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Il recupero delle bellezze e delle identità locali in una prospettiva italiana e comparata

dell’Avv. Vincenzo Rossi, Cultore della materia in Diritto pubblico comparato presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”

Abstract: Questo lavoro si propone di analizzare le ragioni alla base delle criticità che affliggono le aree interne e sottosviluppate del paese, al fine di identificare ed attuare il c.d. diritto dei borghi. Lungo questa linea direttrice, che mira non soltanto a tutelare il borgo in sé ma anche, di riflesso, le popolazioni ivi stanziate, viene indagato il modello della rigenerazione territoriale, quale migliore strumento d’azione apprestato dall’ordinamento per la conservazione e valorizzazione dei borghi

1. La necessità di un “diritto del borgo” tra bellezza ed identità – 2. Il P.N.R.R.: le strategie e i programmi dell’Unione europea a tutela dei piccoli borghi – 3. Dalla tutela dei borghi alle smart cities – 4. La valorizzazione delle identità locali nell’esperienza maltese.

1.La necessità di un diritto del borgo tra bellezza ed identità

Questo lavoro si propone di analizzare le ragioni alla base delle criticità che affliggono le aree interne e sottosviluppate del paese, al fine di identificare ed attuare il c.d. diritto dei borghi. Lungo questa linea direttrice, che mira non soltanto a tutelare il borgo in sé ma anche, di riflesso, le popolazioni ivi stanziate, viene indagato il modello della rigenerazione territoriale, quale migliore strumento d’azione apprestato dall’ordinamento per la conservazione e valorizzazione dei borghi.

In questo quadro operativo, si procederà alla valutazione degli interventi attuati in relazione ai borghi, sia dalla prospettiva critica della leale collaborazione istituzionale e della partecipazione dei privati, sia dalla prospettiva sistematica del rapporto con la disciplina di governo del territorio, con la precipua finalità di verificare quali caratteri debba rivestire la rigenerazione territoriale.

Infine, si tracceranno dei punti fermi, i quali possono fungere da base partenza per una politica rigenerativa di governo del territorio basata, cumulativamente, su pubblicità, strategia, pianificazione, condivisione, flessibilità e trasversalità.

In Italia, a seguito della pandemia, si sta portando avanti, anche con l’utilizzo dei fondi del P.N.R.R., un processo finalizzato a sostenere lo sviluppo economico e sociale dei tanti piccoli borghi italiani. Tale approccio incoraggia le pubbliche amministrazioni locali chiamate ad arginare il fenomeno dello spopolamento delle aree interne per tentare di rilanciare i processi di rivitalizzazione sociale, economica e culturale delle comunità locali, offrendo enorme potenziale per un turismo sostenibile alternativo e di prossimità, grazie al patrimonio culturale (materiale e immateriale), alla storia, alle arti e alle tradizioni identitarie ed enogastronomiche che li caratterizzano.

Viene sempre di più a delinearsi accanto al diritto dei borghi anche un “diritto al borgo[1]” come una delle declinazioni del diritto alla bellezza e come espressione della cultura. I borghi e i piccoli centri storici[2] italiani rappresentano sempre di più un modello innovativo di turismo sostenibile e resiliente capace di coniugare la valorizzazione delle identità culturali, la tutela del patrimonio storico e artistico e la tutela dell’ambiente.

I diritti sociali nascono da un bisogno che chiede di essere soddisfatto. Nel nostro caso, sia il bisogno sia il diritto sono dati “dalla situazione sulla base della quale i cittadini delle aree interne[3] intendono riscattarsi dalla loro precaria condizione di vita locale rivendicando la pari dignità con le aree più sviluppate[4], nell’ottica di riappropriarsi della città, dei suoi spazi comuni oramai abbandonati, dei sui luoghi di aggregazione non più frequentati, delle bellezze culturali trascurate; diritto, questo, la cui duplice dimensione allo stesso tempo, soggettiva e collettiva, ha finito per trascendere ad uno stadio in qualche modo più oggettivo, riferendosi ad una condizione che più che riguardare l’individuo in sé, ha preso di mira il luogo in cui la comunità insediata, facendo sì che dal “diritto al borgo”[5] si passasse al “diritto del borgo”, chiaramente calibrato sui piccoli centri urbani di periferia. Così, partendo dalla posizione sociale e giuridica degli individui, si è preso atto del fatto che il centro di imputazione degli effetti delle iniziative intraprese non dovesse più essere il cittadino in sé ma il luogo in cui si dispiega la sua personalità, nella consapevolezza che tutelando le esigenze emergenti dei piccoli borghi si accorderebbe comunque protezione, seppur di riflesso, alla comunità insediata. In questa direzione, dunque, il ‘diritto al borgo’ si traduce in una sorta di diritto ad esistere e a contare nello scacchiere territoriale italiano, il che implica l’adozione di una serie di attività volte ad assicurare la rivitalizzazione e la rigenerazione, seppur in sintonia con i valori ambientali e culturali territorialmente espressi e le insite prospettive di turismo”.[6]

A sua volta l’Unione europea, mediante diverse policy, come quella relativa allo sviluppo rurale, la politica di coesione, nonché bandi nell’ambito dei programmi Horizon 2020 e Connecting Europe Facility (CEF) – ha già da anni contribuito alla tutela dei borghi e allo sviluppo dei borghi intelligenti.

Infine, risulta interessante e di rilievo l’indagine dell’esperienza francese e maltese che dalla valorizzazione e rivitalizzazione dei piccoli centri sono giunti alla realizzazione di smart cities, pur non intaccando la storia e le identità dei luoghi, tra cultura, identità e bellezza.

2.Il P.N.R.R.: le strategie e i programmi dell’Unione europea a tutela dei piccoli borghi.

Nell’ambito del Next Generation EU (NGEU),  programma concordato dall’Unione europea per contrastare la grave crisi economica scaturente dalla pandemia di Covid-19, si inscrive il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano, anche noto come “Italia domani”, nel quale riveste particolare rilievo, per ciò che qui interessa, la Missione 5 – inclusione e coesione – che si esplicita in tre distinti obiettivi concernenti: politiche per il lavoro; infrastrutture sociali, famiglia, comunità e terzo settore; interventi speciali per la coesione territoriale, le cui misure, volte a rafforzare i servizi essenziali e ad incidere sul divario di connettività e digitalizzazione nelle aree marginali, sono dirette ad aumentare l’attrattività dei territori a maggiore rischio di spopolamento, ad accrescere le opportunità di lavoro, a garantire la dotazione dei servizi socio-sanitari e ad affermare il “diritto a restare” per le nuove generazioni.

