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Corte dei conti – Responsabilità amministrativa e contabile – Acquisto di mascherine facciali – Anticipo erogato in misura superiore al dovuto – Obbligo di restituzione – Agente contabile – Mancata restituzione – Responsabilità

Sent. n. 485

Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio

Pres. Miele – Est. Fava – P.M. Monfeli, Pr/c -…  società consortile a responsabilità limitata, in fallimento (Avv. Rosalia Lisanna Nieddu del Rio) ; -Dott.ssa … Con l’intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La prospettazione della Procura Regionale

Con atto di citazione del 7 marzo 2024 la Procura regionale ha convenuto in giudizio la … (società consortile in fallimento) e …  (nella qualità di amministratore pro tempore della predetta società) al fine di sentirli condannare al pagamento di € 10.080.000,00 in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in virtù della posizione di agenti contabili di fatto rivestita nella vicenda relativa a due forniture milionarie di mascherine durante l’inizio della pandemia da COVID-19.

La società riceveva il 17 marzo 2020, ad affidamento diretto, due commesse dalla Protezione civile (prima commessa per 5 milioni di mascherine chirurgiche al prezzo di € 0,44 cadauna per un totale di € 2.200.000,00; seconda commessa per la fornitura di 10 milioni di mascherine facciali filtranti FFPP2 al prezzo di € 2,30 per un totale di € 23.000.000,00), pattuendo di ricevere quale acconto il 60% del prezzo totale e il saldo (40%) alla consegna dei dispositivi. I convenuti si impegnavano a rispettare il Codice di comportamento dei pubblici dipendenti e il patto di integrità.

Per errore imputabile a due funzionari della Presidenza del Consiglio dei ministri, tuttavia, il bonifico di acconto relativo alla prima commessa veniva emesso in un importo pari a dieci volte il dovuto (€ 13.200.000,00 in luogo di € 1.320.000,00), con la conseguenza che il 18 marzo 2020 venivano accreditati sul conto della società …  complessivi € 27.000.000,00 (€ 13.200.000,00 in relazione alla prima commessa ed € 13.800.000,00 in relazione alla seconda commessa).

A fronte della richiesta del 27 marzo 2020 dei dirigenti della Presidenza del Consiglio dei ministri di restituire quanto ricevuto in misura superiore all’importo dovuto a titolo di acconto per la prima commessa, l’amministratore pro tempore della …  (pec del 31 marzo 2020 e del 3 aprile 2020) rifiutava la restituzione dell’intero importo versato per errore e, invocando la compensazione con le somme dovute a titolo di saldo per le due commesse, restituiva, con bonifico del 3 aprile 2020, la somma di € 1.800.000,00 (determinata quale differenza matematica tra il pagamento in acconto € 27.000.000,00 e l’importo complessivamente dovuto per le due commesse € 25.200.000,00), avendo la predetta società emesso il 3 e il 7 aprile 2020 quattro fatture a titolo di acconto e saldo per le due commesse (cfr. pag. 8-11 della relazione della Guardia di finanza).

La Guardia di finanza ha segnalato che la prima commessa veniva interamente eseguita (salvo un modesto ritardo che ha determinato l’applicazione di una penale pari ad € 17.233,92 – pag. 9 della relazione della Guardia di finanza), mentre in relazione alla seconda si verificava un grave inadempimento (in luogo di 10 milioni di mascherine venivano consegnate solo 3.114.530 mascherine, di cui 2.649.600 non conformi).

Nonostante il termine per la consegna delle mascherine previsto in entrambe le commesse fosse di 10 giorni dalla ricezione del pagamento dell’acconto, la Presidenza contestava l’inadempimento con nota del 29 aprile 2020 (pag. 11 della relazione della Guardia di finanza). Si consideri che in entrambe le commesse è presente la seguente clausola: “Resta inteso che in caso di inadempimento contrattuale, codesta società di obbliga alla restituzione integrale delle somme ricevute”.

In relazione alla appropriazione delle somme versate in più rispetto all’acconto da pagarsi per la prima commessa (e quindi all’intero importo dovuto per la prima commessa), come tali indebitamente trattenute dalla …  (€ 13.200.000,00 – somma versata con il bonifico erroneo – meno l’acconto dovuto pari ad € 1.320.000,00 e meno € 1.800.000,00 restituiti dalla società – cfr. pag. 21 e 22 dell’atto di citazione), la Procura regionale ha chiesto la condanna in solido dei convenuti al pagamento di complessivi € 10.080.000,00 contestando loro la responsabilità contabile derivante dalla qualità di agente di fatto (invocando gli artt. 174 r.d. 23 maggio 1924, n. 827 e 44 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214) rivestita in relazione a somme ad appartenenza pubblicistica di cui i predetti avevano in concreto avuto il maneggio senza alcun titolo giuridico (in quanto da imputarsi alla prima commessa e non alla seconda, nonché versate in anticipo rispetto alle scadenze contrattuali pattuite).

A tal uopo la Procura regionale ha altresì precisato che il sequestro penale del conto corrente su cui erano affluiti i 27 milioni aveva avuto ad oggetto solo € 1.249.390,26 in quanto nel frattempo le somme erano state spostate altrove.

Per tali ragioni la Procura regionale, segnalando anche la violazione dei principi di lealtà, trasparenza e correttezza, ha contestato ad entrambi i convenuti la dolosa intenzione di arrecare il pregiudizio erariale.

