento di prospettiva, lungi dall’essere meramente teorico, risponde a concrete esigenze del mercato e della società civile, gettando le fondamenta per un modello di sviluppo che, nel rispetto dei limiti biofisici del pianeta, mira a coniugare prosperità economica, equità sociale e integrità ambientale[87].

L’attuazione degli obblighi di due diligence ambientale, sanciti dalla Direttiva (UE) 2024/1760, presenta un intreccio di sfide e opportunità per le entità economiche, richiedendo un’analisi meticolosa delle ricadute ecologiche lungo l’intero spettro della catena del valore. In primis, una delle questioni preminenti per le persone giuridiche riguarda l’impegno economico legato all’implementazione dei nuovi protocolli di vigilanza[88]. Il gravame imposto dall’adeguamento normativo, benché oneroso, trova contrappeso nei prospettici vantaggi di migliorata gestione del rischio, accresciuto prestigio aziendale e sintonia con le esigenze degli stakeholder in ambito di sostenibilità. Gli attori imprenditoriali si vedranno costretti a cospicui esborsi per l’implementazione di avanzati sistemi gestionali e di controllo, nonché per l’aggiornamento delle competenze professionali. Tale impegno finanziario potrebbe ingenerare criticità nell’allocazione ottimale delle risorse, con eventuali ricadute sull’equilibrio economico delle imprese coinvolte[89].

Ciò nondimeno, l’efficace implementazione dei processi aziendali è suscettibile di dischiudere prospettive di rilevanza non trascurabile. Le imprese che adottano prassi di due diligence informate a criteri di rigorosa osservanza potrebbero beneficiare di un incremento della resilienza operativa e di una più efficiente gestione del rischio, in conformità ai principi di risk management delineati nella norma ISO 31000:2018[90]. Una cognizione più approfondita e una gestione maggiormente oculata dei rischi di natura ambientale e sociale lungo l’intera filiera produttiva possono tradursi in un superiore grado di stabilità operativa, attenuando le potenziali interruzioni riconducibili a criticità di carattere ecologico oppure sociale.

Tenuto conto di quanto osservato sinora, gli operatori economici si troveranno nella impellente necessità di delineare una mappatura esaustiva delle proprie filiere di approvvigionamento, individuare i potenziali profili di rischio e instaurare sinergie collaborative con i fornitori al fine di assicurare l’ottemperanza agli standard ambientali e sociali. Tale iter procedurale può rivelarsi oltremodo articolato e oneroso in termini di dispendio temporale e allocazione di risorse, con particolare riguardo alle imprese contraddistinte da catene di approvvigionamento estese e ramificate. Ex adverso, una gestione efficiente della medesime può tradursi in un incremento della trasparenza operativa, in un consolidamento delle relazioni con i fornitori e in una sostanziale mitigazione dei rischi reputazionali. Le entità imprenditoriali che riusciranno a implementare con successo prassi di due diligence lungo la propria filiera di approvvigionamento potrebbero beneficiare, in pratica, di una maggiore resilience operativa, di un innalzamento qualitativo dei prodotti e di un vantaggio competitivo di rilevante entità nell’ambito del mercato di riferimento[91].

Un altro elemento di preminente rilevanza dischiuso dalla CSDDD è rappresentato dall’imperativo, sancito dall’art. 22, di adottare e implementare un piano strategico di transizione finalizzato alla mitigazione delle alterazioni climatiche[92]. L’elaborazione e l’attuazione dello stesso costituisce, in veritate, una sfida realmente significativa per le entità imprenditoriali, richiedendo una revisione organica dei paradigmi di business e delle prassi operative. Le imprese si troveranno nella impellente necessità di effettuare una valutazione analitica delle proprie emissioni di gas climalteranti, individuare i settori di maggiore impatto e sviluppare strategie finalizzate a una significativa riduzione delle proprie emissioni. Ferme restando le suddette considerazioni, giova rilevare come l’adozione di un piano di transizione climatica, pur gravata da taluni oneri, dischiuda alle imprese che lo implementeranno con efficacia un duplice beneficio: da un lato, un incremento dell’efficienza energetica, dall’altro, una correlata contrazione dei costi operativi, prefigurando così un potenziale rafforzamento della loro posizione competitiva nell’orizzonte temporale di medio-lungo periodo. A fortiori, le entità imprenditoriali che si distingueranno come antesignane nella transizione verso un modello produttivo a bassa impronta carbonica potrebbero assicurarsi un vantaggio competitivo di rilievo, calamitando l’attenzione di investitori e di una clientela sempre più edotta e sensibile alle questioni climatiche[93].

La Direttiva (UE) 2024/1760 introduce altresì, all’art. 14, l’imperativo per le entità imprenditoriali di istituire un apparato di notifica e una procedura di reclamo, ovverosia un grievance mechanism[94]. L’implementazione di siffatti dispositivi potrebbe comportare oneri e sfide organizzative di ragguardevole magnitudine, in virtù del fatto che le imprese saranno chiamate a sviluppare iter procedurali per recepire, valutare e rispondere alle segnalazioni in maniera tempestiva ed efficace. Ciò richiederebbe la creazione di nuove strutture organiche, la qualificazione del personale e l’adozione di advanced management information systems, i quali, fungendo da early warning system, offrirebbero l’opportunità di ottimizzare il dialogo con gli stakeholder e di individuare precocemente potenziali criticità di ragguardevole entità. Difatti, un apparato di reclamo efficiente può fornire alle aziende informazioni di inestimabile valore sui rischi emergenti e sulle aree di perfezionamento, promuovendo il continuous improvement e consentendo loro di affrontare proattivamente le problematiche prima che queste si acuiscano, donde l’introduzione, contemplata nell’art. 29, di prescrizioni concernenti la corporate liability[95]. De iure condito, questa previsione amplifica significativamente la legal exposure delle imprese; in tal guisa, la responsabilità degli operatori economici si estende potenzialmente ai danni ambientali e alle violazioni dei diritti umani verificatisi lungo la loro catena del valore, anche nel caso in cui tali pregiudizi siano imputabili a fornitori o partner commerciali. Questa dilatazione della sfera di responsabilità civile, che riecheggia il principio di due diligence cristallizzato nelle OECD Guidelines for Multinational Enterprises, spinge le aziende verso l’adozione di prassi di enhanced due diligence, che si traduce in un affinamento della gestione del rischio aziendale nel suo complesso.

Nel solco di una visione giuridica a largo spettro, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive richiede alle imprese una meticolosa valutazione delle ripercussioni ambientali delle loro attività, dall’ideazione allo smaltimento dei prodotti e servizi. L’incidenza lungo l’intero spettro del ciclo vitale si allinea perfettamente con i principi dell’economia circolare, promossi dal Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare[96], che possono tradursi in un incremento significativo dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse e nell’apertura di nuove e inesplorate opportunità di business. Nell’alveo dell’anzidetta prospettiva, gli operatori economici contraddistinti da spiccata propensione all’innovazione e da lungimirante visione strategica potrebbero addivenire all’individuazione di paradigmi operativi inediti e di portata dirompente, volti alla contrazione della produzione di scarti, al recupero di risorse di pregio e all’elaborazione di modelli imprenditoriali all’avanguardia, imperniati sui canoni succitati.

Dall’ermeneutica della Direttiva de qua, si evince che l’istanza rivolta alle persone giuridiche circa l’implementazione di sistemi di monitoraggio e rendicontazione, lungi dal configurarsi quale mero gravame economico, potrebbe tradursi in un’ottimizzazione olistica dell’efficienza operativa nonché in un potenziamento della capacità di prevenzione e mitigazione dei rischi aziendali, richiedendo investimenti che si qualificano come leva strategica per il conseguimento di un vantaggio competitivo sostenibile e durevole. In particolare, l’estensione degli obblighi di due diligence all’intera catena del valore, inclusi i partner commerciali indiretti, si configura come un aspetto particolarmente sfidante, potenzialmente foriero di una maggiore collaborazione e trasparenza lungo la catena di approvvigionamento[97]. Ne discende che la Corporate Sustainability Due Diligence Directive, informata da una visione onnicomprensiva, introduce sfide di ragguardevole portata in termini di misurazione e quantificazione degli impatti ambientali e sociali, ponendo le entità imprenditoriali dinanzi all’imperativo di sviluppare metriche e metodologie robuste per valutare il loro impatto lungo l’intera catena del valore; siffatto processo potrebbe assurgere a catalizzatore di innovazioni nel campo della contabilità di sostenibilità e della valutazione dell’impatto, prefigurando un paradigma gestionale di elevata complessità e potenziale trasformativo[98].

