spot_img
HomeDottrinaL’evoluzione della sicurezza pubblica tra sfide ambientali e cambiamento climatico

L’evoluzione della sicurezza pubblica tra sfide ambientali e cambiamento climatico

di Carmine Petteruti, Ricercatore di diritto pubblico comparato, Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli

Abstract

Nel contesto globale segnato da un costante aumento di contenziosi climatici, emerge un interrogativo cruciale: si può parlare di sicurezza dell’ambiente o di sicurezza all’ambiente? Questa distinzione non è meramente semantica, ma riflette la complessità e l’interconnessione dei concetti di tutela e sicurezza ambientale. È essenziale proteggere l’ambiente e, contemporaneamente, tutelare le popolazioni dai rischi ambientali, ampliando così la visione tradizionale di sicurezza pubblica per includere la sicurezza dai rischi derivanti dall’ambiente.

La comunità scientifica svolge un ruolo fondamentale nella valutazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico e nella creazione di soluzioni per mitigare tali rischi.

Attraverso un’analisi delle normative esistenti in tema di tutela ambientale e dei casi di contenzioso climatico, si sottolinea l’importanza di un approccio integrato che contempli sia la protezione dell’ambiente sia la sicurezza delle popolazioni rispetto ai pericoli ambientali. Questo approccio contribuisce a una più ampia definizione di sicurezza pubblica, che include anche le sfide ambientali.

In the global context marked by a constant increase in climate litigation, a critical question arises: can we speak of safety of the environmental or safety to the environment? This difference is not just semantic. It reflects the complexity and the relationship of environmental protection and safety. It is important to protect the environment and, at the same time, to ensure populations from environmental risks, thus broadening the traditional vision of public safety to include safety from risks arising from the environment.

The scientific community plays a fundamental role in assessing the risks arising from climate change and in creating solutions to mitigate such risks.

Through the analysis of environmental protection regulations and climate litigation cases, it is possible to underline the importance of an integrated approach between environmental protection and the safety of populations to cope environmental risks. This approach contributes to a broader definition of public safety, which also includes environmental challenges.

Parole chiave: ambiente, sicurezza, cambiamento climatico, ricerca scientifica

Keywords: environment, safety, climate change, scientific research

Sommario: 1. L’analisi dei concetti di “Sicurezza Pubblica” e “Ordine Pubblico”. 2. La Tutela ambientale come pilastro della Sicurezza Pubblica. 3. La ricerca scientifica e le politiche pubbliche per la gestione del rischio climatico. 4. Conclusioni

1. L’analisi dei concetti di “Sicurezza Pubblica” e “Ordine Pubblico”

La sicurezza può essere definita come la condizione di armonia ordinamentale che rende possibile l’esercizio dei diritti da parte di ciascun individuo. Questa è identificabile con la condizione che consente di prevenire o rimuovere eventi spiacevoli; è lo “star bene” di una comunità nel proprio territorio[1].

In termini etimologici, la sicurezza è la securitas latina, “assenza di preoccupazione”[2]. Può essere definita come la funzione che permette ai consociati di vivere in tranquillità nella propria comunità e di agire per il soddisfacimento dei propri interessi e lo sviluppo della propria personalità[3], ragion per cui, rappresenta un bene “strumentale” al pieno sviluppo degli individui[4].

La sicurezza riguarda una pluralità di situazioni di pericolo per gli individui o per i loro beni (da cui deriva una portata generale-astratta)[5], configurabili come accadimenti naturali ma anche come comportamenti commissivi o omissivi (c.d. profilo negativo della sicurezza pubblica).

Tuttavia la sicurezza consta anche di interventi capaci di mantenere inalterata la situazione di fatto, evitando, prevenendo e impedendo comportamenti illeciti (c.d. profilo positivo).

La sicurezza presenta una dimensione intrinsecamente dinamica, oltre a quella statica. La natura statica si riferisce al mantenimento dell’integrità del bene oggetto di tutela; mentre quella dinamica concerne la garanzia del funzionamento del bene stesso[6]. Questa duplice natura della sicurezza, induce a considerarla come “situazione in divenire” piuttosto che come “situazione di fatto”.

La sicurezza pubblica è un elemento fondamentale per la qualità di vita dei cittadini, che hanno bisogno di sentirsi protetti per poter vivere serenamente, partecipare attivamente alla vita comunitaria e perseguire i propri obiettivi personali e professionali.

Questa necessità di “essere liberi dalle preoccupazioni” è alla base della piramide dei bisogni di A. Maslow, elaborata dall’omonimo psicologo statunitense nell’ambito delle teorie motivazionali sviluppate negli anni Trenta del secolo scorso.

Le teorie di Maslow approfondiscono il nesso tra lo sviluppo interiore e la motivazione[7](o tra motivazione e lavoro) e sono, tutt’oggi utilizzate per trovare una giustificazione alla base di determinati comportamenti da parte degli individui.

Maslow elaborò una piramide di bisogni basilari che, secondo un ordine ben specifico, spingerebbero l’individuo a compiere una data azione nel momento in cui esso avverte uno di essi. Nella piramide sono ordinati i bisogni fisiologici, di sicurezza, di affetto e appartenenza, di stima e di autorealizzazione. Nella parte bassa della piramide sono collocati i bisogni più impellenti (quelli fisiologici) per il soddisfacimento dei quali l’individuo passa al livello immediatamente superiore di sicurezza, traducibile in un bisogno di tranquillità, protezione e prevedibilità (appunto bisogno di libertà dalle preoccupazioni o dalle ansie). Tale specifico bisogno giustifica il compimento di azioni relative alla salvaguardia della propria incolumità fisica, della propria salute, dei propri beni[8].

Anche la Corte Costituzionale, nelle sue prime sentenze, ha affermato che: «Sicurezza si ha quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; è l’ordinato vivere civile, che è indubbiamente la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico»[9].

Questa funzione della sicurezza di assicurare le condizioni per il soddisfacimento dei bisogni essenziali dell’individuo è rintracciabile in ogni forma di convivenza sociale (anche primordiale) e si consolida con l’affermarsi dello Stato moderno[10] nel quale è assegnata in toto al potere sovrano[11].

Successivamente, con le costituzioni del Novecento la parola “sicurezza” è sovente legata ad un aggettivo che ha lo scopo di definirla in maniera più compiuta: si pensi alla Costituzione francese, in cui il riferimento è costante alla sécurité sociale e alla Costituzione italiana in cui è espressamente menzionata la sicurezza del lavoroe la sicurezza pubblica, il cui accostamento a siffatto aggettivo implica l’associazione all’apparato statale, il quale deve porsi come compito prioritario quello di assicurare la sicurezza dei propri cittadini[12].

L’espressione “sicurezza pubblica” viene spesso utilizzata in modo promiscuo con il concetto di “ordine pubblico”. In realtà, sul piano giuridico, si pone il problema della sovrapponibilità dei due concetti. Definire cosa debba intendersi per ordine pubblico e sicurezza pubblica rappresenta un compito di non facile soluzione, al pari del riuscire ad illustrare quale sia la relazione esistente tra i due concetti.

Si può parlare di ordine pubblico come di una situazione di fatto consistente «nell’equilibrato, armonico coesistere ed operare delle figure soggettive – le istituzioni – che sono centri di riferimento di attribuzioni, poteri (…), finalizzati alla cura degli interessi della comunità, di cui sono entità esponenziali e/o rappresentative», dunque un concetto relativo alle autorità, un «equilibrio tra i poteri»[13].

Peraltro, la dottrina è stata per lo più concorde nell’adoperare un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni dedicate all’ordine pubblico, al quale si riconosce – coerentemente con il principio democratico[14] – il significato di mero ordine materiale, da ritenersi turbato solo in conseguenza di fatti pregiudizievoli per la pubblica incolumità (comportamenti umani violenti o calamità naturali)[15].

A fronte di una prima riluttanza, la Corte costituzionale italiana, che in una delle sue primissime sentenze ritenne di non impelagarsi in una disputa teorica sulla definizione del concetto di ordine pubblico[16], in seguito ha fatto richiamo all’«ordine istituzionale del sistema vigente»[17], all’«ordine legale costituito» e all’«offesa alle istituzioni nei loro organi e nelle loro attività» (in riferimento ad una particolare fattispecie penale)[18]. Negli anni Settanta, la Corte affermò che: «Per mantenimento dell’ordine pubblico dovesse intendersi la preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale», rifiutando la concezione di un ordine pubblico del tutto cedevole dinanzi a diritti costituzionalmente protetti[19] e ribadendo che: «(…) Si è avuto modo di precisare che l’ordine pubblico è bene inerente al vigente sistema costituzionale e che il mantenimento di esso rappresenta una finalità immanente dello stesso sistema»[20].

Secondo l’elaborazione del giurista francese M. Hauriou, l’ordine pubblico è l’ordre dans la rue, cioè l’assenza di fatti violenti ovvero di comportamenti compiuti dall’uomo o di fatti naturali che possono pregiudicare l’incolumità pubblica «l’ordre matériel et extérieur considéré comme un état de fait opposé au désordre, état de paix opposé à l’état de trouble. (…) pour la police, mérite d’être interdit tout ce qui provoque du désordre, mérite d’être protégé ou toléré tout ce qui n’en provoquepoint (…)»[21].

È stata poi individuata una concezione tripartitica di ordre public ad oggi ben consolidata, composta, principalmente, da tre elementi essenziali: la sécurité, la salubrité e la tranquillité publiques.

Ciò ha comportato che la sécurité, la salubrité[22] e la tranquillité publique[23] fossero considerati come elementi di base dell’ordine pubblico[24]. La sécurité publique è spesso utilizzata sia dal legislatore che dalla giurisprudenza secondo una concezione strettamente collegata all’ordine pubblico.