Più precisamente, gli obiettivi generali perseguiti dalla Missione per favorire la coesione territoriale (finanziati per un totale di 1,98 miliardi di Euro) consistono nel rafforzamento della Strategia nazionale per le aree interne attraverso misure a sostegno dei livelli e della qualità dei servizi scolastici, sanitari e sociali; nella valorizzazione economica e sociale dei beni confiscati alle mafie; nel potenziamento degli strumenti di contrasto alla dispersione scolastica e dei servizi socio-educativi ai minori; nella riattivazione dello sviluppo economico attraverso il miglioramento delle infrastrutture di servizio delle Aree ZES, funzionali ad accrescere la competitività delle aziende ivi presenti e l’attrattività degli investimenti.

Per ciò che attiene, più da vicino, alla Strategia nazionale per le aree interne, la Missione si prefigge lo scopo di intensificare l’erogazione dei servizi essenziali non solo facilitando l’accessibilità ai territori e il collegamento con i centri urbani ma anche realizzando infrastrutture sociali tese a garantire l’offerta dei servizi sul territorio; a ciò si aggiunge l’intervento specificamente destinato ai servizi sanitari di prossimità attraverso il consolidamento delle farmacie rurali nelle aree marginalizzate, rafforzandone il ruolo di erogatori di servizi sanitari mediante la partecipazione al servizio integrato di assistenza domiciliare; l’adempimento di prestazioni di secondo livello e, tra queste, la cura di percorsi diagnostico-terapeutici previsti per patologie specifiche; la fornitura di farmaci che il paziente è ora costretto a ritirare in ospedale; il monitoraggio dei pazienti con gli strumenti della cartella clinica elettronica e del fascicolo farmaceutico.

Di sicuro interesse per le politiche di contrasto allo spopolamento appaiono anche le misure ricomprese nella Missione 1, nella parte destinata alla rigenerazione dei piccoli siti culturali nelle aree rurali e periferiche, sostenendo il recupero del loro patrimonio turistico/culturale e del tessuto socioeconomico[7].

Al contempo, merita di essere segnalato il rinnovato impegno verso la nascita e la crescita delle Green communities là dove il PNRR, in aderenza ai contenuti dell’art. 72 della legge n. 221 del 2015, prevede la realizzazione di progetti che siano destinati a favorire lo sviluppo sostenibile[8] e resiliente dei territori rurali e di montagna[9].

Certo è che il programma di riforme previsto nel PNRR costituisce un’occasione di fondamentale importanza per la rivitalizzazione delle aree più depresse e, in generale, per l’ammodernamento del Paese, già fortemente penalizzato dall’acuirsi del notevole divario territoriale tra Nord e Sud che ha gravemente impattato sulla garanzia dei servizi resi alla cittadinanza e, per conseguenza, sulla tutela della persona umana[10]; una criticità che potrà essere risolta solo con la consapevolezza che il superamento del divario territoriale e il contrasto al fenomeno dello spopolamento necessitano dell’elaborazione di politiche pubbliche che siano orientate da una visione “nazionale”, e perciò strategicamente unitaria, di lungo periodo, frutto della leale collaborazione – e non già coercizione – tra i diversi livelli di governo[11].

Infatti, i piccoli Comuni ed i tanti borghi storici d’Italia sono una parte preziosa del nostro patrimonio culturale, artistico e sociale, pertanto, è fondamentale considerare le forme di protezione e promozione necessarie per garantire la loro sopravvivenza e prevenire il declino della popolazione e l’abbandono commerciale[12].

Nei villaggi rurali e nei piccoli centri abitati c’è un patrimonio culturale significativo che rischia di andare perduto e di essere oscurato dalla grandezza delle grandi città e dalle maggiori opportunità che offrono. La tendenza alla deurbanizzazione dei territori geograficamente piccoli ma di grande valore culturale finisce per essere un fenomeno di natura principalmente sociale, con implicazioni economiche e geopolitiche che coinvolge in particolare le generazioni dei più giovani che via via spopolano i piccoli centri. Oltre il 70% degli 8.000 villaggi italiani ha meno di 5.000 residenti, con più di 5.000 di questi villaggi che affrontano un significativo rischio di abbandono. Secondo le statistiche presentate dall’ISTAT a maggio 2022, sebbene la popolazione censuaria italiana al 31 dicembre 2019 si attestasse a 59.641.488 residenti, in calo di circa lo 0,3% rispetto al dato registrato alla stessa data del 2018, non si registrano variazioni sostanziali rispetto alle statistiche del 2011[13]. Pur permanendo della stabilità numerica, si registra un calo della popolazione residente nei comuni con meno di 5.000 abitanti (-3,8% rispetto al 2011). D’altra parte, la popolazione è aumentata in modo significativo in tutte le altre classi dimensionali, in particolare nei comuni con una dimensione della popolazione compresa tra 50.000 e 100.000 abitanti (+3,6%) e in quelli con più di 100.000 abitanti (+2,5%)[14].

Gli interventi previsti in gran parte a seguito del flusso di investimenti del PNRR possono consolidare l’identità e il valore dei luoghi storici attraverso la valorizzazione e la riqualificazione di aree abbandonate, anche sfruttando le nuove forme di digitalizzazione tanto incentivate dal Piano Borghi, oltre agli strumenti di riqualificazione urbana[15], al piano di assunzioni previsto per i piccoli Comuni, ed ai progetti di Legambiente, Kyoto Club e Azzero CO2 attraverso i quali i piccoli centri saranno coinvolti in una campagna di informazione e corsi di formazione, a cui seguirà l’attivazione di 10 sperimentazioni territoriali selezionate in tutta Italia per cogliere l’opportunità del PNRR, che destina 2,2 miliardi di euro ai piccoli comuni per la costituzione di Comunità Energetiche Rinnovabili.

I propositi sembrano essere i migliori, e la valorizzazione dei borghi, in quanto elemento imprescindibile del patrimonio culturale italiano, sembra rappresentare un punto importante nell’agenda del governo; a patto che i borghi, quei piccoli insediamenti che hanno “mantenuto la riconoscibilità nella struttura insediativa storica e la continuità dei tessuti edilizi storici” non diventino la facile pretesa di una retorica politica, ma costituiscano il soggetto titolare di un nuovo “diritto dei borghi” che miri ad una reale rigenerazione[16], non solo figurativa dei borghi “favorevoli”, ma urbana, sociale ed economica, finalizzata alla conservazione e allo sviluppo dei valori locali.

3.Dalla tutela dei borghi alle smart cities.