Foriera di un’innovativa concezione della governance societaria, la Direttiva (UE) 2024/1760 si propone di catalizzare una metamorfosi profonda nel modus operandi delle entità imprenditoriali, erigendo a pilastro fondante del proprio disegno riformatore il binomio trasparenza-comunicazione, e imponendo conseguentemente alle imprese un obbligo di disclosure minuziosa e circostanziata circa le proprie pratiche di due diligence e i relativi impatti. L’anzidetto requisito, lungi dall’essere soltanto un onere, si può interpretare come potenziale volano per il consolidamento della fiducia degli stakeholder e per l’attrazione di investimenti eticamente orientati[99]. La norma, per di più, promuove un approccio collaborativo attraverso partnership multi-stakeholder, prefigurando un ecosistema imprenditoriale in cui la condivisione di risorse e conoscenze funga da catalizzatore per l’innovazione e l’amplificazione dell’impatto positivo.

Di saliente rilievo è l’enfasi posta sull’integrazione olistica delle considerazioni di sostenibilità nei processi decisionali, prefigurando una trasformazione culturale che, pur rappresentando una sfida non trascurabile, potrebbe innescare un rinnovamento organizzativo di portata sistemica, potenziando la resilienza e l’adattabilità delle imprese in un contesto economico in rapida evoluzione[100]. La Direttiva (UE) 2024/1760 solleva, altresì, questioni di notevole complessità in materia di gestione dei dati e cybersecurity, imponendo lo sviluppo di infrastrutture robuste per la raccolta, l’analisi e la protezione di ingenti flussi informativi inerenti alle pratiche di sostenibilità[101]. Tale requisito, benché gravoso in termini di investimenti, potrebbe tradursi in un incremento dell’efficienza operativa e in una superiore capacità di gestione del rischio.

L’impianto normativo della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, nella sua articolata architettura, pone in risalto l’adozione di un paradigma proattivo nella gestione dei rischi reputazionali correlati alla sostenibilità, prescrivendo alle imprese l’elaborazione di strategie sofisticate che trascendano la mera comunicazione per incarnare un impegno verificabile e configurandosi come potenziale leva strategica di incommensurabile valore nel lungo periodo[102]. Dalla necessità di scrutare gli impatti di sostenibilità attraverso una lente onnicomprensiva e di lungo corso emerge un’esigenza imprescindibile per le entità imprenditoriali: l’elaborazione di una visione strategica che, oltrepassando i confini nazionali e le preoccupazioni effimere, si immerga in una comprensione più profonda del proprio ruolo nell’ecosistema economico globale. Il medesimo, pur gravido di complessità in termini di pianificazione e gestione, si profila come potenziale catalizzatore di opportunità avant-garde, capaci di ridisegnare il posizionamento competitivo e di generare valore durevole di portata sistemica, preconizzando così un nuovo paradigma imprenditoriale in cui la lungimiranza assurge a leva strategica di incontrovertibile centralità[103].

  • Le riflessioni conclusive sulla portata trasformativa del dovere di diligenza ambientale nell’ordinamento giuridico europeo

La Direttiva (UE) 2024/1760 si prefigge di riorientare l’ordinamento giuridico comunitario verso un paradigma di sostenibilità, forgiando un assetto normativo che espande la sfera di responsabilità delle persone giuridiche, ridefinisce i canoni della due diligence ambientale e consolida i principi di prevenzione e precauzione quali cardini imprescindibili del processo di decision-making nelle organizzazioni. La disciplina giuridica quivi analizzata tenta di equilibrare, non senza tensioni, le aspirazioni ecologiche con le esigenze del tessuto produttivo, contemplando le sfide di un’epoca in cui la tutela ambientale è chiamata a confrontarsi con le concrete dinamiche economiche[104]. Cotale intervento legislativo delinea, pertanto, una metamorfosi nell’interpretazione del ruolo imprenditoriale, riconfigurando il rapporto tra performance economica e responsabilità ambientale attraverso un modello di governance che eleva la sostenibilità a principio cardine[105]. Nell’alveo di tale impianto concettuale, le teorizzazioni dello stakeholder capitalism sembrano trovare risonanza e, al contempo, le emergenti istanze di responsabilità imprenditoriale acquisiscono nuovo peso, prefigurando un’attività d’impresa multidimensionale tesa a conciliare obiettivi economici, ambientali e sociali in un assetto caratterizzato da latenti frizioni sistemiche.

Prevista in modo particolare dall’art. 7 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, l’estensione della responsabilità d’impresa all’intera catena del valore è ravvisabile come una delle innovazioni dal potenziale autenticamente trasformativo nel panorama giuridico contemporaneo. Il concetto di sphere of influence, elaborato nel quadro dei Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani, prefigura una possibile ridefinizione dei confini della personalità giuridica, aprendo scenari inediti anche nel diritto societario. Invero, questa disposizione non si limita a dilatare il perimetro di responsabilità delle imprese, bensì pone le fondamenta per una riconfigurazione dei tradizionali paradigmi di governance aziendale, dischiudendo nuovi orizzonti ermeneutici. Di conseguenza, l’imposizione alle imprese di un obbligo di due diligence che travalica i confini delle proprie attività, estendendosi a quelle delle filiazioni e dei partner commerciali, segna un punto di svolta rispetto al quadro normativo preesistente, rappresentato dall’intero framework trattato nei precedenti paragrafi. Ne consegue che questa dilatazione della sfera di responsabilità solleva questioni giuridiche di rilevante complessità, in particolare per quanto attiene alla delimitazione della responsabilità imprenditoriale e alla sua interazione con i principi di causalità nel diritto ambientale[106].

Nell’ambito delle innovazioni introdotte dalla Direttiva (UE) 2024/1760, l’art. 22 si distingue per via del fatto che sostiene l’adozione di un piano di transizione finalizzato alla mitigazione dei cambiamenti climatici e introduce, stante ciò, un elemento di pianificazione strategica nella governance climatica aziendale. La succitata disposizione, pur allineandosi con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e con il quadro normativo delineato dal Regolamento (UE) 2021/1119, si spinge oltre, esigendo dalle imprese una vera e propria integrazione delle considerazioni climatiche nelle loro strategie di business. L’intento di sviluppare piani di transizione climatica lascia intravedere la possibilità di catalizzare una trasformazione profonda degli archetipi aziendali, promuovendo l’innovazione tecnologica e stimolando la ricerca di soluzioni a basse emissioni di carbonio. Ciononostante, la sua implementazione solleva questioni di notevole complessità in termini di misurazione, reporting e verifica delle emissioni di gas serra lungo le catene del valore globali, prefigurando la sfida, che si preannuncia ardua, di sviluppare metodologie standardizzate e affidabili per la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni, con particolare riguardo alle emissioni di Scope 3[107]. In virtù di siffatta circostanza, si rende necessario ponderare non soltanto gli aspetti tecnici inerenti alla misurazione delle emissioni, bensì anche le implicazioni di carattere economico e sociale scaturenti dalla transizione ecologica. Giova altresì prestare la dovuta attenzione ai principi di giustizia climatica, alla stregua di quanto previsto dalla Comunicazione della Commissione europea sul Green Deal europeo[108], i quali informano l’intero processo di transizione verso un’economia climaticamente neutra.

La severità dell’impianto sanzionatorio delineato dall’art. 27 riflette l’approccio rigoroso del legislatore europeo, prevedendo ammende che possono raggiungere il 5% del fatturato mondiale delle imprese; tale livello di sanzioni, equiparabile a quello contemplato nel diritto antitrust dell’UE, sottolinea la gravità attribuita alle violazioni degli obblighi di due diligence[109]. Sebbene questo regime possa esercitare una forte azione deterrente, la sua concreta applicazione richiederà un delicato bilanciamento tra efficacia e proporzionalità, in ossequio ai principi fondamentali del diritto dell’UE sanciti dall’art. 5 del TUE[110]. Conseguentemente, le autorità nazionali e la Commissione europea saranno chiamate a sviluppare criteri chiari e trasparenti per l’irrogazione di tali sanzioni, ponderando fattori quali la gravità e la durata dell’infrazione, il grado di collaborazione dell’impresa e l’eventuale recidiva[111]. In aggiunta, il medesimo articolo introduce un elemento di trasparenza attraverso la pubblicazione delle decisioni sanzionatorie, disposizione potenzialmente incisiva sulla reputazione aziendale e sulle pratiche di mercato[112].