L’ordine pubblico ha l’obiettivo di tutelare le persone da ogni minaccia che potrebbe incombere su di esse, le quali possono essere molteplici, in quanto esse possono essere relative alla persona fisica o meglio alla sua integrità fisica o psichica (o psicologica) e derivare sia da altre persone sia da fatti naturali (terremoti, tsunami).

Si parla, insomma, di pericoli di natura esogena e, qui, si coglie la differenza in relazione alla sûreté, in quanto la minaccia a quest’ultimo concetto è decisamente più ristretto alle sole ipotesi di arresto o detenzione illegale (che provengano, certamente, sia da un’autorità pubblica che da altre persone).

In altri termini, quando si discorre di sécurité publique ci si riferisce, sostanzialmente, a «la sécurité des personnes ou la conservation des propriétés», o più semplicemente «sécurité des personnes et des biens», (volutamente indicati al plurale per sottolineare il carattere non individuale); la sûrété è intesa invece come sicurezza individuale, legata alla libertà individuale, alla protezione della persona da detenzioni ed arresti di natura arbitraria.

Dei tre elementi, la sécurité publique rappresenta l’elemento più rilevante dell’ordine pubblico di cui costituisce una species, poiché la prima è inglobata nel secondo[25].

Secondo altri orientamenti dottrinali tra i due concetti si configurerebbe un’endiadi, con la quale essi sono considerati due facce della stessa medaglia, di cui una soggettiva e l’altra oggettiva. Secondo questa interpretazione la sicurezza pubblica esiste in quanto è mantenuto l’ordine pubblico materiale[26]. Un’ulteriore tesi dottrinale sostiene, invece, la configurabilità di una dicotomia, basata su una distinzione decisamente più netta tra i due concetti[27].

Anche la Corte costituzionale italiana in diverse sentenze ha rivelato la propensione alla configurazione di una endiadi; non a caso in una delle primissime sentenze della Corte costituzionale il riferimento è alla formula “ordine e sicurezza pubblica”[28].

Nella Costituzione italiana, poi, all’art. 117, co. 2, lett. h) è costituzionalizzato il sintagma “ordine e sicurezza pubblica”. Ed anzi, può affermarsi che il legislatore italiano in più occasioni si è spinto al punto di confondere e sovrapporre i due concetti nella sua produzione normativa[29].

La più recente dottrina italiana tende a considerare l’ordine pubblico come «spazio delle azioni legittime» (P. Femia)[30], come un limite che preclude l’ingresso di situazioni giuridiche contrarie ai principi fondamentali e come promotore dei principi identificativi dell’ordinamento al fine di assicurare la sicurezza nell’esercizio dei diritti e delle libertà della persona umana[31].

Con riferimento alle funzioni di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale, così come sancito dall’art. 4 Tue, l’Unione europea deve rispettare le funzioni essenziali di ogni singolo Stato membro.

La realizzazione di tali obiettivi prevede forme di cooperazione tra gli Stati membri nel quadro delle competenze non esclusive dell’Unione (art. 20 Tue) e condivisione di valori ed obiettivi nel quadro di un ordine pubblico che venga garantito anche a livello comunitario. L’art. 4 Tue prosegue affermando che: «In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro»[32]. Essa resta indubbiamente nelle mani degli Stati membri ma parallelamente si è sviluppato un concetto di “sicurezza comune” che ha portato all’istituzione di una figura appositamente incardinata all’interno dell’Ue: l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza[33].

La competenza esclusiva degli Stati per le misure di sicurezza, interna ed esterna, non può comportare che il diritto dell’Ue resti inapplicato per il semplice fatto che si tratti di una decisione concernente la sicurezza dello Stato[34].

Più specificatamente in merito al concetto di “odine pubblico”, invece, è possibile affermare che ad oggi non è presente un vero e proprio “ordine pubblico comunitario”[35]. La Corte di giustizia, dal canto suo, lo ha richiamato in più sentenze intendendolo come un fine da preservare nell’attuazione concreta dell’ordine pubblico statale[36]. Pertanto il soddisfacimento dell’ordine pubblico interno è considerato comunque basilare per la promozione dell’ordine pubblico comunitario.

La Corte di giustizia ha definito l’ordine pubblico quale turbamento dell’ordine sociale derivante dal mancato rispetto della legislazione, aggiungendo che tale concetto presuppone: «L’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave di un interesse fondamentale della società»[37]. Tuttavia il concetto di ordine pubblico, prestandosi ad un’interpretazione ambigua e sfuggente, poco incline ad una nozione statica o universalmente condivisa nell’ambito dell’ordinamento comunitario, potrebbe essere inteso come una rete strutturata di principi, di norme e di rapporti giuridici mutualmente interdipendenti, che vincolano, in modo reciproco, l’Unione e i suoi Stati membri nonché gli Stati membri tra di loro[38]. È dunque nell’ambito di questa rete che si inserisce la materia della sicurezza.  

A questo punto, è necessario riflettere sui limiti entro i quali l’interesse alla sicurezza possa prevalere su altri beni costituzionalmente protetti. A tal proposito, è opportuno valutare se la sicurezza sia esclusivamente un interesse della collettività, o anche un diritto dell’individuo e, in quest’ultimo caso, se assuma in sé dignità costituzionale, potendo determinare la momentanea soccombenza di altri beni di rilievo costituzionale, entro i limiti del bilanciamento costituzionale[39], ovvero: «Non oltre il punto di estrema tensione che ne produca il loro totale sacrificio, che ne pregiudichi la loro ineliminabile ragion d’essere»[40].

Riconsiderando la concezione statica della sicurezza, secondo la quale, lo Stato dovrebbe garantire ai cittadini la fruizione di una condizione esente da disturbi, è fondamentale considerare che tale visione non tiene conto dell’esigenza dell’individuo di realizzarsi all’interno di una società che consenta la piena espressione della sua personalità. In altre parole, accanto ad una dimensione conservativa e difensiva, esiste una dimensione «promozionale» della sicurezza, che trova espressione nelle costituzioni personaliste che affermano la necessità di rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettivo godimento di diritti[41].

È proprio il passaggio dalla «sicurezza dei diritti» al «diritto alla sicurezza» che apre la strada alle decisioni politiche ispirate ad una domanda di tutela contro una serie di pericoli[42], quali le catastrofi, le emergenze alimentari, e così via.

2. La Tutela ambientale come pilastro della Sicurezza pubblica

Nel corso degli ultimi anni, i contenziosi in materia di climate change sono aumentati esponenzialmente a livello globale. Tali vicende, spesso, coinvolgono diritti fondamentali come il diritto alla vita, alla salute e alla sicurezza, evidenziando che un’azione politica insufficiente nella mitigazione delle conseguenze del cambiamento climatico violi questi diritti, protetti dalle costituzioni nazionali o dai trattati internazionali[43].

I contenziosi climatici si presentano, più nello specifico, come contenziosi strategici, in quanto il loro obiettivo non è solo ottenere giustizia per le parti coinvolte, ma, soprattutto, influenzare politiche pubbliche e decisioni governative in materia di clima. Questi casi si basano, infatti, su dati scientifici e originano da inefficienze delle politiche di mitigazione e adattamento[44].

Tra i casi europei più significativi e che hanno avuto una certa risonanza a livello internazionale: il caso KlimaSeniorinnen v. Svizzera[45], le sentenze Urgenda Foundation v. Olanda[46], Commune de Grande-Synthe v. Francia[47], Neubauer et al. v. Germania[48], il caso Giudizio Universale v. Italia[49].

In questi contesti, emergono due concetti distinti ma strettamente interconnessi: la tutela dell’ambiente e la sicurezza ambientale. Sebbene correlati, questi concetti presentano differenze sostanziali e implicazioni diverse per le politiche e le strategie adottate a livello nazionale e internazionale.

Dal punto di vista giuridico, il concetto di tutela ambientale si configura come una nozione relativamente recente, che ha iniziato a svilupparsi in modo significativo solo dagli anni Settanta. Tuttavia, non si può escludere che elementi di tutela ambientale fossero già presenti, seppur in maniera meno sistematica e strutturata, anche negli anni precedenti.

L’ambiente è un concetto meta-giuridico che descrive una pluralità di fenomeni diversi tra loro per struttura e funzioni. E ciò che determina le condizioni di esistenza di un soggetto, è lo spazio in cui vive e l’insieme delle condizioni alle quali sono sottoposti gli esseri viventi[50].

Negli anni Settanta, M. S. Giannini, giurista e politico italiano, elaborò una prima concezione di ambiente, basata su tre fattori: l’ambiente culturale, mirato alla conservazione dei beni paesaggistici e culturali; l’ambiente ecologico, focalizzato sulla lotta all’inquinamento; e l’ambiente urbanistico, legato all’assetto territoriale[51]. Questa definizione rifletteva la legislazione sulla tutela ambientale dell’epoca, frammentata e settoriale. Più recentemente, si è preferita una concezione “sintetica” dell’ambiente, inteso come un bene unitario costituzionalmente tutelato, come emerge dalle pronunce della Corte Costituzionale[52].

L’evoluzione della tutela ambientale evidenzia un percorso significativo che ha visto il passaggio da un’attenzione marginale a un riconoscimento sempre più centrale dell’ambiente come valore costituzionale primario (Corte Cost., sent. n. 151 del 1986) e assoluto (Corte Cost., sent. n. 641 del 1987) a cui deve essere garantito un elevato livello di tutela[53].