Il fenomeno italiano che involge la tutela, la rivalorizzazione e la rivitalizzazione dei centri storici minori ha scaturito un dibattito articolato e complesso[17] per le numerose difficoltà emerse nell’elaborazione di progetti politici e normativi capaci di coniugare l’esigenza di salvaguardia dell’identità storico culturale di tali realtà con le legittime aspettative dei cittadini ad uno sviluppo economico del territorio[18].

La civiltà dei “borghi”, e dei suoi nuclei storici originari, come complesso degli aspetti culturali, economico–sociali e politici specifici di una collettività in una da­ta epoca, ha dato vita a realtà identitarie tipiche attribuendo «all’Italia il meritato appellativo di “Paese dei centri storici”»[19].

Il ricercare una definizione sintetica di centro storico è operazione complessa data dalla difficoltà di identificare una categoria concettuale unitaria in cui «far rientrare i vari tipi di agglomerati urbani di antica edificazione», dei quali il nostro paese è particolarmente ricco[20].

Vi è più considerando che il concetto di centro storico, da semplice realtà ur­banistico – architettonica con qualità culturale, ha assunto anche connotazione socioeconomica.

I centri storici vengono intesi dapprima nell’accezione di città storiche o di cen­tri storico–artistici (spesso borghi medioevali) e di poi di centro o parte antica di città caratterizzata da preesistenze storiche[21]. Da una concezione che colloca i centri storici all’interno della disciplina dei beni culturali si passa ad un’altra che li pone nell’ambito della gestione complessiva del territorio.

Dal concetto di “monumento”[22] singolo si giunge a valorizzare il contesto[23] in cui lo stesso si colloca; si attribuisce quindi valore, «per la prima volta in senso orga­nico, al centro urbano antico visto nella sua interezza, come esito di permanenze, stratificazioni, trasformazioni, sostituzioni»[24].

Ed in particolare, le leggi nn. 1089 e 1497 del 1939 – occupandosi di salvaguar­dia/ protezione dei beni culturali e bellezze naturali – hanno avuto il merito di introdurre una definizione di centri storici come di «complessi di cose immobili componenti un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale», ovve­ro come espressione di eccellenza della creatività dell’uomo. Ciò nonostante, mancava ancora una previsione di tutela dei centri storici incentrata sulla conservazione – non dei singoli immobili[25]– ma del contesto ambientale in cui gli stessi venivano ricondotti.

«Inoltre anche il P.R.G. del 1942, non obbligatorio per tutti i comuni, non pre­vedeva previsioni di zoning riferibili in modo diretto ai centri storici»[26].

Orbene, in tale contesto la definizione di centro storico minore inteso come «Nucleo di una città che quando rappresenta una testimonianza viva di altre epo­che, costituisca per caratteristiche formali, tipologiche e urbanistiche un com­plesso legato a particolari momenti storici» esteso all’intera città, appare quella che meglio si sposa con le previsioni di legislazione urbanistica intervenute sulla conservazione, risanamento nonché valorizzazione dei centri storici[27].

Ed in particolare: con la Carta di Gubbio del 1960[28] i centri storici vengono classificati come beni culturali; viene introdotta una «dichiarazione di principi sulla salvaguardia e risanamento» dei centri storici con la quale si afferma per la prima volta la «necessità del riconoscimento urgente e di una classificazione preliminare dei centri storici con l’identificazione delle aree che devono essere protette e risanate» in un’ottica conservativa, attraverso l’uso degli strumenti di pianificazione urbanistica[29].

Nel 1964 la Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e del paesaggio (detta Franceschini dal nome del suo presidente), nel corso di un’attenta indagine riguardo al censimento e allo stato dei beni culturali in Italia emanò ottantaquattro Dichiarazioni la prima delle quali contenente la nozione di “bene culturale” come di «tutto ciò che costituisce testimonian­za materiale avente valore di civiltà». Le dichiarazioni contenevano una ferma e chiara denuncia relativamente al degrado, allo stato di abbandono ed alla scarsa valorizzazione del patrimonio culturale italiano. Di poi, con la legge n. 765 del 1967, ex art. 17 comma 5[30], con il D.M. 1/4/1968, n. 1444[31] e con l’art. 4 comma 8, e 12 della legge n. 10 del 1977[32] è presente un rife­rimento esplicito ai centri storici.

Ma questo complesso di norme, tuttavia, rappresenterà solo il punto di emersione di un interesse pubblico alla tutela dei valori dei centri storici purtroppo ancora sprovvisto delle necessarie garanzie[33].

Il 1975, definito dal Consiglio d’Europa come “L’anno europeo del patrimonio architettonico”, è considerato dalla dottrina come un momento di decisivo impegno nella strategia di difesa del centro storico delle città[34]; con la Carta europea del patrimonio architettonico adottata dal Consiglio dei Ministri in tale anno verrà sancito il principio secondo cui il patrimonio architettonico europeo non consiste solo di monumenti importanti, comprendendo invece anche i gruppi di edifici minori nei centri storici e borghi caratteristici nel loro ambiente naturale o artificiale[35].

Di poi, con la Carta di Washington per la salvaguardia delle città storiche del 1987, viene estesa la nozione di centro storico all’intera città, per cui il centro storico diviene la città stessa nel suo insieme, ivi compresi i suoi agglomerati moderni[36].

Infine, gli ultimi provvedimenti legislativi riguardanti in modo variamente diret­to i centri storici si rinvengono del dettato della legge 4.12.1993 n. 493[37], nel D.M. 8/10/1998 n. 1169[38], nel DM 28/5/1999, nel D. Lgs. 29/10/1999 n. 490[39], ed infine nella legge “salva borghi”, la n.158 del 2017.

Nel 2008[40] di poi, i centri storici entrano nel novero dei beni paesaggistici.

I centri storici, dunque, pur non rientrando tra le aree tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004, ai sensi delle modifiche apportate dall’art. 2 del D. Lgs n. 63 del 2008, vengono inclusi tra quelle categorie di beni suscettibili di tutela paesaggistica mediante dichiarazione di notevole interesse pubblico, di competenza regionale, e, in via sostitutiva, anche ministeriale. È un bene paesag­gistico «a valenza culturale»[41].

Orbene se ciò è per quanto ai centri storici, altrettanta difficoltà si è riscontrata nella individuazione di una definizione e classificazione univoca dei centri storici cosiddetti minori[42]; “Minore” «non solo come attributo di carattere dimensiona­le, ma anche per “ruolo”, rispetto ad un ambito più vasto che è quello economico, funzionale e socio–culturale»[43].