Non ha convenuto in giudizio i dirigenti amministrativi assumendo l’applicabilità alla specie della normativa sopravvenuta (art. 21 d.lgs. 76/2020) che ha escluso la responsabilità dei pubblici funzionari per colpa grave da mala gestio), funzionari che, comunque, come emerge dalla relazione della Guardia di finanza sono stati sottoposti a gravi sanzioni disciplinari).

2. Le difese dei convenuti.

2.1. La società … , in fallimento, in persona del curatore fallimentare e previa autorizzazione del giudice delegato, si è costituita con comparsa del 6 settembre 2024 evidenziando che il credito vantato dalla Presidente del Consiglio dei ministri è stato ammesso al passivo per € 9.091.615,00 senza beneficiare di alcuna causa legittima di prelazione (Tribunale civile di Roma, sentenza 4 dicembre 2023, n. 24031).

Per tale ragione ha eccepito l’inammissibilità dell’azione erariale per carenza di danno erariale attuale e per contrasto con il bis in idem essendosi violato il divieto di accollare giuridicamente due volte al medesimo soggetto uno stesso fatto, nonché l’improcedibilità dei confronti del fallimento per violazione del rito esclusivo di accertamento del passivo dinanzi al Tribunale fallimentare ex art. 24 l.f. come pure l’inopponibilità alla massa fallimentare.

Ha poi richiamato il comportamento quanto meno gravemente colposo dei funzionari della Presidenza del Consiglio dei ministri (“diversamente, non può esservi dubbio che laddove nel presente giudizio si fosse voluta accertare la responsabilità ascrivibile a tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, si sarebbero dovuti convenire in giudizio anche i due dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dr. … , coordinatore del servizio politiche contrattuali e convenzioni e dr. … , coordinatore del sovraordinato ufficio VI – amministrazione e bilancio, i quali avevano materialmente eseguito il bonifico erroneo che ha determinato il danno” – pag. 14 della comparsa) e sostenuto la non riferibilità alla società del comportamento dell’amministratore pro tempore della medesima.

2.2. L’amministratore pro tempore (… ), pur avendo ricevuto regolare notifica dell’atto di citazione (sia a mezzo pec che a mezzo posta con consegna dell’avviso di ricevimento al portiere dello stabile), non si è costituito.

Ha partecipato alla fase preprocessuale rendendo dichiarazioni nel corso della audizione personale del 23 gennaio 2024 (segnalando “una situazione di grande confusione organizzativa da parte della Protezione civile” – pag. 1 del verbale di audizione) nonché depositando successivamente documenti ad integrazione di quanto sinteticamente esposto oralmente.

3. L’intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri

La Presidenza del Consiglio dei ministri, con nota amministrativa del 2 ottobre 2024 e senza il patrocino dell’Avvocatura dello Stato, ha depositato atto di intervento ad adiuvandum per la somma superiore di € 21.863.133,92 (in quanto riferita anche all’inadempimento relativo alla seconda commessa).

DIRITTO

1. La convenuta … , pur avendo ricevuto regolare notifica dell’atto di citazione, non si è costituita.

Deve essere pertanto dichiarata la contumacia ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 93 c.g.c.

  1. Assumono valore pregiudiziale le eccezioni sollevate dalla curatela che, ponendo problemi simili, devono essere esaminate congiuntamente.

I fatti impeditivi ed estintivi addotti a sostegno dell’improcedibilità e dell’inammissibilità dell’azione della Procura regionale non hanno pregio.

Le Sezioni unite civili hanno precisato che “Qualora la cognizione di un rapporto obbligatorio appartenga alla giurisdizione della Corte dei conti, questa permane anche in caso di fallimento del debitore, sicché il giudice contabile, davanti al quale sia dichiarato l’intervenuto fallimento, può pronunciare la sentenza, i cui effetti confluiranno nella procedura concorsuale” (Cass., sez. un., 3 marzo 2012, n. 11073; in termini Cass., sez. un., 16 maggio 2008, n. 12371, secondo cui “In tema di fallimento, nelle ipotesi in cui venga chiesta l’ammissione al passivo di un credito il cui accertamento è devoluto alla giurisdizione della Corte dei conti, e l’ammissione sia contestata, non viene meno il potere del giudice fallimentare di ammettere il credito con riserva, essendo gli organi fallimentari tenuti a considerare il credito come condizionale ed a sciogliere la riserva in relazione all’esito del processo dinanzi al giudice competente, sì da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento”).

La giurisprudenza contabile (C. conti, sez. Lazio n. 411/2022 e sez. Toscana n. 14/2022), richiamando il principio di autonomia ed indipendenza del processo contabile da quello civile (anche fallimentare) -Cass., sez. un., 822/1999 e 22406/2018-, ha precisato che compete alla Corte dei conti (titolare di una giurisdizione esclusiva ed escludente) il potere di accertare l’esistenza di un credito derivante da responsabilità amministrativa o contabile (incluso il potere di quantificarlo e liquidarlo), credito che poi dovrà essere ammesso al passivo secondo la procedura fallimentare incardinata (è proprio la pronuncia della Corte dei conti – non sostituibile da alcun pronunciamento del giudice fallimentare che si andrebbe altrimenti a sostituire al Giudice contabile – a costituire titolo e fondamento del predetto credito). Né è invocabile la violazione del bis in idem sostanziale, atteso che tale problematica si risolve in sede esecutiva, non potendo l’Amministrazione arricchirsi attraverso la duplicazione di ciò che debba essere restituito (C. conti, sez. Lazio n. 411/2022 e sez. Toscana n. 14/2022).

