spot_img
HomeDottrinaLa (in)giustiziabilità del principio di tempestività del bilancio degli enti locali

La (in)giustiziabilità del principio di tempestività del bilancio degli enti locali

dell’Avv. Lio Sambucci, Ricercatore e docente di Contabilità di Stato presso la Sapienza – Università di Roma.

Sommario: 1. Una pratica che si ripete. – 2. Il quadro normativo (e una novità). – 3. I dubbi di costituzionalità. – 4. Insufficienza degli spazi giustificativi. – 5. La difficile giustiziabilità del principio di tempestività del bilancio. – 6. Una conclusione scontata, un percorso obbligato e una confidenza.

1. Una pratica che si ripete. – Con d.m. 22 dicembre 2023 (in G.U. 30 dicembre 2023, n. 303), il termine per l’approvazione del bilancio di previsione per il 2024 (-2026) è stato differito al 15 marzo 2024. Non è una novità: si tratta, infatti, di una consuetudine costante, stabile, permanente: l’anno scorso (con d.m. 28 luglio 2023), il suddetto termine (in relazione al bilancio di previsione 2023-2025) è stato differito (infine) al 15 settembre (era già stato differito al 31 marzo, poi al 30 aprile, poi al 31 maggio, poi al 31 luglio): significa che nel 2023 in molti enti locali il bilancio di previsione (il quale, come noto, deve essere approvato prima che inizi l’anno finanziario di riferimento) è stato approvato praticamente alla (a ridosso della) fine dell’esercizio. Una situazione che può essere definita surreale[1], se si considera che, come noto, il bilancio di previsione di un ente pubblico è l’atto di politica finanziaria nel quale trova definizione la programmazione economico-finanziaria e sulla base del quale solo può avvenire la gestione nel periodo considerato[2]: due profili finalistici che impongono che il bilancio di previsione sia approvato prima che inizi l’anno finanziario di riferimento[3]; che rendono evidente come la tempestività del bilancio, nel sistema pubblico, sia un principio immanente al bilancio stesso (in quanto connaturato alle sue stesse connotazioni teleologiche)[4]; e, sotto altro profilo, confermano come il bilancio pubblico sia strettamente funzionale al principio di buon andamento della pubblica amministrazione (di cui all’art. 97, comma secondo, Cost.)[5], oltre che presidio di garanzia del principio di equilibrio finanziario e di stabilità della finanza pubblica (come risulta definito dal sistema di cui agli artt. 81, 97, comma primo, 119, commi primo e sesto, Cost.). Ne deriva che il principio di tempestività del bilancio trova copertura costituzionale nelle disposizioni richiamate.

Nessuna novità, dunque (salvo quanto sarà rilevato infra sub 2): si tratta di vedere se rimarranno confermate le connotazioni gravemente patologiche della suddetta consuetudine che hanno caratterizzato gli ultimi anni[6]; ovvero se si riuscirà a ricondurre il fenomeno entro limiti di ragionevole compatibilità con il principio di buona amministrazione (la fisiologia, per il momento, continua a rimanere un miraggio). Dovendosi aggiungere che quella del differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali è una pratica molto risalente (“tradizionale”), che, nell’ultima trentina d’anni, ha acquisito carattere di vera e propria stabilità, conoscendo un aggravamento progressivo (fino ad assumere, come rilevato, connotazione di patologia amministrativa) sia in termini di sistematicità sia in termini di estensione temporale. Con la conseguenza che (non da oggi), negli enti locali, è il principio di tempestività del bilancio ad aver assunto carattere di eccezionalità, con totale obliterazione della funzione programmatoria[7] e grave depauperamento della funzione gestionale (come visto, proprie del bilancio pubblico), e, quindi (per quanto sinteticamente rilevato sub nota 5), con vulnerazione (permanente) del (richiamato) principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione.

2. Il quadro normativo (e una novità). – Deve essere rilevato che il suddetto differimento (disposto in via amministrativa[8]) trova base legislativa nelle disposizioni di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ove, dopo aver fissato i termini di approvazione (del documento unico di programmazione, al 31 luglio; e) del bilancio di previsione al 31 dicembre (termine entro il quale il bilancio di previsione deve essere deliberato), si dispone che i suddetti «termini possono essere differiti con decreto del Ministro dell’interno, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in presenza di motivate esigenze».

A definizione del quadro legislativo (per quanto qui rileva), deve essere osservato che all’art. 163, comma terzo, d.lgs. n. 267/2000, è stabilito che «l’esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell’interno che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 151, primo comma, differisce il termine di approvazione del bilancio»[9]: significa che con il differimento del suddetto termine approvativo viene autorizzato l’esercizio provvisorio del bilancio fino all’approvazione del nuovo bilancio di previsione (ovvero, comunque, fino alla data di differimento).

In verità, nel citato d.m. 22 dicembre 2023 un elemento di novità si rinviene: attiene alla introduzione di una limitazione del differimento del termine, il quale non riguarderebbe la generalità degli enti locali, ma solo quelli direttamente interessati dagli elementi richiamati nel decreto stesso. Una limitazione che trova un obiettivo riscontro nella combinazione dei contenuti del richiamato decreto ministeriale[10] e delle prescrizioni (di natura evidentemente regolamentare) recentemente introdotte con d.m. 25 luglio 2023[11] (in generale, con riferimento al «processo di bilancio degli enti locali»; e segnatamente) proprio in relazione all’esercizio provvisorio del bilancio degli enti locali (paragrafo 9.3.6 dell’allegato 4/1 al d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118), le quali stabiliscono (tra l’altro): che «il rinvio dei termini di approvazione del bilancio disposto con decreto ministeriale ai sensi dell’art. 151, comma 1, del TUEL, anche se determinato da motivazioni di natura generale, è adottato dagli enti locali effettivamente impossibilitati ad approvare il bilancio nei termini, per le motivazioni addotte nei decreti ministeriali»; e che, «pertanto, per gli enti locali non interessati alle motivazioni addotte nei decreti ministeriali, l’autorizzazione all’esercizio provvisorio non comporta la sospensione del termine di approvazione del bilancio di previsione descritto nei paragrafi precedenti, e il processo di bilancio prosegue al fine di garantirne la conclusione entro il 31 dicembre»[12].

Si tratta di disposizioni che, pur rivelando la condivisibile finalità di limitare la (di porre un argine alla) criticata (vedi sub 1) pratica del costante differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali (di cui è finalmente percepita la difficile coerenza con i principi del sistema contabile e finanziario[13]: vedi infra sub 3), sono insuscettibili di neutralizzarne le conseguenze negative, le quali sono determinate, oltre che dalla stabilità del suddetto differimento, (principalmente) dalla sua (eccessiva ovvero, comunque, del tutto sproporzionata) estensione temporale e (quindi) dal prolungamento dell’esercizio provvisorio del bilancio negli enti locali.

Deve pur essere rilevato, sotto altro profilo, come le nuove disposizioni introdotte con il citato d.m. 25 luglio 2023 disvelino l’esuberanza con la quale la Ragioneria generale dello Stato esercita il potere regolamentare che le è assegnato dal legislatore (delegato) dell’armonizzazione dei bilanci pubblici[14]. In proposito, deve essere rilevato, infatti, che le nuove prescrizioni relative al differimento del termine di approvazione del bilancio degli enti locali, introdotte con il suddetto d.m. 25 luglio 2023, non riescono a trovare nelle disposizioni di cui all’art. 16, comma 9 ter, d.l. n. 115/2022, le quali, pur essendo volte (come visto, sub nota 13) a «favorire l’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali entro i termini previsti dalla legge», limitano i poteri normativi attribuiti alla Ragioneria generale dello Stato (con il concerto delle altre amministrazioni richiamate) alla specificazione dei «ruoli», dei «compiti» e delle «tempistiche del processo di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali, anche nel corso dell’esercizio provvisorio». Posto che alle prescrizioni adottate ai sensi del citato art. 16, comma 9 ter, può essere riconosciuta una valenza solo integrativa (ovvero suppletiva) rispetto al potere regolamentare attribuito, in materia di contabilità, agli enti locali, il quale (positivizzato agli artt. 152 e 153 d.lgs. n. 267/2000, e riconducibile all’art. 117, comma sesto, Cost.[15]), diversamente, risulterebbe esposto a compromissione; risulta evidente come le nuove disposizioni introdotte dal d.m. 25 luglio 2023 con riferimento alla limitazione degli enti locali che possono avvalersi del differimento del termini, non siano strettamente riconducibili agli spazi definiti dal citato art. 16, comma 9 ter, d.l. n. 115/2022, e, sotto altro profilo, riescono ad essere in contrasto anche con le disposizioni di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000, le quali, pur facendo riferimento alla sussistenza di «motivate esigenze» per l’adozione del decreto ministeriale di differimento del temine, non ne autorizzano la limitazione della portata generale ed astratta[16].

3. I dubbi di costituzionalità. – Dieci anni fa veniva rilevata la difficile (diciamo così) coerenza della sistematica violazione (pure autorizzata dalla legge, nei sensi esposti) del principio di tempestività del bilancio e della stessa disposizione legislativa ammissiva del differimento del termine di approvazione (ove sottratta ad una interpretazione costituzionalmente orientata) rispetto al dato costituzionale[17].

In relazione al principio di buon andamento di cui all’art. 97, comma secondo, Cost., il quale, per quanto rilevato (in massima sintesi, sub 1), trova nella programmazione economico-finanziaria un portato fondamentale[18].

In relazione ai limiti (temporali) all’esercizio provvisorio del bilancio di cui all’art. 81, comma quinto, Cost., ove (come noto) si stabilisce che l’esercizio provvisorio del bilancio può protrarsi (essere autorizzato) «per periodi complessivamente non superiori a quattro mesi»: un dato costituzionale che (quindi) rimane platealmente inosservato tutte le volte in cui il termine viene differito (e il bilancio di previsione viene approvato) successivamente al mese di aprile[19].

In relazione al principio di armonizzazione dei bilanci pubblici di cui all’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost., il quale pure è stato (applicato con massima estensione dal legislatore statale[20] ed) interpretato con massima estensione – rispetto alle (a discapito delle) autonomie territoriali – dalla giurisprudenza costituzionale, che considera stabilmente parametro interposto di legittimità costituzionale le disposizioni di cui all’art. 118/2011[21] (inclusi gli allegati, e forse anche la modellistica): un valore costituzionale suscettibile di rimanere permanentemente frustato da una pratica sistematica che determina (e da una disposizione legislativa che ammette) una situazione di grave asimmetria temporale nell’approvazione dei bilanci pubblici (e dei documenti di bilancio)[22], e, quindi, dei flussi informativi, la cui omogeneità (in termini di espressione e rappresentazione contabili) e la cui tempestività costituiscono elementi essenziali in funzione della (effettività della) programmazione finanziaria (e, quindi, come visto, del buon andamento) e (della garanzia) degli equilibri di bilancio (e, quindi, come anche visto, della stabilità della finanza pubblica), tanto da imporne uno specifico presidio costituzionale (appunto, la «armonizzazione dei bilanci pubblici»).

In relazione al principio di annualità del bilancio di cui all’art. 81, comma quarto, Cost., il quale, disponendosi (alla citata disposizione costituzionale) che ogni anno deve essere approvato il bilancio di previsione (ed il rendiconto), si sostanzia in un vero e proprio “obbligo di bilancio” per lo Stato (e, in generale, per ogni ente pubblico), che si presenta in termini più stringenti e rigorosi in funzione della (autorizzazione della) gestione finanziaria, la quale richiede di essere assicurata nella sua pienezza per l’intero periodo di riferimento (anno finanziario): una esigenza (anche in questo caso, costituzionalmente tutelata) che, pur potendo conoscere deroghe a carattere eccezionale (esercizio provvisorio) a fronte di una situazione di emergenza, rimane trascurata in una situazione di sistematica approvazione del bilancio ad esercizio finanziario ampiamente iniziato: con la conseguenza che il bilancio degli enti locali solo formalmente considera, ai fini della gestione, un arco temporale annuale, ma, nei fatti, si è trasformato (in relazione alla funzione gestionale) in un documento infrannuale (non di rado, praticamente semestrale)[23]; con la conseguenza che il (richiamato) principio di annualità ha trovato, negli enti locali, involuzione in una logica meramente adempimentale: il bilancio deve essere approvato ogni anno, non importa (ovvero importa molto meno) quando[24].

Come accennato i dubbi di costituzionalità riguardano anche (si estendono al)la disposizione legislativa (art. 151, comma primo, ultimo periodo, d.lgs. n. 267/2000) che, come visto, prevede la possibilità di differimento del termine di approvazione del bilancio degli enti locali, ove rimanga sottratta ad una interpretazione costituzionalmente orientata, la quale (disposizione) – in relazione a quanto stabilito al successivo art. 163, comma terzo, ove, come anche visto, si dispone che, in caso di differimento del suddetto termine, viene autorizzato (con il decreto del Ministro dell’interno ovvero con la legge che dispone il differimento) l’esercizio provvisorio fino all’approvazione del bilancio ovvero fino alla scadenza del termine autorizzato[25] – deve essere intesa nel senso che il differimento, comunque, non può andare oltre il mese di aprile (vedi anche sub nota 19). Dovendosi, tuttavia, rilevare che siffatta opzione interpretativa, pur riuscendo ad assicurare coerenza con le (richiamate) disposizioni di cui all’art. 81, comma quinto, Cost.[26], è insuscettibile di risolvere le perplessità (nei sensi rilevati) in relazione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97, comma secondo, Cost. e al principio di annualità (del bilancio) di cui al quarto comma del citato art. 81. In effetti, nel momento in cui si ammette l’esercizio della potestà di differimento del suddetto termine approvativo praticamente senza limiti – se si considera la genericità del richiamo alle «motivate esigenze» evocate all’ultimo periodo del primo comma del citato art. 151[27] – si dà luogo ad una situazione (quella che, come visto, si verifica sistematicamente) di permanente vulnerazione del principio di tempestività del bilancio di previsione degli enti locali (e, cioè, come visto, di un principio generale del sistema contabile), con (il rilevato) inevitabile impatto (molto) problematico in termini di coerenza con i richiamati valori costituzionali.

Peraltro, la genericità della prescrizione limitativa induce perplessità in ordine alla tenuta della riportata disposizione legislativa rispetto al principio di ragionevolezza, in quanto espone la potestà di differimento (esercitabile, come visto, anche in via amministrativa) a (troppo) facili eccessi attuativi (come, in effetti, è sistematicamente avvenuto) vulnerativi (nei sensi rilevati) dei richiamati valori costituzionali. Anche in questo caso, l’unica via di uscita sembra essere quella di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, la quale impone di ritenere che le «motivate esigenze» di cui al comma primo del citato art. 151 debbano (comunque) tenere conto del carattere eccezionale dell’esercizio provvisorio e della deroga (ammessa dalla disposizione esaminata) al principio di tempestività del bilancio. Significa che l’esercizio della suddetta potestà deve avvenire nel rispetto degli evocati principi della Costituzione finanziaria ovvero richiede un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali che vengano in rilievo comparativamente, a fronte di contingenze ovvero di congiunture eccezionali (nelle dimensioni e nell’impatto) e non prevedibili, con esclusione di applicazioni stabili ovvero sistematiche[28]. Dovendosi rilevare che, nella suddetta interpretazione, il sistematico differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali comunque sarebbe costituzionalmente illegittimo.

            4. Insufficienza degli spazi giustificativi. – I dubbi di costituzionalità rilevati trovano un argomento di risposta nella rilevazione della circostanza che, in effetti, il differimento del termine approvativo non preclude agli enti locali di approvare il bilancio di previsione tempestivamente (entro il 31 dicembre ovvero prima che inizi il periodo finanziario di riferimento). Si tratta, tuttavia, di una osservazione insuscettibile anche solo di affievolire le perplessità rilevate[29], le quali, infatti, non riguardano la lesione dell’autonomia finanziaria e dell’autonomia contabile degli enti locali[30], ma, come visto, (essenzialmente) l’impatto sul principio di buon andamento (oltre al resto), il quale rimane inciso non solo dal materiale differimento del suddetto termine approvativo, e, quindi, dalla circostanza (del tutto inevitabile) che la maggior parte degli enti locali non approverà tempestivamente il bilancio di previsione (ovvero lo approverà a ridosso del nuovo termine assegnato)[31]; ma anche dalla stessa previsione legislativa della possibilità di differimento (peraltro, ammessa senza alcuna limitazione temporale), la quale, a fronte dello stabile (annuale) esercizio della richiamata facoltà, ha, in sostanza, neutralizzato la valenza prescrittiva della disposizione di cui allo stesso primo comma del citato art. 151 d.lgs. n. 267/2000[32], ove, come visto, (nel periodo che precede quello in cui si prevede la suddetta possibilità di differimento) si stabilisce che il bilancio di previsione degli enti locali deve essere approvato entro il 31 dicembre[33].

