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La democrazia sociale costituzionale fra la democrazia liberale e la democrazia socialista

di Valentino De Nardo, già Presidente di Sezione della Corte di Cassazione

Nel libro “Sui Fondamenti del diritto”, Cedam, Padova, 1996[1], dopo aver passato in rassegna le più importanti teorie generali del diritto (la teoria imperativistica del Carnelutti, la teoria normativa pura del Kelsen, la teoria istituzionalistica di Hauriou e Santi Romano e la teoria del Barbero del diritto inteso come giustizia), ho formulato la mia teoria dell’accordo, quale fondamento del diritto scaturente dal rapporto giuridico. Consistendo il valore fondamentale del diritto nell’intersoggettività del conflitto di interessi, il rapporto non è, infatti, qualificato giuridico da una norma esterna dell’ordinamento (secondo la teoria normativistica del Kelsen od anche imperativistica del Carnelutti), ma è esso stesso giuridico, perchè per reciproco vincolo le parti si sono sottoposte concordemente ad un comando discendente dal rapporto stesso (ciò spiega la natura normativa, non solo della legge nella sfera pubblicistica, ma anche del contratto nell’ambito di autonomia normativa, affidata ai privati dall’ordinamento, ossia dei diritti patrimoniali e quindi disponibili: art. 1321 c.c.). Il fondamento dell’obbligatorietà del rapporto giuridico e della norma giuridica da esso creata risiede cioè nell’accordo, ossia nella volontà comune (o collettiva) degli stessi destinatari delle norme, necessario per assicurare l’esistenza, oltre che il progresso etico-sociale della collettività organizzata, nel quadro dell’unitario ordinamento giuridico, di cui i suoi membri fanno parte, e che, parimenti, concorrono a formare, sia pure indirettamente, appunto attraverso lo strumento giuridico dell’accordo. Infatti, le norme giuridiche vengono create sempre e solo in rapporti giuridici paritari, sia generali (leggi) che particolari (trattati internazionali o contratti).Pertanto, si può dire che il diritto è soprattutto forma – ossia partecipazione democratica e paritaria degli interessati alla risoluzione dei loro conflitti:  accordo in senso lato: legge o contratto – e non sostanza o meglio contenuto – legge giusta, diritto naturale, etc.-. Ma tale “forma” corrisponde in realtà sotto il profilo etico – della vera etica, ossia dell’etica pratica, che continuamente si adatta alla realtà umana -, alla più alta sostanza, che è quella di far decidere liberamente – libertà – ed in maniera paritaria- uguaglianza – gli individui, che compongono una comunità umana, con una compartecipazione e solidarietà di tutto il gruppo sociale – fratellanza – alla risoluzione dei vari conflitti sociali, pubblici o privati. Si tratta dei sommi principi sorti dalla rivoluzione francese, i quali esprimono il grado più alto della cultura giuridica degli Stati occidentali, ormai predominante in tutto il mondo dopo la caduta delle barriere fra est ed ovest. Il diritto nasce, quindi, dall’accordo paritario e libero nei vari conflitti sociali. Se non vi è questo, infatti, vi è solo prevaricazione ed autoritarismo, ossia legge del più forte e non diritto, il quale è regola superiore agli interessi del singolo, proprio in quanto egli ha partecipato – solidarietà – alla sua formulazione su un piano di libertà e di uguaglianza. Proprio dalla teoria che noi sosteniamo, per la quale l’accordo- e non l’astratta razionalità- è il fondamento del diritto, in contrapposizione alla forza intesa in senso lato -fisica, psichica od economica -, discende che saranno necessariamente vietati tutti quegli atti che possano compromettere maggiormente la vita fisica, psichica e sociale degli individui e che si compendiano nel diritto naturale – diritti della personalità, status personali, rapporti familiari e diritti patrimoniali fondamentali, quali la proprietà e la libertà di iniziativa economica privata -. Infatti, la specifica e buona regolamentazione di tali rapporti e quindi la tutela dei diritti da essi nascenti sarà proprio assicurata dall’accordo degli stessi soggetti destinatari delle relative norme, i quali con la partecipazione alla loro formazione, faranno sì che esse tutelino quanto meno quel minimum di diritti di ciascuno, che i giusnaturalisti individuano nel c.d. diritto naturale. Peraltro, il principio della certezza del diritto, che il positivismo giuridico assicura – a differenza del diritto naturale-, riconoscendo solo nello Stato e nelle sue leggi la fonte del diritto, non può ritenersi sufficiente a definirne completamente la natura, occorrendo a tal fine anche l’autenticità della norma e, quindi, del diritto. In base alla nostra teoria del libero accordo, quale fondamento del diritto, la norma giuridica, oltre ad essere certa -legge positiva- è anche autentica e quindi valida, essendo rappresentativa della volontà popolare, ossia dei suoi destinatari; essi infatti sono i veri titolari del potere giuridico- pubblico o privato- generalmente affidato ai loro rappresentanti in materia di diritto pubblico o direttamente esercitato nel campo del diritto privato.

In conclusione, tra un regime di mancanza di solidarietà di tipo liberistico conservatore (od anche di tipo dittatoriale di destra) ed un regime di solidarietà imposta dall’alto, proprio dei governi del comunismo c.d. reale, esiste un regime di solidarietà volontaria, con un’economia di mercato programmata e controllata, instaurata sulla base di accordi fondati su uno scopo comune (o causa) fra soggetti liberi e uguali, che convivono in una determinata società organizzata.

È questa la vera natura di equi ed etici rapporti sociali e quindi del diritto in senso strettamente dogmatico, che si realizza in uno Stato o ordinamento internazionale, realmente democratico, di natura interventista sociale.