L’istituzione di autorità di controllo nazionali, prevista dall’art. 24, solleva interrogativi sull’evoluzione del principio di sussidiarietà nell’architettura istituzionale dell’Unione Europea[113]. La sfida principale consisterà nel garantire un’applicazione uniforme della Direttiva in tutti gli Stati membri, evitando al contempo, una frammentazione del mercato interno[114]. In tale contesto, la creazione di una rete europea di autorità di controllo, contemplata dall’art. 28, potrebbe agevolare la cooperazione e lo scambio di best practices tra le autorità nazionali[115]. Nondimeno, l’efficacia di questo sistema dipenderà in larga misura dalla capacità delle autorità nazionali di sviluppare le competenze necessarie per valutare questioni complesse di due diligence ambientale e dalle risorse messe a disposizione dagli Stati membri[116].

L’interazione tra la Corporate Sustainability Due Diligence Directive e il quadro normativo esistente in materia di finanza sostenibile, facendo particolare menzione del Regolamento (UE) 2020/852 e del Regolamento (UE) 2019/2088, prefigura un allineamento tra gli obblighi di due diligence e i criteri di sostenibilità definiti dalla Tassonomia UE[117]. Detta convergenza facilita la transizione verso un assetto finanziario eco-compatibile, ridefinendo i parametri di valutazione del rischio e del valore nella sfera economica internazionale. L’integrazione delle considerazioni di due diligence nelle decisioni di investimento potrebbe comportare una significativa riallocazione dei flussi di capitale nell’alveo delle pratiche commerciali environmentally-friendly, in linea con gli obiettivi del Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile della Commissione Europea[118]. Per di più, l’applicazione degli obblighi di due diligence alle catene del valore globali potrebbe generare tensioni con i principi di sovranità nazionale e non interferenza[119]. Risulterà dunque di cruciale pregnanza lo sviluppo di meccanismi di cooperazione internazionale e di composizione delle controversie, al fine di dirimere potenziali conflitti di giurisdizione e garantire un’efficace applicazione della Direttiva su scala globale[120]. In siffatto contesto, il ruolo della diplomazia dell’Unione Europea assumerà una rilevanza vieppiù crescente nella promozione di parametri universali di sostenibilità aziendale, elevando gli standard di responsabilità d’impresa a livello transnazionale[121].

L’esame approfondito condotto in questi paragrafi rivela con cristallina chiarezza come la Direttiva (UE) 2024/1760 spalanchi orizzonti inesplorati per il diritto ambientale europeo, segnando una metamorfosi da un approccio prevalentemente reattivo a uno proattivo e preventivo nella gestione degli impatti ambientali delle imprese[122]. Questa evoluzione riflette una comprensione più sofisticata della simbiosi tra economia, società e ambiente, allineandosi con i più avanzati postulati della sostenibilità aziendale[123]. Ciononostante, l’efficacia della Corporate Sustainability Due Diligence Directive sarà inevitabilmente vincolata alla sua concreta attuazione e all’ermeneutica giurisprudenziale, tanto nazionale quanto sovranazionale[124]. Nel panorama che si delinea, le sfide future si stagliano multiformi e intricate: dall’elaborazione di metodologie rigorose per la valutazione degli impatti ambientali lungo le catene del valore globali, alla creazione di meccanismi efficaci per dirimere le controversie transfrontaliere, sino all’armonizzazione degli approcci tra diverse giurisdizioni[125]. Imprescindibile sarà, inoltre, il monitoraggio dell’impatto della medesima Direttiva sulla competitività delle imprese europee nel contesto globale, nonché la valutazione dell’eventuale necessità di misure complementari a sostegno della transizione verso modelli di business sostenibili[126]. Questo ardito esperimento di governance societaria si prefigura come potenziale ridefinizione del ruolo delle imprese nel tessuto socio-economico del XXI secolo[127], in un contesto globale caratterizzato da sfide di crescente complessità e interconnessione[128], nonché dall’imperativo categorico di salvaguardare gli interessi delle generazioni venture[129]. Tale prospettiva intergenerazionale, già cristallizzata in recenti riforme costituzionali, riflette una rinnovata consapevolezza giuridica dell’esigenza di porre limiti all’agire contemporaneo in funzione della tutela dei posteri[130]. La Corporate Sustainability Due Diligence Directive si configura, in tal guisa, non meramente quale strumento normativo, bensì come catalizzatore di una profonda metamorfosi del tessuto giuridico-economico europeo, orientando quest’ultimo verso un paradigma di sostenibilità organica.


[1] In proposito, è opportuno rilevare che la Direttiva (UE) 2024/1760 introduce un paradigma innovativo di responsabilità ambientale d’impresa. L’art. 5 della Direttiva, in particolare, delinea un dovere di diligenza basato sul rischio che trascende la mera conformità normativa, richiedendo alle imprese un approccio proattivo e integrato alla gestione degli impatti ambientali. Questo obbligo si inserisce in un quadro giuridico più ampio, che include altresì il Regolamento (UE) 2020/852 sulla tassonomia e la Direttiva 2014/95/UE sulla rendicontazione non finanziaria, creando un sistema coerente di obblighi per le imprese in materia di sostenibilità. La Direttiva, inoltre, all’art. 22, introduce l’innovativo concetto di “piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici”, anticipando così le istanze della COM(2021) 188 final sulla tassonomia dell’UE per la finanza sostenibile. L’anzidetto approccio alla sostenibilità aziendale riflette l’evoluzione della giurisprudenza della CGUE in materia ambientale, in particolare la sentenza C-594/18 P che ha enfatizzato la necessità di un’interpretazione estensiva del principio di precauzione nel contesto del diritto ambientale dell’UE.

[2] Più precisamente, i fondamenti giuridici della tutela ambientale nell’UE si trovano principalmente negli articoli 11 e 191-193 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). I succitati principi sono stati poi attuati attraverso numerose normative, tra cui la Direttiva sulla Valutazione di Impatto Ambientale (2011/92/UE) e il Regolamento REACH sulle sostanze chimiche (CE n. 1907/2006). La Corte di Giustizia dell’UE ha svolto un ruolo cruciale nell’interpretazione e nell’applicazione di questi principi, come dimostrato in sentenze chiave quali Waddenvereniging (C-127/02) e Craeynest (C-723/17). Per una visione strategica complessiva, si veda anche la Comunicazione della Commissione Europea sul Green Deal europeo (COM(2019) 640 final).

[3] La Direttiva (UE) 2024/1760 introduce un regime di due diligence calibrato in base alle dimensioni aziendali. L’art. 2, par. 1, stabilisce soglie di applicazione basate sul numero di dipendenti (oltre 1000) e sul fatturato (superiore a 450 milioni di euro), mentre il par. 2 estende gli obblighi alle imprese extra-UE con fatturato significativo nel mercato interno. Innovativa è l’inclusione, all’art. 2, par. 1, lett. c), di società con accordi di franchising o licenza che generano diritti di licenza superiori a 22,5 milioni di euro. L’approccio graduale così definito riflette il principio di proporzionalità sancito dall’art. 5 TUE, bilanciando l’efficacia della norma con le capacità operative delle imprese. Inoltre, la CSDDD si allinea così con la giurisprudenza della CGUE sulla responsabilità delle imprese transnazionali (cfr. C-11/69, Commissione c. Francia), estendendo il concetto di “sfera d’influenza” aziendale all’ambito della sostenibilità.

[4] Guidelines for Multinational Enterprises on Responsible Business Conduct, Parigi, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), 2023.

[5] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni: Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 – Riportare la natura nella nostra vita, COM(2020) 98 final, Bruxelles, Unione Europea, 2020.

[6] Le Conclusioni del Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2020 hanno fornito l’impulso politico per l’elaborazione della Direttiva (UE) 2024/1760, enfatizzando la necessità di integrare la sostenibilità nelle strategie di governance aziendale. La Direttiva risponde a questa esigenza introducendo obblighi specifici, come il “piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici” (art. 22), che richiede alle imprese di allineare le loro strategie con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. In tal guisa, si introduce il concetto di “sostenibilità come dovere fiduciario” degli amministratori, e si inserisce nel quadro più ampio del Green Deal europeo (COM(2019) 640 final), creando un sistema coerente di norme volte a promuovere la transizione verso un’economia climaticamente neutra.

[7] Il Regolamento (UE) 2021/1119 inaugura un nuovo paradigma di governance climatica nell’Unione Europea, introducendo il concetto di “budget di carbonio” implicito nelle sue disposizioni. Questo approccio, che trova le sue radici nella giurisprudenza costituzionale tedesca (BVerfG, Beschluss des Ersten Senats vom 24. März 2021 – 1 BvR 2656/18), impone una redistribuzione intergenerazionale degli oneri di mitigazione climatica. La sua interazione con la Direttiva (UE) 2024/1760 crea un effetto moltiplicatore, estendendo tale responsabilità al settore privato e prefigurando potenziali implicazioni in termini di giustizia climatica e diritti fondamentali.

[8] La “Legge europea sul clima” (Reg. UE 2021/1119), nel fissare obiettivi climatici vincolanti, introduce implicitamente il principio di non-regressione nel diritto ambientale dell’UE. L’anzidetto concetto, elaborato dalla dottrina giuridica (Cfr. L. Colella, L’emergenza climatica e il “diritto ambientale del cambiamento”, in Saggi di Diritto ambientale e comparato – Prospettive di cambiamento, 2019.) e recepito in alcuni trattati ambientali globali, trova ora una sua declinazione nel contesto europeo. La Direttiva (UE) 2024/1760, estendendo gli obblighi di due diligence alle imprese, rafforza questo principio, creando un meccanismo di “lock-in” normativo che potrebbe influenzare significativamente l’evoluzione futura del diritto societario e ambientale dell’UE. Ciò solleva interessanti questioni sulla flessibilità regolamentare in un contesto di rapida evoluzione tecnologica e scientifica.

[9] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni: Green Deal europeo, COM(2019) 640 final, Bruxelles, Unione Europea, 2019.

[10] Nello specifico, la Comunicazione COM(2020) 98 final della Commissione Europea, intitolata “Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare: per un’Europa più pulita e più competitiva”, delinea strategie per promuovere un modello economico circolare nell’UE, enfatizzando la progettazione sostenibile dei prodotti, la promozione di consumi responsabili, l’incentivazione di investimenti in innovazione verde, il monitoraggio dei progressi e la collaborazione tra governi, imprese e cittadini, con l’obiettivo di ridurre gli sprechi e aumentare l’efficienza delle risorse.

[11] GRI Standards, Amsterdam, Global Reporting Initiative, 2020.

[12] CDP Report 2023, London, Carbon Disclosure Project, 2023.

[13] In particolare, le Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 1° dicembre 2020 (2020/C 415/09) hanno delineato la necessità di un quadro normativo organico sulla due diligence aziendale in materia di diritti umani e standard ambientali. In risposta a tale indirizzo, la Direttiva (UE) 2024/1760 ha introdotto gli obblighi cogenti per le imprese in materia di sostenibilità e responsabilità sociale.

[14] Rapporto di sintesi del XI ciclo di valutazione, Ginevra, Intergovernmental Panel on Climate Change, 2023.

[15] Il Regolamento (UE) 2023/2859 introduce obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità più stringenti, in particolare all’art. 19 bis. Quest’ultimo si allinea con l’art. 16 della Direttiva (UE) 2024/1760 sugli obblighi di comunicazione relativi alla due diligence. Il quadro normativo così delineato richiede alle imprese di implementare meccanismi di vigilanza e rendicontazione trasparenti, nonché programmi di formazione continua. Tale approccio riflette l’evoluzione del concetto di responsabilità d’impresa, come delineato nel Green Deal europeo (COM(2019) 640 final), rispondendo alle crescenti aspettative degli stakeholder in materia di accountability aziendale.

[16] V. Pepe, Fare ambiente. Teorie e modelli giuridici di sviluppo sostenibile, Milano, Franco Angeli, 2008.

[17] M. Irene, “Due diligence” sostenibilità, obblighi per le imprese dal 2027, Milano, ReteAmbiente – Osservatorio sulla normativa ambientale, 2024.

[18] In merito, è opportuno rilevare che la Direttiva (UE) 2024/1760 introduce un paradigma innovativo nel panorama giuridico europeo. L’art. 7 della Direttiva, in particolare, impone alle società di integrare il dovere di diligenza in tutte le politiche aziendali, segnando un passaggio da un approccio reattivo a uno proattivo nella gestione dei rischi ambientali. Tale disposizione si allinea con il principio di integrazione ambientale sancito dall’art. 11 TFUE, consolidando un trend normativo già avviato con il Regolamento (UE) 2020/852 sulla tassonomia. La Direttiva, inoltre, all’art. 22, introduce l’obbligo per le imprese di adottare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici, facendo proprie così le istanze della COM(2021) 188 final sulla tassonomia dell’UE per la finanza sostenibile. Si riflette, pertanto, l’evoluzione della giurisprudenza della CGUE in materia ambientale, in specie la sentenza C-594/18 P che ha enfatizzato la necessità di un’interpretazione estensiva del principio di precauzione.

[19] Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, Diritti umani e ambientali: due diligence strumento rivoluzionario contro le impunità, Roma, 2023.

[20] La Direttiva (UE) 2024/1760 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, all’art. 2, delinea con precisione l’ambito di applicazione del provvedimento. In particolare, i par. 1 e 2 stabiliscono soglie quantitative differenziate per le imprese dell’UE e quelle di Paesi terzi, basate su criteri di fatturato e numero di dipendenti. Si manifesta, in maniera chiara, l’intenzione del legislatore di imporre obblighi più stringenti alle entità di maggiori dimensioni, riconoscendo il loro potenziale impatto più significativo in termini di sostenibilità. La Direttiva, inoltre, estende la sua portata alle imprese che operano in settori ad alto rischio, evidenziando una strategia mirata a massimizzare l’efficacia delle nuove norme nei contesti più critici per i diritti umani e l’ambiente.

[21] In proposito, è opportuno rilevare che l’art. 3 della CS3D introduce una novità nel panorama legislativo europeo, ovverosia la definizione di “catena di attività” che, includendo sia le operazioni a monte che quelle a valle, supera il tradizionale concetto di catena di fornitura. Questa innovazione, unitamente alla definizione di “misure adeguate”, impone alle imprese un dovere di vigilanza esteso e proporzionato al rischio. La Direttiva sfida, in questo modo, il paradigma della responsabilità limitata, estendendo de facto gli obblighi delle imprese oltre i confini giuridici tradizionali e creando un precedente per future evoluzioni nel diritto societario europeo.

[22] Segnatamente, l’art. 11 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) positivizza il principio dell’integrazione ambientale, statuendo l’obbligo di incorporare le istanze di tutela ambientale in tutte le politiche e azioni dell’UE. La sua collocazione nel TFUE conferisce una solida base giuridica all’azione ambientale dell’Unione Europea, informando l’interpretazione e l’applicazione del diritto comunitario in molteplici settori.

[23] Regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 2021, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il Regolamento (CE) n. 401/2009 e il Regolamento (UE) 2018/1999 (“Normativa europea sul clima”), Bruxelles, Unione Europea, 2021.

[24] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni: Il Green Deal europeo, COM(2019) 640 final, Bruxelles, Unione Europea, 2019.

[25] Versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2012.

[26] Caso C-24/19, A e Altri contro Gewestelijke stedenbouwkundige ambtenaar van het departement Ruimte Vlaanderen, afdeling Oost-Vlaanderen, Lussemburgo, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 25 giugno 2020.

[27] L’art. 8, in sinergia con l’art. 9, introduce un sistema di “attribuzione di priorità” agli impatti negativi basato su gravità e probabilità, superando l’approccio one-size-fits-all. Particolarmente rilevante è anche l’art. 22, che prescrive l’adozione di un “piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici” con obiettivi temporalmente definiti fino al 2050. Questo obbligo, unico nel panorama normativo europeo, trasforma la due diligence da esercizio reattivo a strumento proattivo di pianificazione strategica a lungo termine, allineando le pratiche aziendali con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

[28] Conclusioni del Consiglio sull’agenda globale per la sostenibilità e la responsabilità d’impresa, Bruxelles, Unione Europea, 2020.

[29] Conclusioni del Consiglio su diritti umani e lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento globali, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2020.

[30] Guiding Principles on Business and Human Rights: Implementing the United Nations “Protect, Respect and Remedy” Framework, adottati dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite con risoluzione A/HRC/RES/17/4 del 16 giugno 2011. Questi principi, noti come “Principi Ruggie” dal nome del loro autore, ovverosia il prof. John Ruggie, si basano su tre pilastri fondamentali: l’obbligo degli Stati di proteggere i diritti umani, la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani e la necessità di garantire l’accesso a rimedi efficaci per le vittime di violazioni. La loro adozione ha segnato un momento spartiacque nel dibattito sulla responsabilità delle imprese in materia di diritti umani.

[31] Nello specifico, le Linee Guida in questione, la cui prima versione risale al 1976, rappresentano uno dei più completi strumenti multilaterali in materia di responsabilità sociale d’impresa. La revisione del 2011 ha introdotto un nuovo capitolo sui diritti umani, allineandosi ai Principi Guida delle Nazioni Unite, e ha rafforzato le disposizioni in materia di due diligence e di catene di approvvigionamento responsabili. È particolarmente rilevante il meccanismo dei Punti di Contatto Nazionali, che fornisce una piattaforma per la risoluzione delle controversie relative all’applicazione delle Linee Guida.

[32] Il considerando 5 della Direttiva (UE) 2024/1760 fa esplicito riferimento a questi strumenti, affermando che “Le norme internazionali vigenti in materia di condotta d’impresa responsabile specificano che le società dovrebbero tutelare i diritti umani e stabiliscono le modalità con cui dovrebbero inserire la protezione dell’ambiente in tutte le attività che svolgono e le catene del valore cui partecipano.” Il suddetto richiamo evidenzia il ruolo fondamentale che questi strumenti di soft law hanno svolto nella cristallizzazione di norme consuetudinarie in materia di responsabilità sociale d’impresa, fornendo una base concettuale e operativa per l’elaborazione della medesima Direttiva.

[33] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Una nuova strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile, COM(2016) 739 final, Bruxelles, Unione Europea, 2016.

[34] Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2019.

[35] Direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, recante modifica della Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2014.

[36] Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese, Strasburgo, Unione Europea, 2021.

[37] Regolamento (UE) 2020/852 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del Regolamento (UE) 2019/2088, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2020.

[38] L’art. 4 della Direttiva (UE) 2024/1760 codifica un approccio basato sul rischio che riflette le best practices internazionali; esso stabilisce il principio fondamentale secondo cui le imprese devono adottare misure adeguate per esercitare il dovere di diligenza in materia di diritti umani e ambiente. La disposizione enfatizza la necessità di un approccio proporzionato e basato sul rischio, richiedendo che le misure adottate siano “in grado di conseguire gli obiettivi del dovere di diligenza, affrontando efficacemente gli impatti negativi in modo commisurato al grado di gravità e alla probabilità dell’impatto negativo”. Questa formulazione riflette la consapevolezza del legislatore europeo della necessità di bilanciare l’efficacia della tutela con le concrete capacità operative delle imprese, in linea con il principio di proporzionalità sancito dall’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea. L’art. 4 va letto in congiunzione con la definizione di “misure adeguate” fornita all’art. 3, par. 1, lettera o), che introduce ulteriori criteri di valutazione dell’adempimento degli obblighi di due diligence.

[39] Comunicazione della Commissione Europea – Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario: Integrazione concernente la comunicazione di informazioni relative al clima, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2019.

[40] Decisione (UE) 2017/1508 sul documento di riferimento sulla migliore pratica di gestione ambientale, sugli indicatori di prestazione ambientale settoriale e sugli esempi di eccellenza per il settore della produzione di apparecchiature elettriche ed elettroniche, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2017.

[41] Direttiva 2014/95/UE recante modifica della Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2014.

[42] In particolare, il par. 1 dell’art. 8 impone alle imprese di adottare “misure adeguate per individuare e valutare gli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, causati dalle proprie attività o da quelle delle sue filiazioni e, se collegate alla propria catena di attività, da quelle dei suoi partner commerciali”. Tale disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 15, che richiede un monitoraggio continuo dell’efficacia delle misure di due diligence, e con l’art. 16, che stabilisce gli obblighi di comunicazione. Il requisito di verifica da parte di enti terzi indipendenti, sebbene non esplicitamente menzionato nell’art. 8, è implicito nel più ampio contesto della Direttiva, in particolare nell’art. 20, par. 5, che fa riferimento alla possibilità per le imprese di “fare ricorso a una verifica da parte di terzi indipendenti”. Questa enfasi sulla verifica indipendente riflette una tendenza più ampia nel diritto ambientale dell’UE, come evidenziato dal Regolamento (UE) 2020/852 sulla tassonomia e dal Regolamento (UE) 2019/2088 sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari. L’approccio adottato dalla Direttiva mira a rafforzare la credibilità e l’affidabilità delle informazioni ambientali fornite dalle imprese, contribuendo così a ridurre il rischio di greenwashing ed a promuovere decisioni di investimento più informate.

[43] Comunicazione della Commissione Europea – Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario: Integrazione concernente la comunicazione di informazioni relative al clima, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2019.

[44] Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese, Strasburgo, Unione Europea, 2021.

[45] Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del Regolamento (UE) 2019/2088, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2020.

[46] P. Sands, J. Peel, A. Fabra, R. MacKenzie, Principles of International Environmental Law, Cambridge University, 2018.

[47] D. Bodansky, J. Brunnée, L. Rajamani, International Climate Change Law, Oxford University Press, 2017.

[48] ISO 14001:2015 Environmental management systems – Requirements with guidance for use, Ginevra, International Organization for Standardization, 2015.

[49] Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), Due Diligence Guidance for Responsible Business Conduct, Parigi, 2018.

[50] Mentre il Regolamento (UE) 2017/821 ha posto le basi per una regolamentazione più stringente delle catene di approvvigionamento, con particolare attenzione alle problematiche legate all’estrazione di minerali in zone di conflitto e ad alto rischio, il successivo Regolamento (UE) 2023/1542 ha ampliato significativamente l’ambito di applicazione del dovere di diligenza, estendendolo esplicitamente alla sfera dei diritti umani e dell’ambiente.

[51] Versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2012.

[52] Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo, Rio de Janeiro, Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, 1992.

[53] Direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2010.

[54] Risoluzione adottata il 25 settembre 2015: Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, New York, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2015.

[55] Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, “Il Green Deal europeo”, COM(2019) 640 final, Bruxelles, ove si sottolinea la necessità di “una nuova strategia di crescita che trasformi l’Unione in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva”.

[56] Direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante modifica della Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni. In particolare, l’art. 19 bis, par. 1, dispone che “Le imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500 includono nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario […]”.

[57] Direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese. Nello specifico, l’art. 19 stabilisce che “la relazione sulla gestione contiene un fedele resoconto dell’andamento e dei risultati dell’attività dell’impresa e della sua situazione, e una descrizione dei principali rischi e incertezze che essa deve affrontare”.

[58] Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2022, che modifica il Regolamento (UE) n. 537/2014, la Direttiva 2004/109/CE, la Direttiva 2006/43/CE e la Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione societaria sulla sostenibilità, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2022.

[59] Il Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari chiarisce l’ambito di applicazione, stabilendo le “[…] norme armonizzate sulla trasparenza per i partecipanti ai mercati finanziari e i consulenti finanziari per quanto riguarda l’integrazione dei rischi di sostenibilità e la considerazione degli effetti negativi per la sostenibilità nei loro processi e nella comunicazione delle informazioni connesse alla sostenibilità relative ai prodotti finanziari”.

[60] In tal senso, v. Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2020, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del Regolamento (UE) 2019/2088.

[61] Regolamento (UE) 2019/2089 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica il Regolamento (UE) 2016/1011 per quanto riguarda gli indici di riferimento UE di transizione climatica, gli indici di riferimento UE allineati con l’accordo di Parigi e le comunicazioni relative alla sostenibilità per gli indici di riferimento, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2109.

[62] Si veda, in particolare, l’art. 35 del Regolamento (UE) 2019/2033 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, relativo ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento, il quale prevede che “Le autorità competenti assicurano che le imprese di investimento […] dispongano di solidi dispositivi di governance, compresi […] processi efficaci per l’individuazione, la gestione, la sorveglianza e la segnalazione dei rischi ai quali sono o potrebbero essere esposte, inclusi i rischi ambientali, sociali e di governance”.

[63] Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262 – Approvazione del testo del Codice Civile, Roma, 1942.

[64] Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all’applicazione di principi contabili internazionali, Bruxelles, Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, 2002.

[65] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, Unione Europea, 2011.

[66] Cfr. Commissione Europea, Libro Verde – Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, COM(2001) 366 definitivo, ove si delinea per la prima volta a livello europeo un quadro organico per la promozione della responsabilità sociale d’impresa.

[67] Direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, recante modifica della Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2014.

[68] Ex art. 5 del Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 – Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, il quale sancisce che “le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza […] avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati […]”.

[69] In tal senso, si segnala la Direttiva (UE) 2022/2464 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2022, che modifica il Regolamento (UE) n. 537/2014, la Direttiva 2004/109/CE, la Direttiva 2006/43/CE e la Direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione societaria sulla sostenibilità, la quale estende significativamente l’ambito di applicazione degli obblighi di rendicontazione non finanziaria.

[70] ISO 14001:2015 Environmental management systems – Requirements with guidance for use, Ginevra, International Organization for Standardization, 2015.

[71] Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, Bruxelles, Commissione Europea, 2010

[72] L’art. 4, pur non menzionando esplicitamente la formazione del personale, stabilisce il quadro generale per l’esercizio del dovere di diligenza, che implicitamente include la necessità di formazione e sensibilizzazione. Questo aspetto è ulteriormente elaborato nell’art. 7, par. 1, che richiede l’integrazione del dovere di diligenza “in tutte le sue pertinenti politiche e i suoi pertinenti sistemi di gestione dei rischi”. Ne deriva che la formazione del personale può essere considerata parte integrante di questa integrazione. Inoltre, l’art. 7, par. 2, lettera c), fa riferimento a “procedure predisposte per l’integrazione del dovere di diligenza nelle pertinenti politiche della società”, che può ragionevolmente includere programmi di formazione. Questa interpretazione è supportata dal considerando 39, che sottolinea l’importanza di “fornire alle società gli strumenti per assisterle nel rispetto degli obblighi relativi al dovere di diligenza”. La formazione del personale può essere considerata uno di questi strumenti essenziali. L’enfasi sulla formazione riflette anche le best practices internazionali, come delineate nei Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani e nelle Linee Guida OCSE per le Imprese Multinazionali.

[73] Linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali, Parigi, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), 2011.

[74] Direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga le seguenti direttive: Direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti, Direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi, Direttiva 2006/12/CE relativa ai rifiuti, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2008.

[75] Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il Regolamento (UE) n. 648/2012, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2013.

[76] European Environment – State and Outlook 2022: Knowledge for Transition to a Sustainable Europe, Lussemburgo, Agenzia europea dell’ambiente, 2022.

[77] ISO 14001:2015 Environmental management systems – Requirements with guidance for use, Ginevra, International Organization for Standardization, 2015. La norma, frutto di un processo di revisione quinquennale, introduce innovazioni significative rispetto alla precedente versione del 2004, tra cui: l’adozione di una struttura di alto livello comune a tutti gli standard ISO sui sistemi di gestione (Annex SL); l’enfasi sulla leadership e l’impegno del top management (clause 5); l’integrazione della gestione ambientale nei processi di business strategici (clause 4.1); l’adozione di una prospettiva di ciclo di vita (clause 6.1.2); e il rafforzamento del focus sulla comunicazione esterna proattiva (clause 7.4.3).

[78] Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, Unione Europea, 2011.

[79] Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015: Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, New York, 2015.

[80] Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare: Per un’Europa più pulita e più competitiva, Bruxelles, Unione Europea, 2020.

[81] Direttiva (UE) 2017/1132 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativa ad alcuni aspetti di diritto societario, Bruxelles, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, 2017.

[82] Il principio di proporzionalità, codificato nell’art. 5, par. 4, del Trattato sull’Unione Europea, trova una specifica declinazione nell’ambito della Corporate Sustainability Due Diligence Directive. In particolare, l’art. 3, par. 1, lettera o) della Direttiva (UE) 2024/1760 definisce le “misure adeguate” come quelle che permettono di conseguire gli obiettivi del dovere di diligenza “in modo commisurato al grado di gravità e alla probabilità dell’impatto negativo”. Questa formulazione riflette la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul principio di proporzionalità (si veda, ad esempio, la sentenza nella causa C-331/88, Fedesa e altri, EU:C:1990:391, punto 13). La CSDDD, pur imponendo obblighi sostanziali alle imprese, lascia un margine di discrezionalità nell’implementazione, in linea con il principio di proporzionalità. Questo approccio è ulteriormente corroborato dal considerando 40 della medesima Direttiva, che sottolinea la necessità di adattare le misure di due diligence alle circostanze specifiche di ciascuna impresa. Tale flessibilità, tuttavia, deve essere bilanciata con l’efficacia delle misure adottate, come evidenziato dall’art. 15, che richiede un monitoraggio periodico dell’adeguatezza e dell’efficacia delle misure di due diligence. Questa tensione tra flessibilità ed efficacia riflette la complessità dell’applicazione del principio di proporzionalità nel contesto della governance aziendale sostenibile.

[83] La necessità di elaborare indicatori di performance ambientale trova il suo fondamento giuridico in diverse normative dell’UE, che costituiscono un quadro normativo integrato per la rendicontazione non finanziaria e la gestione ambientale. In primis, il Regolamento (CE) n. 1221/2009 (EMAS) all’Allegato IV, sezione C, punto 2, lettera c), richiede esplicitamente l’uso di “indicatori chiave” per la rendicontazione ambientale. Gli anzidetti indicatori sono ulteriormente specificati nell’Allegato IV, sezione C, punto 2, lettera d), che include, tra gli altri, l’efficienza energetica, l’efficienza dei materiali e le emissioni. La Direttiva 2014/95/UE sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, ora integrata nella Direttiva 2013/34/UE come modificata dalla Direttiva (UE) 2022/2464, rafforza questo requisito, richiedendo alle grandi imprese di includere nella loro relazione sulla gestione una dichiarazione non finanziaria contenente informazioni ambientali (art. 19 bis). La recente Direttiva (UE) 2024/1760 sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, all’art. 15, richiede alle imprese di monitorare l’efficacia delle loro misure di due diligence, implicitamente richiedendo l’uso di indicatori quantitativi. Inoltre, l’art. 16 della Direttiva in esame impone obblighi di comunicazione che necessitano di dati quantificabili. Questo quadro normativo è completato dal Regolamento (UE) 2020/852 sulla tassonomia, che all’art. 8 richiede alle imprese soggette alla Direttiva 2014/95/UE di includere nella loro dichiarazione non finanziaria informazioni su come e in che misura le loro attività sono associate ad attività economiche considerate ecosostenibili. L’insieme di queste disposizioni crea un obbligo de facto per le imprese di sviluppare e utilizzare indicatori di performance ambientale robusti e comparabili.

[84] G. Teubner, Substantive and Reflexive Elements in Modern Law, in Law & Society Review, 17(2), 1983, pp. 239-285.

[85] R. Freeman, Strategic Management: A Stakeholder Approach, London, Pitman, 1984.

[86] N. de Sadeleer, Environmental Principles: From Political Slogans to Legal Rules, Oxford University, 2002.

[87] J. Rockström, W. Steffen, K. Noone, Å. Persson, F. Stuart Chapin III, E. Lambin, T. M. Lenton, M. Scheffer, C. Folke, H. J. Schellnhuber, B. Nykvist, C. A. de Wit, T. Hughes, S. van der Leeuw, H. Rodhe, S. Sörlin, P. K. Snyder, R. Costanza, U. Svedin, M. Falkenmark, L. Karlberg, R. W. Corell, V. J. Fabry, J. Hansen, B. Walker, D. Liverman, K. Richardson, P. Crutzen, J. Foley, A safe operating space for humanity, in Nature, 461, 2009.

[88] L’art. 7, in particolare, stabilisce l’obbligo per le imprese di integrare il dovere di diligenza nelle proprie politiche e nei propri sistemi di gestione dei rischi. Il suddetto obbligo va letto in congiunzione con l’art. 5, che delinea gli elementi costitutivi del dovere di diligenza, tra cui l’identificazione e valutazione degli impatti negativi (par. 1, lettera b) e la prevenzione e attenuazione di tali impatti (par. 1, lettera c). L’onere economico dell’implementazione di questi protocolli è implicitamente riconosciuto nel considerando 69 della Direttiva, che prevede misure di supporto per le PMI, incluso il potenziale sostegno finanziario. Tuttavia, la Direttiva adotta un approccio basato sul rischio e proporzionato, come evidenziato dall’art. 3, par. 1, lettera o), che definisce le “misure adeguate” in relazione alle circostanze specifiche di ciascuna impresa. Tale flessibilità, pur mitigando potenzialmente l’onere economico, potrebbe anche creare incertezze interpretative che le imprese dovranno affrontare. La giurisprudenza futura della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sarà cruciale per chiarire la portata precisa di questi obblighi e il livello di impegno economico richiesto alle imprese.

[89] L’art. 14, par. 2 della Direttiva (UE) 2024/1760 prevede: “Fatte salve le norme in materia di aiuti di Stato, gli Stati membri possono erogare sostegno finanziario alle PMI”. Tale disposizione riflette la consapevolezza del legislatore europeo circa le peculiari sfide che le imprese di minori dimensioni potrebbero incontrare nell’attuazione degli obblighi di due diligence.

[90] International Organization for Standardization, “ISO 31000:2018 Risk management — Guidelines”, 2018. Questa norma fornisce principi e linee guida generali sulla gestione del rischio e risulta allineata con l’approccio alla due diligence proposto dalla Direttiva (UE) 2024/1760, promuovendo una gestione integrata e sistematica dei rischi ambientali e sociali.

[91] In specie, l’art. 8 della Direttiva (UE) 2024/1760 prescrive: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società adotti misure adeguate per individuare e valutare gli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, causati dalle proprie attività o da quelle delle sue filiazioni e, se collegate alla propria catena di attività, da quelle dei suoi partner commerciali”. Si evidenzia, in tal guisa, l’importanza di una mappatura dettagliata e di una valutazione approfondita dei rischi lungo l’intera catena del valore.

[92] L’art. 22 della CSDDD sottolinea il ruolo centrale rivestito dalla pianificazione strategica nella transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio; più nel dettaglio, si legge: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società di cui all’art. 2, par. 1, lettere a), b) e c), e all’art. 2, par. 2, lettere a), b) e c), adotti e attui un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici volto a garantire, con il massimo impegno possibile, che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C in linea con l’accordo di Parigi nonché l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica come stabilito nel Regolamento (UE) 2021/1119, compresi i suoi obiettivi intermedi e di neutralità climatica al 2050”.

[93] Inter alia, il Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2020, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili fornisce un sistema di classificazione delle attività economiche ecosostenibili, complementare agli obiettivi della CSDDD. Difatti, l’art. 3 del summenzionato Regolamento definisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, includendo il contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici, aspetto che si allinea con gli obiettivi dei piani di transizione climatica richiesti dalla Direttiva (UE) 2024/1760.

[94] L’art. 14 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive dispone: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società consenta alle persone e ai soggetti elencati al par. 2 di presentarle un reclamo qualora tali persone o soggetti nutrano un legittimo timore circa gli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, delle attività della società stessa, delle attività delle sue filiazioni o delle attività dei suoi partner commerciali nella catena di attività della società.” Tale previsione risulta compatibile anche con il Principio 31 dei Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani, che delinea i criteri di efficacia dei meccanismi di reclamo non giudiziari.

[95] Più specificatamente, l’art. 29 della Direttiva (UE) 2024/1760 stabilisce: “Gli Stati membri provvedono a che una società possa essere ritenuta responsabile di un danno causato a una persona fisica o giuridica, a condizione che: a) la società non abbia ottemperato, intenzionalmente o per negligenza, agli obblighi di cui agli articoli 10 e 11, quando il diritto, il divieto o l’obbligo elencato nell’allegato alla presente Direttiva sia inteso a tutelare la persona fisica o giuridica; e b) a seguito dell’inosservanza di cui alla lettera a), sia stato causato un danno agli interessi giuridici della persona fisica o giuridica che sono tutelati dal diritto nazionale.” Questa disposizione riflette il principio di responsabilità estesa elaborato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare nella sentenza C-397/11 del 18 luglio 2013, Jōrös v Aegon, che ha stabilito il principio della responsabilità delle imprese per le azioni delle loro controllate.

[96] Il Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare, COM(2020) 98 final, del 11 marzo 2020 delinea una serie di iniziative interconnesse volte a stabilire un quadro politico di prodotti sostenibili, incarnando perfettamente la visione del ciclo di vita dei prodotti promosso dalla CSDDD. In particolare, la sezione 2 del Piano afferma: “L’obiettivo è fare in modo che i prodotti sostenibili diventino la norma nell’UE. […] Daremo priorità ai gruppi di prodotti individuati nelle catene di valore figuranti nel presente piano d’azione, come l’elettronica, le TIC e i tessili, ma anche mobili e prodotti intermedi ad alto impatto, come l’acciaio, il cemento e le sostanze chimiche.”

[97] In merito, l’art. 10, par. 4, della Direttiva (UE) 2024/1760 statuisce: “Per quanto riguarda gli impatti negativi potenziali che risulti impossibile prevenire o attenuare sufficientemente con le misure adeguate elencate al par. 2, la società può chiedere garanzie contrattuali a un partner commerciale indiretto al fine di assicurare il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione in materia di prevenzione.” Tale disposizione riflette il principio di responsabilità estesa elaborato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare nella sentenza C-343/13 del 10 settembre 2015, Modelo Continente Hipermercados SA v Autoridade para as Condições do Trabalho, che ha enfatizzato la responsabilità delle imprese per le condizioni di lavoro lungo la catena di approvvigionamento.

[98] In specie, l’art. 8 della Direttiva (UE) 2024/1760, nel riflettere il principio di materialità elaborato nel Global Reporting Initiative Standards – il quale richiede alle organizzazioni di identificare e rendicontare sugli aspetti che riflettono i loro impatti economici, ambientali e sociali significativi – precisa che i Paesi europei “provvedono a che ciascuna società adotti misure adeguate per individuare e valutare gli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, causati dalle proprie attività o da quelle delle sue filiazioni e, se collegate alla propria catena di attività, da quelle dei suoi partner commerciali”.

[99] L’art. 16 della Direttiva (UE) 2024/1760 prescrive: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società riferisca sulle materie disciplinate dalla presente Direttiva pubblicando annualmente sul proprio sito web una dichiarazione annuale.” Si sottende, dunque, il principio di trasparenza elaborato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare nella sentenza C-442/14 del 23 novembre 2016, Bayer CropScience SA-NV e Stichting De Bijenstichting contro College voor de toelating van gewasbeschermingsmiddelen en biociden.

[100] Più nello specifico, è proprio in base all’art. 13 della CSDDD che le società debbono adottare “misure adeguate per dialogare in modo efficace con i portatori di interessi”. Nondimeno, ivi è riflesso il principio di stakeholder engagement elaborato nella norma AA1000 Stakeholder Engagement Standard (2015), ove si evince il coinvolgimento attivo e informato dei portatori di interesse nei processi decisionali aziendali.

[101] L’art. 27 della Direttiva (UE) 2024/1760, nell’osservare il Regolamento (UE) 2016/679, promuove il principio di “security by design” elaborato dall’Agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza (ENISA) nelle sue linee guida sulla sicurezza dei sistemi informativi del 2023. La norma, inoltre, echeggia la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare la sentenza C-311/18 del 16 luglio 2020 (Schrems II), che ha enfatizzato l’importanza di adeguate garanzie per il trasferimento internazionale di dati personali. Più nello specifico, si legge che i Paesi europei “provvedono affinché le società adottino misure adeguate per garantire la sicurezza, l’integrità e la riservatezza dei dati raccolti nell’ambito delle attività di due diligence in materia di sostenibilità”.

[102] A supporto, l’art. 10, par. 2, lettera a), della Direttiva (UE) 2024/1760 prescrive: “Se la natura o la complessità delle necessarie misure di prevenzione lo esige, predisporre e attuare senza indebito ritardo un piano d’azione in materia di prevenzione che preveda scadenze ragionevoli e precise per l’attuazione di misure adeguate e indicatori qualitativi e quantitativi per misurare i progressi.” Tale disposizione riflette il principio di “materiality assessment” elaborato nel Global Reporting Initiative Standards, che richiede alle organizzazioni di identificare e prioritizzare gli aspetti di sostenibilità più rilevanti per il loro business e i loro stakeholder.

[103] Il considerando 11 della Direttiva (UE) 2024/1760 sposa il concetto di “integrated thinking” elaborato dall’International Integrated Reporting Council, nella misura in cui precisa che “la modifica delle regole e delle prassi relative al governo societario, compresa la finanza sostenibile, porterà manager e imprenditori a dare priorità agli obiettivi di sostenibilità nelle loro azioni e strategie”,

[104] Il considerando 4 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive riflette il tentativo di conciliare le istanze ambientali con le realtà operative delle imprese, evidenziando la complessità dell’approccio adottato dal legislatore europeo. Più specificatamente, recita così: “Le imprese dovrebbero integrare il dovere di diligenza nelle loro politiche aziendali, identificare gli impatti negativi effettivi o potenziali, prevenirli e attenuarli, porre fine agli impatti negativi effettivi, monitorare l’attuazione e i risultati delle loro misure di dovuta diligenza, comunicare pubblicamente in merito e fornire mezzi di ricorso in caso di impatti negativi”.

[105] L’approccio estensivo della Direttiva, nell’ampliare notevolmente l’ambito di responsabilità delle imprese oltre i confini tradizionali dell’entità giuridica e lungo l’intera catena del valore, costituisce un elemento fondamentale nella concezione giuridica della responsabilità d’impresa e si allinea con le più recenti tendenze in materia di sostenibilità a livello globale. A tal proposito, è opportuno citare l’art. 1: “La presente Direttiva stabilisce norme in materia di: a) obblighi rispetto agli impatti negativi sui diritti umani e agli impatti ambientali negativi, siano essi effettivi o potenziali, che incombono alle società nell’ambito delle proprie attività, delle attività delle loro filiazioni e delle attività svolte dai loro partner commerciali nelle catene di attività di tali società.”

[106] In merito, è opportuno richiamare la Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che ha stabilito il principio “chi inquina paga” nel contesto europeo.

[107] L’art. 22 della Direttiva (UE) 2024/1760 si allinea agli obiettivi del Regolamento (UE) 2021/1119 (Legge europea sul clima) e rispecchia le raccomandazioni della Task Force on Climate-related Financial Disclosures. Nello specifico, esso stabilisce: “Gli Stati membri provvedono a che ciascuna società di cui all’art. 2, par. 1, lettere a), b) e c), e all’art. 2, par. 2, lettere a), b) e c), adotti e attui un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici volto a garantire, con il massimo impegno possibile, che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C in linea con l’accordo di Parigi.”

[108] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni: Il Green Deal europeo, COM(2019) 640 final, Bruxelles, Unione Europea, 2019.

[109] L’art. 27, par. 4, della Corporate Sustainability Due Diligence Directive influenza significativamente l’aspetto sanzionatorio del diritto ambientale europeo, allineandolo alla rigidità caratteristica del diritto della concorrenza. Tale disposizione è di rilevanza cruciale, in quanto stabilisce: “Il limite massimo delle sanzioni pecuniarie non è inferiore al 5% del fatturato netto mondiale della società nell’esercizio precedente la decisione che impone la sanzione pecuniaria.”

[110] Merita attenzione come l’art. 27, par. 2, della Direttiva richiami esplicitamente il principio di proporzionalità, enumerando una serie di fattori da considerare nella determinazione delle sanzioni. L’approccio summenzionato mira a garantire un equilibrio tra l’efficacia deterrente e il rispetto dei principi fondamentali del diritto dell’UE.

[111] Degno di nota è l’art. 27, par. 2, lettere da a) a h), che fornisce un elenco non esaustivo di criteri per la determinazione delle sanzioni. Tale lista, che include fattori quali “la natura, la gravità e la durata della violazione” e “i benefici finanziari conseguiti o le perdite evitate”, offre un quadro di riferimento per lo sviluppo di linee guida applicative da parte delle autorità competenti.

[112] Va sottolineato che l’art. 27, par. 5, della Corporate Sustainability Due Diligence Directive introduce un obbligo di pubblicazione delle decisioni sanzionatorie per almeno cinque anni.

[113] L’art. 24 della Direttiva (UE) 2024/1760 rispecchia il principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5(3) del TUE, attribuendo agli Stati membri la responsabilità primaria nell’attuazione della Direttiva. È pertinente citare la disposizione che prevede: “ciascuno Stato membro designa una o più autorità di controllo incaricate di vigilare sul rispetto degli obblighi previsti dalle disposizioni di diritto nazionale adottate a norma degli articoli da 7 a 16 e dell’art. 22.”

[114] Il considerando 31 della Direttiva sottolinea la rilevanza di “creare condizioni di parità per le società al fine di evitare la frammentazione e garantire la certezza del diritto per le imprese che operano nel mercato interno.”

[115] L’art. 28, par. 1, dispone che “la Commissione istituisce una rete europea delle autorità di controllo composta di rappresentanti delle autorità di controllo.” La creazione di tale rete è finalizzata a promuovere “la cooperazione fra autorità di controllo così come il coordinamento e l’allineamento delle prassi regolamentari, investigative, sanzionatorie e di vigilanza delle autorità di controllo.”

[116] L’art. 24, par. 9, impone agli Stati membri di garantire che le autorità di controllo siano “giuridicamente e funzionalmente indipendenti” e dispongano di “risorse umane e finanziarie necessarie per l’effettivo adempimento dei suoi compiti e l’esercizio dei propri poteri.”

[117] L’art. 1, par. 3, della Direttiva (UE) 2024/1760 sottolinea l’esigenza di una lettura sistematica del quadro normativo europeo in materia di sostenibilità, lasciando impregiudicati gli obblighi previsti da altri atti legislativi dell’Unione.

[118] Il considerando 13 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive richiama esplicitamente il piano d’azione per l’economia circolare, mettendo in luce come gli obblighi di due diligence debbano contribuire al conseguimento degli obiettivi di tali strategie. L’art. 22, che richiede l’adozione di piani di transizione climatica, si allinea con gli obiettivi del Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile.

[119] Il considerando 30 relativo alla CSDDD affronta esplicitamente la questione dell’extraterritorialità, giustificando l’applicazione del diritto dell’Unione alle società di Paesi terzi sulla base degli effetti che le loro attività potrebbero avere sul mercato interno.

[120] L’art. 28 della Direttiva (UE) 2024/1760, che istituisce una rete europea delle autorità di controllo, potrebbe servire come base per lo sviluppo di meccanismi di cooperazione internazionale nell’applicazione degli obblighi di due diligence.

[121] Il considerando 14 della Direttiva fa riferimento al piano d’azione dell’UE per i diritti umani e la democrazia 2020-2024, sottolineando l’importanza di promuovere l’attuazione a livello globale dei principi guida delle Nazioni Unite e altre linee guida internazionali pertinenti.

[122] L’art. 5 della CSDDD delinea gli elementi chiave del dovere di diligenza, riflettendo questo cambiamento di paradigma verso un approccio proattivo e preventivo. In particolare, nel paragrafo 1, elenca una serie di azioni che le società devono intraprendere, tra cui l’integrazione del dovere di diligenza nelle politiche aziendali, l’individuazione e la valutazione degli impatti negativi, e l’adozione di misure preventive e correttive.

[123] Il considerando 2 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive riconosce esplicitamente l’utilità di coinvolgere il settore privato nel perseguimento degli obiettivi di sostenibilità dell’Unione, affermando che “tali obiettivi richiedono il coinvolgimento non solo delle autorità pubbliche, ma anche degli attori privati, in particolare delle società.”

[124] L’art. 29 della Direttiva, che stabilisce le norme sulla responsabilità civile, lascia ampio margine all’interpretazione giurisprudenziale, in particolare per quanto riguarda la definizione del nesso causale tra la violazione degli obblighi di due diligence e il danno ambientale. Più nello specifico, esso stabilisce le condizioni per la responsabilità della società, ma la sua applicazione pratica dipenderà in larga misura dall’interpretazione dei tribunali.

[125] L’art. 19 prevede l’emanazione di orientamenti da parte della Commissione, che potrebbero svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di metodologie armonizzate per la valutazione degli impatti ambientali. In particolare, l’art. 19, paragrafo 2, lettera d), menziona “orientamenti sulla valutazione dei fattori di rischio a livello di società, di quelli relativi alle attività commerciali, di quelli geografici e contestuali, di quelli connessi ai prodotti e ai servizi e di quelli settoriali”.

[126] Il considerando 69 evidenzia l’esigenza di misure di supporto per le PMI, ribadendo l’invito ai soggetti giuridici a garantire una transizione equa e inclusiva. Tale principio trova attuazione nell’art. 20, che delinea misure di accompagnamento, contemplando anche il potenziale sostegno finanziario alle small and medium-sized enterprises.

[127] Il considerando 16 della Direttiva (UE) 2024/1760 pone in evidenza l’ambizione di “assicurare che le società operanti nel mercato interno contribuiscano fattivamente allo sviluppo sostenibile e alla transizione economica e sociale verso un paradigma di sostenibilità”.

[128] L’art. 36 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, che prescrive una revisione periodica della sua efficacia, istituisce un meccanismo di valutazione e adattamento dell’approccio dell’Unione Europea alle sfide emergenti in materia di sostenibilità aziendale, garantendo così un quadro normativo dinamico e rispondente alle evoluzioni del contesto globale.

[129] Tale principio trova riscontro nella recente novella degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, operata mediante la Legge costituzionale n. 1 dell’11 febbraio 2022. In specie, l’art. 9 è stato integrato con un nuovo comma che sancisce: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Parimenti, l’art. 41 è stato emendato per includere, tra i limiti all’iniziativa economica privata, anche la tutela dell’ambiente, stabilendo che l’attività economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare nocumento alla salute e all’ambiente. Tali modifiche costituzionali riflettono l’impellente necessità di salvaguardare il futuro nell’ottica delle generazioni a venire, allineandosi con lo spirito e la ratio della Direttiva (UE) 2024/1760.

[130] G. Cordini, Il costituzionalismo ambientale: nuove prospettive dal diritto comparato. Riflessioni finali, in DPCE, 2023.

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