La distinzione dei centri storici minori operata dalla dottrina[44] distingue gli stessi nelle tre categorie di insediamenti storici trasfigurati ovvero incapsulati nell’espansione edilizia e nell’agricoltura industrializzata; «abbandonati[45] per ragioni naturali/catastrofiche o per la realizzazione di nuovi insediamenti»[46]; turisticizzati, ovvero trasfigurati dal recupero omologante dato dalle esigenze turistiche[47]. Ma comune denominatore di tali centri è il fenomeno del degrado edilizio[48] in parte causato da un processo di spopolamento e abbandono che investe alcuni di tali centri dovuto alla perdita di potere economico ed alla bassa qualità della vita legata alla carenza di servizi.

Tale fenomeno ha dato la stura negli ultimi anni ad interventi legislativi ed am­ministrativi atti a consentire ai cittadini la ricostituzione delle comunità residenti partendo dalla valorizzazione dell’esistente[49].

Attraverso la coniugazione di istituti giuridici preesistenti e concetti quali re­cupero, riqualificazione, rivitalizzazione o rigenerazione[50] del patrimonio edilizio esistente si è cercato di affrontare le numerose e complesse problematiche dei centri storici minori[51].

L’eterogeneità e la molteplicità degli interessi pubblici coinvolti su tale tema appaiono da subito evidenti considerate le interconnessioni dei beni/interessi/valori, socioeconomici, culturali e paesaggistici nel processo di risoluzione delle problematiche connesse a tali realtà[52].

Una strategia di intervento per il recupero e valorizzazione dei centri storici minori si intreccia indissolubilmente con una «integrazione fattiva e partecipata tra la politica, intesa come luogo privilegiato delle decisioni, e la programmazione socioeconomica, la pianificazione urbanistica, territoriale e del paesaggio, tra la programmazione delle opere pubbliche e la pianificazione della mobilità» (ed in questa direzione si muove difatti l’Agenzia per la Coesione Territoriale[53]).

Il sistema pianificatorio è costretto a considerare con attenzione gli interessi so­ciali ed economici delle persone/cittadini in un’ottica di ponderazione e contemperamento del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta gestione degli interessi territoriali e di una effettiva tutela anche della proprietà edilizia.

Ed in tale contesto viene introdotta la legge n.158 del 2017 recante «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione ed il recupero dei centri storici dei medesimi comuni».

La legge n.158 del 2017, ovvero c.d. legge “salva borghi”, è tesa ad un rilancio della micro-territorialità attraverso forme di turismo sostenibile, ed economia circolare.

In tale ottica la costituzione di un Fondo per lo sviluppo strutturale, economi­co e sociale dei piccoli comuni[54] rafforza un’idea di risanamento dei centri storici basata sulla coniugazione degli strumenti di pianificazione generale ed attuativa del territorio con le progettualità ed impegno economico delle imprese private aggiuntive rispetto all’apporto dato dalle risorse pubbliche[55].

La legge “salva borghi” quindi assume due meriti: il primo di attribuire ai piccoli comuni il ruolo di «risorsa a presidio del territorio, soprattutto per le attività di contrasto del dissesto idrogeologico e per le attività di piccola e diffusa manutenzione e tutela dei beni comuni»[56], il secondo di riconoscere come la valoriz­zazione dei borghi passi attraverso la concezione di nuovi modelli di sviluppo e soluzioni green idonee a determinare l’insorgere di nuove forme di artigianalità, di turismo e di impresa.

Si realizza, in tal modo, una cosiddetta “modulazione della tutela” – avente l’obiettivo di contribuire a definire una regolamentazione edilizia adatta a evitare di “congelare” il centro storico pur garantendone la sua protezione –, con una previ­sione di utilizzo delle nuove tecnologie, sia a livello urbano che edilizio[57].

«Lo scopo della rigenerazione, in questo caso, è quello di favorire l’insediamen­to in queste realtà territoriali nonché di incentivarne l’afflusso turistico in un’otti­ca di economia circolare, attraverso la coesistenza di misure di miglioramento della qualità dei servizi e della qualità della vita»[58].

Se ciò si registra nell’ambito legislativo, altrettanto significative sono le iniziati­ve realizzate in campo amministrativo dalle istituzioni locali nell’ottica della valorizzazione dei centri storici minori e dei borghi storici laddove esistenti.

Tra esse vi è l’esempio reso dal Protocollo di intesa stipulato dalla Regione Puglia – assessorato alla pianificazione territoriale ed Urbanistica– con l’ANCI – Borghi più belli d’Italia, alcuni comuni, e Touring club[59], per avviare un percorso di iniziative rivolte alla conservazione, recupero e valorizzazione dei borghi presenti nel territorio regionale, nonché al recupero dell’identità di questi luoghi.

E di poi sulla stessa scia si rinviene l’introduzione delle politiche di social hou­sing ovvero di promozione di forme agevolative per famiglie non in grado di so­stenere un mutuo o un affitto, favorendo accordi con proprietari, riqualificazione energetica ed implementazione domotica per controllare e contenere i costi/con­sumi energetici[60].

Gli interventi più significativi di competenza delle amministrazioni locali vol­gono l’attenzione nei confronti dell’incentivazione di investimenti infrastruttura­li relativi a viabilità, illuminazione pubblica, valorizzazione degli spazi pubblici di condivisione, nonché in favore della realizzazione di infrastrutture di tipo innova­tivo per l’attivazione di servizi basati su tecnologie avanzate in grado di garantire al cittadino una più concreta partecipazione al governo della città, nonché, alle ­imprese ed ai turisti, servizi qualificati attraverso una digitalizzazione delle attività didattiche ed amministrative[61].

Il tema del recupero dei borghi italiani deriva quindi dalla coniugazione di vari elementi: il «riconoscimento dell’importanza del riuso del patrimonio edi­lizio esistente con la volontà di rimetterne in luce i valori storico–architettonici e ambientali con le potenzialità economiche e climatiche dei luoghi»; il tutto in nome del «minor consumo di suolo e del risparmio delle risorse»[62].

L’obiettivo è quello di far coesistere tradizione e innovazione, mettendo quanto più possibile le nuove tecnologie al servizio dei borghi e delle comunità rurali.

La sfida è complessa. La terminologia Borghi intelligenti o Smart villages[63] è usata per indicare il progetto finanziato dalla Commissione europea per migliorare la qualità della vita all’interno delle zone rurali[64].

«Nata come iniziativa dell’Unione Europea per incrementare l’efficienza energetica delle città», il carattere smart di un centro abitato ha assunto una valenza «di opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale che faccia dell’inno­vazione il perno del proprio organizzarsi, facendo leva sui temi dell’ambiente, dell’accessibilità e della sostenibilità»[65].

Una città è “intelligente” quando è in grado di migliorare la qualità della vita dei cittadini valorizzando il contesto in cui gli stessi vivono; quando è inclusiva e tecnologica, partecipativa e sostenibile.