La ragione della crisi istituzionale attuale risiede, infatti, in un difetto di rappresentatività del potere, non tanto a livello soggettivo (cioè nella mancata corrispondenza delle persone scelte a quelle effettivamente votate dalla maggioranza degli elettori), quanto a livello oggettivo e causale (cioè nella difformità dei programmi, delle leggi e dei provvedimenti in genere dagli interessi degli elettori medesimi) e quindi di rappresentanza effettiva degli interessi della popolazione. Tale situazione è stata probabilmente aggravata dall’attuale fase di rapido sviluppo tecnologico e scientifico, che ha dato vita a grossi potentati economici, che hanno finito per espropriare il potere troppo discrezionale delle forze politiche, per tutelare i propri interessi economici. L’unico rimedio valido sembra pertanto quello di introdurre il concetto di causa, oltre che a livello contrattuale, anche a livello di provvedimento amministrativo (cioè del merito dell’atto, quale reale rispondenza del suo fine al risultato, che è idoneo in concreto a realizzare) e di provvedimento legislativo (come corrispondenza dello scopo dell’atto – ratio legis – agli interessi effettivi della popolazione, secondo un ordine di programmi prestabiliti o di esigenze particolari dovute a situazioni contingenti eccezionali, urgenti o sopravvenute). L’etica del diritto -o il c.d. diritto naturale, per dirla con i giusnaturalisti- non consiste quindi in una ragione o morale astratta, stratificata nella cultura storica -etica storica- o vista in chiave critico-filosofica e quindi personalistica-etica filosofica-; l’etica del diritto è invece l’etica pratica, cioè l’opinione espressa dalla comunità presente nel momento storico attuale in un determinato ordinamento giuridico- nazionale od internazionale – circa i principi e le regole da seguire per il convivere civile e da trasfondere quindi in principi e norme giuridiche attuali – essa è perciò un’etica contingente e relativa, anche se destinata a stratificarsi e ad arricchire in un secondo momento l’etica storica e filosofica, le quali peraltro abbracciano tutta la sfera sociale – e non solo giuridica – dell’individuo. Essa cioè, come tale, non è preventivamente scritta, perchè appunto deve ancora nascere e la sua fonte non può che essere la volontà libera e concordata dei componenti della stessa comunità civile . Pertanto viene confermato, anche da questo punto di vista, che il fondamento del diritto risiede nel libero accordo. Il diritto non nasce quindi, nè da un’autorità esterna alla società – ordine dell’Autorità -, nè da una ragione astratta – diritto naturale -, bensì dalla volontà popolare attraverso il libero accordo, dando vita allo Stato democratico, unico e vero c.d. Stato di diritto, il quale esprime infatti la volontà e l’etica reale di un popolo. A tale impostazione di teoria generale si potrebbe obiettare che il rapporto giuridico, mentre è liberamente scelto in modo evidente, allorchè i soggetti sono su un piano di perfetta parità – rapporti di diritto privato -, appare invece autoritativamente imposto, nel caso in cui un soggetto od organo è investito di una pubblica potestà, cioè gode di una posizione di supremazia – rapporti di diritto pubblico -. Peraltro, anche nel secondo caso il rapporto, imposto od autoritativo, risale sempre ad un precedente rapporto giuridico liberamente scelto – accordo-, del quale è semplicemente esecutivo – provvedimento amministrativo – od applicativo – provvedimento giurisdizionale -, anche se nel primo caso entro limiti di discrezionalità – necessari all’adattamento della norma giuridica generale ed astratta – legge – all’attività particolare e concreta – “gestione della cosa pubblica” – da eseguire -, ma su un piano strettamente funzionale – potere esecutivo o amministrativo – e nel secondo caso su un piano essenzialmente applicativo e vincolato – potere giurisdizionale -, ma essenziale alla tutela giuridica e quindi alla giuridicità dell’ordinamento in generale. Inoltre, tutti i rapporti giuridici sono regolati dal medesimo ordinamento, sovrano o comunque indipendente, in cui essi sono destinati ad operare – ordinamento statuale per i rapporti giuridici che debbono svolgersi nell’ambito della sovranità di un solo Stato, ordinamento internazionale o sovranazionale per i rapporti che debbono esplicarsi nell’ambito del diritto internazionale -.

Proprio la nostra teoria, per la quale il diritto oggettivo (o la norma giuridica) nasce sempre dall’accordo in uno Stato di diritto, ossia che suoi destinatari sono gli stessi suoi artefici, dimostra altresì che è norma giuridica anche quella creata dal contratto (che rappresenta – si potrebbe dire -, insieme al trattato internazionale, l’accordo elementare, ossia quello fra due o più soggetti determinati), cioè nell’ambito di una sfera di autonomia normativa relativa a diritti patrimoniali (e quindi disponibili) e destinata come tale ad imporsi all’esterno delle sfere giuridiche delle sue parti. Essa non è quindi semplice norma privata: particolare e privato è solo il rapporto giuridico intercorrente fra i singoli soggetti determinati, che creano la norma, ma essa è norma giuridica come tutte le altre e destinata come tale ad iscriversi nell’unico ordinamento sovrano statuale; infatti, ad es., con la vendita di un bene io ne acquisto la proprietà non solo di fronte al venditore, ma nei confronti di tutti; e proprio per assicurare questa giuridicità generale della norma, la quale evidentemente non può che riguardare la generale validità della regola giuridica e non solo la generalità dei suoi destinatari, la legge prevede le norme sulla trascrizione per gli acquisti di maggior rilievo, ossia quelli relativi ai beni immobili ed ai beni mobili registrati; ma anche in tal caso, pur essendo le norme sulla trascrizione previste dal codice civile e quindi dalla legge, esse devono essere applicate dalle parti nel singolo caso concreto, proprio al fine di assicurare efficacia generale alla norma giuridica particolare posta nel privato rapporto (v. art. 2643 ss., c.c.). Ciò dimostra che i veri requisiti della norma giuridica sono solo la sua novità (quale regola esterna – e come tale nuova – alla sfera giuridica dei soggetti, che l’hanno direttamente o indirettamente posta in essere) e la sua appartenenza ad un unico ordinamento sovrano o comunque indipendente, al fine di garantirne la tutela giuridica (unicità del diritto oggettivo). Carattere essenziale della norma giuridica è quindi solo la novità e non anche la generalità e l’astrattezza, che sono solo caratteri empirici ordinari di un tipo particolare di norma giuridica emessa da parte di soggetti rappresentanti dei loro destinatari (ossia della legge, che nasce dall’incontro delle volontà delle varie forze politiche rappresentate in Parlamento), dato che la sovranità appartiene al popolo (art. 1 Cost.). A conferma di ciò, si osserva che vi sono leggi – quelle c.d. meramente formali -, le quali non hanno un ambito normativo superiore a quello di un contratto (ad es.: una legge che accorda una pensione a favore di una persona illustre o la norma prevista dall’art. 84 Cost., che determina l’assegno e la dotazione del Presidente della Repubblica) o non hanno alcun valore normativo (ad es.,la legge che dichiara un cittadino benemerito della Patria) ed invece contratti – i contratti collettivi di lavoro ex art. 39 Cost., ancora inattuato – la cui efficacia normativa si estende ad un’intera categoria di soggetti, cioè anche a coloro la cui volontà non era nemmeno indirettamente rappresentata nella loro stipulazione (le prime hanno una natura sostanzialmente contrattuale, mentre i secondi legislativa). Quindi unico carattere imprescindibile della norma giuridica è quello della novità, ossia di dettare una  nuova regola di condotta intersoggettiva, costitutiva del diritto oggettivo, non essendo la materia disciplinata da una normativa imperativa preesistente, poichè in caso contrario l’attività volontaria dei soggetti, anche se di natura negoziale, rimane soggetta a tale disciplina, già predisposta dall’ordinamento giuridico (ad es.: atti e negozi giuridici privatistici o provvedimenti amministrativi – anche se discrezionali, ma pur sempre esecutivi della legge – e giurisdizionali).