Peraltro, la richiamata possibilità di differimento è suscettibile di produrre (in concreto) un ulteriore effetto negativo, il quale attiene alla deresponsabilizzazione dell’ente locale (ovvero degli organi di governo dell’ente) in ordine alla inosservanza del principio di tempestività del bilancio e alla attivazione dell’esercizio provvisorio, le quali (con le relative conseguenze, in termini di mancato assolvimento della programmazione finanziaria e di compressione della gestione) saranno ricondotte nella (ovvero saranno giustificate con la) decisione del legislatore statale oppure del Ministro dell’interno (e del Ministro dell’economia e delle finanze) di spostare in avanti il suddetto termine approvativo; e, comunque, produce l’effetto di esonerare l’ente locale stesso dall’esporre le ragioni per le quali abbia ritenuto di non (ovvero non sia riuscito ad) approvare il bilancio di previsione entro il termine del 31 dicembre[34] (e di deliberare l’autorizzazione all’esercizio provvisorio, il quale, come visto, viene disposto con il decreto ministeriale – o con la legge – che stabilisce il differimento).

Sotto altro profilo, può essere rilevato che neppure si riesce a rinvenire sufficiente spazio giustificativo nel principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. (né nella sua considerazione statica né in quella dinamica[35]), il quale, (pur se) applicato unicamente quale strumento di limitazione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, (ben) può essere inteso (anche) quale mezzo che assicura il migliore esercizio della suddetta prerogativa autonomistica. In tale prospettiva, il differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione sembrerebbe (voler) costituire (e probabilmente è stato concepito quale) rimedio che permette agli enti locali di recepire nei rispettivi bilanci gli effetti delle misure finanziarie contenute nella legge di approvazione del bilancio dello Stato[36] (che incidano, direttamente o indirettamente, sulla finanza dell’ente locale)[37]; e (quindi) può riuscire a rispondere, in astratto, ad esigenze di coordinamento della finanza pubblica[38]. In proposito, rilevato che le suddette finalità riescono a trovare sufficiente garanzia nell’esercizio provvisorio del bilancio, deve essere osservato che rispetto alle suddette esigenze appare più che ragionevole uno spazio temporale non superiore a due mesi[39]. Si tratta di elementi che rendono evidente la difficile sostenibilità costituzionale (anche rispetto al profilo ora esaminato) della prassi attuativa segnalata criticamente.

Per altro verso, (gli elementi rilevati) rivelano come, con la possibilità di differimento del termine prevista all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000, il legislatore citato (in sostanza) si limiti ad esonerare l’ente locale dall’assumersi la responsabilità politica (oltre che tecnica) dell’adozione di una iniziativa – (la mancata approvazione del bilancio di previsione nel termine di legge) e l’autorizzazione dell’esercizio provvisorio del bilancio – alla quale l’ordinamento riconosce natura (ovvero concepisce quale rimedio) eccezionale (nei sensi esposti) in quanto particolarmente onerosa (non solo) per la stessa amministrazione locale interessata (ma anche per la comunità rappresentata): con la finalità di semplificare gli adempimenti a carico dell’ente stesso[40]. È una cosa che si può fare: l’esercizio provvisorio del bilancio (il quale, come visto, per gli enti locali, viene disposto con il differimento del termine approvativo) è una possibilità opportunamente (vedi sub nota 2) prevista dall’ordinamento (finanche a livello costituzionale), con i limiti rilevati; è giusto, tuttavia, che ad assumersene la responsabilità (politica e tecnica) sia lo stesso ente locale. Ed è certo, comunque, che la rilevata finalità semplificativa non può (ovvero deve trovare disciplina che escluda di) esporre a compromissione (i richiamati) valori costituzionali. Si tratta di elementi problematici che rendono evidente la necessità di rivedere la disciplina legislativa dell’esercizio provvisorio del bilancio negli enti locali (e lo specifico intervento modificativo introdotto con il richiamato d.m. 25 luglio 2023 ne costituisce ulteriore conferma: vedi sub 2), con l’introduzione di elementi prescrittivi che riescano ad essere dissuasivi[41], al fine limitare il ricorso all’esercizio provvisorio a situazioni di effettiva urgenza (ovvero necessità) e, comunque, di evitare le distorsioni applicative rilevate.

            5. La difficile giustiziabilità del principio di tempestività del bilancio. – Si è visto come il principio di tempestività del bilancio di previsione trovi stabile inosservanza negli enti locali. Si tratta di capire come possono essere attenuate le conseguenze negative del problema, nella consapevolezza che la prospettata modifica legislativa (la quale, peraltro, non solo non è alle viste, ma sembra ben lungi dall’essere percepita dal legislatore[42]), pur (come detto) necessaria (e pur produttiva di un sicuro impatto dissuasivo, non riuscirà, da sola, a scoraggiare del tutto l’(ab)uso, da parte degli enti locali, del ricorso all’esercizio provvisorio del bilancio (in mancanza delle correzioni deflattive indicate: vedi sub nota 41). Si tratta, cioè, di capire se nell’ordinamento si rinvengono strumenti di prevenzione ovvero di reazione rispetto alle distorsioni (con i rilevati impatti compromissivi) cui può dare luogo il vigente assetto normativo (risultante dal sistema delle disposizioni di cui agli artt. 151, comma primo, e 163 d.lgs. n. 267/2000[43]), a fronte del persistente stabile differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali.

            5.1. – In attesa del necessario riassetto normativo, deve prendersi atto della sostanziale assenza di strumenti a carattere prevenzionale: molto difficilmente, infatti, potrà venire un contributo percettibile nei sensi dissuasivi rilevati dai mille controlli amministrativi – interni, esterni, (poco) preventivi, (molto) successivi, tutti, ormai, (anche quelli concepiti in funzione collaborativa) caratterizzati da una marcata declinazione repressiva, sanzionatoria, conformativa, prescrittiva, che ne (è suscettibile di) altera(rne) la natura ausiliaria[44], che, unitamente alla eliminazione dell’autonomia contabile e alla neutralizzazione dell’autonomia finanziaria, hanno ridotto gli enti locali in uno stato di persistente commissariamento – i quali riguardano principalmente, ai sensi dell’art. 148 bis d.lgs. n. 267/2000, la verifica, da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti: della osservanza del vincolo di indebitamento di cui all’art. 119, comma sesto, Cost. (secondo le prescrizioni di cui all’art. 10 legge 24 dicembre 2012, n. 243); del rispetto dei vincoli del coordinamento della finanza pubblica, imposti agli enti locali (e alle regioni) ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 9 ss. legge n. 243/2012, in relazione al concorso degli enti territoriali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche (art. 9, comma quinto), e alla sostenibilità e alla riduzione del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche (art. 12); dell’assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari dei suddetti enti territoriali (ovvero anche della corretta copertura delle spese, della osservanza delle norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria)[45]. Ora, obiettivamente, pur trattandosi di un controllo legalistico molto impattante (non solo per gli ampi spazi di indagine, ma anche per l’autorevolezza dell’autorità cui sono attribuiti: come visto, Corte dei conti, tramite le sezioni regionali di controllo), fino a quando l’ordinamento continuerà a prevedere la possibilità di differimento del termine di approvazione del bilancio, (fermi restando i profili problematici rilevati) rimane sottratta ad ogni censura di illegittimità la condotta dell’ente che ritenga di avvalersi del disposto differimento[46].

Un minimo (angusto) spazio di impatto prevenzionale può essere rinvenuto (non solo nel caso della modifica legislativa ipotizzata[47]) in sede di esercizio dei controlli interni di regolarità amministrativa e contabile (di cui, in particolare, agli artt. 147, comma primo, e 147 bis d.lgs. n. 267/2000), i quali, come noto, (secondo la definizione legislativa di cui al primo comma del citato art. 147), sono volti a «garantire» (in termini generali) «la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa»; e sono svolti (in via preventiva[48]) dal responsabile del servizio finanziario[49] (ma anche dai revisori dei conti). Deve essere rilevato, infatti, che se è indiscutibile che, nel caso in cui sia l’organo consiliare ad autorizzare l’esercizio provvisorio del bilancio, il responsabile del servizio finanziario debba esporre (ovvero riferire al Consiglio) le ragioni, finanziarie e contabile, che impediscono l’approvazione nei termini del bilancio di previsione[50]; è altrettanto vero che il suddetto organo tecnico ben potrebbe segnalare, in caso di differimento del termine, le ragioni che rendono necessaria (ovvero anche solo) opportuna l’approvazione tempestiva del bilancio: la qual cosa, peraltro, non sembra poter escludere che l’ente possa avvalersi del differimento[51], e, tuttavia, può riuscire a svolgere una funzione di impulso alla massima attenzione, anche negli enti locali, rispetto alla scansione procedimentale della decisione di bilancio.

E nello stesso senso (almeno minimamente) dissuasivo sono suscettibili di concorrere (come accennato) le attività di verifica e di valutazione dell’organo di revisione economico-finanziaria[52], e anche le verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile degli enti locali attribuite alla Ragioneria generale dello Stato (dall’art. 148, comma secondo, d.lgs. n. 267/2000, ove, tra l’altro, si richiamano espressamente anche le disposizioni di cui all’art. 14, comma primo, lett. d, legge n. 196/2009)[53]. Si tratta di elementi che possono concorrere, sia pure in misura appena percettibile (e solo in conseguenza della forma autoritativa, che può stimolare un approccio amministrativo “difensivo”), al radicamento negli enti locali della cultura della (ovvero di una maggiore sensibilità, e, quindi, consapevolezza rispetto alla rilevanza) programmazione finanziaria, la qual cosa, da sola, riuscirebbe a limitare grandemente il ricorso all’esercizio provvisorio del bilancio, ed a ricondurlo nell’alveo della eccezionalità (propria dell’istituto).

5.2. – Il persistente (e diffuso) ricorso negli enti locali all’esercizio provvisorio e la stabile inosservanza del principio di tempestività del bilancio costituiscono dati obiettivi, dimostrativi della scarsa incidenza (e, in verità, finanche della scarsa potenzialità) dissuasiva dell’apparato dei controlli amministrativi. Si tratta, quindi, di capire se il suddetto principio riesca a trova tutela (ovvero se la sua inosservanza riesca a trovare una qualche forma di reazione) in sede giurisdizionale.

A tal fine, è utile provare a definire le connotazioni giuridiche del termine di approvazione del bilancio di previsione, dovendosi prendere atto che il (visto) sistema ordinamentale esclude che se ne possa ritenersi la natura perentoria ovvero decadenziale[54]: se è vero, infatti, che, come visto, all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000 è stabilito che il bilancio di previsione degli enti locali deve essere approvato entro il 31 dicembre; è altrettanto indiscutibile che, indipendentemente dal differimento (la cui previsione è incompatibile con un carattere decadenziale), il decorso del termine non consuma il potere dell’ente di approvare il bilancio[55], il quale potrà essere approvato (dallo stesso organo consiliare) anche successivamente alla scadenza del termine (fino al decreto presidenziale che dovesse disporre lo scioglimento dell’organo consiliare[56], così neutralizzando le conseguenze dissolutorie rispetto all’assetto istituzionale dell’ente previste dall’ordinamento per la suddetta inosservanza)[57]. Rimane, così, il carattere ordinatorio del suddetto termine approvativo, volto a regolare la fisiologia della complessa decisione di bilancio (quale garanzia di effettività dei diversi profili funzionali): il quale (carattere), tuttavia, si presenta rinforzato (ovvero speciale), in quanto, pur essendo volto a dare impulso alla tempestiva approvazione del bilancio, la sua persistente inosservanza è destinata a produrre conseguenze preclusive in ordine allo stesso bilancio e irreversibili (dal punto di vista istituzionale) per l’ente: è già stato rilevato, infatti, come la mancata approvazione del bilancio nel termine sia causa di scioglimento dell’organo consiliare (ai sensi dell’art. 141, comma primo, lett. c, d.lgs. n. 267/2000)[58].

Ma non è la situazione di più grave patologia che deve essere esaminata ai fini del presente contributo, la quale, come visto, è espressamente disciplinata dall’ordinamento: una disciplina che, tuttavia, non riesce ad essere di impulso rispetto alla osservanza del principio di tempestività del bilancio né (minimamente) dissuasiva rispetto al persistente ricorso all’esercizio provvisorio da parte degli enti locali (ovvero siffatti effetti non solo rimangono del tutto neutralizzati, ma sono finanche “disincentivati” dalla richiamata possibilità di differimento del termine approvativo); una disciplina che neppure presenta natura sanzionatoria ovvero repressiva: si tratta, infatti, di misure che l’ordinamento, a fronte di una persistente condizione di grave patologia istituzionale (l’ente non ha approvato ovvero non riesce ad approvare, tramite gli organi di governo, uno degli atti fondamentali per il funzionamento dell’ente stesso, che costituisce guida organizzativa e gestionale), appresta al fine di rimuovere la causa che ha dato luogo al (ovvero ha determinato il serio) problema (attivando, al contempo, le procedure volte al ripristino “naturale” della fisiologia istituzionale: e, cioè, nuove elezioni e nuovi organi di governo[59]) e al fine di limitare le conseguenze negative dello stato di grave disfunzione che si è venuto a creare.

Ciò che viene in rilievo è la diversa ipotesi in cui si ritenga che non sussistano i presupposti per (avvalersi del differimento e per) autorizzare l’esercizio provvisorio ovvero si intenda (provare a) porre rimedio ad una situazione di inosservanza del principio di tempestività del bilancio: si tratta, in sostanza, di valutare se la violazione del suddetto principio può essere fatta valere in sede giurisdizionale.

Una valutazione che deve misurarsi (molto) problematicamente già con gli angusti spazi di accesso dell’azione giurisdizionale rispetto ad atti – quali il bilancio di previsione – a carattere generale e programmatorio: connotazioni che, se non possono escludere del tutto la possibilità impugnativa, certo costituiscono un argine che rende molto angusto lo spazio di individuazione di un interesse qualificato suscettibile di legittimare l’accesso “concreto”[60] all’azione giurisdizionale[61]: uno spazio che si restringe ulteriormente in relazione al profilo specifico considerato, il quale (come visto) attiene alla tempestività dell’approvazione del bilancio[62]; e che si aggrava ancora (e irrisolvibilmente) se si considera che il bilancio (sia pure in ritardo) è stato comunque approvato: la qual cosa, tenendo conto della rilevata natura (e finalità) del termine approvativo (anche nella sua accezione “aggravata”), esclude che possa essere rilevata l’illegittimità della deliberazione di approvazione del bilancio (e darsi luogo al suo annullamento).

Una impostazione che resiste anche nell’ipotesi in cui siano imposte limitazioni alla possibilità di avvalersi del differimento del termine approvativo (come avvenuto, come visto, con il d.m. 22 dicembre 2023, in riferimento al bilancio di previsione 2024/2026), la qual cosa, se (come rilevato) sembra aprire spazi di contestazione, è insuscettibile di affievolire le angustie rilevate in relazione alla ammissibilità dell’impugnativa giurisdizionale e di resistere all’impatto “sanante” (ovvero assorbente) dell’approvazione ritardata del bilancio da parte dell’organo consiliare[63], in quanto proprio siffatta approvazione (da parte dell’organo di governo competente) continua a rimanere l’opzione preferenziale dell’ordinamento[64], secondo cui, come visto, la decorrenza dei termini approvativi prescritti non consuma il potere di bilancio dell’ente[65]. Un dato (quest’ultimo) che induce ad escludere che la ritardata approvazione del bilancio di previsione possa comunque dare luogo alla conseguenza dissolutoria prevista all’art. 141, comma primo, lett. c), d.lgs. n. 267/2000; può ritenersi, tuttavia, che nella fattispecie più gravi[66] – costituendo il rilevante (e reiterato negli anni) ritardo indice sintomatico di gravi difficoltà finanziarie e organizzative dell’ente – possa darsi luogo all’ipotesi dissolutoria di cui alla lett. a) del primo comma del citato art. 141, per gravi e persistenti violazioni di legge[67], su segnalazione motivata della Ragioneria generale dello Stato (nell’ambito dei controlli di cui all’art. 148, comma secondo, d.lgs. n. 267/2000) ovvero della sezione regionale della Corte dei conti (nell’ambito dei controlli di cui all’art. 148 bis d.lgs. n. 267/2000)[68]: una possibilità che tanto più si giustifica in considerazione dei (rilevati) molto ristretti spazi di accesso al controllo giurisdizionale.

Delle stesse limitazioni rilevate risente anche la (diversa) iniziativa impugnativa che dovesse riguardare il decreto ministeriale di differimento del termine approvativo, la quale, anzi, conosce aggravamento quanto alla individuazione dell’interesse (concreto e attuale) al gravame[69]: una iniziativa, tuttavia, che, pur destinata (in via tendenziale) a trovare un ostacolo (molto) difficilmente sormontabile nell’esame preliminare di ammissibilità, è suscettibile di accelerare la procedura di approvazione del bilancio[70].