La giurisdizione contabile – che si differenza da quella da responsabilità amministrativa – difatti presenta una copertura costituzionale trattandosi, come ribadito a più riprese dalla Consulta, di una giurisdizione costituzionalmente necessaria ed esclusiva (per il Giudice delle leggi, difatti, il giudizio di conto è costituzionalmente necessario e ha natura giurisdizionale – C.cost., 17/65; 55/66; 33/68; 10 e 110/70; 68/71; 383/96 – in quanto “il pubblico denaro proveniente dalla generalità dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni deve essere assoggettato alla garanzia costituzionale della correttezza della sua gestione” – C.cost., 21 maggio 1975, n. 114; in termini C.conti, sez. riun., 17 luglio 1991, n. 720 e Id. 18 luglio 1992, n. 794). Il giudizio di conto ha, difatti, ad oggetto il conto e il rapporto gestorio sottostante, con possibilità di esperire indagini sull’elemento soggettivo: dolo o colpa (presunta e professionale) del contabile, emettendo pronunce, tra l’altro, di condanna al saldo e alla resa del conto.

Tale giudizio non può essere reso inutile o impedito dalla pendenza del giudizio fallimentare: il c.d. “credito erariale da responsabilità contabile” potrà avere ingresso nel fallimento con l’osservanza delle regole proprie della procedura concorsuale, atteso che come la Corte dei conti non potrà sostituirsi al Giudice fallimentare, analogamente non potrà ritenersi che il secondo possa esercitare poteri giurisdizionali spettanti a questa Corte.

Per tali ragioni non hanno pregio le eccezioni di rito sollevate dalla curatela sussistendo una perdita economica correlata ad una responsabilità contabile dei convenuti che hanno svolto funzioni di agente contabile.

Manca peraltro ogni violazione del principio del bis in idem sostanziale atteso che il credito erariale da responsabilità contabile correlato alla prima commessa potrà essere soddisfatto (sempre che ciò effettivamente avvenga) solo una volta, escludendosi così ogni indebita locupletazione nella fase esecutiva di realizzazione della predetta posta creditoria.

1.2. Deve essere preliminarmente dichiarato inammissibile l’intervento spiegato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sussistendo svariate ragioni a sostegno di tale declaratoria (nota di intervento che presenta espressamente la qualificazione in termini di “intervento adesivo ex art. 85 del d.lgs. 174/2016).

In primo luogo deve essere evidenziato che l’art. 85 c.g.c. ammette l’intervento a condizione che esso sia notificato alle parti e depositato nella segreteria della Sezione. Nel caso di specie – come segnalato dalla difesa della società e dalla Procura regionale – è stata omessa ogni notifica mentre l’intervento è stato formulato depositando una nota amministrativa a firma del dirigente dell’ufficio nel tardo pomeriggio del giorno precedente l’udienza pubblica.

In secondo luogo nei giudizi di fronte alla Corte dei conti è necessaria l’assistenza degli avvocati che, nella specie (trattandosi di “Amministrazione dello Stato”), sarebbe spettata, sussistendo il patrocinio ex lege obbligatorio ed esclusivo, all’Avvocatura dello Stato (art. 28 c.g.c.; art. 1 T.U. 30 ottobre 1933, n. 1611), che, dalla documentazione versata in atti, risulta figurare tra i destinatari della menzionata nota di intervento del 2 ottobre 2024.

In terzo luogo l’atto di intervento non può ampliare il petitum (mentre nel caso di specie la Presidenza ha prospettato anche il credito derivante dalla contestazione dell’inadempimento contrattuale relativo alla seconda commessa, situazione soggettiva non attivata dalla Procura regionale e comunque rientrante nella giurisdizione dell’A.G.O.).

2. Venendo al merito l’azione è parzialmente fondata.

Per risolvere la materia del contendere è necessario partire dai contratti perfezionati il 17 marzo 2020 tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la società affidataria … , i cui atti sono riferibili all’amministratore pro tempore che li ha sottoscritti (e che, peraltro, ha intrattenuto tutte le relazioni successive afferenti alla fase esecutiva del rapporto contrattuale).

Nelle due commesse era stato chiaramente previsto che: 1) nel prezzo fossero comprese le spese di trasporto alla dogana di Segrate con il controllo formale prima della spedizione dal luogo di conservazione del prodotto (“al prezzo unitario di € … , incluse le spese di trasporto alla dogana (INCOTERMS CIF) e il controllo formale prima della spedizione dal luogo di conservazione del prodotto”), 2) il saldo del 40% fosse dovuto all’arrivo in dogana con evidenza inequivocabile della reale esistenza della merce e della immediata possibilità di ritiro e consegna della stessa (“Il pagamento dei corrispettivi sarà effettuato con le seguenti modalità […] il saldo del 40% dopo la comunicazione da parte di codesta Società dell’attivo in dogana della fornitura, con la quale si dà evidenza in modo inequivocabile della reale esistenza della merce e della immediata possibilità di ritiro e consegna della stessa”), 3) la consegna dovesse intervenire entro 10 giorni dalla data di ricezione del pagamento (chiaramente riferibile all’acconto del 60%).