 Da tali premesse si deduce inoltre che l’atto illecito è un atto contrario all’accordo particolare (contratto) o generale (legge) e perciò è fuori del diritto (in senso obiettivo, quale regola normativa vigente), anche se regolato in senso negativo (cioè proibitivo ed impeditivo) dall’accordo medesimo. Non può pertanto condividersi la tradizionale distinzione della dottrina degli atti giuridici in atti leciti ed illeciti, in quanto questi ultimi sono per definizione antigiuridici – ossia “contra ius” -. Infatti è la sanzione l’effetto giuridico discendente dall’atto illecito; ma ad esso la stessa è ricollegata, soltanto indirettamente, dalla norma giuridica prodotta in precedente accordo – generale o particolare -, che appunto qualifica antigiuridico tale atto e lo sanziona, al fine di impedirlo. In conclusione, giuridica è soltanto la norma, che prevede l’atto illecito, il quale di per sé è soltanto un atto volontario, contrario alla medesima (e quindi antigiuridico).

Costituiscono poi fatti illeciti ed anzi sono i maggiori di essi i c.d. fatti rivoluzionari, nell’ordinamento interno, ed i rapporti di belligeranza, quali la rappresaglia e soprattutto la guerra, nell’ordinamento internazionale, in quanto mirano a risolvere con la forza (la quale è per definizione l’antitesi del diritto, consistendo il suo fondamento nel rapporto giuridico e più precisamente nel concordamento pacifico e volontario della norma giuridica attraverso l’accordo) conflitti fra forze politiche all’interno di uno stesso Stato o fra Stati diversi.

Quindi l’accordo è alla base del processo di creazione e di produzione del fenomeno giuridico, sia quale suo fondamento scientifico-dogmatico, che quale vera e propria fonte di produzione giuridica (sistema giuridico democratico).

Indi, in un nuovo libro, intitolato, “ La teoria dell’accordo nel diritto internazionale per governare la globalizzazione”, Cedam, Padova 2004 ho approfondito ulteriormente i risvolti  di diritto internazionale della mia teoria, elaborati in diversi convegni sui temi più attuali del diritto internazionale. [2]

Infatti, la teoria dell’accordo consente di realizzare, altresì, sul piano internazionale un nuovo ordinamento federale, libero e aperto, sia europeo, che, in prospettiva, mondiale, che assicura la massima garanzia a tutti gli Stati federati, sia di ingresso, che di recesso, a salvaguardia della loro identità nazionale.

È necessario, infatti, ricercare in un nuovo livello sovranazionale ( europeo e poi mondiale) l’ordinamento giuridico, che possa garantire i diritti dei lavoratori e delle classi più deboli.

Le forze politiche illiberali, la grande economia e le multinazionali tendono a mantenere lo “status quo” di indebolimento dello Stato nazionale (con la libera circolazione dei mezzi, delle persone e, soprattutto, dei capitali), per l’inesistenza attualmente di un livello di ordinamento sovranazionale sovrano sul piano del diritto, al fine di affermare il loro capitalismo selvaggio, scevro di regole, sia a livello nazionale ( perché condizionato dalla nuova dimensione globale), che a livello sovranazionale.

La teoria generale dell’accordo spiega in maniera più precisa anche la giuridicità dell’ordinamento internazionale, che, quale “societas inter aequales – come del resto gli attuali ordinamenti democratici statuali per il principio di uguaglianza: v. art. 3 Cost.-, si fonda in maniera evidente su rapporti giuridici concordati, nella specie patti internazionali, i quali pongono anche norme generali ed astratte, simili alle leggi statuali, e sono il presupposto di ulteriori rapporti giuridici esecutivi – ad es., O.N.U. e U.E.- od applicativi – ad es., Corte di giustizia europea -. La giuridicità di tale sistema viene infatti negata sulla base del carattere volontario dell’adesione a queste attività esecutive o giurisdizionali, mentre sarebbe chiaramente riconosciuta in base alla teoria, che noi professiamo, risolvendosi il fondamento del diritto nel rapporto giuridico e più precisamente nel concordamento volontario della norma giuridica- ACCORDO -.

In sintesi, tale universale giuridico consente di superare l’angusto concetto assoluto di sovranità nazionale, rendendo compatibile la coesistenza di Stati nazionali sovrani con un ordinamento sovranazionale sovrano, che si pone al di sopra di quelli statuali, proprio in quanto scaturente da un accordo più generale  dei singoli Stati membri, fondato sulla sovranità di un unico popolo, appartenente, sia a ciascuno Stato nazionale, che a quello sovranazionale europeo.