6. Una conclusione scontata, un percorso obbligato e una confidenza. – Gli elementi rilevati consegnano un dato conclusivo di evidenza macroscopica, e, comunque, ineludibile, il quale attiene alla insostenibilità finanziaria, e non solo contabile, di un assetto di disciplina che asseconda (se non alimenta) la permanente (fino alla stabilità), grave, estesa[71], inosservanza del principio di tempestività del bilancio: un principio che, come osservato, è immanente al sistema di bilancio e ne qualifica i diversi profili, coessenziali, di rilevanza funzionale. Elementi che fanno stato di una situazione gravemente patologica, ora percepita nella sua insostenibilità dalla stessa amministrazione pubblica (e, segnatamente, finanziaria: la Ragioneria generale dello Stato), la quale si prova ad introdurre dati prescrittivi volti ad arginare il fenomeno (nella impossibilità di porvi cessazione), che, pur suscettibili di produrre un (positivo) impatto limitativo (quanto alla estensione temporale dello “stato di eccezione”[72]), (da un lato) non possono riuscire a neutralizzarne l’incidenza pregiudizievole sul principio di buon andamento della pubblica amministrazione; e (da altro lato) confermano il persistente sacrificio del principio autonomistico, relegato in una posizione recessiva rispetto ad una supremazia uniformativa (di fonte autoritativa tecnica) degli assetti contabili che non solo non trova riscontro nel sistema costituzionale, ma ne rimane esclusa (finanche considerando i valori costituzionali più direttamente riferibili ai profili del bilancio e della contabilità pubblica[73]).

Elementi che fanno stato di una situazione di sostanziale ingiustiziabilità (come visto) del principio di tempestività del bilancio. A fronte dei quali, l’unico percorso che sembra riuscire ad assicurare una possibilità di superamento dell’attuale assetto (di disciplina e di consuetudine) è ravvisabile nell’intervento del legislatore, il quale si faccia carico del ripensamento (nei sensi prospettati) dell’istituto e dei profili di disciplina esaminati, ovvero anche, più in generale, del ripensamento dell’assetto dell’ordinamento contabile degli enti locali (e delle regioni), che sia espressione del necessario equilibrio tra le esigenze della armonizzazione (dei bilanci) e del coordinamento (finanziario) e quelle delle autonomie, in funzione del principio del buon andamento[74], e con valorizzazione della responsabilizzazione decisionale e della collaborazione tra i diversi livelli istituzionali: la qual cosa, peraltro, non implica lo smantellamento dell’attuale sistema di contabilità pubblica, e, segnatamente, di quello imposto agli enti territoriali, ma la sua trasformazione da ordine prescrittivo a criterio di orientamento nella regolazione contabile[75] (con ciò assicurando maggiore coerenza rispetto al dato costituzionale).

Se (già) il primo obiettivo risulta di complesso perseguimento, il secondo appare (allo stato) del tutto proibitivo, trovando ostacolo nella persistenza (e, quindi, nella stabilità) dell’impostazione del legislatore statale di accentrare nella (negli uffici e negli organismi della) Ragioneria generale dello Stato il compito della regolazione normativa (ma, in verità, tecnico-amministrativa) della intera contabilità degli enti autonomi territoriali[76]: con definizione di una disciplina minuziosa, ultra regolamentare, che riesce ad avere finanche forza legislativa se si considera che si trova esplicitata nell’ampio (pervasivo) apparato allegativo del d.lgs. n. 118/2011 (come detto, introdotto, in via integrativa e modificativa, dal d.lgs. n. 126/2014, al quale, come anche visto, la giurisprudenza costituzionale riconosce valenza di parametro interposto di costituzionalità in relazione al principio di armonizzazione dei  bilanci pubblici).

La confidenza attiene alle prospettive di riforma dei controlli amministrativi e del sistema di responsabilità contabile, e, quindi, alla riconsiderazione delle funzioni della Corte dei conti, le quali, pur permanentemente evocate, continuano a trovare espressione in interventi legislativi a carattere meramente congiunturale, privi di ogni organicità, essenzialmente concepiti in funzione di protezione (ovvero di riduzione degli spazi di esposizione) degli organi onorari e tecnici rispetto ai diversi profili di responsabilità amministrativa e contabile (e anche penale)[77], i quali, in quanto tali, molto) difficilmente potranno riuscire ad assicurare stabilità di soluzione alle esigenze (di volta in volta) considerate (e destinate a continua evoluzione) ed essere di effettivo contributo per la soluzione dei mille problemi della pubblica amministrazione, la quale, anzi, esposta a continue e contraddittorie sollecitazioni, rimane destinata a conoscere compromissioni funzionali ovvero di impatto regressivo, con rischio di logoramento dei delicati equilibri istituzionali e di alimentare reazioni di sistema. Proprio in considerazione della rilevanza di entrambi i profili di intervento, in relazione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97, comma secondo, Cost. – nella nuova declinazione che si è affermata in seguito alle profonde riforme amministrative che si sono susseguite a partire dagli scorsi anni Novanta[78] – si ritiene di dover segnalare (ribadire) la necessità di un intervento di sistema, il quale sia il risultato della equilibrata combinazione di esigenze e finalità, nella consapevolezza che le riforme amministrative, per poter trovare effettività (e contenere entro limiti fisiologici eventuali criticità), richiedono un disegno organico, che rimanga sottratto alle precipitazioni delle congiunture[79]. Un percorso (molto) impegnativo, che, peraltro, era sembrato essere alla portata dell’attuale maggioranza di governo, la quale (rispetto a quanto avvenuto nelle precedenti legislature) aveva dato l’impressione di poter disporre di un orizzonte politico di legislatura (e, comunque, più stabile), quale (pre)condizione per ogni riforma di sistema (la quale richiede un confronto parlamentare ampio e approfondito).

Tuttavia, la percezione che si ricava è che la suddetta confidenza sia destinata a rimanere tale, visti i contenuti disorganici e contraddittori della recente proposta di legge riguardante i controlli della Corte dei conti e la responsabilità contabile[80].


* Ricercatore e docente di Contabilità di Stato presso la Sapienza – Università di Roma.

[1] L. Sambucci, Il differimento del termine di approvazione del bilancio degli enti locali: una soluzione sbagliata e sospetta di incostituzionalità, in Amm. Cont. St. enti pubbl., www.contabilitapubblica.it, 2014.

[2] Significa che la mancata tempestiva approvazione del bilancio di previsione (in mancanza di soluzioni alternative) comporterebbe la paralisi della gestione finanziaria dell’ente pubblico interessato. E proprio al fine di evitare che una situazione tanto pregiudizievole potesse verificarsi, il Costituente ha previsto nella Costituzione repubblicana il cosiddetto esercizio provvisorio del bilancio (ora, art. 81, comma quinto, Cost.: nella formula originaria, era previsto al secondo comma del citato art. 81): un istituto – (un rimedio) a carattere eccezionale, concepito per fare fronte ad una situazione di emergenza (appunto, la mancata approvazione del bilancio di previsione al 31 dicembre) – che rende possibile (in via di eccezione, e, cioè, in mancanza di un bilancio approvato) la gestione finanziaria, in termini limitati (vedi art. 32 legge 31 dicembre 2009, n. 196), per il tempo stabilito dalla legge autorizzativa (dell’esercizio provvisori), comunque complessivamente non superiore a quattro mesi. Sulla natura eccezionale dell’esercizio provvisorio del bilancio, vedi L. Sambucci, La programmazione finanziaria negli enti locali, Napoli, 2009, 274; ma, sul punto specifico, vedi anche Corte cost. 13 aprile 2017, n. 80, ove si ritiene (esplicitamente) «l’esercizio provvisorio un’ipotesi eccezionale collegata ad eventi straordinari e comunque non fisiologici»: si tratta, insomma, di un dato acquisito all’ordinamento.

[3] Come noto, l’anno finanziario coincide con l’anno solare, e, quindi, va dal 1° gennaio al 31 dicembre: art. 20, comma secondo, legge n. 196/2009; art. 162, comma terzo, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267; art. 5, comma primo, d.p.r. 27 febbraio 2003, n. 97. Il termine entro il quale deve essere approvato il bilancio di previsione è fissato al 31 dicembre: (esplicitamente) art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000; art. 18, comma primo, lett. a), d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118; art. 24, comma primo, lett. a), d.lgs. 31 maggio 2011, n. 91.

[4] La rilevanza della tempestività (ovvero della tempestiva approvazione) del bilancio di previsione costituisce un dato stabilmente acquisito all’ordinamento: ne sono dimostrazione, in termini generali, la tensione e la precipitazione che, ogni anno, accompagnano i lavori parlamentari per l’approvazione della legge di bilancio, i quali – al fine di assicurare l’approvazione del bilancio entro il 31 dicembre – abitualmente si concludono con la posizione della questione di fiducia sul maxi emendamento governativo (una prassi, peraltro, espressamente criticata dalla giurisprudenza costituzionale: vedi Corte cost,. ord., 8 febbraio 2019, n. 17). Lavori parlamentari che, come noto, sono accompagnati da un forte fermento nel dibattito pubblico. In proposito, presenta specifica rilevanza la circostanza che a livello statale da quasi quaranta anni non si va in esercizio provvisorio (legge 26 febbraio 1988, n. 45), che, in passato, anche per lo Stato costituiva una eventualità non infrequente. Le ragioni della massima attenzione istituzionale per l’approvazione tempestiva del bilancio va ricercata nel consolidamento della consapevolezza (rigorosamente sollecitata dalle istituzione europee) in ordine alle gravi ripercussione economiche (in termini di allarme dei mercati e degli investitori: conseguenze tanto più gravi in un paese, come l’Italia, caratterizzato da un forte indebitamento pubblico, ai limiti della sostenibilità) suscettibili di essere determinate dal ritardo approvativo (obiettivamente indicativo della esistenza di difficoltà finanziarie ed economiche), e che (proprio in considerazione dell’elevato debito pubblico) ha assoluta necessità (non può fare a meno) di “vendere” i titoli di debito: una operazione che risulterebbe molto più onerosa (nel senso che i titoli dovranno essere offerti a tassi molto più vantaggiosi per gli investitori) nel caso in cui si determinasse una situazione di allarme ovvero di resistenza presso gli investitori stessi. Si tratta di un elemento meno impattante negli enti locali, i quali oggi molto raramente ricorrono (possono ricorrere) al debito mediante emissioni di titoli e obbligazioni, trattandosi di operazioni molto complesse e disciplinate in modo molto restrittivo (in quanto molto rischiosi non solo per gli stessi enti locali, ma anche per la finanza pubblica), con limitazioni rigorose anche di fonte costituzionale (art. 119, comma sesto, Cost.).

In termini specifici (e, cioè, con specifico riferimento agli enti locali), deve essere rilevato che l’ordinamento prevede una conseguenza di massima gravità in caso di mancata approvazione nei termini del bilancio di previsione, la quale, ai sensi dell’art. 141, comma primo, lett. c), d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, comporta lo scioglimento del consiglio comunale (ovvero del consiglio provinciale).

[5] In proposito, è sufficiente osservare – in massima sintesi – da un lato, che la programmazione economico-finanziaria è funzionale alla ottimale utilizzazione delle risorse disponibili, e, quindi, è direttamente funzionale ai criteri di efficacia, di efficienza e di economicità della gestione, i quali, come noto, danno sostanza al principio costituzionale di buon andamento (nella evoluzione che ha conosciuto all’esito delle riforme amministrative che si sono susseguite a partire dal 1990). La stessa diretta funzionalità è assolta dal carattere autorizzatorio e limitativo (ovvero, comunque, regolativo) della gestione finanziaria che connota il bilancio di previsione: anche in questo casso, con impatto diretto ed essenziale in termini di efficacia, efficienza e di economicità. Deve essere rilevato che un impatto diretto sui suddetti criteri (e sul richiamato principio) dalla funzione del bilancio di previsione quale strumento che rende possibile il corretto (l’effettivo) esercizio dei controlli gestionali, i quali, come noto (e sempre in massima sintesi), sono volti a verificare la realizzazione dei programmi, il conseguimento degli obiettivi, la valutazione dei risultati, al fine di assicurare (porre a disposizione dell’ente stesso) un contributo in termini migliorativi della gestione: contributo che costituisce l’essenza teleologica dei suddetti controlli. I dati sopra richiamati (come anche noto) trovano definizione proprio nel bilancio di previsione, nel quale (tra l’altro), appunto, sono stabiliti e descritti i programmi che l’ente intende realizzare, sono determinati gli obiettivi che l’ente intende conseguire in relazione a ciascun programma, sono anche specificati i parametri di efficacia, di efficienza e di economicità sulla base dei quali saranno valutati i risultati della gestione. (È utile rilevare che il diretto collegamento tra controlli gestionali e principio di buon andamento della pubblica amministrazione costituisce un dato stabile della elaborazione della giurisprudenza costituzionale: sul punto specifico, vedi, ex multis, Corte cost. 27 gennaio 1993, n. 29). Risulta, così, evidente come la tardiva approvazione del bilancio (nella migliore delle ipotesi) renda (molto) più complicato l’esercizio dei controlli gestionali, con impatto negativo sui suddetti principi. Ovviamente, è suscettibile di produrre impatto sul principio di buon andamento anche la (richiamata) funzione del bilancio quale strumento di garanzia degli equilibri e della stabilità finanziari: funzione che, come visto, trova una sua specifica “copertura” costituzionale.

[6] Detto del 2023, è necessario rilevare che nel 2022, dopo diversi differimenti, il temine approvativo del bilancio di previsione degli enti locali è stato fissato, infine, al 31 agosto 2022; e nel 2021, al 31 maggio; nel 2020, il termine è stato differito fino al 31 ottobre (ma, si dirà, era l’anno del COVID). Per ritrovare situazione di tale gravità, bisogna risalire al 2013, quando il termine per l’approvazione del bilancio degli enti locali fu differito fino al 30 novembre; nel 2012, il termine fu (infine) fissato al 31 ottobre; nel 2014 e nel 2015, al 30 settembre. Dal 2016 al 2019 era sembrato di cogliere un sussulto di attenzione rispetto al suddetto principio di tempestività del bilancio: per l’approvazione dei bilanci dei Comuni, differimento al 30 aprile nel 2016 e al 31 marzo nel 2017, nel 2018 e nel 2019 (per le Province e le Città metropolitane, differimento al 31 luglio nel 2016 e al 30 giugno nel 2017; al 31 marzo nel 2018 e nel 2019).

[7] È utile rilevare che quello della programmazione costituisce un principio generale dell’ordinamento finanziario e contabile (art. 7 legge n. 196/2009; artt. 3 e 36 d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118; art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000).

[8] Non di rado, il differimento del termine viene disposto con disposizione legislativa: in tal caso, la deroga al termine di legge (31 dicembre) trova radice nel principio ordinamentale secondo cui, in via generale, una norma può essere modificata (ovvero derogata) da (sulla base di) un’altra norma (successiva) avente pari forza formale.

[9] Anche negli enti locali, nel corso dell’esercizio provvisorio del bilancio la gestione finanziaria è ammessa entro termini limitati. Sul punto, vedi le disposizioni di cui all’art. 163 d.lgs. n. 267/2000 (ove, peraltro, si distingue tra esercizio provvisorio e gestione provvisoria), ove si stabilisce (tra l’altro) che «nel corso dell’esercizio provvisorio»: (comma terzo) «non è consentito il ricorso all’indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti  le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri  interventi di somma urgenza»; (comma quinto) gli enti possono impegnare mensilmente (unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti), per ciascun programma, le spese correnti ( e le altre spese previste al terzo comma) «per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l’anno precedente» (ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell’importo accantonato al fondo pluriennale vincolato), «con l’esclusione delle spese»: «tassativamente regolate dalla legge»; «non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi»; «a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti». (Per l’esercizio provvisorio del bilancio delle regioni, vedi art. 43 d.lgs. n. 118/2011).

È utile rilevare che negli enti locali (ma anche nelle regioni) dall’esercizio provvisorio si distingue la gestione provvisoria (art. 163, comma secondo, d.lgs. n. 267/2000), che si ha quando il bilancio di previsione non venga approvato entro il 31 dicembre ovvero entro il termine differito. Tale eventualità, come visto (sub nota 4), comporta lo scioglimento dell’organo consiliare, con attivazione della procedura di cui all’art. 141, comma secondo, d.lgs. n. 267/2000. Nel corso della gestione provvisoria, l’ente, nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell’ultimo bilancio approvato (e fino all’approvazione del nuovo bilancio da parte del commissario ad acta di cui alla disposizione legislativa ultima citata): può assumere solo obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, quelle tassativamente regolate dalla legge e quelle necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all’ente; e può disporre pagamenti solo per l’assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, per le spese di personale, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, e, in particolare, per le sole operazioni necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all’ente.

[10] In effetti, se è vero che il dispositivo del decreto è formulato in termini generali (sia con riferimento al differimento del temine sia con riferimento all’autorizzazione dell’esercizio provvisorio); è altrettanto vero che nella parte motiva si fa riferimento alla lettera (del 20 novembre 2023) di richiesta di differimento formulata da ANCI e UPI, nella quale sono richiamate le incertezze nel quadro della finanza locale: derivanti «dalla regolazione finale, nel 2024, della certificazione delle risorse Covid»; e in relazione «all’accantonamento delle risorse per i rinnovi contrattuali e per gli effetti dell’applicazione del CCNL  2019-2021 del personale del comparto».