Prima della riforma del Titolo V, l’ambiente non era menzionato esplicitamente tra i principi fondamentali e i diritti dei cittadini. Tuttavia, la Corte costituzionale ha gradualmente riconosciuto l’importanza dell’ambiente, utilizzando articoli della Costituzione relativi all’urbanistica (ex art. 117 Cost.), al paesaggio (ex art. 9 Cost.), alla salute (ex art. 32 Cost.), all’iniziativa privata (ex art. 41 Cost.) e alla proprietà pubblica e privata (ex art. 42 Cost).

Questa nuova dimensione costituzionale dell’ambiente è stata accompagnata da un diverso approccio interpretativo sulla tutela dell’ambiente: la tutela del paesaggio, prevista dall’art. 9 cost., ha assunto i caratteri della tutela ecologica e della conservazione ambientale; la tutela alla salute, prevista dall’art. 32 Cost., è stata ricondotta alla tutela dell’ambiente in cui l’uomo vive[54].

In riferimento a questa nuova concezione, la Corte costituzionale con la sentenza n. 210 del 22 maggio 1987 estese l’idea di ambiente alla conservazione, alla gestione e al miglioramento delle risorse naturali e alla preservazione delle specie animali, terrestri e marine.

Questa evoluzione interpretativa culminò con la riforma del Titolo V nel 2001, che finalmente menzionò esplicitamente l’ambiente tra le materie costituzionalmente rilevanti, delineando una divisione chiara tra le competenze legislative esclusive dello Stato e quelle concorrenti tra Stato e Regioni.

Parallelamente, la tutela ambientale ha guadagnato crescente rilevanza sia a livello internazionale, (come risulta dall’Agenda 2030) sia a livello europeo. Infatti, la tutela dell’ambiente rappresenta un principio fondamentale delle politiche dell’Unione Europea, mirato a promuovere lo sviluppo sostenibile. Inoltre, in molti ordinamenti sia l’ambiente che la sostenibilità sono stati integrati nei testi costituzionali[55], spesso in risposta a impulsi internazionali ed europei.

La tutela ambientale ha, dunque, subito un significativo ampliamento della sua portata e un crescente riconoscimento della sua importanza. Questo processo ha visto un’evoluzione da una protezione settoriale e frammentata a una concezione unitaria e costituzionalmente garantita. Tale trasformazione riflette una maggiore consapevolezza e un impegno più deciso verso la salvaguardia dell’ambiente, sia a livello nazionale che globale.

Strettamente legato alla tutela ambientale è il concetto di sicurezza ambientale. Questa nozione non si limita alla semplice protezione dell’ambiente, ma include anche la salvaguardia degli interessi vitali dei cittadini, della società e dello Stato.

La sicurezza ambientale riguarda la protezione dell’ambiente naturale e degli interessi vitali dei cittadini, della società e dello Stato dagli impatti interni ed esterni, dai processi avversi e dalle tendenze allo sviluppo che minacciano la salute umana, la biodiversità e il funzionamento sostenibile degli ecosistemi, nonché la sopravvivenza dell’umanità[56]. La sicurezza ambientale è lo stato di protezione degli interessi dell’individuo, della società e dell’ambiente naturale dalle minacce derivanti da impatti antropogenici e naturali sull’ambiente[57]. R. Barnett, docente del Dipartimento di relazioni Internazionali della Keele University (UK), nel 1997, la descrive come la minimizzazione proattiva delle minacce antropiche all’integrità funzionale della biosfera e, quindi, alla sua componente umana simbiotica[58].

A. Wolfers, studioso di relazioni internazionali svizzero-americano, noto soprattutto per il suo lavoro all’Università di Yale, nel 1962, definisce la sicurezza ambientale in senso oggettivo come la misura dell’assenza di minacce ai valori acquisiti e, in senso soggettivo, come l’assenza di paura che tali valori saranno attaccati[59].

I politologi hanno analizzato la questione della sicurezza ambientale concentrando i loro studi sulle conseguenze del degrado degli ecosistemi e dell’esaurimento delle risorse naturali. Da queste analisi è emersa una duplice natura del concetto di sicurezza ambientale: una prima dimensione focalizzata sull’ambiente e una seconda focalizzata sullo Stato[60].

Negli studi che adottano la prima prospettiva, il termine “sicurezza ambientale” assume il significato di sicurezza dell’ambiente stesso. Secondo questa visione, la sicurezza ambientale si articola in tre elementi principali: gestione sostenibile delle risorse rinnovabili e non rinnovabili; protezione degli elementi naturali – aria, acqua, suolo – per prevenire l’inquinamento e permettere la rigenerazione naturale; riduzione massima dei rischi aziendali e industriali.

Secondo A. Westing, ecologista forestale francese e pioniere nell’ambito della sicurezza ambientale, questo concetto comprende tutti i problemi legati alla protezione e all’uso dell’ambiente[61].

Altri studi, avvicinandosi maggiormente alla seconda prospettiva, trattano la questione in modo diverso. In questo caso, l’espressione “sicurezza ambientale” indica la componente ambientale della sicurezza nazionale[62]. La sicurezza ambientale è definita come la relativa sicurezza pubblica dai pericoli ambientali causati da processi naturali o umani, dovuti a ignoranza, incidenti, cattiva gestione o progettazione, e originati all’interno o al di là dei confini nazionali[63]. Pertanto, la sicurezza pubblica appare strettamente collegata all’ambiente.

Il Millennium Project[64], think tank partecipativo nato con l’obiettivo di costruire un futuro migliore a livello globale, propone una definizione di sicurezza pubblica, distinguendo tra il profilo negativo di “security” e il profilo positivo di “safety”. Nel primo caso, la sicurezza pubblica è una situazione di fatto in forza della quale una comunità di persone vive in una situazione di equilibrio e di armonia, e dunque si caratterizza per l’assenza di avvenimenti al dispiegarsi di questa equilibrata armonia; nel secondo caso, la sicurezza pubblica consiste in azioni necessarie per mantenere questa condizione di equilibrio.

Il Millennium Project, riprendendo il profilo negativo di “security” sopracitato, afferma che una condizione di sicurezza ambientale è raggiunta quando i sistemi sociali interagiscono con i sistemi ecologici in modi sostenibili, garantendo un accesso equo e ragionevole ai beni ambientali e meccanismi per affrontare le crisi ambientali e i conflitti; al contempo la sicurezza pubblica raggiunge l’armonia anche attraverso l’eliminazione o l’attenuazione dei pericoli ambientali, sia di origine umana sia naturale.

In linea con questa visione, è possibile definire la sicurezza ambientale come l’insieme delle misure che uniscono l’umanità e l’ambiente. Questa definizione include la riparazione dei danni ambientali causati da azioni militari, la riduzione della scarsità delle risorse, del degrado ambientale e delle minacce ecologiche che possono portare a disordine o conflitto sociale.

Un aspetto chiave è che la sicurezza ambientale considera la conservazione ambientale essenziale per la sopravvivenza della società umana e la riconosce come parte integrante della sicurezza internazionale complessiva. Pertanto, la sicurezza ambientale deve essere vista non solo come un sottosistema della sicurezza generale, ma anche come un sistema indipendente, basato su principi specifici di comportamento governativo nella sfera ambientale, che dovrebbero essere prevedibili e stabili[65].

In tale contesto, dunque, si osserva anche un ampliamento del concetto di sicurezza. La nozione di sicurezza, tradizionalmente intesa in termini di politica e minacce militari alla sovranità nazionale, deve essere estesa per includere il crescente impatto dello stress ambientale a livello locale, regionale, nazionale e globale. I problemi ambientali possono minacciare i mezzi di sussistenza umani e contribuire a disuguaglianze economiche. Il degrado del suolo, i cambiamenti climatici, la qualità e la quantità dell’acqua, nonché la gestione e la distribuzione delle risorse naturali (petrolio, foreste, minerali), sono fattori che possono contribuire direttamente ai conflitti o essere collegati ad essi, esacerbando altre cause come la povertà, la migrazione, le malattie infettive, la scarsa governance e il calo della produttività economica[66]. Il concetto di sicurezza internazionale si è evoluto per includere le crisi ambientali. Già negli anni ’60, R. McNamara, Ottavo Segretario della Difesa degli Stati Uniti, parlava di “sicurezza globale”[67], e negli anni ’80 R. Ullman, Professore americano di affari internazionali, e il Rapporto Brundtland estendevano il concetto di sicurezza per includere le crisi ambientali[68]. Successivamente, J. Tuchman, esperta americana di affari internazionali specializzata in clima ed energia, difesa e sicurezza, nel 1989[69] e R. Kaplan[70], economista statunitense della Harvard Business School, nel 1994, hanno ulteriormente sviluppato l’idea di “Environmental Security“, evidenziando come le questioni ambientali siano diventate cruciali per la sicurezza del XXI secolo.

Più di recente, questo concetto ha compreso anche il ruolo dei cambiamenti climatici. In particolare, nel 2009, l’ONU ha riconosciuto il riscaldamento globale come una minaccia alla sicurezza internazionale, esortando a intensificare gli sforzi per combattere l’effetto serra[71].

L’analisi normativa dei problemi derivanti dal cambiamento climatico evidenzia che lo Stato ha un ruolo chiave e un’obbligazione giuridica nel contrastare questo fenomeno. Esso può e deve intervenire per ridurre le emissioni climalteranti e affrontare la questione sia a livello nazionale che internazionale, coordinando le azioni e implementando politiche efficaci per prevenire il danno climatico e mitigare i suoi effetti[72]. È fondamentale sviluppare un ethos climatico[73], ovvero una sensibilità comune verso l’urgenza climatica, necessaria per costruire un’azione collettiva efficace.