Per governare il fenomeno attuale della globalizzazione dell’economia, occorre, quindi, globalizzare anche quello del sistema giuridico, che deve andare di pari passo, affinché i diritti dei più deboli, ossia dei comuni cittadini, non vengano erosi nelle mani di lobbies economiche e mediatiche sempre più potenti, che, in mancanza di regole condivise, ossia di uno Stato realmente democratico, mirano ad imporre i propri interessi personali a danno dei popoli.

Sulla base di tale principio, avevo predisposto, all’epoca della precedente Convenzione Europea, che aveva elaborato un progetto di Trattato Costituzionale (poi non accolto per la mancata ratifica della Francia ed Olanda) uno schema di Costituzione europea con una forma di Stato di tipo federale, libero ed aperto, ed una forma di governo democratico rappresentativo di tipo parlamentare, che decide in base al principio della maggioranza, espresso da un sistema bicamerale, costituito da un Parlamento europeo, direttamente eletto da tutti i popoli d’Europa, e da un Consiglio dei Ministri, formato dai rappresentanti dei Governi dei singoli Stati, secondo il progetto di Federazione di Stati-Nazione, che salvaguarda, sia la sovranità dei singoli Stati membri, che della Federazione degli Stati europei.

In particolare, la Costituzione europea, doveva stabilire i principi ed i diritti fondamentali, ispirati ad una condivisione di valori nel rispetto delle diversità, nonché gli organi e le competenze dello Stato federale. Tra le competenze dello Stato federale dovevano essere comprese quelle di natura sovranazionale, intese ad assicurare la politica comunitaria ed il coordinamento della politica dell’U.E. con le politiche nazionali, sulla base dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

Certo l’Europa federale non rappresenta che un primo passo, sia pure rilevante ed ormai improcrastinabile in base al suo allargamento, in un mondo globalizzato, che richiederebbe in un futuro, si spera non lontano, un governo mondiale sotto l’egida dell’O.N.U., previe, anche qui, alcune necessarie riforme, che la rendano effettivamente efficace e democratica.

Tale global governance dovrebbe assicurare, non solo la pace e la sicurezza comune, ma anche un più equilibrato sviluppo economico di tutti gli Stati e dei loro popoli, fronteggiando le gravi piaghe del proliferare delle guerre nazionali, della fame e dell’impoverimento progressivo della popolazione mondiale, anche nei paesi sviluppati, e del terrorismo interno ed internazionale e delle nuove emergenze climatiche , in una visione democratica dell’interesse generale, sulla base del principio fondante dell’accordo, che – come si è detto – è il fondamento giuridico dello Stato democratico, basato sulla sovranità popolare e sul rispetto di ogni uomo, a prescindere da differenze di razza, religione, sesso, cultura od opinioni politiche, e sull’universale riconoscimento dei diritti dell’uomo e dei popoli. 

Pertanto, come naturale sviluppo del modello europeo, ho analizzato la prospettiva di procedere progressivamente alla creazione di federazioni di Stati per aree regionali continentali, per poi, addivenire, con un accordo costituente, ad una nuova istituzione delle Nazioni Unite o ad una riforma dell’attuale ordinamento dell’O.N.U., in caso di assenza di veti – come quelli attuali-, da un lato con la trasformazione dell’Assemblea Generale, da assemblea di Governi in una duplice assemblea  dei rappresentanti degli Stati e dei popoli, ossia in un Parlamento mondiale bicamerale, dove tutti gli Stati ed i popoli siano proporzionalmente rappresentati, e dall’altro ad un effettivo controllo di tale Parlamento mondiale sull’operato del Consiglio di sicurezza, nella cui composizione siano presenti, in prospettiva, organizzazioni regionali ( continentali) dotate di competenze sovranazionali.

In tale contesto l’istituzione della Corte penale internazionale permanente si pone come il primo passo nell’ambito del predetto processo di democratizzazione dei rapporti nell’ambito della Comunità internazionale e di un radicale ripensamento del suo assetto giuridico, trasformando la stessa odierna concezione del diritto internazionale penale, in vista della realizzazione di un nuovo ordinamento federale mondiale, fondato sulla teoria dell’accordo. Infatti, la nascita di un sistema effettivo di giustizia penale sovranazionale costituisce una novità in grado di porre in discussione due dei dogmi, che hanno sinora retto il diritto internazionale: il principio della sovranità ed indipendenza di ciascuno Stato nell’ambito della Comunità Internazionale ed il suo necessario corollario, il difetto di soggettività nell’ambito internazionale degli individui e delle comunità, assoggettati ciascuno al proprio Stato nazionale.

Sempre sulla base del principio dell’accordo, ho affrontato poi il tema attuale della guerra “preventiva”, che viene considerata, non solo ingiusta, ma anche antigiuridica, in quanto contraria al principio del divieto dell’uso della forza e di quello più generale di non ingerenza negli affari interni degli Stati attualmente sancito dall’art. 2 della Carta delle N.U., in modo tale, da non tollerare eccezioni, oltre quella contenuta nell’art. 51 della legittima difesa, individuale o collettiva.

Da ciò discende, altresì, che la democrazia non si “esporta” da uno Stato ad un altro, nè si impone al suo interno, con l’uso della forza, ma si forma liberamente con l’accordo democratico del popolo all’interno di ogni singolo Stato.

Pertanto, nulla osta all’affermarsi di un ordinamento internazionale mondiale, che persegua fini generali (politici ed economici) con un ordinamento giuridico sovrano, sia pure in limitate materie, interessanti appunto il diritto internazionale (ad es., la pace e la sicurezza internazionale – fini attuali dell’O.N.U. – ed anche un equilibrato sviluppo economico mondiale), del tutto simile ad un ordinamento statuale, partendo dallo strumento giuridico dell’accordo, dato che su quest’ultimo si fonda ogni sistema giuridico democratico. Nè la sovranità dei singoli Stati sarebbe di ostacolo all’affermarsi di una sovranità dell’ordinamento internazionale con analoghe potestà pubbliche rappresentative, sia perché la medesima riguarderebbe determinate materie (quali quelle dianzi riferite, interessanti appunto il diritto internazionale), che non è possibile disciplinare in base al diritto interno, sia perché l’adesione od il recesso di ogni Stato sovrano sarebbero del tutto volontari. La giuridicità di tale ordinamento è infatti assicurata dal fatto che la sovranità appartiene agli stessi soggetti, che ne fanno parte, i quali si autolimitano con un libero accordo, come del resto avviene nel caso dei cittadini di ogni singolo Stato attraverso i loro organi, che ne hanno la rappresentanza, essendo stati da loro eletti.