[11] Il d.m. 25 luglio 2023, (pubblicato) in G.U. 4 agosto 2023, n. 181, ha ad oggetto: «aggiornamento degli allegati al decreto legislativo 23 giugno 2011, 118» (recante, come noto, «disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42».

[12] Si tratta di un dato normativo che, in relazione a quanto rilevato sub nota 10, implica che il differimento del termine di approvazione del bilancio 2024/2026 (disposto con il citato d.m. 22 dicembre 2023) riguarda solo gli enti locali interessati dagli elementi di incertezza finanziaria richiamati nella suddetta lettera (ANCI e UPI) del 20 novembre 2023. Si tratta di un dato normativo che implica una apposita deliberazione dell’ente locale (e, nello specifico, dell’organo consiliare ovvero assembleare) di autorizzazione dell’esercizio provvisorio (in generale, in odine alle ragioni della mancata approvazione nel temine del bilancio; nello specifico, in relazione alla sussistenza dei presupposti previsti dal d.m. 22 dicembre 2023 ovvero dal decreto ministeriale che – ai sensi dell’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000 – dispone il differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali). A fronte delle incertezze manifestate dagli stessi enti locali, il Ministero dell’Economia e delle finanze (ovvero la Ragioneria generale dello Stato ovvero, nello specifico, Arconet) ha dato indicazioni con una faq (n. 54), precisando che «gli enti che intendono avvalersi del rinvio del termine di approvazione del bilancio di previsione 2024-2026 possono indicare le motivazioni che non hanno consentito l’approvazione del bilancio nei termini, individuate tra quelle previste nel DM del 22 dicembre 2023, nella deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione». Ora, in disparte l’anomalia della forma di note esplicative relative a disposizioni normative (di natura ultra regolamentare) suscettibili di produrre un impatto molto rilevante (anche sugli assetti istituzionali dell’ente, se si considera che la mancata approvazione del bilancio nei termini determina lo scioglimento dell’organo consiliare) – la quale è dimostrativa (se ancora ve ne fosse bisogno) non solo della cancellazione dall’ordinamento dell’autonomia contabile e finanche del potere regolamentare (in materia di contabilità) degli enti locali, ma della supremazia che la Ragioneria generale dello Stato ritiene di poter esercitare rispetto agli enti autonomi territoriali; deve essere rilevato che la soluzione prospettata dall’organismo tecnico – pur sembrando concepita in funzione della semplificazione deli adempimenti a carico degli stessi enti locali – oltre a non poter essere considerata (già solo per la sua natura) risolutiva rispetto a prescrizioni normative, (e anche per questo) apre spazi di possibile contestazione in sede di controllo (come noto, sui bilanci degli enti locali viene svolto un controllo di tipo legalistico dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 148 bis d.lgs. n. 267/2000), oltre che in via amministrativa e in via giurisdizionale rispetto al bilancio: e, quindi, i problemi per gli enti locali aumentano (non diminuiscono). Da altro lato, le indicazioni esplicative (proprio perché ammissive di una motivazione postuma) sono suscettibili di neutralizzare anche la finalità limitativa perseguita con l’introduzione delle nuove prescrizioni relative al differimento del termine approvativo e all’esercizio provvisorio del bilancio negli enti locali.

[13] Significative in tal senso sono le disposizioni di cui all’art. 16, comma 9 ter, d.l. 9 agosto 2022, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2022, n. 142, ove si stabilisce che, «per favorire l’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali entro i termini previsti dalla legge», con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), di concerto con il Ministero dell’interno (Dipartimento per gli affari interni e territoriali) e con la Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie), su proposta della Commissione per l’armonizzazione degli enti territoriali di cui all’art. 3-bis d.lgs. n. 118/2011, nel principio contabile applicato concernente la programmazione di bilancio di cui all’allegato 4/1 al medesimo d.lgs. n. 118/2011 «sono specificati i ruoli, i compiti e le tempistiche del processo di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali, anche nel corso dell’esercizio provvisorio».

[14] È già stata rilevata criticamente la pervasività dell’intervento dello Stato nella disciplina della contabilità degli enti locali, come risultante dalle disposizioni di cui al(la parte seconda del) d.lgs. n. 267/2000, ulteriormente irrigidite dalle norme del d.lgs. n. 118/2011 (introdotte, in via modificativa e integrativa, dal d.lgs.10 agosto 2014, n. 126, che ha anche aggiunto numerosi allegati – diciassette – dai contenuti prescrittivi ultra regolamentari): un intervento (che è stato) giustificato con lo “spostamento” della materia «armonizzazione dei bilanci pubblici» dalle materie a legislazione concorrente di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. in quelle a legislazione esclusiva dello Stato (di cui al secondo comma del citato art. 117, secondo le modificazioni introdotte dall’art. 3 legge cost. 20 aprile 2012, n.1). Una impostazione (peraltro, avvalorata dalla giurisprudenza costituzionale) che, in verità, rimane esclusa già solo considerando la denominazione della materia stessa, la quale – utilizzando il termine «armonizzazione» – presuppone l’esistenza di distinte discipline della contabilità degli enti autonomi, in relazione alle quali il citato legislatore costituzionale ha inteso assicurare un minimo livello di omogeneità; né può riuscire a trovare giustificazione nelle disposizioni di cui all’art. 117, comma sesto, Cost., in ordine alla potestà regolamentare (la quale, comunque, non può ritenersi estesa ad ogni aspetto della contabilità delle autonomie). Una impostazione che, di fatto, ha cancellato l’autonomia contabile degli enti autonomi territoriali, ed ha ridotto l’ordinamento contabile (dei suddetti enti) ad un sistema di adempimenti e il bilancio ad uno strumento a carattere essenzialmente informativo e funzionale ai controlli. Sulla questione, vedi ampiamente L. Sambucci, Corte costituzionale e armonizzazione dei bilanci pubblici: il difficile bilanciamento dei principi di autonomia e delle esigenze di unitarietà della finanza pubblica, in www.nomosleattualitadeldiritto.it, 3/2017; ma vedi anche ID., Autonomia contabile delle regioni e armonizzazione dei bilanci pubblici: le tentazioni invasive dello Stato, in Amm. Cont. Stato enti pubbl. (www.contabilitapubblica.it), 2014.

[15] Come noto, all’art. 117, comma sesto, Cost. si stabilisce che «i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite»: disposizioni che danno radice costituzionale anche al potere regolamentare degli enti autonomi territoriali in materia di contabilità.

[16] Deve essere rilevato che il citato d.m. 25 luglio 2023 è stato fatto oggetto di critiche da parte delle associazioni rappresentative degli enti locali (ANCI e UPI), soprattutto con riferimento alle prescrizioni riguardanti il «processo di bilancio» (con l’integrazione del paragrafo 9.3 dell’allegato 4/1): in tal senso, vedi la nota di ANCI e IFEL, nella quale, tra l’altro, si rileva criticamente che le richiamate «prescrizioni costituiscono una evidente lesione dell’autonomia regolamentare riconosciuta agli enti locali in materia di contabilità ed organizzazione delle proprie attività».

[17] Sulla questione, vedi L. Sambucci, Il differimento del termine di approvazione del bilancio degli enti locali, cit., 5.

[18] In disparte quanto già osservato (vedi, in particolare, sub nota 4), deve essere rilevato che il sistematico differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali è suscettibile di essere compromissivo del principio costituzionale di buon andamento (non solo perché difficilmente compatibile ovvero certo poco coerente con un sistema amministrativo orientato ai risultati e pervaso da una cultura “gestionale”, ma) anche perché: da un lato, costituisce un ostacolo al radicamento, nell’amministrazione pubblica, della “cultura” della programmazione, e, segnatamente, della programmazione finanziaria, la quale, così, continuerà a trovare applicazione in una logica meramente adempimentale, e non quale strumento necessario per la migliore gestione delle risorse disponibili; e, da altro lato, allontana dall’impegno programmatorio gli amministratori (onorari e tecnici), i quali, ben sapendo che, come ogni anno, il termine per l’approvazione del bilancio sarà differito, non si adoperano ai fini della tempestiva (prima che abbia inizio l’anno di riferimento) approvazione dei documenti della programmazione finanziaria.

[19] Si tratta di un dato che espone a dubbi di legittimità costituzionale la stessa disposizione (di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000) ammissiva della possibilità di differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali, nella parte in cui non fissa un limite massimo (il quale, in necessaria coerenza con il richiamato dato costituzionale, non può superare i quattro mesi). Dubbi che possono essere risolti solo a fronte di una interpretazione costituzionalmente orientata della suddetta disposizione legislativa, la quale implica la sussistenza di un termine massimo (del differimento) di quattro mesi (in necessaria coerenza, come detto, delle disposizioni di cui all’art. 81, comma quinto, Cost.) e comporta, come rilevato, una situazione di manifesta illegittimità costituzionale tutte le volte in cui il suddetto termine viene differito oltre il mese di aprile.

[20] In proposito, deve essere rilevato che il legislatore statale, con il citato d.lgs. n. 118/2011 (come profondamente modificato dal d.lgs. 10 agosto 2014, n. 126), come anche detto, ha disciplinato in molto minuzioso, ultra regolamentare, la contabilità delle regioni; apportando, peraltro, estese modificazioni anche alla disciplina della contabilità degli enti locali, (anch’essa) minutamente regolamentata dal(la parte seconda del) citato d.lgs. n. 267/2000. Una opzione applicativa (molto) difficilmente compatibile con la stessa formula letterale – «armonizzazione dei bilanci pubblici» – utilizzata dal legislatore costituzionale (art. 3 legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), la quale esclude ogni possibile uniformazione normativa, in quanto presuppone l’esistenza (ovvero la potenziale esistenza) di discipline contabili differenti (espressive, in generale, del principio autonomistico, e, nello specifico, di autonomia contabile), rispetto alle quali assicurare un livello minimo di omogeneità (discipline da armonizzare, ove già esistenti; ovvero da definire in armonia con il sistema contabile pubblico). È proprio il (riferito) dato costituzionale ad escludere che il potere legislativo statale possa ritenersi esteso fino alla disciplina minuziosa ovvero regolamentare della contabilità delle regioni e degli enti locali. Anche perché in tal caso il citato legislatore costituzionale (non avrebbe certo utilizzato il termine «armonizzazione», e) si sarebbe espresso (con elementare chiarezza) in termini di «sistema contabile pubblico» sul punto, vedi anche sub nota 14). Sulla difficile compatibilità della richiamata opzione interpretativa con il dato costituzionale, vedi L. Sambucci, Corte costituzionale e armonizzazione dei bilanci pubblici, cit., 10.

[21] Per rimanere solo alle pronunce dell’anno in corso: Corte cost. 16 giugno 2023, n. 122; Corte cost. 8 giugno 2023, n. 114; Corte cost. 2 maggio 2023, n. 81. In termini generali, sulla questione, vedi Corte cost. 13 aprile 2017, n. 80, ove, all’esito delle nuove disposizioni costituzionale introdotte dalla legge cost. 20 aprile 2012, n. 1 (e in relazione alla nuova disciplina introdotta dal citato d.lgs. n. 126/2014), si rileva, peraltro, che «l’autonomia degli enti territoriali nella materia dell’espressione finanziaria e contabile viene circoscritta, ma non certo eliminata» (sul tema, vedi anche Corte cost. 20 luglio 2016, n. 184).

[22] Viene a determinarsi una situazione in cui lo Stato approva il proprio bilancio di previsione alla fine del mese di dicembre; le regioni, per la maggior parte, approvano i rispettivi bilanci tempestivamente (ovvero, comunque, ricorrono all’esercizio provvisorio in termini che riescono a rimanere nei limiti della fisiologia finanziaria); gli enti locali, nella maggior parte dei casi, approvano i rispettivi bilanci ad esercizio finanziario ampiamente inoltrato, e molto spesso (anche molto) oltre il mese di aprile.

[23] Un bilancio che ogni anno, permanentemente, viene approvato (quando va bene) alla fine di marzo o di aprile, ma anche (quando va male) a giugno e anche oltre, non è (più) un bilancio annuale (ovvero lo è solo fittiziamente).

[24] Per lo Stato (ovvero, dal punto di vista tecnico, per il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che si occupa dell’acquisizione dei dati, della loro analisi ed elaborazione in funzione della predisposizione del bilancio dello Stato), ciò che rileva principalmente è che il bilancio di ogni singolo ente locale sia affidabile (siano affidabili i dati ivi contenuti), quale garanzia effettiva degli equilibri finanziari e della stabilità della finanza locale: la qual cosa è suscettibile di trasformare il bilancio in uno strumento a carattere meramente (ovvero essenzialmente) informativo e di controllo; con neutralizzazione della funzione programmatoria (e decisionale) e (come visto) anche di quella autorizzatoria. Per molti enti locali, l’approvazione del bilancio (continua a) presenta(re) profili di rilevante problematicità, in considerazione del persistente stato di sofferenza della finanza locale, aggravato dalla rigorosità dei vincoli di bilancio (e dello scarso coordinamento finanziario tra i diversi livelli istituzionali): per cui lo spostamento in avanti del termine approvativo riesce ad essere di (provvisorio) sollievo per tutti quegli enti locali (perpetuamente) alle prese con la ricerca e la garanzia degli equilibri finanziari (con sacrificio, tuttavia, degli altri profili funzionali del bilancio). Si tratta di esigenze che trovano una parziale considerazione nella potestà di differimento del termine approvativo, il cui esercizio, da un lato, permette agli enti locali di recepire nei rispettivi bilanci le misure finanziarie contenute nella legge di approvazione del bilancio dello Stato (la quale, come noto, viene approvata proprio a ridosso del 31 dicembre): la qual cosa è suscettibile di rendere più affidabili i bilanci degli enti locali. Da altro lato, il differimento del termine approvativo rende meno stringenti le scadenze del sistema contabile ed estende lo spazio temporale (a disposizione degli enti locali) per riuscire ad assicurare, con maggiore stabilità, l’osservanza dei vincoli di bilancio.

[25] Le disposizioni di cui agli artt. 151, comma primo, e 163, comma terzo, d.lgs. n. 267/2000 rendono evidente come in relazione agli enti locali la “decisione” di autorizzare l’esercizio provvisorio del bilancio sia riconducibile allo Stato (che vi provvede con legge ovvero a mezzo di decreto ministeriale) e rimanga sottratta alla valutazione dell’organo consiliare (con precipitati non certo irrilevanti: vedi infra sub nota 34). Si tratta di un dato che, peraltro, rivela un profilo di problematica legittimità costituzionale in relazione ai principi di uguaglianza e ragionevolezza, se si considera che, invece, a livello regionale è la stessa regione (ai sensi dell’art. 43 d.lgs. n. 118/2011) ad autorizzare (con legge regionale) l’esercizio provvisorio del bilancio regionale. Si tratta di una differenza (nella disciplina ordinamentale) che si presenta difficilmente coerente con la natura ontologicamente paritaria dell’autonomia costituzionale degli enti territoriali, all’esito della riforma costituzionale introdotta da legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3: fermo restando le differenti prerogative e funzioni riconducibili ai principi costituzionali, le quali, tuttavia, non riescono a giustificare la differente disciplina dell’esercizio provvisorio del bilancio a livello regionale e di enti locali): tanto più se si considera che, nel caso, specifico, (le differenze) involgono le prerogative funzionali degli organi di governo (degli enti territoriali). La rilevata (in termini problematici) asimmetria ordinamentale (tra i diversi livelli degli enti autonomi) trova un ulteriore riscontro (pure di una certa rilevanza) che negli enti locali la mancata approvazione nei termini del bilancio di previsione (art. 141, comma primo, lett. c, d.lgs. n. 267/2000), del rendiconto (art. 227, comma secondo bis, d.lgs. n. 267/2000) e anche della deliberazione di salvaguardia degli equilibri di bilancio (art. 193, comma quarto, d.lgs. n. 267/2000) comporta l’attivazione della procedura di scioglimento dell’ente; eventualità e conseguenze che, invece, non sono previste in modo specifico con riferimento alle regioni, rispetto alle quali la (possibile) conseguenza è prevista, in termini generali, all’art. 126, comma primo, Cost., ove è stabilito (tra l’altro) che «con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge»; e «possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale». In relazione alla suddetta disposizione costituzionale, all’art. 17, comma primo, lett. e), legge 5 maggio 2009, n. 42 è stabilito che tra i casi di grave violazione di legge di cui all’art. 126, comma primo, Cost. «rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali». Si tratta di un dato legislativo che, pur autorizzando a ritenere che anche la mancata approvazione del bilancio della regione (ad esempio, neppure alla conclusione dell’esercizio provvisorio) possa essere valutata quale grave violazione di legge (ai sensi del primo comma del citato art. 126 Cost.), non rimuove l’asimmetria rispetto alla impostazione riferita agli enti locali (né la rilevata asimmetria non è suscettibile di essere rimossa dall’eventuale esercizio del potere sostitutivo di cui all’art. 120, comma secondo, Cost., con le modalità stabilite dall’art. 8 legge 5 giugno 2003, n. 131, il quale non implica lo scioglimento dell’ente).