Considerando il ruolo centrale degli Stati nella lotta al cambiamento climatico attraverso una lente stato-centrica, emerge l’importanza delle obbligazioni climatiche derivanti dagli accordi internazionali, come la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e l’Accordo di Parigi.

Fondamentale è anche il ruolo crescente della società civile e degli attivisti ambientali nel promuovere tali tematiche, spinti dalla percezione di un’inadeguatezza delle politiche pubbliche nel risolvere efficacemente le problematiche derivanti dal cambiamento climatico. Questi sviluppi mettono in luce una spaccatura tra potere politico e comunità attive, riflettendo una crescente preoccupazione pubblica, nota come “eco-ansia”, riguardo ai cambiamenti climatici[74].

Questo approccio ha concretamente condotto a un aumento di casi di contenziosi climatici, in cui gli attivisti sfidano gli Stati per il “climate change commitment gap“, ovvero la discrepanza tra ciò che gli Stati promettono di fare e ciò che effettivamente fanno per contrastare il cambiamento climatico.

Nel contesto attuale, ci si trova, dunque, di fronte ad un interrogativo cruciale: si può parlare di sicurezza dell’ambiente o di sicurezza all’ambiente? La distinzione non è meramente semantica. Questo dilemma riflette la complessità e l’interconnessione dei concetti di tutela ambientale e sicurezza ambientale.

La tutela dell’ambiente si riferisce a un approccio che mette l’accento sulla protezione dell’ecosistema in sé ed implica la protezione e la gestione sostenibile delle risorse naturali. Le costituzioni nazionali e le politiche internazionali hanno integrato principi di sostenibilità e tutela ambientale per perseguire questo obiettivo. D’altra parte, la sicurezza all’ambiente pone l’accento sulla protezione degli esseri umani dalle minacce ambientali. Questo include la minimizzazione dei rischi derivanti dai disastri naturali, dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento e dal degrado ambientale, che possono compromettere la salute, la sicurezza e la stabilità delle società umane. In questo contesto, la sicurezza ambientale è vista come una componente essenziale della sicurezza nazionale e internazionale, necessaria per evitare conflitti e disordini sociali causati dalle crisi ambientali.

Alla luce delle crescenti sfide ambientali globali, è evidente che non possiamo scegliere esclusivamente tra sicurezza dell’ambiente o sicurezza all’ambiente. Entrambi i concetti sono interdipendenti e complementari. La protezione degli ecosistemi è fondamentale per la sopravvivenza umana, così come la gestione dei rischi ambientali è essenziale per la stabilità e la sicurezza delle società. Pertanto, nel contesto attuale, la risposta all’interrogativo è che dobbiamo parlare sia di sicurezza dell’ambiente che di sicurezza all’ambiente.

3. La ricerca scientifica e le politiche pubbliche per la gestione del rischio climatico

Il concetto di rischio ambientale si riferisce alla probabilità che un fenomeno naturale, superando una determinata soglia critica, possa causare significative perdite in termini di vite umane, beni materiali e capacità produttive. Questo rischio è valutato considerando l’interazione di tre fattori principali: la pericolosità ambientale, la vulnerabilità territoriale e il valore esposto.

La pericolosità ambientale indica la probabilità che un dato evento naturale si verifichi in una specifica area geografica e durante un determinato periodo temporale. Tale valutazione si basa su studi scientifici, storici e statistici che consentono di prevedere la frequenza e l’intensità degli eventi, come terremoti, inondazioni, frane, eruzioni vulcaniche, tempeste e altri disastri naturali.

La vulnerabilità territoriale riguarda le caratteristiche di una comunità, delle sue infrastrutture, delle attività economiche e dei servizi che possono subire danni materiali ed economici a seguito di un evento naturale. Questo fattore dipende da vari elementi, tra cui la densità della popolazione, la qualità delle costruzioni, la presenza di infrastrutture critiche come ospedali, scuole e reti di trasporto, nonché la capacità di risposta e resilienza della comunità.

Infine, il valore esposto rappresenta il potenziale danno economico e sociale che può essere causato dall’evento naturale. Questo include la perdita di vite umane, i danni materiali a proprietà e infrastrutture, l’interruzione delle attività economiche e la perdita di reddito. La valutazione del valore esposto è cruciale per comprendere l’impatto complessivo di un evento naturale sul territorio e per sviluppare adeguate strategie di mitigazione e di risposta.

È opinione condivisa ormai tra scienziati, antropologi e giuristi che il rischio ambientale più imminente per la nostra civiltà sia rappresentato dal riscaldamento globale.

I cambiamenti climatici già in atto hanno prodotto gravi implicazioni su vari fronti, tra cui quello ambientale, sociale, economico e politico. Essi costituiscono una delle sfide più grandi e urgenti che l’umanità si trovi ad affrontare[75].

Il cambiamento climatico non è, tuttavia, un fenomeno nuovo nella storia del nostro pianeta. Si stima, infatti, che circa cinquanta milioni di anni fa la Terra abbia iniziato un processo di raffreddamento, passando dall’Eocene all’Oligocene, che ha comportato significative variazioni climatiche, dalle glaciazioni ai periodi caldi medievali[76]. La naturale variabilità climatica ha portato, nella prima metà del XX secolo, a sottovalutare l’impatto delle attività umane sulle alterazioni climatiche, generando scetticismo riguardo alle affermazioni che associavano le emissioni antropogeniche a un cambiamento climatico “innaturale”[77].

Tuttavia, nonostante l’iniziale diffidenza, la comunità scientifica ha dimostrato che l’impatto umano è tra le principali forze trainanti del cambiamento climatico attuale. Gli esperti hanno, infatti, rilevato un anomalo innalzamento delle temperature negli ultimi due decenni rispetto alla media del secolo scorso[78].

Gli effetti derivanti dal rischio climatico sono molteplici e sempre più evidenti nel contesto attuale. L’aumento delle temperature medie globali ha innescato un aumento significativo nella frequenza e nell’intensità delle ondate di calore estreme. Questo fenomeno non solo compromette la salute umana, ma mette anche a dura prova gli ecosistemi terrestri e marini. I cambiamenti climatici sono anche responsabili di variazioni nelle precipitazioni, che portano a eventi meteorologici estremi come inondazioni e siccità. Questi fenomeni minacciano la sicurezza alimentare e compromettono l’approvvigionamento idrico.

Nel contesto marino, sia nelle aree costiere che in mare aperto, si osserva un aumento delle temperature superficiali e del livello del mare. L’innalzamento del livello del mare, che oscilla tra i dieci e i venti centimetri rispetto ai dati del 1900, sta minacciando seriamente le comunità costiere e le infrastrutture. Inoltre, l’acidificazione delle acque marine, altra conseguenza diretta dei cambiamenti climatici, sta danneggiando i coralli e la biodiversità marina, con effetti devastanti sugli ecosistemi marini globali.

Un altro impatto rilevante è rappresentato dal fenomeno della desertificazione, che è amplificato dai cambiamenti climatici, oltre che dalle pratiche agricole non sostenibili. Questo fenomeno sta contribuendo alla perdita di terre coltivabili e alla migrazione forzata di numerose popolazioni, con conseguenti tensioni sociali ed economiche in molte regioni del mondo[79].

Questa realtà sottolinea come il rischio climatico non solo impatti sull’ambiente, ma influisca profondamente sulla società e sulle economie globali. È cruciale notare che i gruppi più vulnerabili, spesso già svantaggiati, subiscono il colpo più duro, accentuando le disuguaglianze preesistenti e aggravando le loro condizioni di vita[80]. Nonostante ciò, molti attori con maggiori risorse economiche e politiche sembrano concentrarsi sulla gestione superficiale dei sintomi anziché affrontare le radici del problema o implementare soluzioni efficaci e sostenibili. Questo atteggiamento non solo ostacola i progressi nel mitigare gli impatti del cambiamento climatico, ma rischia anche di intensificare la crisi ambientale e sociale.

In questo contesto, il cambiamento climatico emerge come una crisi complessa che richiede una cooperazione globale e un approccio interdisciplinare, che comprenda la riduzione della pericolosità attraverso interventi di prevenzione e controllo; la diminuzione della vulnerabilità mediante miglioramenti infrastrutturali e piani di emergenza, e la protezione del valore esposto tramite misure di assicurazione e finanziamenti per la ricostruzione.

La gestione del rischio climatico richiede un approfondimento multidisciplinare che comprenda scienze naturali, ecologia, climatologia, nonché discipline come filosofia, etica ed economia.

In generale, la complessità delle questioni ambientali richiede che le decisioni legislative e giurisprudenziali siano basate su parametri scientifici e tecnici. Questa necessità promuove una stretta collaborazione tra esperti tecnici, figure politiche e magistrati[81].

La scienza riveste un ruolo cruciale, in particolare,nel contenzioso climatico, sia nella fase di elaborazione delle politiche che in quella giudiziaria[82]. Le conoscenze scientifiche forniscono, infatti, dati essenziali per comprendere la portata e l’urgenza del problema, identificare le principali fonti di emissioni di gas serra e valutare l’efficacia delle strategie di mitigazione e di adattamento. La cooperazione tra la comunità scientifica e il mondo politico favorisce l’adozione di soluzioni basate su prove concrete, evitando interventi inefficaci o dannosi[83].  

Particolarmente significativa è l’evoluzione del rapporto tra diritto e scienza nel corso deltempo.

Inizialmente fondato sul principio “chi inquina paga”, che attribuisce la responsabilità legale a chi causa danni ambientali, il modello di gestione ambientale è poi evoluto verso un approccio preventivo[84]. Quest’ultimo si basa sul principio di prevenzione, il quale impone di evitare attività che possano generare danni per l’ambiente o per la salute umana. Le misure preventive possono essere di natura strutturale, mirate a ridurre la probabilità di eventi dannosi, o non strutturale, volte a minimizzare i danni in caso di incidente. I programmi nazionali di prevenzione devono pertanto comprendere una valutazione dei rischi ambientali e definire le necessarie azioni di protezione civile. Questo processo include l’identificazione delle priorità e la stima dei costi finanziari associati.

L’evoluzione normativa ha poi visto l’ampiamento delle basi epistemologiche del diritto ambientale con l’introduzione del principio di precauzione. Quest’ultimo implica l’adozione di misure preventive anche in assenza di evidenze scientifiche, al fine di proteggere l’ambiente e la salute pubblica[85].

Nel panorama dei “principi classici” del diritto ambientale si sono aggiunti, negli ultimi anni, quelli del “diritto ambientale del cambiamento”, tra cui spiccano il principio della non regressione e della resilienza[86]. Il principio di non regressione impone alle parti di non autorizzare attività o adottare norme che possano ridurre il livello globale di protezione ambientale garantito dal diritto vigente. Questo principio riveste un’importanza cruciale per preservare l’integrità delle normative ambientali nel tempo e assicurare che il livello di tutela raggiunto non sia compromesso[87], rappresentando il limite minimo sotto il quale non è accettabile scendere senza compromettere la tutela ambientale[88]. L’applicazione di questo principio implica un impegno continuo verso il miglioramento della protezione ambientale. La sua finalità è garantire che le normative ambientali non retrocedano ma, al contrario, progrediscano costantemente nella protezione dell’ambiente. Ciò riflette una responsabilità continua e differenziata nella lotta ai cambiamenti climatici e nella salvaguardia dell’ecosistema globale.

Parallelamente, il principio di resilienza si riferisce alla capacità di un sistema di resistere agli shock ambientali, come eventi climatici estremi o pressioni antropogeniche, e di riprendersi rapidamente mantenendo la sua integrità strutturale e funzionale.

Nel contesto del diritto ambientale, il principio di resilienza sottolinea l’importanza di sviluppare politiche e normative volte non solo a proteggere l’ambiente ma anche a potenziarne la capacità di adattamento e di ripristino dopo eventi estremi. Questo approccio mira a garantire che gli ecosistemi mantengano la loro funzionalità vitale nel lungo periodo, contribuendo alla biodiversità e alla sostenibilità ambientale.

I principi ambientali stanno, dunque, contribuendo ad un avanzamento nel diritto ambientale globale, riflettendo un progressivo spostamento verso modelli di gestione proattiva e resiliente, orientati alla prevenzione dei rischi ambientali e basati su solide fondamenta scientifiche.

Nonostante l’evidente necessità di integrazione, la politica spesso ignora i richiami della scienza, come dimostrato dall’inerzia politica manifestata nel contrastare efficacemente il cambiamento climatico[89]. Gli scienziati hanno avvertito per decenni della necessità di agire per mitigare gli effetti del riscaldamento globale, ma spesso sono stati trascurati dalle forze politiche, il che ha aggravato il problema[90].

La scienza, in particolare la scienza dell’attribuzione, svolge un ruolo cruciale nel determinare il nesso causale tra condotta e danno nei contenziosi climatici. Tuttavia, stabilire una causalità certa ècomplesso a causa della natura multifattoriale degli eventi estremi. Ad esempio, sebbene la scienza dell’attribuzione possa dimostrare che certi eventi meteorologici avversi sono più probabili con il cambiamento climatico, non può provare con certezza che un singolo evento sia stato causato esclusivamente da esso[91].

Tuttavia la necessità di un approccio integrato tra scienza e politica è chiara e viene riconosciutaanche a livello Europeo. L’Unione Europea, infatti, per promuovere un dialogo costante tra i ricercatori e i decisori politici, ha istituito agenzie come l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), che svolge un ruolo cruciale nella raccolta, nell’analisi e nella diffusione di dati ambientali.

La sua missione principale è fornire supporto alle politiche pubbliche mediante informazioni tempestive, accurate e pertinenti, che consentono ai decisori politici di formulare strategie basate su evidenze scientifiche. L’AEA collabora strettamente con gli Stati membri, le istituzioni dell’Unione Europea e le organizzazioni internazionali per monitorare lo stato dell’ambiente e valutare le tendenze ambientali a lungo termine. Inoltre, pubblica rapporti periodici che offrono una panoramica dettagliata delle condizioni ambientali, delle pressioni e delle risposte politiche in atto. Tra i suoi compiti vi è anche la promozione di buone pratiche e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica su tematiche ambientali critiche. Attraverso queste attività, l’Agenzia Europea dell’Ambiente contribuisce in modo significativo a un processo decisionale informato e alla promozione di uno sviluppo sostenibile.

Il Regolamento n. 2021/1119 ha previsto, poi, l’istituzione di Comitati consultivi scientifici europeisui cambiamenti climatici, il cui compito è integrare il lavoro dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) senza sovrapporsi alla missione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), anch’esso fonte fondamentale di conoscenze e guida per i governi e le organizzazioni di tutto il mondo nella lotta contro il cambiamento climatico[92].

Diversi paesi europei hanno già creato Comitati consultivi nazionali per il clima. Questi comitati svolgono funzioni consultive, di informazione e controllo, fungendo da trait d’union tra la ricerca scientifica e le istituzioni governative, rappresentando così un valore aggiunto per le politiche climatiche[93].

In particolare, secondo il rapporto “Climate governance systems in Europe“, in 27 paesi europei operano ben 57 organi consultivi climatici, che possono essere classificati in quattro distinti gruppi in base alla loro composizione e al loro grado di autonomia o indipendenza.

In primo luogo, vi sono i Consigli scientifici indipendenti dedicati specificamente al clima, presenti in paesi come Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Grecia, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Questa categoria include anche organismi scientifici indipendenti con una certa rappresentanza governativa al loro interno, come il caso dell’Irlanda. Un altro gruppo è costituito dagli Organi consultivi scientifici interni, cosiddetti in-house scientific advisory bodies, che possono avere competenze specifiche sul clima, come in Ungheria, oppure competenze più ampie in materia di ambiente e sostenibilità, come in Repubblica Ceca, Polonia e Svezia. Esistono poi le Piattaforme di coinvolgimento delle parti interessate e le Tavole rotonde delle parti interessate o interministeriali, che rappresentano ulteriori modalità di consultazione e partecipazione. Infine, vi sono gli organismi consultivi indipendenti che, pur occupandosi anche di clima, focalizzano la loro missione più in generale sull’ambiente e sullo sviluppo sostenibile. Questo è il caso di paesi come Estonia, Finlandia, Olanda e Norvegia[94].

Il regolamento n. 2021/1119 ha stabilito, inoltre, la creazione dell‘European Scientific AdvisoryBoard on Climate Change. Questo Consiglio ha il compito di fornire alle istituzioni dell’Unione Europea le conoscenze scientifiche, le competenze e le consulenze necessarie per attuare politiche e strategie volte a raggiungere la neutralità climatica, operando in modo indipendente e trasparente rispetto alle altre istituzioni[95].

Dunque, la scienza offre strumenti analitici per prevedere scenari futuri e valutare i rischi, tuttavia è bene specificare che è compito della politica utilizzare queste informazioni in modo tempestivo e responsabile.

La scienza, infatti, può allertare e informare, ma non sostituirsi al processo decisionale politico, il quale deve rimanere democratico e basato su negoziazioni e valutazioni ideologiche.  Radicata nel principio democratico, la politica deve dialogare con la scienza senza essere determinata esclusivamente da essa, in quanto le decisioni finali derivano da mediazioni basate anche su valutazioni di interesse pubblico che tengano conto di altri contesti.  

La politica deve, quindi, utilizzare la scienza come strumento per informare e giustificare le sue decisioni, mantenendo tuttavia la propria autonomia e responsabilità verso la società.

In conclusione, scienza e politica devono collaborare strettamente, riconoscendo le rispettive differenze ma anche le somiglianze nei loro metodi. Entrambi i campi operano secondo protocolli e sono soggetti a verifica continua. La scienza fornisce dati e analisi, mentre la politica deve considerare questi input nel contesto delle esigenze e delle priorità della società[96].

4. Conclusioni

Gli sviluppi più recenti in tema di contenziosi climatici evidenziano sempre più chiaramente l’intersezione tra i concetti di sicurezza e ambiente.

La crescente consapevolezza del legame intrinseco tra tutela ambientale e ordine pubblico richiede un ripensamento delle politiche di sicurezza, integrando la protezione degli ecosistemi nel concetto di ordine pubblico. Questo approccio multidisciplinare permette di definire nuovi parametri di liceità, dove la salvaguardia dell’ambiente diventa un imperativo, non solo ecologico, ma anche sociale e legale.

Parallelamente, la sicurezza ambientale viene riconosciuta come una componente fondamentale della sicurezza pubblica. Una condizione di sicurezza ambientale ottimale si realizza quando i sistemi sociali ed ecologici interagiscono in modo sostenibile, assicurando un accesso equo alle risorse naturali e sviluppando meccanismi efficaci per affrontare le crisi ambientali e risolvere i conflitti.

La sicurezza pubblica, pertanto, si rafforza attraverso la mitigazione dei pericoli ambientali, siano essi di origine antropica o naturale, promuovendo un’armonia sociale che si estende alla dimensione ecologica.

L’importanza di un approccio integrato e multidisciplinare nella gestione dei rischi climatici viene sottolineata anche dal recentissimo parere consultivo presentato dalla Commissione dei Piccoli Stati Insulari sui Cambiamenti Climatici, nel maggio di quest’anno.

Il tribunale è stato incaricato di fornire un parere consultivo riguardante gli obblighi specifici degli Stati Parte della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento dell’ambiente marino, nonché per proteggere e preservare l’ambiente marino dagli impatti dei cambiamenti climatici.

Secondo il tribunale, gli Stati Parte della Convenzione hanno l’obbligo specifico di adottare tutte le misure necessarie per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento marino. Tali misure devono essere determinate oggettivamente, tenendo conto delle migliori conoscenze scientifiche disponibili e degli standard internazionali pertinenti, come l’UNFCCC e l’Accordo di Parigi.

L’obbligo di adottare tutte le misure necessarie è una questione di due diligence, e questo standard di due diligence è particolarmente rigoroso, date le alte probabilità di danni gravi e irreversibili. Tuttavia, l’attuazione di tale obbligo può variare in base alle capacità e alle risorse disponibili degli Stati.

Il parere evidenzia come la ricerca scientifica sia un supporto imprescindibile per sviluppare strategie efficaci di adattamento e mitigazione. L’integrazione delle conoscenze scientifiche avanzate con politiche di sicurezza e tutela ambientale rappresenta, infatti, un passo cruciale per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici.

Nel contesto attuale, la gestione delle crescenti crisi ambientali e dei sempre più numerosi contenziosi climatici richiede un approccio integrato, in cui il legame tra sicurezza pubblica e ambiente emerga sempre più palesemente come un asse portante delle politiche contemporanee. Questo approccio deve unire conoscenze scientifiche avanzate, politiche ambientali efficaci e strategie di sicurezza pubblica.


[1] M. Di Raimondo, Ordine pubblico e sicurezza pubblica, in Profili ricostruttivi e applicativi, 2010, 226.

[2] La sicurezza può essere vista come lo stato d’animo di chi si sente protetto. Cfr. G. Arena, La sicurezza è un bene comune di cui i cittadini possono prendersi cura. La sicurezza è un bene comune, l’ordine pubblico no, in www.labsus.org, 2009.

[3] F. Paolozzi, Focus sulla giurisprudenza costituzionale in materia di sicurezza pubblica, in Le istituzioni del federalismo, 2011, 887.

[4] G. Arena, op. cit.

[5] G. Di Giuseppe, Sicurezza pubblica ed urbana: l’esercizio delle funzioni tra prassi e giurisprudenza costituzionale, in www.diritto.it, 2014.

[6] M. Di Raimondo, op. cit., 226 ss.

[7] A. Maslow, A Theory of Human Motivation, in Psychological Review, 1943, Vol. 50, 4, 370 ss.

[8] A propria volta, lo psicologo americano F.I. Herzberg, partendo dai bisogni individuati da Maslow, affinò ulteriormente la classificazione, accorpando i bisogni fisiologici e il bisogno di sicurezza tra i fattori cc.dd. igienici, definendo i rimanenti (posti sui tre gradini più alti della piramide) fattori motivanti. Con “fattori igienici”, F.I. Herzberg intende quei bisogni riconducibili alla natura animale dell’uomo, tra cui appunto il bisogno di sicurezza inteso come assenza di paura dell’incertezza del futuro. Si rimanda anche all’interpretazione del sociologo R. Inglehart, il quale ha elaborato una evoluzione della teoria di Maslow, parlando di “valori post-materialistici” tra cui la qualità della vita, strettamente interconnessa al concetto di sicurezza “urbana”. F. Battistelli, Sicurezza urbana “partecipata”: privatizzata, statalizzata o pubblica?, in Quaderni di Sociologia, 2013, 63.

[9] C. Cost. sent. n. 2 del 1956.

[10] T.F. Giupponi, Sicurezza personale, sicurezza e misure di prevenzione. La tutela dei diritti fondamentali e l’attività di intelligence, in Atti del Seminario Sicurezza collettiva e diritti fondamentali, Ferrara, 26.09.2007, in cui si afferma che con la nascita dello Stato moderno: «La sicurezza è diventata monopolio del titolare del potere sovrano. La garanzia di una pacifica convivenza tra gli individui e la loro sicurezza è, infatti, una delle giustificazioni del patto sociale e del riconoscimento di un superiore potere sovrano».

[11] T. Hobbes, nella sua opera Leviathan, sottolineava quanto fosse semplice, per gli uomini, essere in guerra l’uno contro l’altro; pertanto il passaggio dal c.d. “stato di natura” allo stato civile comporta incaricare un potere comune della loro sicurezza: «L’unico modo di erigere un potere comune che possa essere in grado di difenderli dall’aggressione degli stranieri e dai torti reciproci (…) è quello di trasferire tutto il potere e tutta la loro forza a un solo uomo o a una sola assemblea di uomini». Il Leviatano, rappresentato anche da una gigantesca immagine piuttosto spaventosa, giustifica dunque il controllo esclusivo del governo centrale della sicurezza dei cittadini, attraverso il monopolio della forza legittima nelle uniche mani dello Stato, il quale può a sua volta negare altre libertà per assicurare questo diritto alla sicurezza.

[12] La sicurezza diventa quindi «l’affermazione di un’attività statale in via di principio illimitata per tutelare il cittadino da rischi e pericoli sociali causati dalla tecnica o dall’ambiente o anche dal crimine», oltre che la «certezza della libertà garantita dalle leggi». Cfr. E. Denninger, Dallo ‘Stato di diritto’ allo ‘Stato di prevenzione’ e l’autonomia della persona, in V. Baldini (a cura di), Sicurezza e stato di diritto: problematiche costituzionali, Cassino, Università di Cassino, 2005, 54.

[13] M. Di Raimondo, op. cit., p. 227.

[14] Negli ordinamenti illiberali invece, l’ordine pubblico si identifica con un ordine ideale ed il dissenso anche pacifico è considerato pericoloso per la sicurezza del regime.

[15] A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in Arch. giur., vol. CLXI, 1963, 111 e ss. Nello stesso senso, A. Cerri, voce Ordine pubblico, in Enc. giur. it., 1990.

[16] Corte cost., 14 giugno 1956, n. 2.

[17] Corte cost., 8 marzo 1962, n. 19. L’ordine pubblico (nell’accezione di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale) fu definito come bene collettivo di un sistema giuridico in cui solo attraverso strumenti e procedimenti appositamente previsti dal legislatore è possibile garantire un regime democratico e legalitario, un sistema che «rappresenta l’ordine istituzionale del regime vigente; e appunto in esso va identificato l’ordine pubblico del regime stesso». Nella stessa sentenza, continua la Corte: «(…) La tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite insuperabile nell’esigenza che attraverso l’esercizio di essi non vengano sacrificati beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale, quando si tratti di bene che sono patrimonio dell’intera collettività».

[18] Corte cost., 22 giugno 1966, n. 87 e n. 100.

[19] Corte cost., 5 luglio 1971, n. 168. Nella sentenza la Corte afferma che: «L’ordine pubblico costituzionale deve essere assicurato (…) per consentire a tutti il godimento effettivo dei diritti inviolabili dell’uomo»; e che far cedere l’ordine pubblico dinanzi a diritti protetti costituzionalmente è una tesi errata in quanto «La garanzia dei diritti involabili dell’uomo diventerebbe illusoria per tutti se ciascuno potesse esercitarli fuori dell’ambito delle leggi, della civile regolamentazione, del ragionevole costume».

[20] Corte cost., 14 febbraio 1973, n. 15.

[21] M. Hauriou, Précis élémentaire de droit administratif, Sirey, Recueil Sirey (societe anonyme), 1930, 549 ss. Sul punto anche A. Pace, La sicurezza pubblica nella legalità costituzionale, in Rivista AIC, 2015, 2 ss.

[22] Sulla salubrité publique si soffermano i commi 4 e 5 dell’art. L 2212-2 (nello specifico il co. 5) in relazione alla prevenzione di «les accidents et les fléaux calamiteux ainsi que les pollutions de toute nature, tels que les incendies, les inondations, les ruptures de digues, les éboulements de terre ou de rochers, les avalanches ou autres accidents naturels, les maladies épidémiques ou contagieuses, les épizooties, de pourvoir d’urgence à toutes les mesures d’assistance et de secours». La salubrité publique ha avuto solo negli ultimi tempi una maggiore attenzione, riferita sostanzialmente alla prevenzione dei rischi legati all’acqua, alla sicurezza alimentare.

[23] La tranquillité publique (c. 2, art. L 2212-2 Cgct) è condizione da salvaguardare dai «rixes et disputes accompagnées d’ameutement dans les rues, le tumulte excité dans les lieux d’assemblée publique, les attroupements, les bruits, les troubles de voisinage, les rassemblements nocturnes qui troublent le repos des habitants (…)». Essa consiste sostanzialmente nel preservare la calme des citoyens. Di recente sviluppo anche l’attenzione all’inquinamento acustico causato dagli aeroporti rientra tra le misure da adottare al fine di assicurare la tranquillité publique.

[24] Altri componenti, col passare del tempo, si sono aggiunti a quelli di base. La tripartizione classica non è dunque un’elencazione tassativa ed esaustiva, alla luce della evanescenza che caratterizza il concetto di ordine pubblico. Sia la giurisprudenza che la dottrina hanno nel tempo ampliato la triade con altri elementi quali la dignité humaine, la moralité publique e la stessa sûreté.

[25] F. Natoli, Sécurité et ordre public: deux notions à relation variable. Comparaison franco-italienne, in La Revue des droits de l’homme, www.journals.openedition.org, 2017, 11, 3. Giacché contenuta nella finalità dell’interesse generale nella giustificazione del mantenimento dell’ordine, la sicurezza diventerebbe essa stessa un objectif de valeur constitutionnelle. Cfr. G. Aravantinou Leonidi, La dimensione locale della sicurezza in Francia. Gestione centralizzata, sécurité de proximité e ideologia «securitaria», Un dibattito ancora aperto, in A. Torre (a cura di), Costituzioni e Sicurezza dello Stato, Rimini, Maggioli Editore, 2014, 4 ss.; F. Natoli, op. cit., 3.

[26] Come afferma F. Famiglietti: «La sicurezza che assume rilevanza è quella primigenia: questa, in uno con l’ordine pubblico, costituisce sintesi verbale delle condizioni che assicurano la pace e la tranquillità sociale per il tramite della prevenzione e repressione dei reati». F. Famiglietti, La sicurezza “ai tempi dell’ISIS”: tra “stato di emergenza”, diritto penale “del nemico” e rivitalizzazione del diritto di polizia in un sistema integrato di azioni e strutture, in www.dirittifondamentali.it, 2016. Vedasi altresì A. Pace, La sicurezza pubblica nella legalità costituzionale, op. cit., 4.

[27] G. Caia, L’amministrazione della Pubblica Sicurezza e le forze di polizia: l’assetto delle competenze e il coordinamento in relazione ai recenti interventi normativi, in Relazione al Convegno “Nuovi orizzonti della sicurezza urbana dopo la legge 24 luglio 2008, n. 125 ed il decreto del ministro dell’Interno del 5 agosto 2008”, Bologna, 25 settembre 2008, in www.astrid-online.it, 23 ss.

[28] Corte cost., 14 giugno 1956, n. 2.

[29] M. Di Raimondo, op. cit., 232. Afferma O. Ranelletti, in V.E. Orlando (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, S.E.L., 1912, 420 ss. che: «L’ordine pubblico esprime essenzialmente sicurezza, tranquillità pubblica, con ciò sottolineando la stretta connessione dei due vocaboli». A. Pace, Libertà e sicurezza. Cinquant’anni dopo, op. cit., 192.

[30] P. Femia afferma che: «Non sono le leggi ad essere né fare l’ordine, ma l’ordine a fare le leggi e a manifestarsi attraverso di esse». P. Femia, Ordine pubblico: la politica nel diritto, in G. Perlingieri, G. Zarra, Ordine pubblico interno e internazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, Napoli, E.S.I., 2019, XXVII.

[31] G. Perlingieri, G. Zarra, op. cit., 220.

[32] Si parla di sicurezza nazionaleper la prima volta con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, (oltre all’interno dell’art. 4 essa è inserita anche all’art. 73 del Tfue, che recita quanto segue: «Gli Stati membri hanno la facoltà di organizzare tra di loro e sotto la loro responsabilità forme di cooperazione e di coordinamento nel modo che ritengono appropriato tra i dipartimenti competenti delle rispettive amministrazioni responsabili per la salvaguardia della sicurezza nazionale». Nel testo della Costituzione europea mai adottato era previsto un rafforzamento di tale competenza dei singoli Stati, all’art. I-5, par. 1. Sul punto, E. De Capitani, E. Paciotti, (a cura di), Diritti, immigrazione, sicurezza, in www.astrid-online.it, 2017, 29.

[33] V. Antonelli, La sicurezza in città ovvero l’iperbole della sicurezza urbana, in Istituzioni del Federalismo, 2017, 13.

[34] Si veda, in tal senso, Corte giust., 15 dicembre 2009, C-387/05, Commissione/Italia. Seguendo tale atteggiamento, le competenze dell’Ue finiscono per espandersi legittimamente in campi che appartengono alla competenza esclusiva degli Stati membri. A. Alì, Divieto di ingresso ed espulsione dello straniero dal territorio dello Stato per motivi di terrorismo: la sicurezza nazionale nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, in F. Cortese, G. Pelacani (a cura di), Diritto in migrazione. Studi sull’integrazione giuridica degli stranieri, Napoli, E.S.I., 2017, 538 ss.

[35] Non manca in dottrina chi è fermamente convinto dell’inesistenza di un ordine pubblico europeo e chi invece ne è favorevole, come S. Poillot-Peruzzetto che definisce l’ordine pubblico comunitario “nazionale d’ispirazione” ma “comunitario di origine e di applicazione” (Ordre public et droit communautarie, in Recueul Dalloz Sirey, 1993, 25, 178, cit. in F. Angelini, op. cit., 161 ss.). Sulla distinzione ulteriore tra “ordine pubblico dell’Ue” e “ordine pubblico europeo” si rimanda a O. Feraci, op. cit., 323 ss.

[36] Il motto dell’Unione Europea è diventato, difatti, “Uniti nella diversità”. T. Corthaut, EU Ordre public, op. cit., 450, afferma che: «In essence, the EU ordre public is a key tool for realizing the Union’s unofficial but forceful motto: ‘united in diversity’».

[37] Corte giust., 15 febbraio 2016, C-601/15, PPU. Si vedano altresì: Corte giust., 11 giugno 2015, C-554/13, Zh. e O.; Corte giust., 24 giugno 2015, C-373/13, H. T. contro Land Baden-Württemberg; Corte giust., 27 ottobre 1977, C-30/77, Bouchereau (punti 34-35); Corte giust., 28 ottobre 1975, C-36/75, Rutili.

[38] E. De Capitani, E. Paciotti (a cura di), Diritti, immigrazione, sicurezza, in www.astrid-online.it, 2017, 8. Gli Autori richiamano in proposito il parere 2/13 della Corte di giustizia dell’Ue del 18 dicembre 2014 circa l’adesione dell’Ue alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

[39] R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Milano, Giuffrè, 1992, 81.

[40]M. Ruotolo, La sicurezza nel gioco del bilanciamento, Testo della relazione presentata al Convegno “I diversi volti della sicurezza”, svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca il 4 giugno 2009, pubblicata su www.associazionedeicostituzionalisti.it, 1.

[41]A. Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti?, in S. Anastasia – M. Palma (a cura di), La bilancia e la misura, Milano, FrancoAngeli, 2001.

[42] M. Ruotolo, La sicurezza nel gioco del bilanciamento, op. cit., 3: «Si evoca l’emergenzaper giustificare restrizioni di diritti fondamentali che non assumono i caratteri della provvisorietà, che non sono adottate per fronteggiare il caso, l’evento non previsto dal sistema ordinario, ma si propongono come regole rivolte a durevolmente garantire la sicurezza, il mantenimento dell’ordine sociale».

[43] A. Pisanò, Il diritto al clima. Il ruolo dei diritti nei contenziosi climatici europei, Napoli, E.S.I., 2022, 191-193. Si vedano altresì J. Peel, H. M. Osofky, A Rights Turn in Climate Change Litigation?, in Transnational Environmental Law, 2018, 37-67; J. H. Knox, Climate Change and Human Rights Law, in Virginia Journal of International Law, 2009, 163-218; C. Voigt, Climate Change, Human Rights and Access to Justice, in Journal European Environment & Planning Law, 2019; A. Savaresi, J. Setzer, Rights-based litigation in the climate emergency: mapping the landscape and new knowledge frontiers, in Journal of Human Rights and the Environment, 2022, 7-34. Peraltro, è bene notare che la relazione tra Climate Change e Human Rights è riconosciuta espressamente anche nel preambolo dell’Accordo di Parigi in cui si legge: «Riconoscendo che i cambiamenti climatici sono preoccupazione comune dell’umanità, le Parti, al momento di intraprendere azioni volte a contrastarli, dovrebbero rispettare, promuovere e prendere in considerazione i loro obblighi rispettivi nei confronti dei diritti umani, del diritto alla salute, dei diritti delle popolazioni indigene, delle comunità locali, dei migranti, dei minori, delle persone con disabilità e delle persone in situazioni di vulnerabilità, nonché del diritto allo sviluppo, all’eguaglianza di genere, all’emancipazione delle donne e all’equità intergenerazionale». In A. Osti, A qualcuno (non) piace caldo. Il caso KlimaSeniorinnen c. Svizzera ava alla Corte europea dei diritti dell’uomo (per non tacer degli altri), in BioLaw Journal, 2023, 1.

[44] S. Valaguzza, Liti strategiche e cambiamento climatico, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2021, 67.

[45] Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 53600/20, del 9 aprile 2024 (caso KlimaSeniorinnen v. Svizzera)

[46] Corte Suprema olandese, sentenza ECLI:NL:HR:2019:2006, del 20 dicembre 2020 (Caso Urgenda Foundation v. State of Netherland).

[47] Conseil D’Etat, Sentenza 42731 del 1 luglio 2021.

[48] Tribunale Costituzionale federale tedesco, Neubauer et al. v Germany, Case No. BvR 2656/18/1, BvR 78/20/1, BvR 96/20/1, BvR 288/20, 24 marzo 2021.

[49]Sentenza del Tribunale civile di Roma n. 39415 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2021, trattenuta in decisione all’udienza del 13 settembre 2023.

[50] G. Pericu, Ambiente (tutela dell’) nel diritto amministrativo, in Digesto Disc., 1987.

[51] M.S. Giannini, «Ambiente», saggio sui suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973.

[52] Corte Cost., sentenza n. 641, 30 dicembre 1987; Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 1046, 3 febbraio 1998; M. Pilloni, La tutela ambientale: nuova tutela dei diritti umani, in Ius In Itinere, 2022.

[53] G. Conventi, Gli sviluppi della tutela giuridica dell’ambiente nel diritto costituzionale, in Ius In Itinere, 2023, 4.

[54] Corte Cost., sentenza n. 430, 3 ottobre 1990; Corte Cost., sentenza n. 391, 11 luglio 1989; Corte Cost., sentenza n. 127, 16 marzo 1990.

[55] Le costituzioni di vari Paesi, come quella portoghese (1976), slovena (1991), spagnola (1978) e svedese (1974), includono specifiche disposizioni ambientali. Anche costituzioni più antiche, come quelle dei Paesi Bassi (1983), della Germania (1994) e dell’Italia (2022), sono state aggiornate per includere la tutela ambientale. La formulazione delle disposizioni ambientali nei testi costituzionali varia notevolmente: in alcuni casi l’ambiente è un principio programmatico, come in Grecia (art. 24), mentre in altri è un diritto soggettivo azionabile in sede giurisdizionale, come in Estonia (art. 53) e in Ungheria (art. XXI). In altri ordinamenti, l’ambiente è collegato a diritti più ampi, come la dignità umana (Belgio, art. 23), il benessere (Svezia, art. 2) o la salute (Ungheria, art. XX). M. Pignatti, La tutela dell’ambiente negli ordinamenti giuridici europei. Le valutazioni ambientali come strumenti di bilanciamento degli interessi e dei diritti, in DPCE, 2022, 1325. In dottrina, per un’analisi approfondita e comparata dei modelli costituzionali si v.: C. Sartoretti, La tutela dell’ambiente nel diritto comparato: modelli costituzionali a confronto, in R. Ferrara, M.A. Sandulli (cur.), Trattato di diritto dell’ambiente, Milano, Giuffrè, I, 2014, 337 s.; D. Amirante, Profili di diritto costituzionale dell’ambiente, in P. Dell’Anno – E. Picozza (cur.), Trattato di diritto dell’ambiente, Padova, Cedam, 2012, 233 ss.

[56] G Zurlini, F. Muller. Environmental Security. In S. E. Jørgensen, B. D. Fath, Systems Ecology. Vol. [2] of Encyclopedia of Ecology, 5 vols., Oxford, Elsevier, 1350-1356.

[57]On Principles of Environmental Security in the Commonwealth States”, December 4, 1997, in F. Muller et al, Contributions of landscape sciences to the development of environmental security. Use of Landscape Sciences for the Assessment of Environmental Security, Berlino, Springer, 2008, 1–17.

[58] R. J. Barnett, Environmental Security: Now What?, Seminar, Department of International Relations, Keele University, 1997.

[59]  A. Wolfers, Discord and Collaboration. Essays on International Politics, Baltimore, John Hopkins University Press, 1962.

[60] M. Frederick, La sécurité environnementale : éléments de définition (Note), in Études internationales, 24 (4), 1993, 753–765.

[61] A. H. Westing, The Environmental Component of Comprehensive Security, Bulletin oj Peace Proposais, vol. 20, n°2, 1989, 129-134.

[62] T. F. Homer-Dickson, On the Threshold: Environmental Changes as Causes of Acute Conflict, International Security, vol. 16, n° 2, 1991, 76-116; J.J. Holst, Security and the Environment: A Preliminary Exploration, Bulletin Peace Proposais, vol. 20, n° 2, 1989, 123-128.

[63] AC/UNU Millennium Project in F. Muller, op. cit.

[64] Il progetto è stato istituito nel 1996 sotto il Consiglio americano per l’Università delle Nazioni Unite, è diventato indipendente nel 2009 ed è cresciuto fino a raggiungere 72 nodi in tutto il mondo. Collega i futuristi di tutto il mondo e collabora per migliorare la previsione globale.

[65] G. Bovaeva, Il concetto di sicurezza ambientale nella Federazione Russa e in particolare il problema della sicurezza nucleare, in Rivista Giuridica dell’Ambiente n. 5, 2001, 723 ss.

[66]The Environment and Security, World Commission on Environment and Development, NATO, 1987. http://www.nato.int/docu/environment/html_en/environment_02.html

[67] R. Mcnamara, The essence of security: Reflections in office, New York, Hodder & Stoughton, 1968.

[68] R. Ullman, Redefining Security, in International Security, 1983, 129-153.

[69] J. Tuchman, Redefining Security, in Foreign Affairs, 1989, 162-177.

[70] R. Kaplan, The coming anarchy: how scarcity, crime, overpopulation and disease are rapidly destroying the social fabric of our planet, in Atlantic Monthly, 1994, 44-76.

[71] S. Santangelo, Cambiamenti climatici e sicurezza internazionale, in Documenti geografici, 2022, 325.

[72] A. Pisanò, La responsabilità degli stati nel contrasto al cambiamento climatico tra obbligazione climatica e diritto al clima, in Ethics & Politics, XXIV, 2022, 3, 349-366.

[73] A. Porciello, Filosofia dell’ambiente. Ontologia, etica, diritto, Roma, Carocci, 2022.

[74] S. Valaguzza, Climate change litigation: losing the political dimension of sustainable development; in S. Valaguzza, M.A. Hughes, Interdisciplinary approaches to climate change for sustainable growth, Berlino, Springer, 2022.

[75] L. Colella, L’emergenza climatica e il diritto ambientale del cambiamento, in V. Pepe, L. Colella, Saggi di diritto ambientale italiano e comparato. Prospettive di cambiamento. Edizioni Palazzo Vargas, 2019, 131.

[76] P. Acot, Storia del clima. Dal Big Bang alle catastrofi climatiche, Roma, Donzelli, 2004.

[77] M. Maslin, Climate Change: A Very Short Introduction, Oxford, Oxford University Press, 2014, 86.

[78] P. Viola, La risposta politico-giuridica al cambiamento climatico tra adaptation e mitigation: cenni, in V. Pepe, L. Colella, Saggi di diritto ambientale italiano e comparato. Prospettive di cambiamento. Edizioni Palazzo Vargas, 2019, 172.

[79] Per ulteriori approfondimenti in merito agli effetti del cambiamento climatico, all’analisi degli scenari climatici attesi e all’analisi del rischio, si rimanda a D. Spano, et al, Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia, 2020.

[80] Si rimanda a L. Colella, Persona e ambiente nel pensiero di Papa Francesco. L’impegno educativo alla sostenibilità ambientale nell’anno del turismo sostenibile, in Rivista Persona, 2017, 1-2, 133-145. A. Spadaro, “Laudato Si’”. Guida alla lettura dell’enciclica di papa Francesco, in La Civiltà Cattolica, Quaderno 3961, 2005, vol. III, 3-22.

[81] S. Valaguzza, La direzione attuale del diritto dell’ambiente, op. cit.

[82] E. Marazza, op. cit.

[83] G. Donato, Le prospettive di dialogo fra scienza e diritto. Spunti di riflessione dalla pandemia e dalle “climate litigations”, in DPCE, 4/2022, 973-990.

[84] D. Amirante, Costituzionalismo Ambientale. Altante giuridico per l’Antropocene, Bologna, Il Mulino, 2022.

[85] S. Valaguzza, Climate Change: From Science to Policies. Backward and Forward, in S. Valaguzza, Interdisciplinary approaches to climate change for sustainable growth, Berlino, Springer, 2022.

[86] L. Colella, Il principio di «non regressione ambientale» al centro del Global Pact of Environment.  Il contributo dell’esperienza francese al diritto ambientale comparato, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, n. 2/2019, 1-10.

[87] In merito si rinvia alla teoria dei Planetary Boundaries, descritta dal Prof. J. Rockström dello Stockholm Resilience Centre, che mette in evidenza la stretta interconnessione tra fattori spaziali e temporali nell’erosione della resilienza ambientale. Questa teoria identifica soglie quantitative per vari processi ambientali, come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la riduzione dello strato di ozono, l’acidificazione degli oceani, l’uso del suolo e dell’acqua. Superare queste soglie potrebbe portare a danni irreversibili per l’ambiente. La soglia giuridica di protezione ambientale rappresenta quindi un limite sotto il quale non è possibile scendere. Deroghe a questo principio sono possibili solo in casi eccezionali, e devono comunque garantire un adeguato livello di protezione ambientale e prevedere interventi di ripristino. AA.VV., Planetary boundaries: Guiding human development on a changing planet, in Science, 347, 2015, 736.

[88] C. Petteruti, Prevenzione ambientale e sicurezza. I laboratori per prove su materiali da costruzione, in S. Budelli (a cura di), Società del rischio. Governo dell’emergenza, Tortorici, 1, 2020, 249 ss.

[89] M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Riv. giur. amb., 2021.

[90] A. Dessler, E. Parson, The science and politics of climate change, Cambridge, Cambridge University Press, 2020.

[91] E. Marazza, op. cit.

[92] R. Swart, L. Bernstein, M. Ha-Duong, A. Petersen, Agreeing to disagree: Uncertainty management in assessing climate change, impacts and responses by the IPCC. Climatic Change, Berlino, Springer, 2009, 1 ss.

[93] A. Averchenkova, S. Fankhauser, J. J. Finnegan, The influence of climate change advisory bodies on political debates: evidence from the UK Committee on Climate Change, in Taylor & Francis Journals, 2021, 1218-1233.

[94] N. Evans, M. Duwe, Climate governance systems in Europe: the role of national advisory bodies, in Ecologic Institute, IDDRI, 2021.

[95]In particolare, sul punto si veda il link https://www.europarl.europa.eu/pdfs/news/expert/ 2021/4/press_release/20210419IPR02302/20210419IPR02302_en.pdf.

[96] B. Allan, Producing the climate: States, scientists, and the constitution of global governance objects, in International Organization, 2017, 131-162.

Articoli simili

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

News

Commenti