In tale quadro democratico e sociale, la guerra – come già detto- risulta essere antigiuridica e non soltanto illecita ed immorale, perchè contraria al sistema giuridico democratico, secondo la teoria dell’accordo, basato sulla pacifica convivenza degli uomini in un mondo globalizzato, in quanto contraria al rispetto dei diritti universali (innati o acquisiti) di libertà, civili e politici di ognuno, a prescindere dallo Stato, in cui ciascuno ha  diritto pacificamente di vivere nel quadro normativo contemporaneo esistente nel medesimo Stato nazionale.

In conclusione, la teoria dell’accordo (che è stata definita teoria del diritto occidentale contemporaneo e del diritto naturale vigente dalla dottrina italiana di filosofia del diritto)[3] consente la perfetta coesistenza di Stati nazionali democratici federati con un ordinamento sovranazionale democratico federale,anche globale, in quanto principio universale del diritto e fondamento giuridico del moderno Stato di diritto e democratico.

Nel mio  ultimo libro, intitolato “Democrazia Universale”, edito dalla  CEDAM nel 2022, ho potuto concludere che il modello di Stato democratico, per realizzare una democrazia compiuta, e non restare sempre in una visione autoritaria e statalista dell’ordinamento (c.d. autocrazia), non si deve fondare solo sulla rappresentanza popolare, attraverso elezioni a suffragio universale, sulla separazione dei poteri, e sul principio maggioritario dei suoi organi istituzionali di natura collegiale o collettiva, necessario per la nascita ed il funzionamento di ogni nuovo soggetto giuridico democratico, ma anche sul riconoscimento dei diritti innati o acquisiti (diritti soggettivi e aspettative giuridiche[4]) di tutti i soggetti di diritto dell’unitario ordinamento giuridico.

Infatti la sovranità appartiene al popolo, non solo considerato nella totalità dei suoi componenti, ma anche nei singoli soggetti, che ne fanno parte, i quali sono sovrani nelle rispettive sfere giuridiche nel quadro delle norme costituzionali, che li tutelano, non solo nei rapporti privatistici fra di loro, ma anche e, soprattutto, nei confronti dei pubblici poteri, per evitare la c.d. “tirannia o dittatura della maggioranza”, considerati i poteri di supremazia, di cui essi dispongono, ma pur sempre nei limiti previsti dalla Costituzione nelle varie materie. In tal modo, infatti, vengono tutelati tutti i singoli cittadini dai mutamenti dei Governi e, quindi, anche quelli espressi dalle minoranze parlamentari.

Non bisogna dimenticare, come si può facilmente notare dall’esame degli ordinamenti di diversi Stati, anche europei, che il passaggio dalle democrazie agli Stati autoritari, c.d. autocrazie, pur in presenza di diritto di voto popolare, il passo è breve.

Inserendosi nel più generale contesto dell’efficacia della legge nel tempo e della successione delle norme, i diritti acquisiti rispondono principalmente ad un’esigenza di certezza del diritto, elemento fondante dello Stato di diritto e democratico.

Invero, essi, come i giudicati delle sentenze, sia civili che penali, costituiscono la massima espressione dello Stato di diritto e democratico, mettendo al riparo i cittadini dagli atti arbitrari dei pubblici poteri, che, altrimenti, degenererebbero in regimi autoritari e dittatoriali.

In caso contrario non si realizza una democrazia compiuta, in quanto  i cittadini saranno equiparati a dei sudditi di uno Stato autoritario e dittatoriale, in cui i loro diritti saranno sempre in balia delle nuove maggioranze parlamentari e dei Governi, che di volta in volta le esprimono, vanificando il supremo principio della certezza del diritto e del principio che la legge ( ed, in primis, la legge suprema della Costituzione democratica) è uguale per tutti, ivi compreso lo Stato.

Pertanto, è un principio fondamentale dello Stato di diritto e dello Stato democratico quello del rispetto dei diritti acquisiti, ossia di quei poteri sorti da un fatto acquisitivo valido per la legge precedente, fatto che la nuova legge non può qualificare in modo difforme dal passato, per farne derivare effetti giuridici diversi[5].

Tali diritti derivano, in primis, dal principio di irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi), che stabilisce che la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, in quanto la norma giuridica contiene un comando, che, per essere osservato, necessita almeno della possibilità di essere conosciuto in precedenza: tale principio ha valore costituzionale, non solo per le leggi penali (art. 25 Cost.), ma, in via di interpretazione analogica, per autorevole dottrina[6] e prevalente giurisprudenza, per tutte le leggi afflittive, anche se non sanzionatorie di reati, e restrittive dei diritti quesiti, ossia di quei poteri sorti da un fatto acquisitivo valido per la legge precedente, ormai entrati a far parte definitivamente della sfera giuridica dei soggetti titolari.

Infatti, durante i lavori dell’Assemblea Costituente, la materia dei diritti quesiti è stata oggetto di una specifica raccomandazione della loro osservanza da parte del legislatore.

I Padri Costituenti, tuttavia, pur raccomandando ai futuri governanti il rispetto dei “diritti quesiti”, non li hanno stigmatizzati in una precisa definizione nel testo costituzionale, nella eccessiva preoccupazione di parte di essi che potesse vincolare i pubblici poteri nel perseguimento dell’interesse pubblico. Ma, poi, già agli albori della nuova repubblica democratica, l’Illustre costituente, Piero Calamandrei stigmatizzava, “Chiamare i deputati e i senatori “rappresentanti del popolo” non vuol più dire oggi quello che voleva dire in altri tempi: si dovrebbero chiamare piuttosto “impiegati del loro partito”.

Ne è derivata, infatti, una continua prevaricazione delle posizioni giuridiche soggettive dei singoli cittadini da parte dei Governi e delle maggioranze parlamentari nel perseguimento dei loro interessi partitici, sia di destra che di sinistra, in ossequio alla superata teoria della Sovranità dello Stato, anziché del popolo, affermatasi con il contemporaneo Stato democratico, delineato dalla Costituzione, che si inquadra in una visione contrattualistica e pattizia del diritto e non statuale ed autoritaria dell’ unitario ordinamento giuridico.

La mia teoria dell’accordo, derivante dal rapporto giuridico, libero, paritario e solidaristico nell’ambito nell’unitario ordinamento giuridico, interno od internazionale, dà forma giuridica al principio della sovranità popolare, che trova la sua massima espressione nella legge e, quindi, nel principio di legalità, che deve ispirare tutto l’ordinamento, essendo anche le potestà pubbliche, solo poteri strumentali, rappresentativi di diritti generali del popolo, secondo la teoria della Sovranità del popolo, anziché dello Stato, propria dell’attuale Stato di diritto e democratico.

Pertanto, è un principio fondamentale dello Stato di diritto e dello Stato democratico quello del rispetto dei diritti acquisiti, ossia di quei poteri sorti da un fatto acquisitivo valido per la legge precedente, fatto che la nuova legge non può qualificare in modo difforme dal passato, per farne derivare effetti giuridici diversi[7].

Inoltre, mi preme sottolineare che è errato, a mio avviso, distinguere i diritti soggettivi in fondamentali o meno e, quindi, inviolabili nel primo caso e degradabili o sacrificabili nel secondo, come  è errato classificarli in diritti soggettivi perfetti o meno (in quanto, tutto è relativo nella realtà umana, secondo la famosa teoria della relatività di Einstein), poiché la sfera giuridica di ognuno ( come la sfera nella geometria che esprime la perfezione del cerchio) ed ogni situazione giuridica soggettiva con essa coincidente deve essere rispettata da chiunque, compreso lo Stato, in un regime democratico,  in base alle norme che la disciplinano e la proteggono, a prescindere se trattasi di diritto pieno od anche in via di formazione ovvero di aspettativa giuridica.

Pertanto, perfetta è la sfera giuridica di ciascuno, protetta dall’ordinamento giuridico, secondo un concetto relativo di perfezione, riferito alla protezione concessa dall’ordinamento giuridico, che di solito è in natura, ma talvolta solo corrispondente all’equivalente valore economico del bene giuridico protetto. Infatti, anche i diritti patrimoniali dei privati, quando vengano inesorabilmente in conflitto con i diritti generali di tutti i cittadini, rappresentati dallo Stato, debbono essere ricompensati con il loro equivalente valore economico, come ormai pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Quindi, il concetto di perfezione della tutela della sfera giuridica di ogni individuo è sempre assoluto, pur nelle diverse forme relative, che la realtà storica, di volta in volta può presentare.

Non esiste, infatti, una legge perfetta, perché la legge umana non è una legge matematica, ma esiste, invece, una legge umana più perfetta di altre, perché conforme, in modo ottimale, ai valori e principi fondamentali costituzionali, ed è, quindi, una legge umana perfetta.

Una teoria generale del diritto completa deve armonizzare il diritto  oggettivo con i diritti soggettivi. Non a caso il primo è singolare ed unitario, mentre i secondi sono plurali, in quanto il diritto oggettivo è costituito per regolare i diritti soggettivi di tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico, i quali debbono essere intesi, non solo come generalità di soggetti- ossia diritti generali di tutta la collettività o di parte di essa-, ma anche come diritti di singoli soggetti o di categorie di soggetti determinati, sia in senso temporale, che spaziale.

Ciò premesso, il diritto oggettivo deve rispettare i diritti innati o acquisiti  e, cioè, i diritti soggettivi relativi a soggetti determinati (diritti di singoli individui e diritti collettivi di categorie di soggetti). Al contrario, può regolare diversamente diritti soggettivi appartenenti ad una generalità di soggetti (c.d. diritti soggettivi generali, di cui lo Stato ne ha la rappresentanza necessaria) e, quindi, indeterminati e sempre mutevoli. Questa impostazione generale di ogni sistema giuridico si rende necessario per il rispetto del principio dell’irretroattività della legge, sul quale si basa il principio fondamentale della certezza del diritto.

Inoltre, la Costituzione, che è la legge suprema di ogni ordinamento democratico, come quello italiano, non contiene una graduatoria dei diritti soggettivi individuali o collettivi, che, quindi, devono considerarsi tutti uguali.

Per questo stesso motivo, non si può creare un nuovo diritto soggettivo individuale (o collettivo) a discapito di un altro ( ad es., il diritto all’aborto, al posto del diritto alla vita, che – come è noto- inizia dal concepimento).

Tuttavia, anche nell’attività più strettamente pubblicistica (legislativa o amministrativa), destinata a tutelare interessi generali della collettività, possono incontrarsi diritti soggettivi di singoli soggetti determinati, operanti  nel medesimo settore pubblico ed anche in tal caso, quindi, tali situazioni soggettive ( diritti soggettivi o aspettative giuridiche) non possono essere sacrificate dalle attività, sia legislative, che amministrative.

Peraltro, allorchè lo Stato si occupa di interessi generali, in rappresentanza dei diritti generali di tutti i cittadini, fermo restando la libertà del potere legislativo nella scelta dei fini da perseguire (ossia nel merito politico dell’interesse privilegiato), le scelte effettuate debbono essere sindacate dalla Corte Costituzionale sulla base del principio della ragionevolezza, derivante dal principio generale di uguaglianza, ossia di non discriminazione fra categorie uguali o di arbitrari livellamenti fra categorie differenti, e della congruità e della coerenza della decisione adottata per l’interesse pubblico, liberamente prescelto, nonché del giusto bilanciamento effettuato fra gli interessi pubblici coinvolti nell’ambito del sistema normativo vigente, ma non deve interferire nel merito delle scelte politiche del legislatore su un piano preventivo generale.

Da quanto detto, emerge che non possono essere eliminati o modificati diritti soggettivi (individuali o collettivi), innati in base alla carta costituzionale od altro ordinamento sovranazionale o internazionale o successivamente acquisiti in base ai singoli accordi individuali o collettivi.

In sede di Assemblea Costituente, l’orientamento prevalente era quello di equiparare la giurisdizione di costituzionalità alla giurisdizione amministrativa ( G. Codacci Pisanelli)[8], preferendo una visione dell’ordinamento antropocentrica, finalizzata  alla tutela effettiva dei cittadini, a quella statocentrica, indirizzata alla tutela della legalità costituzionale in senso oggettivo ( tutela della legalità dell’ordinamento nel suo complesso). Di qui, la potenziale equiparazione dei vizi tipici degli atti di parte sottoposti, rispettivamente, al giudice amministrativo o alla Corte Costituzionale. Quindi anche per il legislatore poteva parlarsi di vizio di eccesso di potere nell’esercizio della sua attività discrezionale, motivato in ragione di uno scostamento da un fine predeterminato, cui la legge avrebbe dovuto necessariamente attenersi.

Secondo questa impostazione dottrinaria, il vizio di eccesso di potere integra una nozione della discrezionalità di tipo amministrativistico, come sorpassamento dei limiti posti all’esercizio del potere normativo del Parlamento. L’eccesso di potere, quindi, viene rappresentato come un vizio della causa, ossia come sviamento di potere, che si ha quando l’interesse perseguito dalla legge contrasti con quello imposto dalla Costituzione o quando dalla legge emerga un’assoluta incongruenza tra la norma dettata ed il fine di pubblico interesse, che doveva perseguire.

Pertanto, l’attività legislativa non è libera nei fini da perseguire in senso assoluto, costituendo piuttosto uno sviluppo o uno svolgimento della Costituzione, alla cui realizzazione deve conseguentemente ritenersi vincolata, anche a prescindere dalle finalità ad essa specificamente assegnate da puntuali, singole disposizioni. Al riguardo, infatti, una  autorevole dottrina [9]concepisce la Costituzione come una tavola di valori in sé compiuta (dotata di un immanente finalismo), unitariamente considerati, capace di porre vincoli oggettivamente conoscibili, anche all’attività legislativa. Pertanto, la discrezionalità legislativa esprime un limite funzionale di natura prevalentemente interna alla stessa attività di produzione normativa, nel caso in cui l’atto legislativo risulti vincolato al perseguimento di determinati fini pubblici.

In conclusione, le maggioranze parlamentari possono soltanto creare nuovi diritti soggettivi( individuali o collettivi), senza peraltro sacrificarne altri già acquisiti, o regolamentare diversamente  i diritti generali di tutti i cittadini o di tutti i soggetti dell’ordinamento, di cui lo Stato – come già detto- ne ha soltanto la rappresentanza necessaria, secondo le sue scelte politiche in merito agli interessi generali rappresentati, purché comunque vengano rispettati i principi e i precetti costituzionali degli interessi generali coinvolti nella loro azione di bilanciamento e, quindi, innanzitutto, il principio generale di ragionevolezza, conseguente al principio di uguaglianza (art 3 Cost.), ed i collegati principi di adeguatezza, coerenza,proporzionalità e congruità, volti ad impedire scelte arbitrarie e l’eventuale discrasia fra i fini perseguiti ed i mezzi impiegati nell’esercizio del potere discrezionale del Parlamento, trattandosi di rappresentanza di diritti generali di tutti i cittadini o soggetti di diritto dell’ordinamento giuridico.

Proprio in base alla teoria dell’accordo si spiega il significato ed il valore di una Costituzione democratica. Infatti, la Costituzione è frutto di un accordo più generale dell’Assemblea costituente, in rappresentanza del popolo, che tiene insieme tutte le norme dell’ordinamento, formate da accordi successivi (  leggi e contratti) nel quadro di una concatenazione verticale di accordi,che dà luogo alla Democrazia Sociale Costituzionale.


[1] Tale teoria è stata apprezzata, sia in ambienti universitari  (v. Gaetano Carcaterra, Una teoria del diritto e della giustizia, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, n. 4 – 2002, pp. 641 e ss., che definisce la teoria generale in esame, sia come teoria del diritto naturale vigente nel diritto occidentale contemporaneo, che come teoria della giustizia), che presso  Organi  ed Enti istituzionali , anche internazionali, quali l’O.N.U., il cui Segretariato Generale l’ha ritenuto molto rilevante per tale massima Organizzazione, per trovare posizioni comuni fra paesi, che rappresentano sistemi giuridici, anche profondamente diversi, acquisendo l’opera “Sui Fondamenti del diritto”  nella collezione di monografie scelte della biblioteca delle Nazioni Unite.

Nel libro dell’Autore “Sui Fondamenti del diritto”, edito dalla C.E.D.A.M. nel 1996 si afferma, in particolare, l’esistenza dell’unica posizione giuridica soggettiva attiva sostanziale del diritto soggettivo e l’inesistenza quindi ai fini dogmatici della categoria del c.d. interesse legittimo, quale unitaria posizione giuridica soggettiva particolare o individuale (scindendosi il medesimo nel diritto generale formale alla legittimità in senso lato degli atti amministrativi, appartenente alla collettività, e nel diritto particolare – perfetto o “in itinere” – sostanziale del soggetto, sul quale il provvedimento direttamente incide), l’inesistenza, sempre a tali fini, della differenza fra sindacato di legittimità e di merito (qualificando il secondo la causa concreta di pubblico interesse dell’atto amministrativo, il quale, anche se discrezionale, è sempre esecutivo della legge) e la risarcibilità del danno derivante dalla lesione dei c. d. interessi legittimi, stante la loro natura di aspettative legittime (o diritti particolari in itinere),ormai pacificamente riconosciuta nel nostro ordinamento, a seguito della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 400 del 1999, nonché oggetto di specifica trattazione da parte del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010).

[2] V. Libro dell’Autore “La teoria dell’accordo nel diritto internazionale per governare la globalizzazione”, edito dalla C.E.D.A.M. nel 2004, .27 ss.

Elenco dei convegni in cui è stato   relatore sulla base della sua teoria dell’accordo (v. Appendice)

1) “Ordinamento ed Organi di Giustizia Internazionali: Riformare l’O.N.U. ed il suo Consiglio di Sicurezza sulla base della teoria dell’accordo, per realizzare un nuovo ordinamento federale internazionale, democratico e paritario, prodotto di una costituzione universale dei popoli”, tenutosi l’8 maggio 1999, alle ore 9,30, presso l’Aula ” V. Occorsio” del Tribunale di Roma, pubblicato nel n. 2 maggio- agosto 1999 della rassegna di dottrina e giurisprudenza ” Temi Romana”;

2) ” Ratifica dagli Stati-parte dello Statuto istitutivo della Corte, nel quadro di un nuovo ordinamento federale mondiale, fondato sulla teoria dell’accordo”, tenutosi il 19 febbraio 2000, alle ore 9,30, presso l’Aula ” V. Occorsio” del Tribunale di Roma, pubblicato nel n. 3 settembre-dicembre 2000 della rassegna di dottrina e giurisprudenza ” Temi Romana”

3) “La Costituzione Europea come prodotto istituzionale unitario degli Stati membri dell’Unione Europea, scaturente dalla teoria dell’accordo”, tenutosi il 14 settembre 2000, alle ore 9,30, presso l’Aula ” V. Occorsio” del Tribunale di Roma (pubblicato in vari numeri dal settimanale giuridico- giudiziario ” Il Mondo Giudiziario”);

4) “Il nuovo assetto dell’Est Europeo nel progetto di ampliamento dell’Unione Europea”, tenutosi il 19 maggio 2001, alle ore 10, presso l’Aula Penale del Tribunale di Civitavecchia (pubblicato dal settimanale giuridico- giudiziario ” Il Mondo Giudiziario”);

5) “Dalla cittadinanza europea alla costituzione dell’Europa”, tenutosi il 6 ottobre 2001, alle ore 9,30, presso l’Aula ” V. Occorsio” del Tribunale di Roma, con l’alto patrocinio del Parlamento Europeo ( pubblicato in vari numeri dal settimanale giuridico- giudiziario “Il Mondo Giudiziario”);

6) “La Costituzione dell’Europa ad opera della Convenzione Europea sulla base della strategia dell’accordo tra le istituzioni dell’Unione”, tenutosi il 26 febbraio 2002, alle ore 9,30, presso la ” Sala delle bandiere” dell’Ufficio per l’Italia del Parlamento Europeo, sito in Roma, via IV Novembre n. 149 (pubblicato nel predetto settimanale giuridico- giudiziario);

7) “Dopo il Trattato di Nizza verso la Costituzione dell’Europa per una giustizia nella libertà”, tenutosi il 30 gennaio 2003, alle ore 10,30 presso la Sala delle Bandiere dell’Ufficio per l’Italia del Parlamento Europeo, sito in Roma , via IV Novembre n. 149 (pubblicato in vari numeri del settimanale giuridico-giudiziario “Il Mondo Giudiziario”);

8) “L’Unità dell’Europa scaturente dalla teoria dell’accordo, garanzia dei futuri equilibri internazionali”, tenutosi il 27 marzo 2003, alle ore 10, presso la Sala Verde della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, sita in Roma, via IV Novembre n. 149(pubblicato in vari numeri del settimanale giuridico-giudiziario “Il Mondo Giudiziario”);

9) “L’O.N.U. ed il suo Consiglio di Sicurezza sulla base della teoria dell’accordo in un nuovo ordinamento federale internazionale democratico e paritario”, tenutosi il 27 giugno 2003, alle ore 10,30, presso l’Aula Udienze del Tribunale Penale di Civitavecchia (pubblicato in vari numeri del settimanale giuridico-giudiziario “Il Mondo Giudiziario”);

10) “L’Europa unita per la libertà e sicurezza dei cittadini dell’Unione”, tenutosi il 19 dicembre 2003, alle ore 10,00, presso l’Aula “ V.Occorsio” del Tribunale di Roma(pubblicato in vari numeri del settimanale giuridico-giudiziario “Il Mondo Giudiziario”).

[3] v. Gaetano Carcaterra, Una teoria del diritto e della giustizia, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, n. 4 – 2002, pp. 641 e ss., che definisce la teoria generale in esame, sia come teoria del diritto naturale vigente nel diritto occidentale contemporaneo, che come teoria della giustizia .

[4] Sotto il profilo oggettivo, l’aspettativa dà vita ad una serie di elementi, che si susseguono cronologicamente. Si fa riferimento, a tal proposito, al concetto di fattispecie a formazione progressiva, nella quale, cioè, il risultato – diritto soggettivo completo – viene ottenuto gradualmente. In questo senso, l’aspettativa configura un effetto preliminare: Cfr. Levi, Teoria generale del diritto, Padova, Cedam,1950, p. 414; Torrente-Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 1985, p. 66. Essa non è irrilevante per l’ordinamento. La legge concede la possibilità di tutelare tale situazione giuridica soggettiva per il tramite di atti aventi natura conservativa o cautelare, in attesa e nella previsione della nascita del diritto soggettivo. Ciò fino a giungere al punto di ritenere legalmente verificata la condizione: si pensi alla c.d. finzione di avveramento, di cui all’art. 1359 codice civile.

[5] v. C. Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, Tomo I, Parte III, Sez. II, Padova, Cedam, 1969, p. 345; e G. Codacci Pisanelli, Diritti Quesiti, Parte I, Laterza, Bari 1976, p. 9.

[6] v. C. Mortati, cit.; e G. Guarino, Leggi di incentivazione ecc., in Scritti di diritto dell’economia.

[7] v. C. Mortati, Istituzioni di Diritto Pubblico, Tomo I, Parte III, Sez. II, Padova, Cedam, 1969, p. 345; e G. Codacci Pisanelli, Diritti Quesiti, Parte I, Laterza, Bari 1976, p. 9.

[8] v. in proposito l’intervento dell’on.G. Codacci Pisanelli, Atti Assemblea Costituente n. 4215, in www.cameradeideputati.it

[9] v.C. Mortati, Costituzione (dottrine generali), in Enciclopedia del diritto, vol.XI, Milano, 1962, p. 139 ss.

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