Tali condizioni possono essere facilmente applicate anche ai centri storici[66].

A partire dal 2018 la Commissione europea ha deciso di finanziare dei progetti pilota pensati per creare dei “borghi intelligenti” ovvero attraverso il miglioramen­to della logistica, la condivisione di dati sulle aree rurali e lo sviluppo di adeguati modelli di business applicabili a realtà piccole.

Il documento della Commissione, “EU action for Smart Villages” delinea un processo di riflessione sui “villaggi del futuro” e sulla necessità di mettere insieme diversi programmi per costruire approcci strategici per promuovere i “villaggi in­telligenti”, compreso il sostegno alla conoscenza, agli investimenti e alla connetti­vità. Le azioni specifiche comprendono le piattaforme di scambio, le opportunità di finanziamento, le attività di capacity–building, gli eventi, i lavori tematici e i progetti di ricerca[67].

Per un Borgo essere “intelligente” significa essere in grado di investire nelle ri­sorse autentiche presenti con una visione strategica del futuro[68].

Sono molti i progetti che la Politica di Sviluppo Rurale si è prefissata di raggiungere: modernizzazione delle fattorie, condivisione di dati, rinnovo dei borghi intelligenti. Il tutto senza perdere di vista il valore della coesione e dell’auto investimento: sa­ranno, infatti, gli stessi abitanti degli smart villages a proporre nuove idee e a impa­rare a gestire quelle già realizzate[69].

Allo sviluppo degli “borghi intelligenti” concorrono diverse policy europee, come quella relativa allo sviluppo rurale, la politica di coesione, nonché bandi nell’ambito dei programmi Horizon 2020 e Connecting Europe Facility (Cef), in un’ottica di integrazione dei fondi UE.

Si tratta di un concetto emergente nell’ambito dei processi decisionali dell’UE che punta a garantire l’accesso ai servizi di base, all’applicazione dell’economia cir­colare, alla risoluzione dei problemi ambientali e alla valorizzazione dei prodotti locali attraverso le ITC (Tecnologie di informazione e comunicazione).

La nuova strategia è basata su sedici iniziative con seminari, conferenze e pro­getti pilota. Fra gli strumenti a disposizione dei futuri “borghi intelligenti” italiani c’è la Strategia Nazionale per le aree interne (SNAI) che punta ad invertire lo spopolamento dei centri minori del paese, molti dei quali rappresentati da bor­ghi rurali, attraverso la riqualificazione delle risorse esistenti, il rafforzamento dei servizi pubblici, un nuovo rapporto tra cittadini e amministrazioni con una forte attenzione alla digitalizzazione[70]. Queste solo alcune delle iniziative in progetto. Dal fenomeno degli alberghi diffusi, alla possibilità di stabilire convenzioni con la Chiesa per il recupero dei beni culturali, allo sviluppo della rete a banda ultra-larga e programmi di e–government tra alcuni degli esempi di Smart village. Questi esempi costituiscono strumenti volti alla promozione in ogni borgo di un processo di trasformazione e riqualificazione urbana incoraggiando politiche pubbli­che e comportanti privati finalizzati a perseguire una buona qualità del paesaggio urbano; incoraggiare ed accompagnare ogni amministrazione comunale e gli operatori economi­ci, culturali, del volontariato, che direttamente e/o indirettamente concorrono a formare l’ambiente ospitale a collaborare fra loro sviluppando sinergie per ottenere efficienza ed una capacità di offerta più promettente[71].

In sintesi, l’obiettivo è quello di «sviluppare in ogni borgo un modello ed una cul­tura basati su principi quali la consapevolezza, la responsabilità, la reciprocità»[72].

L’albergo diffuso[73], nato come idea negli anni ’80 con la ristrutturazione di alcuni paesi della Carnia a seguito del terremoto,può essere definito come un albergo orizzontale, situato in un centro storico, con camere e servizi dislocati in edifici diversi, seppure vicini tra di loro.

L’albergo diffuso è una struttura ricettiva unitaria che si rivolge ad una doman­da interessata a soggiornare in un contesto urbano di pregio, a contatto con i re­sidenti, usufruendo dei normali servizi alberghieri. Questa formula si è rivelata particolarmente adatta per borghi e paesi con centri storici di interesse artistico e architettonico interessati più al recupero e valorizzazione di vecchi edifici chiusi e non utilizzati, che alla soluzione di problemi di ricettività turistica attraverso la realizzazione di nuove costruzioni[74].

L’albergo diffuso ad esempio si muove direttamente nella direzione del recu­pero del patrimonio artistico e culturale dei centri minori, per di più possedendo le potenzialità per incrementare il reddito e l’occupazione dei piccoli centri, per mantenere o incrementare la popolazione, senza per questo intervenire contami­nando la cultura, l’ambiente, l’identità dei luoghi[75].

Ulteriore occasione per il rilancio del territorio dei centri storici minori è data dall’uso di tecnologie off–grid per alimentare gli edifici ecosostenibili e senza al­lacciamento alcuno.

Un edificio off–grid è capace di produrre e soddisfare in autonomia i propri carichi energetici per quanto riguarda energia elettrica, calore, gestendo autonomamente anche il ciclo delle acque; in tal modo l’uso di tali tecnologie consente autonomia idrico–energetica dai tradizionali gestori nazionali[76]. Applicando tali soluzioni nell’ambito del contesto dei centri storici minori si può altrettanto dire che le stesse permettono di ottenere vantaggi quali l’eliminazione di «superfetazioni impiantistiche dovute all’allaccio alla rete comunale, una migliore gestione delle reti e la possibilità di rendersi autosufficienti in contesti poco urbanizzati»[77].

Esemplificativa è la progettazione di orti urbani tecnologici pensati come «luo­ghi a servizio di edifici in cui collocare sistemi di captazione solare per la produ­zione di energia elettrica, sistemi di accumulo e riutilizzo di acque piovane, fosse settiche per rendersi indipendenti dalla rete fognaria»[78].

Ma l’applicazione della tecnologia nei contesti esistenti non può prescindere dal coinvolgimento dei cittadini e dei soggetti portatori di interesse nei programmi di qualificazione o rigenerazione urbana sulla base dei fabbisogni dei territori in un’ottica partecipativa[79].

Informare i cittadini sul lavoro dell’Amministrazione, promuovere azioni indi­viduali e collettive di manutenzione, cura e valorizzazione del borgo su base vo­lontaria e pianificata, costituisce lo strumento per operare un agire partecipato di matrice europea[80].

Garantire i processi partecipativi nell’elaborazione dei progetti di sviluppo dei centri storici fa sì che le sollecitazioni, i desideri e le percezioni emerse attraverso una strategia bottom up, possano collocarsi tra «l’apparato delle analisi e quel­lo dei materiali di progetto svolgendo la funzione di ponte tra l’osservare ed il proporre»[81].

Nel processo di rivitalizzazione dei centri storici mi­nori lo strumento partecipativo opera attraverso i patti di collaborazione[82], intesi come strumento innovativo semplice e diretto per favorire la collaborazione tra abitanti e amministrazione[83] partendo dall’idea che la città è la casa della società. Altrettanto significativo è l’esempio dato dai regolamenti sulla collaborazione tra cittadini ed amministrazioni per la cura, gestione condivisa, e rigenerazione dei beni comuni[84].

Il ruolo attivo dei cittadini, singoli o associati, riuniti in formazioni sociali anche di natura imprenditoriale riduce la distanza con la P.A..[85].

La partecipazione del cittadino quindi diviene più effettiva, non più difensiva ma collaborativa[86].La rivitalizzazione e la partecipazione divengono oggi aspetti di uno stesso percorso di recupero dei centri storici minori.

La novità risiede nel dato per cui al cittadino viene data possibilità di partecipare attivamente all’elaborazione del processo decisionale amministrativo per quanto alla fase iniziale di ascolto degli interessi coinvolti nel perseguimento di un obiettivo di scelta condivisa, nonché all’altrettanta fase attuativa della decisione[87].

Sebbene la consapevolezza del valore dei percorsi partecipativi presenti ancora aspetti di complessità e difficoltà, la collaborazione tra Amministrazioni e cittadino è un valore da tutelare per utilizzare al meglio le risorse pubbliche e offrire alla collettività un servizio ispirato esclusivamente al principio di sussidiaria parteci­pazione della cittadinanza attiva come previsto dall’art. 118 della Costituzione[88].

Trattasi di un percorso partecipativo che si realizza anche nell’ambito della eco­nomia civica attraverso una politica pubblica di promozione proattiva, ovvero attraverso forme di finanziamento/sostegno economico pubblico a tali processi.

Orbene, gli esperimenti di democrazia partecipativa e deliberativa su tale fronte devono essere ancora chiamati alla prova dei fatti.

Più note per gli esiti positivi sono le esperienze dei bilanci partecipativi in cui una quota del bilancio dell’ente viene riservata ai cittadini che ne determinano l’allocazione, dei finanziamenti collettivi/ investimenti diffusi e quelle dei programmi di qualificazione o rigenerazione urbana, cui sono chiamati a partecipare i cittadini del territorio ascoltati in modo diretto per quanto a necessità e problematiche.

Il bilancio partecipativo è un processo di democrazia diretta attraverso il quale i cittadini scelgono ogni anno come e dove investire le risorse del bilancio municipale; un metodo ed un modello di decentramento, di autogestione e di partecipazione diffusa alle scelte municipali.

Il territorio così realizza gli investimenti segnalati dai privati producendo be­nefici attraverso la partecipazione con le amministrazioni (governo e regioni a disposizione per quanto a norme e cespiti)[89].

L’esistenza di programmi pubblici di investimento a livello territoriale determi­na una condizione favorevole per la definizione di nuovi modelli di intervento sia in termini di governance che di modelli di finanziamento degli interventi[90].

Trattasi del crowfunding o finanziamento collettivo, ovvero del modello colla­borativo basato su di un processo innescato da un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune, allo scopo di sostenere micro – finanziamento dal basso anche attraverso l’uso del web e di piattaforme informatiche (open call su cui vengono caricate idee del futuro)[91].

Iniziative locali di “investimento diffuso” (public company ad azionariato dif­fuso) finalizzate a realizzare interventi di recupero e valorizzazione economico – sociale di parti del patrimonio edilizio abbandonato e/o sottoutilizzato, restituiscono alla comunità un valore culturale generando stimolo per nuove attività economiche locali.

La trasparenza, la fiducia e la tecnologia sono i tre ingredienti necessari con cui si compone la pratica dell’investimento collettivo o diffuso.

Dalla dimensione partecipata dell’ideazione, della progettazione, dell’esecuzione e non soltanto del concorso finanziario si realizza un modello di business, nel quale un’impresa o un’istituzione affida, tramite una open call basata su portali pre­senti in internet, la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto, og­getto o idea ad un insieme indefinito di persone non organizzate precedentemente.

La partecipazione dei cittadini e il ricorso alle prime forme di crowdsourcing e di crowdfunding come nuovi strumenti per la realizzazione di progetti al fuori dal budget dell’amministrazione[92]. Crowdsourcing, e crowdfunding riflettono fenomeni che sono stati concettualizzati e hanno avuto vasta eco grazie anche alla teoria socioeconomica della “saggezza della folla”, secondo la quale una massa di individui sarebbe in grado di fornire una risposta adeguata e valida a una domanda più di quanto non siano in grado di farlo gli esperti[93].

La promozione di interventi a favore dei borghi storici riconosciuti e impegna­ti in programmi di tutela del patrimonio culturale e ambientale, possono esser proposti anche da soggetti privati; il miglioramento qualitativo e competitivo del territorio pugliese coinvolge, oltre al sistema delle Amministrazioni regionale e locali, anche i soggetti che attraverso le proprie competenze specifiche, a vario titolo, possono contribuire allo sviluppo sostenibile. Le amministrazioni si rivolgono non solo ai soggetti finanziatori usuali (Euro­pa, Stato, Regione, banche, grandi imprese private), ma anche a soggetti come gli abitanti, i city users, le cooperative e le imprese locali; il tutto attraverso forme di sperimentazione di crowdfunding civico[94] come pratica del finanziamento colletti­vo dal basso di opere e progetti pubblici basato sulla fiducia ed il coinvolgimento dei cittadini. Trattasi di una sorta di «sharing economy legata alla gestione delle comunità locali»[95].

Si assiste alla realizzazione di un esempio di economia virtuosa data dall’utilizzo di risorse umane e professionali della piccola comunità, ma con la consapevolezza di avere un grande valore da far valere, la loro bellezza paesaggistica, sia pur a fronte di pochissime risorse.

Le persone diventano sorgenti di idee coinvolgendo le p.a. su temi di diretto interesse; la progettazione diviene partecipata attraverso un processo orizzontale sintetizzabile nella sequenza: idee innovative – creatività – nuove tecnologie.

Dal progetto come prodotto al progetto come inizio di un percorso. Attualmente tre sono le prime tre campagne di crowdfunding che interessa­no esperienze di borghi d’Italia, ovvero Laigueglia in Liguria[96] (per realizzare un Parco Ludico in riva al mare), Furore sulla Costiera Amalfitana (per operare la riqualificazione del Giardino della Pellerina[97]) e San Benedetto Po in provincia di Mantova (per ristrutturare l’ex infermeria monastica cinquecentesca, attualmente inagibile, per ospitare una struttura ricettiva con ristorante, spazi espositivi, labo­ratori artigianali ed atelier).

Infine, altra esperienza in corso d’opera si sta realizzando per quanto all’attività svolta dall’Anci Crowd[98] come investimento sulla solidarietà per far tornare a spe­rare i borghi preziosi del centro Italia vittime del terremoto.

4.La valorizzazione delle identità locali nell’esperienza maltese

Interessante esperienza da tenere in alta considerazione è quella maltese, ove possiamo assistere ad un dialogo di carattere tra vecchio e nuovo, tra innovazione e tradizione, architettura moderna e storia.

L’isola di Malta[99] è il più piccolo Stato dell’Unione europea. Si estende su un piccolo arcipelago formato da sei isole – le principali sono Malta, Gozo e Comino –un centinaio di chilometri a sud della costa siciliana, tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale. Una posizione strategica che nei secoli ha attratto Fenici, Cartaginesi, Romani e Bizantini, ma anche Francesi e Inglesi. Il loro passaggio ha lasciato una traccia indelebile nella lingua, che passa con disinvoltura dai suoni aspri dell’arabo all’armonia delle lingue latine; e nell’architettura, che accoglie templi megalitici un millennio più antichi delle piramidi di Giza, cappelle barocche, chiese neogotiche e basiliche medievali.

La Valletta è la capitale di Malta e deve il suo nome a Jean de la Valette, Gran Maestro dei Cavalieri Ospitalieri che la fondarono nel 1566. Città fortificata le cui mura sembrano contenerla a forza, occupa la punta di una penisola, un lungo dito che si estende tra il-Port il-Kbir e Marsamxett Harbour.

Basta incamminarsi lungo l’intreccio di vie per ammirarne i trececentoventi edifici e monumenti dichiarati Patrimonio mondiale dell’UNESCO come: la Cattedrale di San Giovanni, simbolo della ricchezza e del potere dell’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri.

Nell’Auberge de Provence, risalente al 1571, è ubicato il Museo Nazionale di Archeologia, il quale ripercorre invece le origini dell’isola: il piano terra è dedicato al Neolitico, con vestigia dell’epoca dei Grandi Templi, tra cui la famosa statuetta della Venere di Malta rinvenuta nel sito di Ħaġar Qim; il primo piano è riservato all’Età del Bronzo con i periodi fenicio-punico, romano, bizantino e musulmano.

Di fronte a La Valletta sorgono tre borghi dai nomi carichi di storia: Vittoriosa, Senglea e Cospicua, un trio difensivo le cui mura si tuffano nel mare, dagli edifici alteri e dalle stradine ripide. Abbandonate dopo la guerra, sono rinate con la riqualificazione del porto. Dietro i moli s’innalza Vittoriosa, che offre straordinari scorci su Valletta. Qui, sull’estrema punta, si trova il Fort Saint Angelo edificato dagli Arabi sul sito di un antico tempio fenicio nell’870, il forte fu ingrandito con l’arrivo dei cavalieri per ospitare, tra il 1530 e il 1574, il Palazzo dei Gran Maestri. Collocata su uno stretto promontorio a strapiombo sul porto, Senglea fu fondata nel 1551 dal Gran Maestro Claude de la Sengle e rappresentava per i cavalieri un luogo di riposo. L’eroica resistenza durante il Grande Assedio le valse il titolo onorifico di Città Invitta. Su un sito occupato sin dal Neolitico è situato il porto di Cospicua risalente al 1722.

Ed è proprio a Malta[100], terra ricca di storia e di identità culturali, che è stato realizzato un progetto da Renzo Piano e il suo Building Workshop che ha avuto come obiettivo quello di ricucire il centro storico della Valletta.

Un ridisegno urbano, un progetto alla scala architettonica, che passa attraverso quattro elementi: una nuova porta d’accesso, il City Gate, l’annessa risistemazione del sito immediatamente fuori dalle mura della città e del fossato, e la costruzione di un nuovo edificio del Parlamento e il progetto di un teatro all’aperto all’interno delle rovine della ex teatro Reale.

Il progetto dello studio RPBW si situa in una zona cruciale della capitale maltese, già dichiarata Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, a ridosso delle sue storiche mura cinquecentesche. Per la riuscita del dialogo tra edifici storici, architettura moderna e mura antiche fondamentale è stata la scelta di utilizzare la pietra locale come materiale principe. Senza concessioni a un uso nostalgico o di maniera. Il rivestimento lapideo è funzionale all’integrazione del paesaggio costruito e allo stesso tempo un inno all’innovazione sia formale sia tecnologica.    L’architettura della nuova porta della città è molto “trattenuta”, austera, gli immensi blocchi di pietra, delimitati e incorniciati da lame d’acciaio che vengono utilizzate per evidenziare la giunzione tra vecchio e nuovo, e i due pali d’acciaio, ognuno alto venticinque metri, sono sufficienti a caratterizzare questa breccia nel muro.

Il palazzo del Parlamento è costituito da due blocchi massicci in pietra poggiati su esili colonne per dare all’edificio un senso di leggerezza, nel rispetto del layout dell’importante strada esistente. Il blocco più settentrionale è principalmente dedicato alla camera del parlamento, mentre il blocco a sud ospita gli uffici dei membri del Parlamento e quelli del primo ministro e del leader dell’opposizione. I due blocchi sono separati da un cortile centrale, che serve anche come ingresso principale dell’edificio.

Il tutto, con la manifesta intenzione di realizzare non solo una nuova opera di architettura moderna, ma di ricreare un isolato urbano permeabile, funzionale alla vita del centro storico della Valletta.

Un progetto tra innovazione e tradizione, quello affidato a Renzo Piano. Per essere apprezzato appieno ci si dovrebbe rendere conto della complessità dell’opera. L’esigenza principale era quella di ristrutturare un sito storico nel rispetto della tradizione. L’originalità della struttura sta proprio nel fatto che la modernizzazione non ha impedito il dialogo tra passato e presente. La capacità di mettere in relazione la tradizione con la modernità è l’elemento distintivo del lavoro di Renzo Piano. La scelta di utilizzare la pietra maltese, una pietra calcare dal colore caldo, nella variante più compatta, è stata tutt’altro che scontata. Il recupero del teatro adiacente il polo multifunzionale, nel quale è sito il Parlamento, è un’ulteriore prova della ricchezza creativa dell’architetto.

Le facciate del Parlamento colpiscono l’attenzione dell’osservatore per l’uso assolutamente innovativo della pietra, che crea un equilibrio tra forma e materia. Il materiale è stato lavorato con un molteplice scopo. Il particolarissimo involucro esterno svolge infatti un importante ruolo sia sulla modulazione della luce, che penetra all’interno dell’edificio, sia sul controllo climatico.

Secondo il principio di ‘parete attiva’ il rivestimento dell’edificio è stato fatto a “brises-soleil” ossia con degli elementi progettati secondo l’inclinazione dei raggi solari. Dietro le insolite facciate in pietra, modellate in modo da simulare l’erosione provocata dal vento, è nascosto un alto contenuto tecnologico. La realizzazione delle facciate ha richiesto, infatti, un inedito lavoro di progettazione architettonica, sia a livello di taglio e lavorazione della pietra sia a livello di agganci attraverso strutture metalliche. Il progetto del “Valletta City Gate” realizzato dallo “Studio Renzo Piano Building Workshop” ha fatto a lungo parlare di sé. Nonostante i colori caldi della pietra maltese e la volontà di dotare la capitale di una struttura unica nel suo genere, capace di far vivere il passato in un modernissimo presente, le polemiche non sono mancate. L’edificio, per via della sua curiosa tessitura, è stato sprannominato dall’architetto maltese Kenneth Zammit Tabona “cheese grater”, ossia “grattugia”. Il fatto che dietro la “grattaformaggio” ci sia una strategia innovativa finalizzata al risparmio energetico dovrebbe però indurre a più approfondite considerazioni. È stato previsto che, grazie all’ausilio di 600 mq di pannelli fotovoltaici, sistemati in copertura, l’edificio riesca a provvedere all’80% di energia per il riscaldamento in inverno e al 60% di energia per il raffreddamento degli ambienti in estate. Se, poi, si volge lo sguardo al lavoro svolto nella prospettiva della cooperazione e dell’innovazione, si può affermare che un progetto come questo sia un lavoro vincente. Il dialogo tra passato e presente, identità storica e necessità di valorizzazione nel segno della modernità, hanno portato ad un connubio perfetto tra progresso tecnologico delle tecniche di recupero dei centri storici e la sostenibilità ambientale. Le bellezze naturali, la rivalorizzazione degli splendidi borghi caratteristici, la ricchezza della sua storia, hanno fatto di Malta una destinazione di grande interesse ed attenzione da parte del pubblico internazionale, ciò favorito, anche e soprattutto, dagli sforzi del Paese per promuovere un turismo responsabile e sostenibile che ha contribuito alla sua crescente popolarità e l’ha resa ancor di più una meta irrinunciabile del mar Mediterraneo.


[1] Biagio G. Di Mauro, Il diritto dei borghi nel PNRR: verso una stagione di rigenerazione urbanisticamente orientata alla conservazione e allo sviluppo dei valori locali, in Urb. e Ap. n. 4/2022, p. 458-471.

[2] R. De Iulio, M. Russo, La protezione dei centri storici e lo sviluppo del turismo culturale. Problemi e prospettive, contributo al volume La valorizzazione del patrimonio culturale: una risorsa per l’Europa, 2020, Tuga Ed., pp. 15-39 – pp.192.

[3] G. P. Cirillo, Il diritto al borgo come una delle declinazioni del diritto alla bellezza e come luogo “dell’altrove”, Rivista online Giustizia Insieme, Atti convegno “Diritto e Bellezza. Verso l’altrove”, VII dialogo tra giuristi, Ravello, 23-24 marzo 2023.

[4] R. De Iulio, A. Ciaschi, Aree marginali e modelli geografici di sviluppo. Teorie e esperienze a confronto, 2014, Collana Biblioteca, Sette Città Ed., pp.290;

[5] N. Bortoletto, S. D’Alessandro, R. Salvatore, “Ripartire dai borghi, per cambiare le città. Modelli e buone pratiche per ripensare lo sviluppo locale”, Milano, 2020, Franco Angeli Ed., pp. 213;

[6] Biagio G. Di Mauro, Il diritto dei borghi nel PNRR: verso una stagione di rigenerazione urbanisticamente orientata alla conservazione e allo sviluppo dei valori locali, in Urb. e Ap. n. 4/2022, p. 458-471.

[7] A tal proposito, il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha affermato, in occasione della conferenza “Borghi, comunità e territori. Legge 158/17 e PNRR: per un’Italia che fa l’Italia” tenutasi il 7 settembre 2021, che una soluzione strategica al fenomeno dello spopolamento nei piccoli borghi potrebbe consistere nella attribuzione ad essi di una “vocazione prevalente”: “Per vocazione intendo quella turistica con un hotel diffuso, ma anche quella della formazione con un ente di ricerca di un’università o quella sanitaria come potrebbe essere una residenza sanitaria per anziani. Se funziona e si vede che un borgo condannato a crollare viene ripopolato e se la gente trova lavoro, quel borgo può diventare un modello”, aggiungendo che “L’investimento sui borghi oggi non è più un’esigenza per chi ci vive ma un’occasione economica per il Paese”.

L’articolo è disponibile all’indirizzohttps://www.edilportale.com/news/2021/09/ambiente/borghi-piccoli-e-disabitati-franceschini-costruiremo-loro-una-vocazioneper-ripopolarli_84546_52.html.

[8] V. Pepe, “Fare ambiente. Teorie e modelli giuridici di sviluppo sostenibile”, Milano, 2009, Franco Angeli Ed.

[9] In particolare, così come specificato al punto M2C1.3.2: “l’ambito di tali piani includerà in modo integrato (per 30 Green Communities complessivamente): a) la gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale; b) la gestione integrata e certificata delle risorse idriche; c) la produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano; d) lo sviluppo di un turismo sostenibile; e) la costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna; f) l’efficienza energetica e l’integrazione intelligente degli impianti e delle reti; g) lo sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production); h) l’integrazione dei servizi di mobilità; i) lo sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile”.

[10] Con riferimento allo strumento del PNRR, ad esprimere un giudizio critico sulla mancata percezione dello spopolamento come di un problema di carattere nazionale è stato il Coordinatore nazionale piccoli Comuni Anci Massimo Castelli il quale ha affermato: “All’interno del pacchetto del Pnrr per i piccoli Comuni ci sono alcune misure interessanti ma nel complesso manca una strategia specifica che parta dalla considerazione dello spopolamento come una delle grandi emergenze nazionali”. La notizia è disponibile al sito https://www.anci.it/castellinel-pnrr-manca-consapevolezza-che-lo-spopolamento-e-grande-emergenza-nazionale/.

[11] Sul tema, si v. più estesamente S. Mangiameli, