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Il pubblico impiego e la dirigenza alla prova dell’Intelligenza Artificiale

di Antonino Ripepi, Procuratore dello Stato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, già Segretario comunale

Sommario: 1. Premessa. 2. Intelligenza Artificiale e organizzazioni pubbliche. Quale impatto? 3. Amministrazione per processi, IA e ruolo del dirigente pubblico. 4. Gli strumenti a disposizione del manager pubblico: la formazione. 4.1. Il reclutamento. 4.2. La valorizzazione dello smart working. 4.3. Dirigente, IA e anticorruzione. 5. Osservazioni conclusive.

1. Premessa.

Il tema dell’Intelligenza Artificiale (IA) è uno tra i più discussi e studiati dell’epoca post-pandemica[1]. Essa, com’è noto, trae origine dalle tecnologie dell’informazione, ma si è estesa sino a interessare qualsiasi aspetto dell’esperienza umana, ivi incluse, per quanto di rilievo in questa sede, le teorie dell’organizzazione e il management pubblico.

Richiamando definizioni contenute in documenti ufficiali dell’Unione Europea, l’IA consiste in “quei sistemi che mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e compiendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere obiettivi specifici”[2]. Come si legge nel considerando n. 4 della proposta di Regolamento che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale, “l’IA consiste in una famiglia di tecnologie in rapida evoluzione che contribuisce al conseguimento di un’ampia gamma di benefici a livello economico, ambientale e sociale nell’intero spettro delle attività industriali e sociali. L’uso dell’IA, garantendo un miglioramento delle previsioni, l’ottimizzazione delle operazioni e dell’assegnazione delle risorse e la personalizzazione delle soluzioni digitali disponibili per i singoli e le organizzazioni, può fornire vantaggi competitivi fondamentali alle imprese e condurre a risultati vantaggiosi sul piano sociale e ambientale, ad esempio in materia di assistenza sanitaria, agricoltura, sicurezza alimentare, istruzione e formazione, media, sport, cultura, gestione delle infrastrutture, energia, trasporti e logistica, servizi pubblici, sicurezza, giustizia, efficienza dal punto di vista energetico e delle risorse, monitoraggio ambientale, conservazione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, mitigazione dei cambiamenti climatici e adattamento ad essi”[3].

L’obiettivo di questo lavoro consiste nell’interrogarsi criticamente circa il possibile impatto dell’IA sulle organizzazioni e sul pubblico impiego, analizzando il possibile ruolo del dirigente nell’organizzazione del lavoro a fronte dell’avvento delle nuove tecnologie.

2. Intelligenza Artificiale e organizzazioni pubbliche. Quale impatto?

Si assiste, ormai già da qualche anno, a un ampio dibattito dottrinale circa le modalità e gli effetti dell’innesto dell’IA nelle strutture e nell’impiego pubblico.

Secondo un primo approccio, l’IA va considerata con favore, in quanto può produrre un sostanziale effetto di integrazione dell’intelligenza umana, aumentando la produttività e affiancando il lavoratore nell’esecuzione di compiti e mansioni (con particolare riguardo a quelle elementari e ripetitive); non vi sarebbe, dunque, alcun rischio di sostituzione degli esseri umani, in quanto l’IA ben si presterebbe alla collaborazione con gli stessi, velocizzando le loro attività[4].

Questa prima corrente di pensiero, dunque, non ravvisa alcun problema occupazionale, poiché la potenziale riduzione di posti di lavoro potrebbe determinarsi con esclusivo riferimento alle sole mansioni a scarsa e ridotta professionalità e fortemente routinarie, per giunta ristrette soltanto a certi settori e comparti merceologici, come la sanità, la logistica e i trasporti, le attività scientifiche e il mondo del marketing e del digitale. Per converso, l’utilizzo dell’IA potrebbe comportare innovazioni nel modo di intendere la leadership, accentuando le motivazioni alla base del comportamento dei pubblici dipendenti[5].

Una seconda impostazione pone, invece, l’accento sul negativo effetto di sostituzione che l’intelligenza artificiale tende a realizzare nei confronti delle risorse umane, ivi incluse le posizioni dirigenziali, con un effetto non concretamente calcolabile sulla riduzione dell’occupazione e sulla composizione degli organici aziendali. Verrebbe in rilievo una struttura algocratica[6], una vera e propria “organizzazione algoritmica”[7] in cui l’IA si candida a diventare “un’importante mezzo di regolamentazione e di esercizio del potere nel nostro mondo digitale”[8] anche a detrimento della componente umana.

Alcuni dati statistici, tratti da una recentissima e autorevole ricerca, dimostrano che la verità si colloca nel mezzo. Si legge, infatti, all’interno del paper “L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego” che, dei circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici, il 57% è altamente esposto all’IA (pari a circa 1,85 milioni), il 28% è moderatamente impattato mentre il restante 15% subisce un’influenza minima o nulla[9].

Tra le professioni fortemente esposte, si annoverano sia le mansioni elementari e ripetitive prima accennate, sia le posizioni dirigenziali: assistenti e operatori esperti amministrativi; personale direttivo e non dirigente con funzioni amministrative; profili del ruolo tecnico, ricercatori e tecnologi; dirigenti scolastici e personale docente; professionisti legali (avvocati, magistrati); dirigenti professionali (architetti, ingegneri); dirigenti sanitari e professionisti delle elevate professionalità sanitarie[10].

Tuttavia, il passaggio più interessante dello studio appare il seguente: “Questa sinergia è particolarmente marcata nei ruoli di leadership e gestione, dove dirigenti scolastici, responsabili strategici e leader di progetti innovativi, coadiuvati da esperti tecnici e professionisti, potranno sperimentare miglioramenti notevoli. La presenza di figure istituzionali di rilievo, come prefetti, magistrati e direttori generali tra i beneficiari sottolinea ulteriormente il valore aggiunto dell’IA nel promuovere efficienza ed efficacia all’interno della pubblica amministrazione. Ovviamente, questo non sarà scontato e non avverrà in automatico. Affinché si possa arrivare a quello che in molti chiamano “lavoro aumentato” è necessario che le soluzioni degli algoritmi vengano utilizzate con consapevolezza e competenza”[11].

Occorre, dunque, interrogarsi più specificamente intorno al ruolo del dirigente pubblico della post-modernità, chiamato a confrontarsi con strutture riplasmate dall’avvento dell’IA e a ricercare nuove forme di valorizzazione del personale posto sotto la sua guida al fine di perseguire obiettivi di interesse pubblico.

3. Amministrazione per processi, IA e ruolo del dirigente pubblico.

Come già evidenziato, nella Pubblica Amministrazione della post-modernità si rende necessaria l’implementazione di una mentalità per processi, che incide necessariamente sulle strutture dell’organizzazione amministrativa e rende necessario un costante lavoro di sperimentazione di profili organizzativi innovativi e valutazione degli effetti delle novità introdotte in concreto[12].

In questo quadro, l’AI può offrire numerose opportunità per il settore pubblico e per la dirigenza; grazie all’evoluzione delle tecnologie, le Pubbliche Amministrazioni potrebbero porsi nuovi sfidanti obiettivi, quali un processo decisionale più efficiente, una migliore comunicazione tra istituzione e cittadino, una migliore qualità del servizio pubblico e una riduzione degli oneri amministrativi[13].

L’IA, in particolare, può sortire effetti positivi in punto di: riduzione dei costi dei passaggi di produzione dell’output; semplificazione del lavoro; riduzione delle operazioni da svolgere manualmente; Machine Learning per la gestione rapida ed efficiente delle anomalie e la manutenzione predittiva. Essa, pertanto, può e deve costituire uno strumento prezioso per radicare la mentalità tipica dell’amministrazione per processi nelle strutture pubbliche del terzo millennio.

Le nuove tecnologie si candidano a migliorare l’efficienza sul piano interno, eliminando tutti i passaggi o le attività lavorative più ripetitive e liberando spazio alla creatività, in un ambiente connotato da benessere e apprendimento organizzativo, in cui il dirigente pubblico, oltre a essere un manager, è un leader, capace di motivare i propri collaboratori con una carica di persuasività ed emotività che nessuna macchina potrà mai surrogare.

L’IA, ancora, potrà aumentare il livello di competitività rispetto all’esterno, anche in considerazione del fatto che un uso costruttivo e consapevole può diventare una leva anche per l’apertura della Pubblica Amministrazione italiana all’Unione Europea e alla realtà internazionale.

Le nuove tecnologie, in definitiva, possono incentivare la rieducazione dell’organico aziendale attraverso la formazione, strumento necessario sia per convivere con l’IA e dedicarsi ad altre attività prima marginali o non svolte, sia per integrare le conoscenze a fronte della nascita delle nuove figure professionali dovute all’implementazione dell’IA nelle aziende pubbliche[14].

Ovviamente, non bisogna trascurare le controindicazioni insite nell’implementazione delle nuove tecnologie nel pubblico impiego. Una recente ricerca ha evidenziato come sussista il rischio della generazione, da parte dell’IA, di un modello interpretativo che indica in maniera stringente la soluzione e lascia all’uomo pochi reali margini di scelta, nella misura in cui tale modello risulta chiuso, difficilmente comprensibile agli occhi degli user e non modificabile[15], anche alla luce dell’assenza di talenti interni, considerata la mancanza di specialisti ed esperti nel mercato del lavoro con le competenze necessarie per sostenere e promuovere lo sviluppo dell’AI.

Inoltre, potrebbe consolidarsi una sorta di “deferenza fiduciaria” nei confronti di macchine così potenti, innanzi alle quali il dirigente o il funzionario pubblico ben difficilmente potrebbe sentirsi pronto a contraddire le indicazioni decisionali ricevute da un sistema di AI[16]. Anzi, dietro ad atteggiamenti di deferenza ben si potrebbero nascondere anche strategie difensive e calcoli opportunistici degli stessi pubblici dipendenti, basati su uno scarico di responsabilità sulla macchina, strategie più probabili in ambienti organizzativi molto burocratici[17].

Pertanto, affinché l’impatto dell’IA sul pubblico impiego sia il migliore possibile, è necessario che vengano attuate nella pratica quotidiana quelle che gli studiosi del management pubblico definiscono learning organizations, profilo sul quale già ci si è intrattenuti.

Il dirigente, dunque, deve avere la capacità di diagnosticare lo stato dei processi negli Enti in cui opera e, in caso di necessità, reingegnerizzare i medesimi.

Costituisce un prius logico rispetto alla reingegnerizzazione dei processi la capacità di analizzare lo stato degli stessi in rapporto alle dotazioni di personale, agli inquadramenti contrattuali dei dipendenti effettivamente in servizio e alle loro effettive attitudini e sfere di conoscenze e competenze, non sempre coerenti rispetto alle attività in concreto loro affidate. Il fine è quello di diagnosticare lo stato dei processi negli Enti in cui si opera e, in caso di necessità, adottare i provvedimenti più opportuni e tempestivi per garantire un accettabile standard di erogazione di servizi pubblici tanto in settori di rilievo quotidiano quanto in eventuali nuove attività.

La riprogettazione radicale può transitare attraverso varie esperienze, tra cui la concezione delle attività dell’Ente in parallelo anziché in sequenza, la ricomposizione di attività frammentate tra più uffici con possibili conflitti di competenza facilmente evitabili, l’eliminazione di attività non produttive di valore pubblico, la categorizzazione e differenziazione dei flussi nei processi[18] e, infine, il Business Reengineering, consistente in un “intervento radicale su un flusso di compiti/attività che, ponendo al centro l’esigenza del cliente, corrisponde a un processo aziendale, per poi responsabilizzare uno specifico team su tale processo”[19].

Tale riprogettazione è presupposto e, al tempo stesso, conseguenza dell’implementazione dell’IA nella Pubblica Amministrazione, in un circuito virtuoso che tende al miglioramento continuo all’interno di strutture amministrative non più rigidamente burocratiche, ma organizzate per processi e tendenti al risultato finale[20].

4. Gli strumenti a disposizione del manager pubblico: la formazione.

Alla luce di quanto premesso, appare chiaro che la formazione rappresenti una delle principali leve sui cui agire per accrescere quella capacità di governo dei processi di innovazione di cui si è detto.

Attingendo a considerazioni già espresse nel rilevante rapporto pubblicato da FPA data insight nel maggio 2024, con il diffondersi di soluzioni di IA si libereranno le mansioni gestite dalle macchine, conseguendone la possibilità di riallocare persone in attività qualificate; inoltre, la diffusione e l’implementazione di soluzioni di IA presuppone il ricorso a persone qualificate, in grado di gestire i cambiamenti in atto[21].

Secondo dati riportati in un dossier della Camera dei deputati, tuttavia, solo un lavoratore su dieci ritiene di possedere adeguate competenze in materia di IA, fondamentali specialmente in alcuni settori specifici quali progettazione software, elettronica, elettrotecnica e automazione dei processi, assistenza sociale e orientamento, analisi di sistema[22].

Si pone, in tal senso, l’esigenza di formare adeguatamente quei lavoratori le cui mansioni verranno pressoché completamente svolte da strumenti di IA, nonché coloro che saranno selezionati in futuro, mediante un long life learning che proceda per tutta la durata della carriera lavorativa, anche in considerazione del costante e crescente avanzamento delle tecnologie utilizzate[23].

La formazione, peraltro, non dev’essere limitata al solo profilo tecnologico, ma dev’essere estesa a quello etico, in quanto i meccanismi di funzionamento dell’IA devono essere resi trasparenti e conoscibili allo scopo di evitare discriminazioni.

Si intende affermare che il dipendente pubblico dovrebbe essere a conoscenza dei fondamenti dei problemi analizzati dalla c.d. algoretica, volta ad assicurare trasparenza degli algoritmi, della privacy dei dati, della giustizia e dell’equità nelle decisioni algoritmiche, nonché della gestione della responsabilità per gli esiti generati da questi sistemi. Un’adeguata formazione dovrebbe essere garantita anche in tema di protezione dei dati personali, il cui trattamento avviene in misura massiva da parte dei sistemi di IA.

In tal senso, il dirigente dev’essere in grado di strutturare adeguatamente l’apposita Sottosezione del PIAO dedicata alla formazione del personale, da non intendere quale adempimento meramente burocratico e teso unicamente all’impiego delle risorse presenti in bilancio, ma quale strumento generatore di valore pubblico, come testimonia il processo di transizione dal “vecchio” Piano triennale per la formazione del personale allo stesso PIAO[24].

Inoltre, si ritiene che il dirigente, in tale ottica di creazione di outcome e non solo di output, non possa e non debba limitarsi a organizzare le attività formative da proporre al proprio team in chiave meramente nozionistica o di apprendimento passivo, ma debba puntare a sviluppare le soft skills, la capacità di problem solving e la necessità di sviluppare uno spiccato senso critico, al fine di formare lavoratori e lavoratrici sensibili all’utilizzo responsabile e consapevole delle nuove tecnologie e dell’IA[25].

4.1. Il reclutamento.

Anche il fabbisogno del personale è ormai sganciato dalla vetusta prospettiva della pianta organica (concetto ormai inesistente sotto il profilo giuridico) ed è improntato alla dinamica programmatoria che pervade le Pubbliche Amministrazioni.

La pianificazione in questione non può limitarsi a individuare nuove figure da assumere in modo da rispettare i vincoli di spesa per il personale che il legislatore ha imposto ai vari plessi amministrativi, ma deve selezionare le professionalità adeguate a fronteggiare le sfide del PNRR, di cui spesso gli Enti sono privi (si pensi alla necessità di utilizzo di piattaforme informatiche di rilevante complessità; conoscenza di una vasta normativa settoriale; abilità nella rendicontazione; ecc.), nonché personale che sia in grado di gestire le innovazioni introdotte dall’avvento dell’IA.

In tal senso, il dirigente dovrà predisporre procedure selettive capaci, come anticipato, di verificare non tanto e non soltanto il patrimonio informativo/nozionistico del futuro pubblico dipendente, ma anche e soprattutto le skills organizzative e la capacità di relazionarsi con l’Intelligenza Artificiale, dimostrando di essere in grado di coglierne i benefici in chiave organizzativa e di avere la capacità di gestire processi complessi in cui occorre collaborare con l’algoritmo per pervenire a un determinato output/outcome.

Inoltre, in sede di reclutamento delle nuove leve, sarebbe opportuno testare la conoscenza, quantomeno per principi, dei problemi non solo giuridici e tecnologici, ma anche etici collegati all’utilizzo dell’IA, anche in questo caso non in chiave meramente nozionistica, ma allo scopo di sondare le modalità con le quali l’aspirante pubblico dipendente si relazionerebbe ai sistemi in questione.

4.2. La valorizzazione dello smart working.

Circa il lavoro agile, esso rappresenta un prezioso strumento di ripensamento intelligente delle modalità di lavoro in grado di innescare un profondo cambiamento culturale e di promuovere un processo di innovazione nell’organizzazione del lavoro e nel funzionamento delle pubbliche amministrazioni e dei servizi ai cittadini.

Esso potrebbe essere significativamente agevolato dall’implementazione delle tecnologie di IA; infatti, l’espletamento delle mansioni più ripetitive da parte di quest’ultima può consentire alla componente umana di concentrarsi sui profili più qualificanti del lavoro, magari connotati dalla necessità di comparare interessi pubblici (primari e secondari) e privati con riflessi in punto di motivazione dei provvedimenti amministrativi, profili che ben potrebbero essere espletati a distanza, a meno che i connotati intrinseci dei medesimi non impongano la presenza fisica del dipendente presso l’ufficio cui è addetto.

Come noto, infatti, l’art. 18 L. 22 maggio 2017, n. 81, ha definito il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Pertanto, l’idea di fondo che anima il lavoro agile si articola nella valorizzazione del concetto di flessibilità in più dimensioni: una flessibilità spaziale, concernente la possibilità di scegliere il luogo in cui erogare la prestazione lavorativa; una flessibilità oraria, strettamente correlata alla prima; una flessibilità organizzativa, in quanto il datore di lavoro può strutturare diversamente i gruppi di lavoro e decidere liberamente se e quanti lavoratori utilizzare in presenza o a distanza.

L’implementazione del lavoro agile, ovviamente resa necessaria dall’esperienza pandemica, si è però scontrata con modalità di organizzazione del lavoro gerarchico-burocratiche e con la cultura della presenza in ufficio dei dipendenti.

Come opportunamente evidenziato, si tratta di un residuo di mentalità ottocentesca, in cui il funzionario veniva sorvegliato attraverso la parcellizzazione estrema delle attività da svolgere, rese estremamente ripetitive e meccaniche, e mediante un poderoso sistema di controlli[26]. E proprio nella logica del controllo si spiega la tradizionale predilezione per la presenza in ufficio del dipendente, predilezione che, tuttavia, non considera l’elementare assunto secondo cui è ben possibile trascorrere intere giornate presso la sede dell’amministrazione senza produrre nulla e, per converso, contribuire in modo decisivo agli obiettivi prefissati lavorando da casa o, comunque, lontano dalla sede di servizio.

In questa direzione, non aiutano alcuni contenuti comunicativi e divulgativi, soprattutto nella parte in cui enfatizzano (ingiustamente, in realtà) l’inefficienza e la scarsa produttività del lavoro pubblico, poiché veicolano un messaggio di sfiducia che rappresenta il presupposto culturale dell’avversione al lavoro agile.

Tale sfiducia può essere superata proprio dal dirigente, che deve agire alla stregua di change manager, incentivando nuove concezioni del lavoro pubblico e spendendosi attivamente per segnare il cambio di mentalità nell’organizzazione delle risorse.

Tuttavia, sarebbe parimenti erroneo ritenere che il lavoro agile costituisca un fine e non un mezzo per raggiungere obiettivi ulteriori, quale effettivamente è. Più in dettaglio, esso costituisce lo strumento per implementare le logiche di processo e attuare la reingegnerizzazione dei processi[27].

Come è stato evidenziato, il vero agile working è possibile solo all’interno di agile organizations, in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti esterni attraverso nuovi modelli organizzativi, caratterizzati da decentramento delle responsabilità, valorizzazione dei ruoli di integrazione, sviluppo delle relazioni orizzontali e delle logiche di lavoro in team, digitalizzazione dei servizi, direzione per obiettivi, nonché attraverso una cultura organizzativa orientata alla condivisione dei valori, alla promozione del senso di appartenenza, alla propensione al rischio e all’innovazione attraverso l’assunzione di responsabilità quale opportunità.

Ancora una volta, emerge il ruolo della fiducia: i dipendenti, se soddisfatti dall’esperienza del lavoro agile in quanto maggiormente in grado di conciliare i tempi vita-lavoro, saranno maggiormente motivati, generando potenzialmente migliori performance individuali ed incrementando la performance organizzativa[28]. Essi, infatti, avranno ricevuto la fiducia del dirigente e saranno positivamente incentivati a ricambiarla adeguatamente, secondo le dinamiche già illustrate nel primo Capitolo.

Ebbene, la logica di processo contribuisce a promuovere una nuova visione dell’organizzazione del lavoro volta a stimolare l’autonomia, la responsabilità e la motivazione dei lavoratori, in un’ottica di incremento della produttività e del benessere organizzativo, e consolida le competenze manageriali nell’organizzazione del lavoro per obiettivi svolto dai collaboratori e nella concomitante valutazione step by step di tali obiettivi.

In questo contesto, determinante è la figura del dirigente, in qualità di promotore dell’innovazione dei sistemi organizzativi[29]. In chiave relazionale, è richiesto un importante cambiamento di stile manageriale e di leadership, caratterizzato dalla capacità di lavorare e far lavorare gli altri per obiettivi, di improntare le relazioni sull’accrescimento della fiducia reciproca, spostando l’attenzione dal controllo alla responsabilità per i risultati.

Naturalmente, la fiducia e la valorizzazione della leadership rappresentano ingredienti fondamentali, ma non bastano.

Infatti, la misurazione e valutazione della performance riveste un ruolo centrale in quanto, da un lato, garantisce la corretta attuazione del lavoro agile, dall’altro, concorre all’evoluzione delle pratiche e della cultura organizzativa e, in particolare dei sistemi di performance management.

L’art. 18 L. n. 81/2017, nell’ottica di analisi integrata tra diritto e management che anima la presente riflessione, discorre di “accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”.

Pertanto, all’atto della redazione dei progetti di lavoro agile, da concordarsi tra dirigente e dipendente, sarà opportuno valorizzare attività specifiche (ad esempio, di studio e ricerca, di approfondimento) che, sebbene connesse a quelle che il dipendente svolge normalmente, hanno una loro specifica fisionomia e possono essere misurate dal punto di vista dei risultati conseguiti.

In questo quadro, potranno essere valorizzati, accanto ai tradizionali indicatori quantitativi (che, però, meglio si attagliano alle attività ripetitive, che potranno essere delegate all’IA), gli indicatori di avanzamento di attività e progetti, che consentono di misurare le prestazioni tipiche di attività progettuali, discontinue e non routinarie, nonché gli indicatori di relazione e interazione, utilizzabili per misurare la qualità delle relazioni del dipendente che presta la propria attività da remoto con il proprio dirigente, con i colleghi della struttura, ma anche con i soggetti esterni.

Il dirigente, a sua volta, potrà essere valutato con riferimento ai seguenti parametri: promozione del lavoro agile, adottando iniziative di sensibilizzazione, comunicazione e formazione; gestione di gruppi di lavoro misti, composti da persone che alternano presenza fisica e lavoro da remoto e persone che svolgono la loro attività esclusivamente in ufficio; progettazione, attivazione e sviluppo di fattori abilitanti quali condizioni tecniche, organizzative e operative che consentano di estendere progressivamente il lavoro agile ad una platea sempre più ampia di dipendenti; capacità di valutazione dei propri dipendenti tenendo conto delle specificità introdotte dal lavoro agile e dall’IA.

Pertanto, è indispensabile che il dirigente valorizzi adeguatamente la sezione dedicata al lavoro agile all’atto della redazione del PIAO (in cui è confluito il c.d. POLA, piano organizzativo del lavoro agile), prevedendo opportune misure quali la redazione di un regolamento per la disciplina della materia e la diagnosi dei processi che si svolgono all’interno dell’organizzazione, allo scopo di comprendere quali di essi siano utilmente “smartabili”.

4.3. Dirigente, IA e anticorruzione.

Il tradizionale sistema anticorruzione si erge su una pianificazione caratterizzata da un sistema di risk management che transita attraverso una preventiva analisi di contesto, interno ed esterno, si incentra sulla valutazione del rischio, che è funzionale e propedeutica al suo trattamento, e si chiude idealmente con il successivo monitoraggio periodico[30].

Impregiudicata la validità di tale approccio, occorre dare atto di come la programmazione anticorruzione, oggi, non possa essere intesa autonomamente, ma sia componente di un sistema più ampio: il PIAO, cui si è già accennato.

In questo nuovo contesto, la sottosezione “Anticorruzione e Trasparenza”, accanto alla tradizionale metodologia di risk management, può e deve tendere al valore pubblico, e dunque al benessere complessivo, evitando di ingessare eccessivamente l’iniziativa dei pubblici dipendenti e stimolando l’autonomia decisionale degli stessi attraverso la valorizzazione della correlazione tra obiettivi della performance e misure anticorruzione[31].

Il manager pubblico, in tale contesto, potrà avvalersi dell’apporto dell’IA ai fini della mappatura dei processi e dell’informatizzazione degli stessi, ciò che, come noto, abbatte in misura decisiva il rischio corruttivo[32].

Inoltre, come noto, si è delineato un sistema di obblighi di pubblicazione sempre più stringenti, affidato al controllo del Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (art. 43 D. Lgs. n. 33/2013) e alla vigilanza dell’ANAC (art. 45), che dispone di un rilevante potere sanzionatorio (art. 47). Inoltre, il cittadino può chiedere l’ostensione di dati, informazioni e documenti non soggetti a obbligo di pubblicazione: è l’essenza dell’accesso civico generalizzato (art. 5, c. 2, D. Lgs. n. 33/2013, come modificato dal D. Lgs. n. 97/2016).

Per assolvere a tale compito, divenuto complesso a fronte di prescrizioni sempre più puntuali, il dirigente pubblico potrà senz’altro avvalersi dell’IA allo scopo di individuare quali atti vadano pubblicati e in quale sezione del sito “Amministrazione Trasparente” procedere materialmente alla pubblicazione.

5. Osservazioni conclusive.

In definitiva, sembra che si possa constatare un fil rouge di fondo, consistente nel legame profondo tra le innovazioni tecnologiche riconducibili all’IA e l’esigenza di ripensare la moderna Pubblica Amministrazione applicando le teorie dell’amministrazione per processi e il Business Process Reengineering.

In questo contesto spicca il ruolo del dirigente pubblico, che dev’essere capace di implementare nella pratica le suddette teorie manageriali e valorizzare i dipendenti facendo leva sulla motivazione dei medesimi, elementi sui quali ben difficilmente l’IA può incidere.

Il dirigente dispone di un ausilio innovativo quale il PIAO, che segna il transito verso un’amministrazione orientata al risultato e tendente verso il concetto di valore pubblico. Attraverso tale ausilio, il public manager può valorizzare elementi quali il lavoro agile, nonché azionare la leva della formazione del personale, che dev’essere in grado di interfacciarsi con le nuove tecnologie e collaborare con le stesse nel perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico.

Le procedure di reclutamento dovrebbero considerare la rilevanza dell’IA e le skills che i futuri dipendenti devono dimostrare di possedere per interagire proficuamente con essa.

Anche la Sezione “anticorruzione e trasparenza” del PIAO, infine, può trarre notevole giovamento dall’applicazione dell’IA, con particolare riferimento alla mappatura dei processi e all’adempimento degli obblighi di pubblicazione.

Per questa via,  si potrà valorizzare l’apporto della nuova tecnologia quale strumento di agevolazione, e non di mera sostituzione, della irrinunciabile componente umana, indispensabile nell’ambito di attività quali l’istruttoria dei procedimenti amministrativi più complessi, in cui occorre comparare gli interessi in gioco attraverso scelte valoriali che non possono e non devono essere delegate alle macchine, o la redazione della motivazione dei provvedimenti, almeno nei casi in cui la stessa implichi opzioni discrezionali.

Sarà compito del dirigente, dunque, curare che l’IA divenga un valore aggiunto e che non rappresenti un elemento di prevaricazione sul fattore umano, arginando, altresì, fenomeni negativi quali il discarico di responsabilità sulla macchina o l’alienazione del pubblico dipendente.


[1] F. Butera – G. De Michelis, Intelligenza artificiale e lavoro, una rivoluzione governabile, Marsilio Editori, 2024; v. anche i vari contributi presenti in Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management, n. 4/2023, interamente dedicato al tema dell’intelligenza artificiale; G. Schneider – N. Abriani, Diritto delle imprese e intelligenza artificiale. Dalla Fintech alla Corptech, Il Mulino, 2021; F. Nappo, Aziende e intelligenza artificiale: prime riflessioni critiche, FrancoAngeli, 2020.

[2] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, 7 dicembre 2018.

[3] Considerando n. 4 del testo dell’AI Act, approvato dal Parlamento in data 12 marzo 2024 e dal Consiglio dell’Unione in data 21 maggio 2024, entrato in vigore il 2 agosto 2024.

[4] E. Brynjolfsson – A. McAfee, La nuova rivoluzione delle macchine. lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante, Feltrinelli, 2015, spec. pp. 99-106.

[5] P. R. Daugherty – H. J. Wilson, Human + Machine. Ripensare il lavoro nell’età dell’intelligenza artificiale, Guerini Next, 2019, spec. Cap. 7, par. 3.

[6] Il termine è di F. Zambonelli, Algocrazia: Il governo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, Scienza Express, 2021.

[7] P. Giardullo – F. Miele, L’organizzazione algoritmica: tecnologia, performance e automazione, in D. Marini – F. Setiffi, Una grammatica della digitalizzazione interpretare la metamorfosi di società, economia e organizzazioni, Guerini scientifica, 2020, pp. 73 ss.

[8] F. Musiani, Governance algoritmica: sorveglianza, censura e diritti fondamentali, in F. Fossa – V. Schiaffonati – G. Tamburrini (a cura di), Introduzione all’etica dell’intelligenza artificiale e della robotica, Carocci, 2021, p. 95.

[9] FPA data insight, L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego, maggio 2024, p. 17.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Sia consentito il rinvio a A. Ripepi, Amministrare per processi. Il PNRR, il PIAO e il Business Process Reengineering nelle Pubbliche Amministrazioni: un’occasione da non perdere, in Rassegna dell’Avvocatura dello Stato, n. 1/2023.

[13] N. Capolupo – P. Adinolfi, Organizzazioni pubbliche e intelligenza artificiale. Un cambiamento possibile?, in Prospettive in organizzazione, Rivista trimestrale di Organizzazione Aziendale, 14 aprile 2023, p. 2.

[14] Commissione XI Lavoro pubblico e Privato della Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva sul rapporto tra Intelligenza Artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l’intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, 13 dicembre 2023, pp. 10 ss.

[15] G. Blasutig, L’intelligenza artificiale nelle organizzazioni e la prospettiva della collaborazione uomo-macchina, in Poliarchie/Polyarchies, vol. 5, 2/2022, p. 196.

[16] F. Zambonelli, op. cit., pp. 41-43.

[17] G. Blasutig, op. cit., p. 197.

[18] G. Lazzi, Reingegnerizzazione dei processi, Contributo al libro “Sistemi Informativi per la Pubblica Amministrazione: tecnologie, metodologie, studi di caso”, 1999, disponibile in https://www.unica.it/UserFiles/File/Direzioni/Diruma/progetto_aurora/Lazzi.pdf, pp. 19-20.

[19] A. Costanzo, Organizzazione e scienza dell’amministrazione negli enti pubblici con approfondimenti per INPS e enti locali, Edizioni Lavoro, 2018, p. 310.

[20] R. Bergoglio – F. Raiteri, La gestione per processi, in AA.VV., Conoscere le ISO 9000: 2000. Manuale pratico per le piccole imprese, Editore UNI, 2001, pp. 75-104.

[21] FPA data insight, op. cit., p. 23.

[22] Commissione XI Lavoro pubblico e Privato della Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva sul rapporto tra Intelligenza Artificiale e mondo del lavoro cit., pp. 9-10.

[23] Ibidem.

[24] Su cui v. A. Ripepi, op. cit.

[25] Si veda, sul punto, la “Direttiva sulla formazione” emanata dal Ministro Zangrillo in data 23 marzo 2023, in cui le finalità del sistema di formazione vengono individuate come segue: “a) la progettazione a partire dalla individuazione delle competenze necessarie per l’innovazione e il cambiamento, e non dai “mestieri” delle amministrazioni; b) la velocità di progettazione e di erogazione, in modo che ciascuna amministrazione possa disporre delle competenze di cui ha bisogno in tempi utili per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e, più in generale, per implementare i processi di innovazione e migliorare la qualità dei servizi erogati a cittadini e imprese; c) la qualità dei contenuti, che può essere assicurata attraverso la realizzazione di investimenti su una formazione guidata dagli obiettivi di missione e di servizio dell’organizzazione e dai suoi specifici fabbisogni; d) la “certificazione” delle competenze acquisite attraverso la formazione da parte dei dipendenti pubblici, integrandole nei percorsi di carriera secondo quanto previsto dalla legge e dai contratti collettivi nazionali ed integrativi; e) l’utilizzo della formazione quale leva strategica rafforzare e sviluppare il senso e il valore pubblico del lavoro nella pubblica amministrazione da parte dei propri dipendenti”. Obiettivi che, naturalmente, il dirigente pubblico della post-modernità non può trascurare.

[26] G. Melis, Storia cit., pp. 27 ss.; nello stesso senso G. Astuto, L’amministrazione italiana cit., p. 77.

[27] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, Linee guida sul Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) e indicatori di performance, disponibile in https://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/LG_pola_9_dicembre.pdf, pp. 14 ss.

[28] Ivi, p. 305.

[29] Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, op. cit., p. 11.

[30] R. Cantone – E. Carloni, La prevenzione della corruzione e la sua Autorità, in Diritto pubblico, n. 3/2017, pp. 903-944.

[31] Raccomandata già in tempi anteriori all’introduzione del PIAO: V. Sarcone, La pianificazione delle misure di prevenzione della corruzione e il coordinamento con la valutazione della performance, in Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione cit.; D. Bolognino, Il necessario coordinamento tra il Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (Ptpc) e gli strumenti del ciclo delle performances. Principi efficientistici e valorizzazione dell’etica nel conferimento delle “premialità” e nell’erogazione delle sanzioni, in Amministrativamente, 3-4/2014, p. 22.

[32] M. Gerardo, Anticorruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione. Profili giuridici, economici ed informatici, in Rivista judicium.it; R. Rolli, Scritti vari in materia di amministrazione e anticorruzione. Principi e problemi, in Rivista telematica Ratio iuris.

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