[26] Deve pur essere rilevato che anche nell’ipotesi interpretativa proposta, il dato costituzionale (relativo alla durata massima dell’esercizio provvisorio del bilancio) rimane sistematicamente vulnerato, in quanto, come visto, il termine viene (stabilmente) differito ben oltre il mese di aprile (nelle situazioni di più grave patologia, anche a settembre, e finanche ad ottobre e novembre).

[27] In mancanza di indicazione specificative, il legislatore (ad una lettura meramente letterale) sembra affidare l’esercizio della suddetta potestà di differimento alla più ampia discrezionalità del Ministro dell’interno e del Ministro dell’economia e delle finanze, ai quali si impone semplicemente un (indefinito, rimanendo al mero dato testuale) obbligo motivativo; i quali si attivano («d’intesa») in seguito a sollecitazione della («sentita la») Conferenza Stato-città ed autonomie locali. A (facile) riscontro di quanto rilevato, è sufficiente osservare che nel richiamato d.m. 28 luglio 2023 (che, come visto, ha disposto il differimento al 15 settembre 2023) si rileva che «l’Associazione nazionale dei comuni italiani (A.N.C.I.) e l’Unione province d’Italia (U.P.I.) hanno chiesto il differimento del predetto termine al 15 settembre 2023, anche in considerazione dei ritardi relativi all’insediamento dei nuovi Consigli comunali e della situazione di emergenza dovuta ai recenti eventi atmosferici straordinari»: e in considerazione della suddetta lettera, il Ministro dell’interno, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, ha «ritenuto pertanto necessario e urgente differire al 15 settembre 2023 il termine della deliberazione da parte degli enti locali del bilancio di previsione riferito al triennio 2023/2025».

[28] I limiti all’esercizio della potestà di differimento risiedono, quindi, proprio nella stabilità (e nella rilevanza) dei richiamati valori costituzionali, i quali, tuttavia, come rilevato, rimarrebbero esposti a facile compromissione a fronte di una interpretazione meramente letterale della disposizione legislativa esaminata, che (come visto) sembrerebbe attribuire all’autorità amministrativa il potere di disporre (praticamente) senza limiti, la deroga ad un principio generale (quello di tempestività del bilancio) del sistema contabile: un precipitato che rende la disposizione legislativa poco coerente con il principio di ragionevolezza.

[29] Pur permettendo di resistere ai precipitati di una concezione sostanzialistica delle disposizioni di cui al quinto comma dell’art. 81 Cost., in combinazione con quelle di cui al quarto comma: vedi nota successiva).

[30] In verità, i suddetti profili di autonomia sono suscettibili di rimanere incisi (non dalla potestà attribuita allo Stato di differire il termine e di autorizzare contestualmente l’esercizio provvisorio, ma, eventualmente) laddove il richiamato sistema normativo voglia essere inteso come sottrattivo della possibilità per il singolo ente locale di disporre autonomamente (con deliberazione dell’organo consiliare) l’esercizio provvisorio (in presenza di elementi concreti ed eccezionali che precludano l’approvazione del bilancio di previsione entro il 31 dicembre), e, cioè, indipendentemente ovvero in mancanza del differimento del termine approvativo: in siffatta ipotesi, infatti, non può ritenersi precluso all’ente locale di autorizzare (come detto, in casi eccezionali, e, comunque, in coerenza con il dato costituzionale) l’esercizio provvisorio del bilancio. Anche nell’eventualità ora considerata, deve prevalere una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui all’art. 163 d.lgs. n. 267/2000, la quale non può prescindere da una concezione sostanzialistica dei principi di cui al quinto comma dell’art. 81 Cost., e, in particolare, della disposizione che stabilisce che l’esercizio provvisorio del bilancio deve essere autorizzato con legge. Sul punto, deve essere rilevato che se è indubbio che i principi di cui al citato art. 81 riguardano il bilancio dello Stato, è altrettanto indiscutibile che gli stessi principi si estendono a tutti i livelli istituzionali, ferme restando le specificazioni stabilite in altre disposizioni costituzionali (e, in particolare, all’art. 119 Cost.). Ciò posto, il principio sostanziale sotteso al richiamato dato costituzionale (in disparte il profilo formalistico) si rinviene nel fatto che il potere di autorizzare l’esercizio provvisorio del bilancio è riservato all’organo assembleare titolare del potere di approvare il bilancio: e, quindi, a livello statale, l’esercizio provvisorio deve essere autorizzare con legge perché il bilancio è approvato con legge; e lo stesso deve avvenire a livello regionale, in quanto il bilancio della regione è approvato con legge regionale. Negli enti locali, tuttavia, il bilancio è approvato con una deliberazione dell’organo consiliare (comunale, provinciale, metropolitano), e, quindi, (nei suddetti enti) è proprio l’organo consiliare che (ove ve ne sia necessità) deve autorizzarne l’esercizio provvisorio (ovvero, in sostanza, il differimento del termine del 31 dicembre). Si tratta, peraltro, di un elemento ricostruttivo che non solo non incide la disposizione di cui all’art. 163, comma terzo, d.lgs. n. 267/2000, ma, anzi, riesce a trovarvi un riscontro obiettivo, se si considera che al (primo periodo del) primo comma del citato art. 163 si stabilisce che «se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell’anno precedente, la gestione finanziaria dell’ente si svolge nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l’esercizio provvisorio o la gestione provvisoria»: una disposizione che lascia percepire il carattere generale dell’istituto (e della sottesa esigenza tutelata), rispetto al quale il dato di cui al successivo terzo comma non esaurisce le possibilità autorizzative. (Una lettura che, peraltro, rimane confortata dalle disposizioni di cui all’art. 5, comma primo, d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 – recante l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali; in seguito, trasfuso nella parte seconda del citato d.lgs. n. 267/2000, con il quale, come noto, è stato approvato il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – ove si stabiliva che, nelle more dell’approvazione del bilancio di previsione da parte dell’organo regionale di controllo, l’organo consiliare dell’ente delibera l’esercizio provvisorio, per un periodo non superiore a due mesi, sulla base del bilancio già deliberato). Tanto più se si considera che proprio lo stesso ordinamento contabile prevede la possibilità di differimento in via amministrativa (oltre che con legge) del termine approvativo e (dell’esercizio provvisorio del bilancio.

Diversamente sarebbe configurabile una lesione dell’autonomia contabile, in quanto gli enti locali rimarrebbero privati della possibilità di disciplinare aspetti della proprio sistema contabile; dell’autonomia finanziaria, in quanto privati dello strumento (apprestato dall’ordinamento) per fare fronte a ritardi della procedura approvativa (se può capitare a livello statale e regionale, può capitare anche a livello di enti locali, e può capitare anche per esigenze di coordinamento finanziario: vedi infra sub nota 35); e anche, più in generale, dell’autonomia politica, in quanto, come visto, l’ordinamento prevede che la mancata approvazione (nel termine) del bilancio di previsione comporta lo scioglimento dell’organo consiliare (e, quindi, nuove elezioni).

[31] Peraltro, deve essere rilevato che le modificazioni apportate dal d.lgs. n. 126/2014 (come detto modificativo del d.lgs. n. 118/2011, e del d.lgs. n. 267/2000) alla disciplina della contabilità degli enti locali (parte seconda del d.lgs. n. 267/2000) hanno introdotto elementi (riguardanti la disciplina della gestione finanziaria nel corso dell’esercizio provvisorio) che hanno “incentivato” (e, comunque, sono del tutto insuscettibili di disincentivare) il ritardo nell’approvazione del bilancio di previsione (rispetto al termine fisiologico: 31 dicembre). Infatti, sulla base della nuova disciplina (vedi, in particolare, l’art. 163 d.lgs. n.- 267; ma vedi anche il paragrafo 8 dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011), pur rimanendo esplicitamente esclusa la possibilità, nel corso dell’esercizio provvisorio, di fare ricorso all’indebitamento e pur essendo limitata la possibilità di impegno alle sole spese correnti e alle eventuali spese per lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza, la cosiddetta gestione per dodicesimi risulta ora esclusa (oltre che per le spese tassativamente regolate dalla legge e per quelle non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi) anche per le spese a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti; inoltre, è anche possibile il ricorso alle anticipazioni di tesoreria ai sensi dell’art. 222 d.lgs. n. 267/2000. Quindi, risultano meno impattanti (ovvero meno problematiche) le limitazioni alla gestione finanziaria dell’ente nel corso dell’esercizio provvisorio del bilancio. Nel corso dell’esercizio provvisorio è anche possibile procedere, nel rispetto dei limiti prescritti dalla gestione “per dodicesimi”, a nuove assunzioni di personale, i cui oneri sono riconducibili alle spese correnti. Si tratta di un dato: che si trova positivizzato all’art. 6, comma settimo, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2021, n. 113, ove si stabilisce (tra l’altro) che, «in caso di differimento del termine previsto a legislazione vigente per l’approvazione del bilancio, gli enti locali, nelle more dell’approvazione del Piano [integrato di attività e organizzazione], possono aggiornare la sottosezione relativa alla programmazione del fabbisogno di personale al solo fine di procedere, compatibilmente con gli stanziamenti di bilancio e nel rispetto delle regole per l’assunzione degli impegni di spesa durante l’esercizio provvisorio, alle assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato»; e che trova riscontro nelle valutazioni della Corte dei conti, la quale ritiene che nel corso dell’esercizio provvisorio del bilancio, in ordine alle assunzioni di personale, «occorre rispettare il comma 5 dell’art. 163 TUEL, che consente di poter procedere all’assunzione di spese correnti, come anche quelle relative all’assunzione di personale, nel limite dei dodicesimi (cfr., Sez. Contr. Puglia, deliberazione n. 37/2020/PAR nonché Sez. Contr. Campania, deliberazione n. 28/2020/PAR)»: Corte conti, sez. contr. reg. Sicilia, 15 febbraio 2023, n. 48.

[32] Un elemento di criticità che non riesce ad essere affievolito dalla osservazione che lo stesso (ovvero analogo) effetto neutralizzativo (del disposto di cui al primo comma del citato art. 151) potrebbe essere conseguito ove l’ente locale autorizzasse ogni anno l’esercizio provvisorio del bilancio. Una eventualità che (fermo restando che, comunque, non si potrebbe andare oltre il mese di aprile) implicherebbe un’assunzione piena di responsabilità da parte dell’ente in ordine alla inosservanza del richiamato principio di tempestività e alle relative conseguenze. Si tratterebbe, peraltro, di un elemento di criticità che non potrebbe sfuggire alla rilevazione e alla analisi dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente nell’esercizio dei controlli di cui all’art. 239 d.lgs. n. 267/2000) e della sezione regionale di controllo della Corte dei conti (nell’esercizio dei controlli di cui all’art. 148 bis d.lgs. n. 267/2000; e, in verità, non dovrebbe sfuggire neppure ai responsabile dei servizi – e, in particolare, al responsabile del servizio finanziario – dell’ente nell’esercizio dei controlli di cui all’art. 147, comma secondo, lett. c, d.lgs. n. 267/2000); e che potrebbe ben rilevare come segnale di allarme in ordine alla sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di dissesto finanziario (ai sensi degli artt. 244 ss. d.lgs. n. 267/2000). Rilevazioni (critiche) che certo risulterebbero più problematiche (anche se non escluse) nel caso in cui il differimento del termine approvativo del bilancio di previsione sia disposto dallo Stato (con legge ovvero con il decreto ministeriale di cui al richiamato art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000).

[33] Inoltre, come pure rilevato (vedi sub nota 18), il sistematico differimento del termine approvativo produce un impatto dissuasivo in ordine alla attuazione del principio di programmazione: gli organi (onorari e tecnici) dell’ente, ben sapendo che il termine per l’approvazione del bilancio di previsione sarà differito, si attiveranno (si organizzeranno) per l’apprestamento delle relative attività (tecniche e valutative) propedeutiche in funzione della nuova “scadenza” che si è affermata in via di prassi, e che quasi mai è stata fissata prima della fine del mese di marzo. Ne consegue che, in siffatto contesto, la funzione programmatoria del bilancio degli enti locali (non solo) risulta in concreto del tutto obliterata (ma rischia di non essere neppure percepita): con impatto (come detto) inevitabilmente compromissivo in termini di buon andamento della pubblica amministrazione.

[34] Posto che, come rilevato, il differimento del termine non preclude all’ente locale di approvare il bilancio di previsione entro il 31 dicembre, rimangono non esplicitate le ragioni per le quali l’ente stesso abbia ritenuto di avvalersi del differimento (ovvero di non approvare entro il suddetto termine il bilancio). Si tratta di un elemento che sottrae la relativa (implicita) decisione di andare in esercizio provvisorio (quale conseguenza della mancata approvazione del bilancio prima dell’inizio dell’anno finanziario) al controllo politico: non essendovi (come detto) alcuna deliberazione dell’organo consiliare in ordine a tale aspetto, i consiglieri non sono posti nelle condizioni di valutare le ragioni (ovvero le cause) per le quali l’ente non è riuscita ad approvare il bilancio entro il 31 dicembre.

[35] Sulla distinzione tra coordinamento statico e coordinamento dinamico della finanza pubblica, vedi A. Brancasi, Ambito e regole del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario: il quadro costituzionale, in Atti del Convegno “Il coordinamento dinamico della finanza pubblica” tenutosi presso l’Università di Cagliari il 15-16 ottobre 2011, Napoli, 2012, 3, ove si rileva che «le disposizioni di “coordinamento statico” per la funzione svolta, di esplicazione-attuazione del disegno costituzionale, e per il tipo di regole che stabiliscono, che riguardano anche il “coordinamento dinamico”, si pongono su un piano di sovraordinazione rispetto alle specifiche disposizioni del “coordinamento dinamico”». Vedi anche L. Cavallini Cadeddu, Il coordinamento dinamico della finanza pubblica nelle riforme, in www.federalismi.it, 2011; G. Rivosecchi, Il coordinamento dinamico della finanza pubblica tra patto di stabilità, patto di convergenza e determinazione dei fabbisogni standard degli enti territoriali, in www.rivistaaic.it, 2012, 2, secondo cui le disposizioni del coordinamento dinamico sono «orientate a disciplinare le modalità e la misura del contributo degli enti territoriali ai mutevoli (in relazione al ciclo economico-finanziario) obiettivi di governo dei conti pubblici»; quelle del coordinamento statico («solitamente poste in fonti di rango costituzionale o, a seconda degli ordinamenti, in leggi organiche» sono «volte invece a predeterminare le rispettive tipologie di entrata e gli ambiti di spesa loro riservate».

[36] In proposito, è utile rilevare – a conferma dell’impatto obiettivo, già solo in termine generali ed astratti, della manovra di bilancio dello Stato sulla finanza degli enti locali – che nella prima sezione della legge di bilancio (dello Stato) sono contenute (tra le altre), ai sensi dell’art. 2, comma primo ter, lett. g), legge 31 dicembre 2009, n. 196, «le norme eventualmente necessarie a garantire il concorso degli enti territoriali agli obiettivi di finanza pubblica, ai sensi della legge 24 dicembre 2012, n. 243».

[37] È pur vero, tuttavia, che nella suddetta impostazione il differimento del termine approvativo si espone ad ulteriore profilo problematico se si considera che ogni anno la legge di approvazione del bilancio dello Stato viene approvata alla fine del mese di dicembre: un elemento che rischia di neutralizzare del tutto la portata prescrittiva di cui allo stesso primo comma del citato art. 151, ove (come visto) si stabilisce che il bilancio degli enti locali deve essere approvato entro il 31 dicembre, in quanto ogni anno gli enti locali avranno necessità di uno spazio temporale aggiuntivo al fine di recepire (nei rispettivi bilanci) gli effetti dei contenuti della legge di approvazione del bilancio dello Stato: ed è quello che, in effetti, come rilevato, avviene stabilmente: ogni anno, il termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali viene differito (vedi sub nota 6).

[38]A fronte di misure finanziarie molto incisive per gli enti locali (e, comunque, difficilmente prevedibili nella entità dell’impatto finanziario) ovvero anche di congiunture problematiche (che richiedano, ad esempio, l’attivazione dei meccanismi di cui all’art. 5, comma primo, lett. g, legge cost. 20 aprile 2012, n. 1 e all’art. 11 legge 24 dicembre 2012, n. 243), può essere funzionale alle esigenze di coordinamento finanziario prevedere (in termini ordinamentali) la possibilità di differire il termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali. È certo, tuttavia, che tale possibilità deve trovare una definizione temporale massima coerente con il dato costituzionale (vedi infra sub nota 41). Peraltro, proprio la suddetta impostazione (quale giustificazione del persistente esercizio della potestà di differimento del termine approvativo) costituisce (ovvero rende evidente) una delle implicazioni negative della mancata effettività del principio di autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost., il quale, tra i diversi meriti, ha quello di porre le basi per il superamento del carattere meramente derivato della finanza locale: la definizione (tassativa) delle diverse fonti di entrata (delle regioni e) degli enti locali riesce a porre gli enti territoriali nelle condizioni di adottare autonomamente e tempestivamente le rispettive decisioni finanziarie (cristallizzate nel bilancio di previsione), fatte salve situazioni eccezionali (che dovessero rendere necessario uno spazio temporale aggiuntivo nei sensi esposti: in relazione alle quali, come detto, è concepito la possibilità di differimento del termine approvativo e la conseguente attivazione dell’esercizio provvisorio del bilancio): con superamento in radice dei problemi che hanno indotto la disposizione legislativa esaminata criticamente (la quale, come visto, è rimasta esposta alla inevitabile distorsione applicativa).

[39] Ne è chiara riprova proprio il differimento (temporalmente) “limitato” (rispetto agli anni precedenti) disposto con il richiamato d.m. 22 dicembre 2023, il quale, infatti, come visto, ha esteso lo spazio approvativo di due mesi e mezzo (fino al 15 marzo 2024), con il merito (ferme le perplessità osservate) di neutralizzare parte delle patologie rilevate. Deve essere aggiunto, in relazione al profilo esaminato, che l’incapacità di un ente locale di recepire nel proprio bilancio, nel suddetto termine (di due mesi), gli effetti delle misure finanziarie contenute nella legge di approvazione del bilancio dello Stato (e nelle leggi collegate alla manovra di finanza pubblica) sarebbe sintomatica di una situazione di patologia finanziaria (ovvero anche organizzativa) dell’ente stesso: la qual cosa rivela come il differimento del termine e l’esercizio provvisorio si riducano ad espediente che permette di assicurare (agli enti locali) uno spazio temporale (ulteriore) utile per (la ricerca e la) garanzia degli equilibri di bilancio: un precipitato che ha (molto) poco a che fare con il coordinamento della finanza pubblica, il quale, anzi, come pure rilevato, rimane esposto a vulnerazione da una situazione che fa stato di una permanente e diffusa asimmetria temporale nell’approvazione dei bilanci di previsione dello Stato, delle regioni e degli enti locali (con le conseguenze negative rilevate).

[40] Diversamente, infatti, l’ente locale (e, segnatamente, la Giunta) dovrebbe sottoporre alla valutazione dell’organo consiliare la proposta (formulata sulla base di una relazione del responsabile del servizio finanziario, in ordine alla quale deve essere acquisito il parere dell’organo di revisione economico-finanziaria) di autorizzazione dell’esercizio provvisorio del bilancio: una procedura impegnativa (di rilevanza politica, per il coinvolgimento dell’organo consiliare; e non solo tecnica) che, peraltro, riuscirebbe a produrre un impatto dissuasivo. Non è un caso, peraltro, che gli enti locali non hanno espresso critiche rispetto alla disciplina dell’esercizio provvisorio del bilancio come prevista dal d.lgs. n. 267/2000 (peraltro, incisivamente modificata dal d.lgs. n. 118/2011, all’esito delle capillari integrazioni introdotte con il d.lgs. n. 126/2014).

[41] Sulla base di quanto rilevato, una buona soluzione potrebbe essere quella di un intervento legislativo (modificativo) che elimini la possibilità di differimento prevista all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000 ed attribuisca il potere di autorizzare l’esercizio provvisorio del bilancio all’organo consiliare dell’ente locale, con fissazione di un termine massimo di durata, il quale potrebbe essere anche inferiore a quello stabilito all’art. 81, comma quinto, Cost. (accade già a livello regionale: alcune regioni, infatti, hanno fissato, anche nei rispettivi statuti, un termine massimo di tre mesi dell’esercizio provvisorio del bilancio: vedi, ad esempio, l’art. 58, comma sesto, dello statuto della Regione Lazio, ove, molto opportunamente, è esplicitato anche il carattere eccezionale dell’esercizio provvisorio del bilancio; vedi l’art. 75, comma sesto, dello statuto della Regione Umbria; vedi l’art. 49, comma secondo, statuto Regione Toscana). Si tratta, peraltro, di un limite di durata più che ragionevole, non solo perché coerente con il richiamato dato costituzionale, ma anche perché più che sufficiente anche rispetto alle esigenze di coordinamento finanziario rilevate). Si tratterebbe di una modifica legislativa che, pur necessaria e pur producendo un significativo impatto dissuasivo (molti enti locali non rischieranno un passaggio consiliare molto problematico, e rischioso per le conseguenze istituzionali che un eventuale esito negativo del voto consiliare è destinato a determinare), non potrebbe riuscire, da sola, a risolvere in via definitiva il problema e neppure a neutralizzarne del tutto le conseguenze negative rilevate, in quanto gli enti locali, in molti casi (come è facile prevedere), autorizzeranno stabilmente (ogni anno) l’esercizio provvisorio del bilancio. Pertanto, l’intervento legislativo modificativo deve riguardare anche, contestualmente, i limiti gestionali nel corso dell’esercizio provvisorio del bilancio, i quali devono essere irrigiditi (e, quindi, bisogna andare in una situazione opposta a quella autorizzata con le nuove disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 126/2014, le quali, come rilevato, hanno ampliato gli spazi gestionali nel corso dell’esercizio provvisorio): la qual cosa, peraltro, risulta ben più coerente con la natura emergenziale dell’istituto, che potrà così essere effettivamente percepita proprio in considerazione delle stringenti limitazioni alla gestione. Solo in questo modo, gli enti locali, consapevoli dei limiti gestionali cui va incontro l’amministrazione, limiteranno il ricorso all’esercizio provvisorio del bilancio alle situazioni di grave ovvero effettiva necessità, assumendosene, comunque, la responsabilità politica (con la deliberazione dell’organo assembleare) di fronte alla comunità rappresentata. Una impostazione che sicuramente potrà essere di impulso verso l’affermazione, anche negli enti locali, della cultura della (programmazione, e, segnatamente, per quanto qui rileva, della) programmazione finanziaria, la quale, come noto, trova (proprio) nel bilancio (e nei documento di bilancio) lo strumento di definizione delle politiche (ovvero delle scelte e delle decisioni) finanziarie (a tutti i livelli istituzionali), a garanzia (se non primaria, certo propedeutica alla effettività) del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97, comma secondo, Cost., oltre che dei principi della Costituzione finanziaria (artt. 81, 97, comma primo, 119 Cost.): sul punto specifico, vedi subb note 4 e 5. Un profilo funzionale (quello appena ricordato) che, nonostante la sua rilevanza rispetto ai valori costituzionali richiamati, è rimasto gravemente sacrificato da un assetto normativo che rivela una inclinazione preferenziale per le funzioni di controllo e informativa del bilancio di previsione, la cui approvazione (è imposta, ed è, comunque, essenzialmente percepita dagli enti locali) in una logica meramente adempimentale.

Con ciò non si vogliono trascurare le difficoltà finanziarie degli enti locali, i quali, schiacciati tra la imponente riduzione dei trasferimenti erariali e i vincoli e le prescrizioni stringenti (invasive, e via via sempre meno sostenibili) che il legislatore statale riconduce al coordinamento della finanza pubblica, non solo non riescono più a ricavare sufficienti spazi di autonomo esercizio delle politiche finanziarie, ma incontrano molte difficoltà nell’assicurare gli equilibri di bilancio imposti dal sistema di contabilità pubblica. La qual cosa, tuttavia, pur richiedendo un urgente intervento legislativo di effettività (ovvero di riassetto attuativo) dei principi di cui all’art. 119 Cost., non può autorizzare (ovvero giustificare) un assetto normativo (e attuativo) che, come visto, ha conosciuto grave distorsione applicativa, così esponendo a vulnerazione valori di rilevanza costituzionale.

[42] Il quale (legislatore statale), con riferimento al sistema contabile degli enti locali,  ritiene di aver esaurito il proprio compito con la definizione della disciplina (ultra) dettagliata introdotta con il d.lgs. n. 126/2014 (come detto, integrativo del d.lgs. n. 118/2011 e del d.lgs. n. 267/2000) ed assegnando un pervasivo (e permanente) compito di integrazione regolamentare (sotto forma di aggiornamento degli allegati al d.lgs. n. 118/2011) alla Ragioneria generale dello Stato (su proposta della Commissione per l’armonizzazione degli enti territoriali, la quale, ai sensi dell’art. 3 bis, comma quarto, d.lgs. n. 118/2011, si avvale delle strutture e dell’organizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che, con decreto, adotta le proposte della suddetta commissione: vedi art. 3 d.m. 16 dicembre 2014): forzatamente interpretando (in senso smisuratamente estensivo, e in modo finanche incoerente con la stessa denominazione del)la materia «armonizzazione dei bilanci pubblici di cui all’art. 117, comma secondo, lett. e), Cost. (vedi sub nota 20). Il legislatore, invece, si mostra assorbito nell’intervento – disorganico, frammentato e congiunturale – in senso limitativo dei controlli amministrativi (ma solo quelli che riguardano lo Stato e le amministrazioni centrali) e della responsabilità contabile (sul punto specifico, vedi, da ultimo, in relazione ai profili problematici rilevati, L. Sambucci, Le limitazioni alla responsabilità contabile e al controllo concomitante della Corte dei conti ovvero “buio e controbuio”: se il legislatore gioca d’azzardo con le riforme amministrative, in www.nomos-leattualitaneldiritto.it, n. 3/2023).

[43] Per quanto visto, il suddetto sistema di disciplina è integrato, in relazione ai profili che qui rilevano, dalle prescrizioni regolamentari contenute nei paragrafi 8 e 9.3 dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011).

[44] Sulla nuova connotazione dei controlli amministrativi, sulla loro estesa giurisdizionalizzazione e sulle criticità che ne possono scaturire, vedi ampiamente L. Sambucci, Corte costituzionale e giurisdizionalizzazione dei controlli della Corte dei conti: le insidie del centralismo finanziario e contabile, in Forum Quad. cost. rass., 2022.

[45] In ordine al controllo di cui all’art. 148 bis d.lgs. n. 267/2000, è utile rilevare che, a fronte di (eventuali) rilievi della (sezione regionale di controllo della) Corte dei conti, ove l’organo di controllo ritenga che i provvedimenti adottati dall’ente siano inidonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio (ovvero anche nel caso in cui i suddetti provvedimenti non siano adottati), (art. 148 bis, comma terzo) rimane «preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria». Si tratta di un esito a carattere (evidentemente) impeditivo, il quale vale solo per gli enti locali, e non anche per le regioni: vedi, sul punto specifico, Corte cost. 6 marzo 2014, n. 39, la quale, tra l’altro, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma settimo, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213), «limitatamente alla parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni».

[46] È pur vero che la sezione regionale di controllo della Corte dei conti, in sede di esercizio dei suddetti controlli, potrebbe sollevare (secondo la radicata posizione della giurisprudenza costituzionale, la quale ha “stabilizzato” la potestà della Corte dei conti di sollevare, anche in sede di controllo, una) questione di legittimità costituzionale delle disposizioni richiamate in relazione ai principi costituzionali che ritenga esposti a compromissione. In proposito, deve essere osservato che se sono ravvisabili (per quanto rilevato) ben plausibili argomenti in ordine alla non manifesta infondatezza della questione (in relazione a diversi profili); ben più complicato potrebbe essere motivare in ordine alla rilevanza della questione. La giurisprudenza costituzionale, in seguito alla riforma introdotta da legge cost. n. 1/2012, (non solo) ha (stabilizzato, ma ha) rinforzato le proprie posizioni in odine alla ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte dei conti (non solo in sede di parificazione del rendiconto, dello Stato e ora anche delle regioni: vedi, ex multis, Corte cost. 24 novembre 2020, n. 244; ma anche) in sede di controllo di tipo legalistico: vedi, ex multis, Corte cost. 14 febbraio 2019, n. 18, ove, sul punto specifico, a sostegno della legittimazione della (sezione regionale di controllo della) Corte dei conti a sollevare questioni di legittimità costituzionale, viene richiamata la stabile ricostruzione della giurisprudenza costituzionale «sull’ascrivibilità del sindacato sui bilanci degli enti territoriali alla categoria del controllo di legittimità». Per una ricostruzione della evoluzione della giurisprudenza costituzionale in relazione alla ammissibilità dell’incidente di costituzionalità sollevato dalla Corte dei conti in sede di controllo, vedi G. Rivosecchi, Controlli della Corte dei conti e incidente di costituzionalità, in Dir. pubbl., 2017, 357.

Deve essere aggiunto che, come accennato (vedi sub nota 12), le richiamate disposizioni limitative (della possibilità, per gli enti locali, di avvalersi del differimento del termine approvativo) aprono uno spazio di verifica in sede di esercizio del controllo (sul bilancio) di cui al citato art. 148 bis d.lgs. n. 267/2000, in quanto la (sezione regionale di controllo della) Corte dei conti potrebbe ritenere utile verificare (anche in relazione alle motivazioni addotte dall’ente nella deliberazione di approvazione del bilancio) la effettiva sussistenza, nel caso specifico, dei presupposti prescritti (dal decreto ministeriale di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000) per potersi avvalere del differimento (il condizionale trova ragione nella considerazione che, in effetti, in caso di rilievi critici sul punto specifico da parte della Corte dei conti, ci si troverebbe di fronte ad eventuali profili problematici di impatto essenzialmente gestionale, i quali, in una situazione finanziaria di fisiologia, riuscirebbero a rimanere assorbiti ovvero neutralizzati dall’approvazione del bilancio).

[47] È già stato rilevato come la relazione del responsabile finanziario sia resa necessaria dalle prescrizioni limitative stabilite dal richiamato d.m. 22 dicembre 2023 (nella suddetta relazione dovrà darsi atto motivatamente della sussistenza dei presupposti stabiliti dal citato decreto ministeriale).

[48] In via successiva, i controlli di regolarità amministrativa (per quanto qui più direttamente rileva) sono svolti («secondo principi generali di revisione aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente»), ai sensi dell’art. 147 bis, comma secondo, d.lgs. n. 267/2000, sotto la direzione del segretario dell’ente, e riguardano essenzialmente «le determinazioni di impegno di spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento».

[49] In disparte i richiamati controlli di tipo legalistico (i quali riguardano la verifica della regolarità contabile e della copertura finanziaria), la figura tecnica del responsabile del servizio finanziario (negli enti locali) svolge funzioni molto rilevanti (come è necessario che sia) proprio in relazione all’apprestamento degli adempimenti tecnici, finanziari e contabili, propedeutici alla predisposizione del bilancio di previsione (oltre che degli altri documenti della programmazione finanziaria): sul punto specifico, vedi, in particolare, le prescrizioni di cui al paragrafo 9.3 dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118/2011.

[50] È pur vero che il ritardo (rispetto al termine del 31 dicembre) nell’approvazione del bilancio di previsione può essere causato da complicazioni nei lavori consiliari di esame della proposta di bilancio presentata dalla Giunta. Si tratta di una eventualità che, pur non potendo essere esclusa (e pur potendo giustificare l’esercizio provvisorio del bilancio, dovendosi ritenere necessaria la piena garanzia delle prerogative funzionali dei consiglieri, in considerazione della rilevanza del controllo politico che l’organo consiliare è chiamato ad esercitare sulla proposta di bilancio), a maggior ragione rende preferibile la (prospettata) limitazione degli spazi gestionali nel corso dell’esercizio provvisorio.

[51] Nella siffatta ipotesi, infatti – ma anche in caso di mancanza della suddetta relazione ovvero di parere contrario del responsabile del servizio finanziario in ordine alla sussistenza dei presupposti prescritti dal decreto ministeriale che dispone il differimento – sembra di poter ritenere che l’ente possa avvalersi del differimento termine approvativo (soprattutto se si considera che, su tale spetto, come visto, è prevista una motivazione postuma) e, comunque, provvedere alla approvazione tardiva del bilancio di previsione, pur rendendosi necessaria una motivazione espressa (nella deliberazione consiliare di approvazione del bilancio) sul punto specifico. La segnalazione del responsabile del servizio, peraltro, non rimarrebbe inutiliter data, in quanto costituirebbe un possibile elemento sintomatico di una situazione finanziaria precaria ovvero critica ovvero strutturalmente deficitaria (suscettibile di essere rilevante ai sensi degli artt. 242 ss. d.lgs. n. 267/2000) ovvero anche irrimediabilmente compromessa (suscettibile di essere rilevante ai fini del dissesto finanziario dell’ente, ai sensi di cui agli artt. 244 ss. d.lgs. n. 267/2000).

[52] È utile rilevare che, ai sensi dell’art. 239, comma primo, d.lgs. n. 267/2000, l’organo di revisione economico-finanziaria (tra l’altro) provvede (lett. b) a formulare pareri sugli strumenti di programmazione economico-finanziaria e sulla proposta di bilancio di previsione; e alla (lett. c) vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all’acquisizione delle entrate, alla effettuazione delle spese, all’attività contrattuale, all’amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità (funzioni svolte anche con tecniche motivate di campionamento). Deve essere aggiunto che, ai sensi dell’art. 1, comma 166, legge 23 dicembre 2005, n. 266, «gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria trasmettono alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell’esercizio di competenza» («e sul rendiconto»): relazione che deve essere predisposta sulla base dei criteri e delle linee guida stabiliti dalla Corte dei conti, e nella quale l’organo di controllo (tra l’altro) deve dare conto «di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria» («in ordine alle quali l’amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall’organo di revisione»). Ora, ben potrebbe avvenire che il suddetto organo di revisione, nell’esercizio delle funzioni che gli sono attribuite (che ogni organo di controllo è portato ad interpretare in senso estensivo: ora anche i revisori dei conti, in particolare da quando è stato disposto che siano scelti mediante sorteggio: vedi art. 16, comma 25, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148), ritenga di rilevare criticamente (e di segnalare alla Corte dei conti, ma anche alla Ragioneria generale dello Stato) la circostanza che l’ente faccia ricorso stabilmente all’esercizio provvisorio: una segnalazione che, pur non producendo una incidenza diretta ovvero immediata in termini di osservanza del principio di tempestività del bilancio, può essere suscettibile, tuttavia, di dare impulso ad una maggiore attenzione al rispetto delle procedure contabili /(in considerazione dei profili di rilevanza rilevati).

[53] Deve essere rilevato che, in base alle disposizioni legislative richiamate, la Ragioneria generale dello Stato provvede (tra l’altro) ad «effettuare, tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica, verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche» (ad eccezione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano): verifiche che (peraltro, possono essere attivate dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti e) possono riguardare anche la tempestività delle procedure relative alla decisione di bilancio, e potrebbero dare lugo, in caso di rilevazioni gravemente negative, a segnalazioni motivate al Ministro dell’interno ai fini della eventuale attivazione della procedura di scioglimento dell’organo consiliare ex art. 141, comma primo, lett. a), d.lgs. n. 267/2000 (vedi infra subb note 63 e 68).

[54] Si tratta di un dato che, peraltro, trova riscontro negli approdi stabili della elaborazione giurisprudenziale, secondo cui lo scioglimento dell’organo consiliare in esito alla procedura attivata ai sensi dell’art. 141, comma primo, lett. c), d.lgs. n. 267/2000 (non è conseguenza della inosservanza del termine di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000, ma) ha quale presupposto (non la mera inosservanza del termine approvativo di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000, ma) «la constatata inadempienza ad una intimazione puntuale e ultimativa dell’organo competente, che attesta l’impossibilità, o la volontà del Consiglio di non approvare il bilancio»: Cons. St., III, 3 luglio 2020, n. 4288 (vedi anche. Cons. St., V, 19 febbraio 2007, n. 826).

[55] Né in senso diverso può riuscire ad indurre la circostanza che, comunque, la mancata approvazione del bilancio nel termine stabilito dalla legge determina la produzione degli effetti di cui all’art. 163, comma secondo, d.lgs. n. 267/2000, ove, come visto, è stabilito che nella siffatta eventualità «è consentita esclusivamente una gestione provvisoria nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell’ultimo bilancio approvato per l’esercizio cui si riferisce la gestione provvisoria»: sul punto specifico, vedi sub nota 9. Una conseguenza concreta (e irreversibile: che sembrerebbe poco coerente con un termine di natura meramente ordinatoria), la quale, tuttavia, non costituisce una “sanzione” per l’inosservanza del termine (ovvero del richiamato principio di tempestività del bilancio), ma la (necessaria) disciplina della gestione finanziaria in una situazione eccezionale (caratterizzata dalla inesistenza di un bilancio approvato, e, cioè, dello strumento sulla base del quale deve avvenire la gestione), la quale (disciplina) è concepita tenendo conto di due distinte esigenze che vengono in rilievo: quella di impedire che (nella suddetta situazione) si determini una paralisi dell’azione finanziaria e gestionale; e quella di fissare limiti gestionali che tengano conto della mancanza del bilancio: al fine, in relazione ad entrambe le esigenze, di evitare che si producano danni certi e gravi per l’ente (ovvero di limitarne l’impatto).

[56] A meno che il Prefetto non ritenga di esercitare il potere di cui al settimo comma del citato art. 141 d.lgs. n. 267/2000, ove si stabilisce che, «iniziata la procedura di cui ai commi precedenti ed in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, per motivi di grave e urgente necessità, può sospendere, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per la provvisoria amministrazione dell’ente». Un potere che lo stesso ordinamento concepisce come del tutto eccezionale («grave e urgente necessità»), e che se in generale deve essere esercitato con la massima prudenza dall’autorità prefettizia (e solo nei casi di massima gravità), sembra riuscire a rimanere finanche escluso con riferimento alla fattispecie di mancata approvazione del  bilancio (se si considera che, come visto, lo stesso Prefetto è tenuto, ad assegnare all’organo consiliare un termine per l’adempimento prima di attivare in concreto la procedura di scioglimento). Si tratta di un dato normativo che, peraltro, impone un obbligo motivativo rigoroso in ordine proprio alla sussistenza delle ragioni «di grave e urgente necessità». Sulla questione, vedi TAR Lazio, Latina, I, 24 dicembre 2022, n. 1035, ove, tra l’altro, si richiama, nello specifico, il principio consolidato, di fonte giurisprudenziale, secondo cui «il mero decorso del termine per provvedere assegnato dal Prefetto con la diffida impartita ai sensi dell’art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 non determina, di per sé, la consumazione del potere dell’organo consiliare dell’Ente di provvedere, ancorché tardivamente, all’approvazione dei documenti contabili obbligatori previsti dalla legge, avendo tale termine carattere esclusivamente “acceleratorio-sollecitatorio”, giacché sono da considerarsi perentori solo i termini espressamente indicati come tali da una previsione normativa» (sul punto, vedi anche TAR Lazio, II bis, 2 marzo 2022, n. 2484); e, in termini generali, vi si richiama il principio, ugualmente stabile, secondo cui l’inosservanza del termine fissato di cui all’art. 151, comma primo, d.lgs. n. 267/2000 «per l’approvazione da parte del Consiglio Comunale dello schema di bilancio predisposto dalla Giunta non ha come conseguenza automatica lo scioglimento dello stesso, ma comporta, a norma dell’art. 141 comma 1 lett. c), del T.U.E.L., l’apertura di un procedimento sollecitatorio che può “anche” condurre all’adozione della grave misura dello scioglimento, ma solo a seguito della constatata inadempienza da parte dell’organo consiliare all’intimazione puntuale ed ultimativa dell’organo competente, che attesti l’impossibilità o la volontà del Consiglio di non approvare il bilancio»: sul punto, vedi anche Cons. St., III, 3 luglio 2020, n. 4288.

[57] Può ritenersi che, nel caso di (in cui la mancata osservanza del termine approvativo sia conseguenza della) mancata predisposizione dello schema di bilancio da parte della Giunta, la Giunta stessa possa predisporre ed approvare – per sottoporlo alla valutazione dell’organo consiliare – lo schema di bilancio (anche successivamente alla scadenza del termine) fino a quando non l’abbia fatto il commissario ad acta appositamente nominato (vedi sub nota successiva).

[58] Deve essere rilevato che la mancata approvazione del bilancio nel termine stabilito dalla legge non produce un effetto dissolutorio immediato ovvero automatico, ma darà luogo alla attivazione di una procedura che, pur prevista (nei termini generali) al secondo comma del citato art. 141 d.lgs. n. 267/2000, è stata integrata dalle disposizioni di cui all’art. 1, comma secondo, d.l. 22 febbraio 2002, n. 13, convertito con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2002, n. 75, ove si stabilisce: che, trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla giunta il relativo schema, il prefetto nomina un commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio; e che, in tale caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, il prefetto assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente e inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio. Inoltre, è stabilito (al terzo comma del citato art. 1 d.l. n. 13/2002) che, «fermo restando che spetta agli statuti degli enti locali disciplinare le modalità di nomina del commissario per la predisposizione dello schema e per l’approvazione del bilancio non oltre il termine di cinquanta giorni dalla scadenza di quello prescritto per l’approvazione del bilancio stesso, nell’ipotesi di cui all’art. 141, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al d.lgs. n. 267/2000, alla predetta nomina provvede il prefetto nei soli casi in cui lo statuto dell’ente non preveda diversamente». In relazione alla disciplina della richiamata procedura di scioglimento, vedi anche sub nota 56).

[59] Ai sensi dell’art. 141, comma quarto, d.lgs. n. 267/2000, «il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge».

[60] Come noto, la rilevazione (da parte del Tribunale amministrativo) della carenza di interesse darebbe luogo alla inammissibilità del ricorso (ai sensi dell’art. 35, comma, lett. b, c.p.a.), il quale (pur proposto) non verrebbe esaminato nel merito (della questione specifica relativa alla effettiva lesione denunciata). Come noto, per quanto qui rileva, dall’interesse ad agire si distingue la legittimazione ad agire, la quale attiene alla sussistenza dell’interesse sostanziale che si assume esposto a compromissione. Sui due concetti, la letteratura è sterminata (ed è incessante il dibattito dottrinario); senza alcuna pretesa di esaustività (e limitando i richiami alle voci enciclopediche e ai contributi degli ultimi anni, e senza considerare l’altrettanto vasta manualistica sulla giustizia amministrativa), e al solo fine di offrire spunti per la ricostruzione del dibattito dottrinario, vedi: E. Cannada Bartoli, (voce) Interesse (diritto amministrativo), in Enc. dir., 1972; R. Villata, (voce) Legittimazione processuale (diritto processuale amministrativo), in Enc. giur., 1990; R. Ferrara, (voce) Interesse e legittimazione al ricorso (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. disc. pubbl., 1993, 468 ss.; F.G. Scoca, L’interesse legittimo, Torino, 2017, 49 ss.; L.R. Perfetti, Diritto di azione ed interesse ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2004; V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, 341 ss.; C. Cudia, Legittimazione a ricorrere e pluralità delle azioni nel processo amministrativo (quando la cruna deve adeguarsi al cammello), in Dir. pubbl., 2019, 393 ss.; F. Saitta, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in Dir. pubbl., 2019, 511 ss.; S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, 2018; L. De Lucia, Legittimazione al ricorso e sfiducia sociale nell’amministrazione pubblica. Tre modelli a confronto, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La giustizia amministrativa in Italia e in Germania. Contributi per un confronto, Milano, Giuffrè, 2017, 99 ss.; M. Ramajoli, Legittimazione a ricorrere e giurisdizione oggettiva, in V. Cerulli Irelli (a cura di), La giustizia amministrativa, cit., 147 ss.; S. Torricelli, I confini incerti e mutevoli dell’interesse a ricorrere, in Dir. proc. amm., 2021, 22 ss; sulla evoluzione del dibattito della dottrina, G. Tropea, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: una rassegna critica della letteratura recente, in Dir. proc. amm., 2021, 449 ss.; A. Scognamiglio, Rileggendo la voce “Interessi” di Cannada Bartoli, qualche riflessione sul metodo, in Dir. amm., 2022, 981 ss.; A. Cassatella, Legittimazione a ricorrere e norme di garanzia, in Dir. proc. amm., 2022, 773 ss.; B. Gilberti, Contributo alla riflessione sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo, Milano, 2020.

[61] In giurisprudenza, la legittimazione impugnativa rispetto alla deliberazione di approvazione del bilancio (e, in generale, degli atti contabili a contenuto generale) di un Comune è stata riconosciuta in capo ai consiglieri comunale, ma solo limitatamente ai casi in cui l’approvazione sia avvenuta con compromissione delle prerogative funzionali degli stessi consiglieri. In proposito, vedi, ex multis, Cons. St., V, 12 febbraio 2018, n. 1549, ove si rileva che «un ricorso di singoli consiglieri (in particolare, contro l’Amministrazione di appartenenza) può ipotizzarsi soltanto allorché […] vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio dei medesimi e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere» (vedi anche Cons. St., V, 4 maggio 2004, n. 2699). Sulla questione, Cons. Stato, V, 7 luglio 2014, n. 3446 rileva (tra l’altro) che: «la legittimazione ad agire del consigliere non risiede nella deviazione dell’atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, quando da essa non derivi la compressione di una sua prerogativa inerente all’ufficio, occorrendo in ogni caso aver riguardo a questo fine, “alla natura e al contenuto della delibera impugnata” e non già delle norme interne relative al funzionamento dell’organo (Cons. St., sez. V, 15 dicembre 2005, n. 7122)»; che «la contestazione del componente di un organo collegiale non può limitarsi a censurare l’oggetto o le modalità di formazione della deliberazione del medesimo organo, senza dedurre che da esse ne sia derivata una lesione delle sue prerogative, giacché questa non discende automaticamente da violazioni di forma o di sostanza nell’adozione di un atto deliberativo (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2010, n. 2457)»; che «l’omissione o il ritardo nel fornire ai consiglieri dell’ente locale la copia di atti presupposti ad una proposta di delibera non costituisce lesione delle prerogative inerenti l’ufficio di consigliere comunale, rimanendo la sua tutela circoscritta in un ambito esclusivamente politico, all’interno dell’organo di cui fa parte, affidata all’espressione a verbale del proprio dissenso in quanto corollario del più generale principio sopra affermato» (vedi anche Cons. St., V, 21 marzo 2012, n. 1610, ove, tra l’altro, si ricorda che «è pacifico l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i consiglieri di ente locale sono legittimati all’impugnazione degli atti del consiglio nel quale siedono esclusivamente quando questi incidano sulla possibilità di esercitare adeguatamente il mandato»). Si tratta di posizioni stabili della giurisprudenza, le quali, tuttavia, devono ritenersi specificate nel senso che l’interesse impugnativo del componente dell’organo consiliare (ovvero dell’organo assembleare deliberativo) può considerarsi ravvisabile tutte le volte in cui il vizio rilevato abbia compromesso la piena consapevolezza del consigliere in ordine alla questione che forma oggetto della deliberazione quale garanzia irrinunciabile per l’esplicazione della funzione (la quale è insuscettibile di essere assicurata dalla mera verbalizzazione del dissenso, a meno che non si tratti di una presa di posizione motivata in ordine al merito della questione tratta: la qual cosa, in astratto, può essere indicativa di consapevole formazione della valutazione espressa). Si tratta di un principio generale, il quale si manifesta con massima pregnanza proprio in relazione al bilancio di previsione, con riferimento al quale la funzione di controllo politico (anche in relazione alla correttezza delle procedure relative agli atti di decisione finanziaria) e decisionale che il (ogni singolo) consigliere comunale è chiamato a svolgere (quale componente dell’organo deliberativo) costituiscono munera del tutto indisponibili, in quanto concepiti a garanzia di valori di rilevanza costituzionale, e che già solo per questo richiedono massima garanzia di esplicazione. Si tratta, peraltro, di vizi che, per poter produrre l’impatto vulnerativo considerato, attengono a mancanze grossolane che, se non possono essere escluse in assoluto, si rivelano piuttosto infrequenti, già solo per la rilevanza dell’atto (e delle gravi conseguenze che possono derivare da eventuali profili problematici), la quale richiama alla massima attenzione gli organi onorari e tecnici coinvolti (nella decisione e nella procedura). Si tratta di vizi che, tuttavia, non automaticamente (ovvero piuttosto difficilmente) riescono ad essere rinvenuti nella inosservanza del principio di tempestività del bilancio di previsione.

[62] In relazione alla questione esaminata, si tratta, infatti, di valutare se la violazione del principio di tempestività del bilancio sia suscettibile di esporre a compromissione le prerogative funzionali del consigliere: una eventualità che rimane esclusa dalla obiettiva difficoltà di configurare un interesse qualificato personale del consigliere (nella sua qualità) ad approvare il bilancio entro il 31 dicembre: una difficoltà che rimarrebbe tale (e, anzi, rimarrebbe finanche esclusa) anche nell’ipotesi (prospettata) di deliberazione consiliare di autorizzazione dell’esercizio provvisorio del bilancio: nel qual caso si verificherebbe, infatti, uno spostamento (un prolungamento) del dissenso (dalla sede politico-amministrativa) nella sede giurisdizionale: una fattispecie comunemente riconosciuta (in giurisprudenza) inammissibile (a meno che non si facciano valere, anche nel suddetto caso, elementi di pregiudizio delle prerogative funzionali). Nel caso specifico esaminato, pertanto, risulta difficile la configurazione della legittimazione impugnativa, non essendo ravvisabile in capo al consigliere un interesse sostanziale.

[63] Come visto (sub nota 12), in relazione al bilancio 2024/2026, è stato ammesso che della sussistenza dei presupposti per potersi avvalere del differimento del termine approvativo deve darsi motivazione nella deliberazione consiliare approvativa del bilancio. Sembra di poter ritenere che il vizio (ovvero anche il difetto) di siffatta motivazione, oltre ad avere (molto) difficile accesso al controllo giurisdizionale (per le ragioni rilevate), rimanga assorbito dall’approvazione (sia pure in ritardo) del bilancio. Fermo restando la rilevata difficile coerenza tra le limitazioni ricavabili dal d.m. 22 dicembre 2023 (anche in relazione alle prescrizioni introdotte con il d.m. 25 luglio 2023: vedi sub 2) e il dato legislativo di cui all’ultimo periodo del primo comma dell’art. 151 d.lgs. n. 267/2000, il suddetto vizio motivativo può ritenersi recessivo rispetto all’approvazione del bilancio se si considera che, come rilevato, il decorso del termine non consuma il potere dell’organo consiliare di approvare il bilancio (e non implica automaticamente l’attivazione della procedura di scioglimento): eventualmente, la rilevazione del suddetto vizio (da parte delle autorità e degli organi incaricati del controllo) potrebbe dare luogo alla segnalazione motivata al Ministro dell’interno ai fini dell’attivazione della procedura di scioglimento di cui alla lett. a) del primo comma dell’art. 141 d.lgs. n. 267/2000 (vedi infra sub nota 68).

[64] Una soluzione di preferenza che, evidentemente, tiene conto – nei limiti di quanto reso possibile dalla necessaria considerazione di altri valori di rilevanza costituzionale – della natura autonoma degli enti locali, e che merita di essere ritenuta condivisibile, pur rendendosi necessarie le integrazioni legislative prospettate (proprio al fine di assicurare un ragionevole equilibrio tra i diversi principi costituzionali che possono venire in rilievo).

[65] Un potere che non rimane consumato dal decorso del termine del 31 dicembre ma neppure del termine successivo disposto con il decreto di differimento, ma neppure di quello assegnato dall’autorità prefettizia, ma neppure dall’attivazione della procedura di scioglimento dell’organo consiliare (vedi sub nota 56): il suddetto potere, come visto, si consuma in via irreversibile con l’adozione del decreto presidenziale che dispone lo scioglimento.

[66] Le quali possono essere rinvenute tutte le volte in cui il bilancio di previsione dovesse essere approvato in un momento successivo alla fine del mese di aprile, avendo quale parametro di riferimento il termine di quattro mesi stabilito all’art. 81, comma quinto, Cost., quale limite massimo, considerato tollerabile dal sistema costituzionale, di protrazione dello stato di eccezione (derivante dalla mancata approvazione del bilancio). Proprio al fine di impedire che possano (continuare a) verificarsi situazioni di tale gravità, si rende necessario che il legislatore stabilisca espressamente un limite massimo alla possibilità di differimento del termine approvativo prevista all’ultimo periodo del primo comma dell’art. 151 d.lgs. n. 267/2000 (in considerazione della facile constatazione che la prospettata interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione legislativa ultima citata non ne ha impedito la frequente violazione e del difficile accesso al controllo giurisdizionale).

[67] Deve escludersi la ravvisabilità dell’ipotesi dissolutoria di cui alla lett. b) del primo comma del citato art. 141, dovendosi ritenere prevalente (in considerazione della formulazione testuale della disposizione e delle gravi conseguenze che la procedura è destinata a produrre) la natura tassativa della elencazione ivi prevista, pur dovendosi rilevare che una situazione di stabile (ricorrente) e grave ritardo nell’approvazione del bilancio di previsione presenta una sicure attinenza con il normale funzionamento dei servizi (ma anche con il normale funzionamento degli organi).

[68] Oltre che dalla Ragioneria generale dello Stato e dalla Corte dei conti (nell’ambito dei rispettivi controlli: vedi subb note 46 e 53), la segnalazione motivata al Ministro dell’interno (ovvero alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti) potrebbe provenire anche dall’organo di revisione economico-finanziaria nell’ambito dei contro di cui all’art. 239 d.lgs. n. 267/2000 (vedi sub nota 52). Deve pur essere rilevato che anche la possibilità esaminata rimane molto problematica – anche in tutti quei casi in cui il termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali viene differito (ed è, purtroppo, avvenuto anche in anni recenti) ben oltre il suddetto termine di quattro mesi – dovendosi escludere che le autorità e gli organi investiti dei compiti di controllo possano trascurare l’avvenuto differimento sia (soprattutto) quando è disposto con legge (come pure si è verificato) sia quando è disposto in base alla legge (con decreto ministeriale).

[69] Il carattere generale ed astratto del decreto (peraltro, come visto, attributivo “solo” di una facoltà) rende ancor più problematica l’individuazione del pregiudizio (inferto dall’atto) – diretto, concreto, attuale – che si intende rimuovere; lo stesso beneficio perseguito (con il ricorso) – che potrebbe essere quello di conseguire la sollecita (ovvero impedire una eccessivamente ritardata) approvazione del bilancio dell’ente – si presenta caratterizzato da generalità: profili (molto) problematici che, in astratto, potrebbero trovare soluzione a fronte di una impugnazione proposta da una associazione stabile di cittadini ovvero di consumatori. Si tratterebbe, peraltro, di una possibilità impugnativa che darebbe accesso al controllo giurisdizionale in relazione alla situazione patologica più sgradevole: quella in cui il termine approvativo viene differito ben oltre i quattro mesi (come visto, anche a settembre, ottobre, novembre), con violazione manifesta del dato di cui all’art. 81, comma quinto, Cost., (non solo) insuscettibile (nei sensi visti) di rimanere neutralizzato per esigenze di coordinamento della finanza pubblica (ma finanche incompatibile con siffatte esigenze); e suscettibile di (provare ad) impedire che gli enti locali possano approvare il bilancio di previsione (non solo a metà esercizio, ma, addirittura) a ridosso della fine dell’esercizio finanziario. Nell’ipotesi ultima considerata, peraltro, sono rinvenibili ulteriori complicazioni determinate dalla circostanza che il superamento della soglia (di quattro mesi) “tollerabile” (ovvero meno grave) è disposto con un nuovo decreto ministeriale di (ulteriore) differimento (e, a volte, anche con legge: nel qual caso anche l’impugnativa con finalità “prevenzionale” – utile, in sostanza, a conseguire la sollecita approvazione del bilancio: vedi nota successiva – rimane preclusa).

[70] L’impugnativa giurisdizionale, infatti, è suscettibile di provocare una reazione ovvero un riflesso prudenziale che (plausibilmente) potrebbe indurre l’ente ad una più sollecita approvazione del bilancio (al fine di evitare l’alea – sia pure fosse ritenuta minima – insita in un’iniziativa giurisdizionale che potrebbe dare luogo a conseguenze che è meglio prevenire), almeno nel termine di quattro mesi. Resta da chiedersi se l’impugnativa del decreto ministeriale di differimento del termine approvativo condizioni l’ammissibilità di un eventuale ricorso avverso la deliberazione di approvazione del bilancio (ovviamente, in punto di violazione del richiamato principio di tempestività). In proposito, può essere rilevato che se è vero che (come visto) il suddetto decreto attribuisce agli enti locali “solo” la facoltà di avvalersi del differimento; è altrettanto vero che la mancata approvazione del bilancio entro il 31 dicembre costituisce esercizio della suddetta facoltà.

[71] Come detto, ogni anno (praticamente da sempre: stabilità) il termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti locali viene differito, in molti casi molto oltre il mese di aprile (a giugno, a luglio, ma anche a settembre, ottobre, novembre: gravità), con la conseguenza che ogni anno nella maggior parte degli enti locali (estensione) il bilancio di previsione (nella migliore delle ipotesi) viene approvato (praticamente) a metà esercizio.

[72] Per effetto delle prescrizioni limitative ricavabili dal d.m. 22 dicembre 2023, per il 2024 gli enti locali avranno un bilancio approvato entro la fine del mese di marzo (in qualche caso si potrà arrivare ad aprile): un dato che riesce a tenere il fenomeno (quanto alla estensione temporale) nei limiti della fisiologia ordinamentale.

[73] Come rilevato (vedi subb note 14 e 20), la stessa denominazione della materia «armonizzazione dei bilanci pubblici» (ora, art. 117, comma secondo, lett. e, Cost.) è incompatibile con la pervasività ultra regolamentare della disciplina della contabilità delle regioni e degli enti locali introdotta dal d.lgs. n. 126/2014 (che si estende, nella moltitudine di allegati alla stessa disciplina, fino alla modulistica): la quale denominazione presuppone l’esistenza di autonomi poteri di disciplina, i quali devono trovare esplicazione tenendo conto di un livello minimo di omogeneità: una esigenza che adesso trova garanzia costituzionale, ma che trova radicamento risalente, stabile nell’ordinamento contabile; vedi, limitatamente alle regioni e agli enti locali: legge 19 maggio 1976, n. 335, recante «principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni»; d.p.r. 19 giugno 1979, n. 421, recante «coordinamento delle disposizioni regolanti la contabilità delle province e dei comuni con le disposizioni di cui alla legge 5 agosto 1978, n. 468 e di cui alla legge 19 maggio 1976, n. 335»; d.lgs. 28 marzo 2000, n. 76, recante «principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208» (ma vedi anche, con riferimento agli altri enti pubblici: d.p.r. 18 dicembre 1979, n. 658, recante «approvazione del nuovo regolamento per la classificazione delle entrate e delle spese e per l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70»; d.p.r. 27 febbraio 2003, n. 97, recante «regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70»). Una esigenza di omogeneità che, peraltro, il dato costituzionale circoscrive ai («armonizzazione dei») «bilanci» (agli atti di decisione finanziaria), ovvero, più precisamente, alla traduzione negli atti contabili dei dati finanziari (nella loro disarticolazione, destrutturazione, per finalità gestionali, e anche informative) e, più in generale, delle politiche finanziarie dell’ente (delle scelte che sono sottese alle diverse voci di entrata e di spesa, alla determinazione dei rispettivi stanziamenti). Si tratta di elementi che, come detto, non solo non giustificano, ma) escludono di poter ravvisare in capo al legislatore statale un potere di disciplina dell’intera contabilità degli enti locali (e delle regioni); un potere di regolazione statale (come detto, anche esercitato modo pervasivo con il d.lgs. n. 126/2014) riesce a rimanere escluso, in materia di contabilità degli enti locali, dalle disposizioni di cui agli artt. 152 e 153 d.lgs. n. 267/2000, e, in termini generali, dalle disposizioni di cui all’art. 117, comma sesto, Cost.). Deve pur essere rilevato che, peraltro, la locuzione «armonizzazione dei bilanci pubblici» (introdotta con legge cost. n. 3/2001, pur avendo formato oggetto di specifico intervento modificativo da parte del legislatore costituzionale (art. 3 legge cost. n. 1/2012), è rimasta inalterata nella formulazione letterale: un dato che concorre ad escludere l’interpretazione estensiva che della suddetta materia ha dato il legislatore statale (come detto, assecondata – non senza contraddizioni – dalla giurisprudenza costituzionale).

[74] Non solo l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento finanziario (per la loro incidenza diretta), ma lo stesso principio autonomistico viene considerato (valorizzato) anche in relazione alla sua funzionalità rispetto al buon andamento della pubblica amministrazione, con riferimento al principio di prossimità (rinvenibile nelle disposizioni di cui all’art. 118, comma primo, Cost.) quale elemento di necessario concorso alla effettività dei criteri di efficacia e di economicità posti a base delle disposizioni di cui al secondo comma del citato art. 97 Cost. (e ora positivizzati all’art. 1, comma primo, legge n. 241/1990, quali principi generali dell’attività amministrativa).

[75] L’ampio apparato di disciplina definito negli allegati al d.lgs. n. 118/2011 rimarrebbe integro ed utilizzabile, con funzione di ausilio tecnico-illustrativo (una sorta di manuale operativo) e (anche) formativo (istruttivo) per gli addetti ai servizi finanziari e contabili degli enti territoriali; fermo restando che si tratta di elementi e finalità che esulano dalle esigenze di armonizzazione dei bilanci pubblici di rilevanza costituzionale.

[76] Vedi, da ultimo, il d.m. 25 luglio 2023, con il quale, come visto (subb note 11 e 12), si interviene modificativamente sull’allegato 4/1 al d.lgs. n. 267/2000 (in particolare, con riferimento al «processo di bilancio degli enti locali»): un dato che rende evidente come l’auspicato intervento legislativo non solo non sia neppure “alle viste”, ma sia estraneo alla considerazione del legislatore (né sembra costituire una priorità degli enti locali, i quali, sul tema specifico esaminato, continuano a ritenere preferibile il “differimento”).

[77] Emblematica in tal senso è l’esclusione (temporalmente) provvisoria della responsabilità erariale per colpa grave da condotta commissiva introdotta dalle disposizioni di cui all’art. 21, comma secondo, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120: una limitazione (della responsabilità erariale alle sole ipotesi di dolo e di colpa grave da condotta omissiva) che, introdotta – in una congiuntura sociale di massima drammaticità (nel pieno dell’emergenza sanitaria Covid 19) – con carattere di assoluta provvisorietà, è stata estesa prima (in sede di conversione del decreto legge: in carica Governo Conte II) al 31 dicembre 2021; poi (art. 51, comma primo, lett. h, d.l. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazione, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108: in carica, Governo Draghi) al 30 giugno 2023; in seguito (art. 1, comma 12 quinquies, lett. a, d.l. 22 aprile 2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 giugno 2023, n. 74: in carica, Governo Meloni) al 30 giugno 2024; infine (al momento: art. 8, comma quinto bis, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18: in carica, Governo Meloni) al 31 dicembre 2024. In relazione al profilo considerato, è utile rilevare: che con l’art. 22 d.l. n. 76/2020 è stata disposta la valorizzazione del controllo concomitante della Corte dei conti, il quale (già previsto dalle disposizioni di cui all’art. 11, comma secondo, legge 4 marzo 2009, n. 15) è stato esteso ai «principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale»; e che con le disposizioni di cui all’art. 1, comma 12 quinquies, lett. b), d.l. n. 44/2023 è stato precisato (a modificazione del citato art. 22 d.l. n. 76/2020) che il controllo concomitante della Corte dei conti non riguarda i programmi «previsti o finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza» o «dal Piano nazionale per gli investimenti complementari»: programmi che, invece, fino all’entrata in vigore delle suddette disposizioni modificative avevano formato l’oggetto principale del controllo concomitante della Corte dei conti (proprio su tali aspetti specifici, vedi, ampiamente, L. Sambucci, Le limitazioni alla responsabilità contabile e al controllo concomitante della Corte dei conti, cit.). Si tratta di elementi che rendono plateale la provvisorietà e la disorganicità degli interventi del legislatore, la mancanza di un’idea di sistema, in relazione ad entrambi i profili di riforma richiamati (controlli amministrativi e responsabilità contabile).

[78] In particolare, come noto, con legge 7 agosto 1990, n. 241 (ma anche con legge 8 giugno 1990, n. 142, in verità rimasta piuttosto trascurata nella considerazione della sua incidenza sulla evoluzione del sistema amministrativo) sono state poste le basi per la costruzione di un nuovo modello di pubblica amministrazione, fondato sui criteri di efficacia, di efficienza e di economicità, sull’attenzione dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione finanziaria, sui principi di imparzialità e di trasparenza, su un rapporto tra pubblica amministrazione e comunità amministrata ispirata a democraticità, con valorizzazione della partecipazione e della leale collaborazione. Si tratta di elementi generalissimi (sui quali evidentemente non è possibile soffermarsi in questa sede), i quali, tuttavia, (per il loro forte impatto innovativo) rendono evidente la profonda evoluzione non solo del sistema amministrativo ma dell’idea stessa di amministrazione pubblica, la quale, pur ben saldata nell’ordinamento, rimane esposta agli irretimenti delle (risalenti e persistenti) resistenze corporative e ideologiche (dall’elitarismo burocratico al conservatorismo, dal suprematismo tecnico al riformismo d’occasione), che, da un lato, si trovano assecondate da interventi legislativi espressivi, di volta in volta, della prevalenza provvisoria dell’una o dell’altra o dell’altra ancora, e, quindi, risultano inevitabilmente disorganici, contraddittori, parziali (anche già nel concepimento), senza riuscire (come rilevato) a portare (in verità, molte neppure ad avvinare) a soluzione i problemi del sistema amministrativo; e, da altro lato, alimentano (consapevolmente) una percezione comune superficiale della pubblica amministrazione, che molte volte ne trascura (e non di rado ne ignora) finanche i compiti istituzionali.

[79] Vedi, da ultimo, L. Sambucci, Le limitazioni alla responsabilità contabile e al controllo concomitante della Corte dei conti, cit., 38, ove, tra l’altro, si rileva l’assenza di un’idea organica di intervento nella pubblica amministrazione.

[80] Si tratta della proposta di legge AC 1621 (presentata in data 19 dicembre 2023; esame iniziato in commissione, in sede referente, in data 4 aprile 2024), recante «modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, al codice della giustizia contabile, di cui all’allegato 1 al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, e altre disposizioni in materia di funzioni di controllo e consultive della Corte dei conti e di responsabilità per danno erariale».

Articoli simili

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

News

Commenti