Nelle commesse è espressamente richiamato l’art. 34 del decreto legge 9/2020 che legittimava la Presidenza del Consiglio dei ministri a procedere all’acquisto di dispositivi di protezione e medicali (“1. Il Dipartimento della protezione civile e i soggetti attuatori individuati dal Capo del dipartimento della protezione civile fra quelli di cui all’ordinanza del medesimo in data 3 febbraio 2020, n. 630, sono autorizzati, nell’ambito delle risorse disponibili per la gestione dell’emergenza, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, ad acquisire dispositivi di protezione individuali (DPI) come individuati dalla circolare del Ministero della salute n. 4373 del 12 febbraio 2020 e altri dispositivi medicali, nonché a disporre pagamenti anticipati dell’intera fornitura, in deroga al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. 2. In relazione all’emergenza di cui al presente decreto, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, è consentito l’utilizzo di dispositivi di protezione individuali di efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuale previsti dalla normativa vigente. L’efficacia di tali dispositivi è valutata preventivamente dal Comitato tecnico scientifico di cui all’articolo 2 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630. 3. In relazione all’emergenza di cui al presente decreto, in coerenza con le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche, è consentito fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari; sono utilizzabili anche mascherine prive del marchio CE previa valutazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità”), nonché l’ordinanza del Capo dipartimento del 3 febbraio 2020, n. 630, che all’art. 1 prevedeva proprio la possibilità di acquisire dispositivi medici.

Nel caso di specie trattasi di due forniture di mascherine sottoposte al regime giuridico della vendita di beni mobili perfezionato tra una Amministrazione italiana e una società parimenti italiana, e, come tale, governato dall’ordinamento italiano, anche se avente ad oggetto un bene mobile fabbricato all’estero e proveniente dall’estero, dunque assoggettato a trasporto internazionale e formalità doganali.

Non è chiaro se i beni mobili fossero o meno esistenti al tempo del perfezionamento del contratto e, dunque, non è possibile comprendere se si tratti nella specie di una vendita di bene presente o di bene futuro.

Si tratta in ogni caso di una complessa operazione contrattuale in cui sono presenti svariati segmenti negoziali riconducibili a diversi contratti tipici (vendita, trasporto, deposito, etc.) con netta prevalenza della funzione di scambio (prezzo pattuito a fronte della consegna di beni mobili) e con elementi di internazionalità (emergenti dal rinvio a INCOTERMS CIF – che però non è formulato in termini contrattualmente corretti atteso che non è rispettata la prassi che governa la tecnica negoziale in questione che impone, secondo la Camera di commercio internazionale, la necessità fornire un insieme di precisazioni nella specie mancanti: per operare una corretta incorporazione nel testo contrattuale degli Incoterms®, concordemente alle raccomandazioni espresse dalla ICC, occorre procedere secondo lo schema “termine di resa + luogo convenuto + Incoterms 2020” (esempio: EXW corso Lodi 40, Milano Incoterms® 2020) – cfr. https://www.iccitalia.org/incoterms/).

Nel concreto, tenendo conto della documentazione versata in atti, non si è profilato un problema di perimento o deterioramento del bene, atteso che la prima commessa è stata interamente eseguita, mentre con riguardo alla seconda si è verificato un inadempimento parziale (mancata consegna del numero di mascherine pattuito e consegna di mascherine non conformi: su 10 milioni di dispositivi FFP2, sono state consegnate solo 3.114.530 mascherine di cui solo 464.930 conformi, per le restanti essendo stato formulato un giudizio di non idoneità da parte del CTS e dall’A.G.O. – cfr. pag. 11 e 12 della relazione della Guardia di finanza).

Si consideri che, come già evidenziato, in entrambe le commesse del 17 marzo 2020 il termine di consegna delle mascherine era pari a 10 giorni dalla data di ricezione del pagamento dell’acconto.

Pertanto, tenendo conto delle previsioni contrattuali menzionate (quelle cioè risultanti dalle due commesse), la somma di € 2.200.000,00 (intero prezzo previsto per la prima commessa) è stata legittimamente incamerata dalla società … , mentre le restanti somme non avrebbero potuto essere trattenute dalla controparte contrattuale sia perché notevolmente superiori rispetto a quanto dovuto per la prima commessa, sia perché, con riguardo alla seconda commessa, non si era verificato l’evento previsto per l’apprensione del saldo (“comunicazione da parte di codesta società dell’arrivo in dogana della fornitura, con la quale si dà evidenza in modo inequivocabile della reale esistenza della merce e della immediata possibilità di ritiro e consegna della stessa”).

La Procura regionale si è limitata ad attivare esclusivamente la responsabilità contabile da maneggio di denaro relativo alla prima commessa (somme ricevute per errore, trattenute indebitamente e non restituite).

Con riguardo a tale pretesa sussiste senza dubbio la giurisdizione di questa Corte trattandosi di un’azione fondata sulla responsabilità contabile di cui all’art. 178 ss r.d. 23 maggio 1924, n. 827 e art. 13 e 44 ss r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, che, come già ricordato, costituisce una giurisdizione contabile costituzionalmente necessaria.

Nel periodo storico considerato (febbraio-marzo 2020) la fornitura di mascherine costituiva attività preziosissima per la collettività, certamente strumentale allo svolgimento di funzioni e servizi pubblici, nonché molto difficile da realizzare sia per i blocchi nei trasporti internazionali (di cui dà conto la relazione della Guardia di finanza – pag. 7), sia per le dimensioni estremamente esigue e contenute dell’offerta rispetto alla domanda iniziale del bene.

Il comportamento intenzionale della società e dell’amministratore pro tempore (trattenimento di somme non dovute, con sfruttamento a proprio vantaggio dell’errore di pagamento in cui era incorsa l’Amministrazione) è stato grave, contrario ai doveri di buona fede e correttezza, nonché trasmodante nell’esercizio di un preteso diritto alla compensazione (autocreato e autoesercitato) sostanzialmente analogo ad un atipico diritto di ritenzione (anticipata) di somme, peraltro, non dovute nemmeno a titolo di compensazione a fronte dell’inadempimento della seconda commessa e della mancata verificazione dei presupposti pattuiti per l’esigibilità del credito relativo al saldo.

Tale comportamento sicuramente rilevante e sanzionabile con gli strumenti privatistici (attivati dall’Avvocatura generale dello Stato in altre sedi), rileva certamente anche nella sfera pubblicistica, trovando la propria tutela attraverso l’azione contabile correttamente esperita dalla Procura regionale.

La responsabilità contabile (derivante dal maneggio di denaro pubblico – concetto da interpretarsi in senso lato e nella specie sussistente – Cass., sez. un., 13330/2010 e 14891/2010; Cass., sez. un., 27 marzo 2007, n. 7390; C. conti, sez. I app., 6 marzo 2006, n. 68 e 16 febbraio 1998, n. 28; sez. II app., 1° marzo 2006, n. 108 e 3 febbraio 1999, n. 32; sez. III app., 9 novembre 2005, n. 682; sez. Lombardia 14 giugno 2006, n. 373 e 16 giugno 2003, n. 667 e 2 dicembre 2002, n. 1943; sez. Abruzzo 30 maggio 2001, n. 98; sez. Sardegna 13 gennaio 1987, n. 2), peraltro, viene imputata oggettivamente costituendo un tipico caso di responsabilità ex recepto (la normativa vigente non prevede un’imputazione soggettiva).

Ciononostante parte attrice, per mero tuziorismo e quindi sopravanzando l’onere della prova su di essa incombente, ha prospettato e asseverato anche l’esistenza del dolo dell’amministratore pro tempore, che ridonda in elemento intenzionale anche per la società (c.d. trasmissione degli stati soggettivi dal rappresentato al rappresentante, peraltro, nella specie di tipo organico – art. 1391 c.c. e Cass., sez. un., 28 aprile 1973, n. 1169 “nei negozi giuridici conclusi da una persona giuridica pubblica o privata, ai fini della valutazione degli stati soggettivi delle parti giuridicamente rilevanti, non può non farsi riferimento che alla persona fisica che ha compiuto o concorso a compiere l’atto riferibile alla persona giuridica in virtù del nesso di rappresentanza organica. Conseguentemente, la prova dello stato soggettivo rilevante può essere fornita con i comuni mezzi previsti dalla legge, comprese le presunzioni”; in termini Cass., 27 luglio 1978, n. 3775; Cass., 5 gennaio 1984, n. 16; Cass., 20 agosto 1986, n. 5103; Cass., 5 agosto 2002, n. 11719; Cass., 4 luglio 2006, n. 15265; Cass., 12 maggio 2015, n. 9595), prospettazione che il Collegio condivide. L’intenzione di trattenere le somme è espressamente manifestata nelle due già richiamate pec riferibili all’amministratore pro tempore …  (pec del 31 marzo 2020 e del 3 aprile 2020).

Circa la qualifica di agente contabile è noto che Sezioni unite (in sede di regolazione della giurisdizione) e giurisprudenza contabile sono pervenute ad un concetto ampio di maneggio del denaro pubblico essendo rilevante anche l’attività svolta in via di fatto, senza alcun titolo giuridico e anche da parte di soggetti estranei all’organizzazione amministrativa strettamente intesa. E’ stato, difatti, osservato che perché un soggetto, persona fisica o giuridica, rivesta la qualifica di agente contabile è necessario che questo agisca per conto di un ente pubblico, a prescindere dalla presenza o meno di un titolo giuridico e che il maneggio riguardi beni, valori, materie dello Stato o di altro ente pubblico (Cass., sez. un., 13330/2010; il d.P.R. 627/1972, difatti, ha sganciato la nozione di agente contabile dall’appartenenza all’amministrazione pubblica, innovando il concetto di maneggio nel senso che non sarebbe più rilevante il titolo o la causa di disponibilità dei beni pubblici gestiti – amplius Rivista Corte conti, n. 3/2023, pag. 63 ss.).

In proposito la giurisprudenza della Corte regolatrice è sterminata: “Elementi essenziali e sufficienti perché un soggetto rivesta la qualifica di agente contabile, ai fini della sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità contabile (art. 74 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 ed artt. 178 e 610 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827), sono soltanto il carattere pubblico dell’ente per il quale tale soggetto agisca e del denaro o del bene oggetto della sua gestione, mentre resta irrilevante, oltre che l’eventuale assenza, da parte di quel soggetto, di contestazione della responsabilità stessa, il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi indifferentemente secondo gli schemi generali, previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto od in parte” (Cass., sez. un., 1 giugno 2010, n. 13330; in termini, successivamente, Cass., sez. un., 29 maggio 2019, n. 14697; Cass., sez. un., 1° aprile 2020, n. 7640; in precedenza Cass., sez. un., 4 dicembre 2009, n. 25495 – che si occupa anche della concorrenza tra giurisdizione contabile e giurisdizione A.G.O. sulla fase di inadempimento del rapporto contrattuale, nonché Cass., sez. un., 10 aprile 1999, n. 232: “Elementi essenziali e sufficienti perché un soggetto rivesta la qualifica di agente contabile, ai fini della sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità contabile, sono soltanto il carattere pubblico dell’ente per il quale tale soggetto agisca e del denaro o del bene oggetto della sua gestione, mentre resta irrilevante, oltre che l’eventuale assenza, da parte di quel soggetto, di contestazione della responsabilità stessa, il titolo in base al quale la gestione è svolta, che può consistere in un rapporto di pubblico impiego o di servizio, in una concessione amministrativa, in un contratto e perfino mancare del tutto, potendo il relativo rapporto modellarsi indifferentemente secondo gli schemi generali, previsti e disciplinati dalla legge, ovvero discostarsene in tutto od in parte (alla stregua di tale principio le Sezioni Unite, confermando la decisione dei giudici di merito, hanno ritenuto che rientrasse nella giurisdizione della Corte dei Conti la controversia fra l’Ente Poste Italiane ed una società incaricata dell’esecuzione del servizio di trasporto dei dispacci e, quindi, da qualificare agente contabile, concernente una domanda riconvenzionale con la quale, a fronte della domanda, proposta in via principale da parte di tale società, del pagamento del corrispettivo, l’Ente aveva chiesto il risarcimento dei danni sofferti per la sottrazione di un dispaccio speciale e per avere dovuto versare ad altro appaltatore, incaricato dello stesso servizio dopo l’anticipata risoluzione del rapporto con la società, un maggior compenso, a nulla potendo rilevare l’eventuale riconoscimento della responsabilità contabile da parte della società, nel presupposto del quale l’Ente aveva invece invocato la giurisdizione del giudice ordinario – ritenuta dai giudici di merito soltanto sulla domanda principale – sostenendo che occorresse esclusivamente procedere ad una compensazione fra i due crediti)”; e ancora Cass., sez. un., 27 marzo 2007, n. 7390: “in tema di contabilità pubblica, qualora il giudizio di conto abbia ad oggetto la gestione o la custodia di partecipazioni societarie in possesso dell’ente pubblico, il sindacato della Corte dei conti non è limitato alla custodia ed alla gestione dei titoli originari nella loro materialità, ma si estende alle variazioni del loro valore ed agli utili e ai dividendi distribuiti, dovendo il consegnatario risponderne ai sensi dell’art. 29, ultimo comma, del r.d. 23 maggio 1924, n. 827; peraltro, poiché il sistema distingue nettamente tra l’attività di amministrazione, spettante agli organi titolari dei diritti e poteri connessi all’uso dei beni, e la gestione contabile, spettante a coloro che hanno il maneggio e la custodia dei beni, l’esercizio di quest’ultima funzione non può dar luogo ad un sindacato sull’esercizio dei diritti spettanti all’azionista pubblico, con la conseguenza che in sede di giudizio di conto l’agente contabile non può essere chiamato a rispondere di atti di esercizio dei diritti dell’azionista o del titolare di partecipazioni (quali l’espressione del voto, la stipulazione del patto di sindacato, l’esercizio di un diritto di opzione), la cui valutazione è demandata al giudizio di responsabilità”).

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha peraltro sostenuto che “una tale nozione allargata di agente contabile, la quale ricomprende anche i soggetti che abbiano di fatto maneggio di denaro pubblico, è in perfetta armonia con l’art. 103 Cost., la cui forza espansiva deve considerarsi vero e proprio principio regolatore della materia” (Cass., sez. un., 9 ottobre 2002, n. 12367: “Le società per azioni costituite dai Comuni e dalle Province a norma dell’art. 22, terzo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali per la gestione di pubblici servizi operano come persone giuridiche private, senza che, tuttavia, il regime privatistico del soggetto impedisca che lo stesso rivesta la qualifica di agente contabile, come tale soggetto al giudizio di conto, posto che l’indicata figura è assolutamente indipendente dalla natura, pubblica o privata, del soggetto e dal titolo giuridico in forza del quale la gestione viene svolta, essendo elemento necessario, ma nel contempo sufficiente, che, in relazione al maneggio del denaro, sia costituita una relazione tra ente pubblico ed altro soggetto, a seguito del quale la percezione del denaro avvenga, in base a un titolo di diritto pubblico o di diritto privato, in funzione della pertinenza di tale denaro all’ente pubblico e secondo uno schema procedimentale di tipo contabile. Ne consegue che assume la veste di agente contabile, con le conseguenze di legge in punto di sottoposizione alla giurisdizione contabile, la società per azioni titolare della gestione dei proventi della sosta a pagamento dei veicoli ad essa affidata da un Comune”).

Anche la giurisprudenza Contabile di Appello (Sez. I, 15 luglio 2008, n. 324) ha avuto modo di chiarire che “il significato dell’espressione ‘maneggio’ di denaro deve essere latamente inteso, sì da ricomprendere non soltanto gli agenti che, in base alle norme organizzative, svolgono attività di riscossione o di esecuzione dei pagamenti, ma anche coloro che abbiano la disponibilità del denaro da qualificarsi pubblico (in ragione della provenienza e/o della destinazione) e siano forniti, in sostanza, del potere di disporne senza l’intervento di altro ufficio (Corte conti, Sez. I, 5.5.1989, n. 167; Sez. Abruzzo, 6.5.2005, n. 445; Sez. Sardegna 9.10.1997, n. 1312)”.

Non c’è dubbio, per quanto sopra evidenziato, che i convenuti abbiano gestito di fatto somme di denaro a natura pubblicistica non spettanti alla società in quanto notevolmente superiori rispetto a quelle dovute contrattualmente a titolo di acconto (peraltro indebite ai sensi dell’art. 2033 c.c. in quanto non giustificate dal titolo contrattuale), non essendo altresì configurabile alcuna compensazione legale (per le ragioni che saranno di seguito evidenziate), né trattandosi di una controversia inquadrabile in un mero inadempimento contrattuale (Cass., sez. un., 15 luglio 2024, n. 19452), ed altresì rientrando l’attività correlata al pagamento a mezzo bonifico in quella gestionale ai fini dell’esistenza di un agente contabile (arg. ex C. conti, sez. giur. Calabria n. 176/2022 che si riferisce agli agenti di riscossione).

Alla affermata responsabilità “contabile” consegue l’obbligo restitutorio nella specie pari alla differenza tra l’importo del bonifico erroneo (€ 13.200.000,00) e quello complessivamente dovuto per la prima commessa interamente eseguita (€ 2.200.000,00) defalcando ulteriormente le somme restituite spontaneamente dalla società (€ 1.800.000,00).

Pertanto, accogliendo parzialmente l’atto di citazione (sollecitante una condanna ad € 10.080.000,00), il quantum da restituirsi per cui è condanna è pari ad € 9.200.000,00 (obbligazione restitutoria da responsabilità contabile in virtù della qualifica di agente di fatto rivestita dai convenuti).

In ordine alla compensazione invocata dalla società e dall’amministratore pro tempore giova segnalare che, stante l’impossibilità di configurare quella volontaria di cui all’art. 1252 c.c. per l’esistenza di una chiara opposizione della controparte, quella legale (art. 1243 c.c.) richiede i presupposti della liquidità e della esigibilità, caratteristica quest’ultima chiaramente assente nella fattispecie concreta (atteso che il saldo della seconda commessa era dovuto ed esigibile solo alla intera consegna delle mascherine FFP2, da intervenire peraltro entro 10 giorni dal pagamento dell’acconto). La società, invece, nonostante l’opposizione della Presidenza, si è arbitrariamente appropriata di somme erroneamente confluite sul proprio conto corrente, condotta che, lasciando in disparte le chiare ricadute in termini penali, integra gli estremi di un anomalo diritto di ritenzione atipico (non essendo dovuto il saldo relativo alla seconda commessa per le mascherine FFP2 a fronte del grave inadempimento imputabile e della risoluzione imperiosa disposta dall’Amministrazione).

Per tali ragioni entrambi i convenuti – agenti di fatto che hanno trattenuto e non restituito somme della Presidenza del Consiglio – devono essere condannati solidalmente al pagamento di € 9.200.000,00 in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri.

3. Al fine di valutare compiutamente il quadro delle difese spiegate dalla società costituita e dall’amministratore pro tempore non costituito (ma che ha partecipato attivamente alla fase preprocessuale) nella parte in cui si è censurata la gestione dei funzionari della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Collegio ritiene necessario puntualizzare che dalla documentazione versata in atti emerge chiaramente, non soltanto una evidente responsabilità contabile, ma anche una colpa gravissima in omittendo dei predetti funzionari che hanno disposto i pagamenti a mezzo bonifico bancario (con particolare riguardo a quello relativo all’acconto per la prima commessa).

La fattispecie dannosa trova origine nelle condotte gravissime dei dirigenti della Presidenza del Consiglio dei ministri che hanno pagato somme non dovute ed errato nell’imputazione formale del pagamento indicando nella causale dei due bonifici commesse diverse da quelle disposte dal Dipartimento per la protezione civile [il bonifico di importo corretto pari ad € 13.800.000,00 -recante data 18.03.2020 ore 19:36:52- indica in causale la commessa Covid n. 14750 del 17.03.2020 e nella cronologia il nome utente è riferito a … , con riguardo alla creazione delle ore 19:36:52 e all’autorizzazione delle 19:37:30, nonché a … , con riguardo all’autorizzazione delle ore 21:35:10 e alla spedizione delle 21:35:50 (il numero esatto del protocollo della commessa era 14743, come peraltro indicato chiaramente non solo nella commessa stessa a firma del Colicchio ma anche nel decreto del Capo Dipartimento … ); il bonifico di importo errato pari ad € 13.200.000,00 – recante data 18.03.2020 ore 19:40:07 (quello corretto era € 1.320.000,00 – espressamente indicato nel decreto del capo del Dipartimento della Protezione civile … ) indica in causale la commessa Covid n. 14753 del 17.03.2020 e nella cronologia il nome utente è riferito a … , con riguardo alla creazione delle ore 19:40:07 e all’autorizzazione delle 19:40:40, nonché a … , con riguardo all’autorizzazione delle ore 21:35:10 e alla spedizione delle 21:35:50 (il numero esatto del protocollo della commessa era 14751, come peraltro indicato chiaramente non solo nella commessa stessa a firma del Colicchio ma anche nel decreto del Capo Dipartimento … )].

A fronte dei gravissimi errori in committendo [1) errore del 18 marzo 2020 relativo al primo bonifico di acconto sulla prima commessa (pagamento di € 13,2 Milioni in luogo di 1,3 Milioni di euro); 2) errori nella imputazione formale dei pagamenti alle due commesse], non contestabili a titolo di responsabilità amministrativa ex art. 1 legge 20 del 1994 per effetto delle limitazioni introdotte dall’art. 21 d.lgs. 76/2020, sono manifestamente evidenti anche le responsabilità in omittendo (invece rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa) soprattutto correlata alla omessa tempestiva revoca dell’operazione di pagamento o all’omessa tempestiva attivazione dei meccanismi di blocco del pagamento (si consideri che la richiesta di restituzione delle somme erroneamente trasferite alla società interveniva solo il 27 marzo 2020 – cfr. Allegato 28 della relazione della Guardia di finanza, mentre entrambi i bonifici del 18 marzo 2020 – sia quello corretto relativo alla seconda commessa che quello errato relativo alla prima commessa – sono espressamente qualificati non urgenti né istantanei: “Urgente NO; Bonifico istantaneo NO”).

Accanto a tali aspetti che, dunque, consentono di ritenere superate le limitazioni frapposte dall’art. 21 d.lgs. 76/2020 con riguardo alla responsabilità amministrativa da attività commissiva, il Collegio rileva che l’attività gestionale dei funzionari, quale attività propriamente di gestione di somme di denaro a destinazione pubblicistica, rientra anche nell’area (costituzionalmente necessaria e incomprimibile) della responsabilità “contabile pura”. I funzionari, difatti, essendo addetti al maneggio del denaro pubblico o avendolo comunque effettuato, rivestono la qualifica di agenti contabili (anche nell’accezione lata prima tratteggiata) con conseguenziale possibilità di imputare loro una responsabilità di tipo e natura contabile, che, come tale, non cade sotto la scure delle limitazioni introdotte con l’art. 21 d.lgs. 76/2020.

Lasciando in disparte i profili di compatibilità eurounitaria dell’art. 21 del decreto legislativo n. 76 del 2020, in punto di diritto il Collegio osserva che il campo di applicazione della predetta norma (“la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”) si riferisce esclusivamente alla responsabilità amministrativa da danno erariale e non alla c.d. responsabilità contabile pura, atteso che il disposto normativo espressamente richiama la responsabilità di cui all’art. 1 legge 20 del 1994 e non quella contabile pura (che si basa su altre norme dell’ordinamento e ha una natura costituzionalmente necessaria).

Del resto la responsabilità strettamente contabile, a differenza di quella da responsabilità amministrativa, gode di una più intensa copertura costituzionale (si richiama la sopra citata giurisprudenza costituzionale) che impone al Giudice di dare al menzionato art. 21 una interpretazione costituzionalmente orientata.

Per tali ragioni, sulla base della documentazione versata in atti e delle difese dei convenuti, il Collegio ritiene possibile che la responsabilità dei funzionari della Presidenza dei Consiglio dei Ministri (invocata dai convenuti) sia astrattamente ipotizzabile non solo, a titolo omissivo, quale responsabilità amministrativa di cui all’art. 1 legge 20 del 1994 (omessa tempestiva revoca del bonifico di pagamento manifestamente erroneo), ma anche, più in generale, quale responsabilità “contabile pura” (da gestione irregolare di somme di danaro di cui si abbia giuridicamente o di fatto la disponibilità). Tuttavia, onde rispondere alle argomentazioni difensive spiegate dai convenuti (la società anche nella fase giudiziale, la …  nella fase preprocessuale), il Collegio osserva che la possibilità di un’eventuale futura azione nei confronti dei funzionari della Presidenza del Consiglio dei ministri (rientrante nelle prerogative della Procura regionale ed esulante dai poteri giudiziali spettanti al Collegio sull’atto di citazione che ha incardinato il presente giudizio) non produca un’efficacia paralizzante sulla pretesa quivi attivata atteso che si verificherà al più un concorso dei titoli di responsabilità, peraltro imputata a dolo dei convenuti evocati, con conseguenziale responsabilità solidale (come correttamente segnalato dalla Procura regionale nel corso della discussione dell’udienza pubblica).

4. L’illecito contabile contestato nel presente giudizio ha natura di debito di valuta, sicché, applicandosi i principi fissati dalle Sezioni unite nella sentenza del n. 19499 (“Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale”), devono essere corrisposti gli interessi legali, con decorrenza dal 18 marzo 2020, data di apprensione delle somme in eccesso rispetto all’acconto dovuto (e, se dovuta in base ai richiamati principi, con analoga decorrenza, la rivalutazione monetaria).

5. Sulle predette somme sono dovuti, inoltre, gli interessi legali dalla pubblicazione della presente decisione fino all’effettivo soddisfo ex art. 1282, primo comma, c.c.

6. Le spese del giudizio, da versare allo Stato e da liquidarsi a cura della Segreteria della Sezione con nota a margine (art. 31, quarto comma, c.g.c.), seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei convenuti solidalmente.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, dichiara la contumacia di …  e l’inammissibilità dell’intervento spiegato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Condanna la società consortile a responsabilità limitata … , in fallimento, e …  al pagamento, in solido, di € 9.200.000,00 in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri, oltre interessi legali e rivalutazione nei termini di cui in motivazione.

Condanna, altresì, i predetti convenuti, sempre in solido, al pagamento, in favore dello Stato, delle spese del giudizio, da liquidare, a cura della Segreteria della Sezione, con separata nota in calce alla presente sentenza in applicazione dell’art. 31, comma 5, del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, recante il “Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124”.

Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti di rito.

Ai sensi del combinato disposto dell’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali” (Codice della privacy), e dell’art. 22, comma 1, del decreto legislativo n. 101/2018, a tutela dei diritti e della dignità dei soggetti interessati dalla presente sentenza, e, in particolare, a tutela del loro diritto alla riservatezza dei dati personali, si dispone che, in caso di riproduzione della sentenza stessa in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, venga opportunamente omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi (con particolare riguardo per quelli relativi allo stato di salute) dei soggetti interessati riportati nella sentenza. A tal fine la Segreteria della Sezione applicherà la disposizione di cui al comma 3 dello stesso art. 52 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice della privacy).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024.

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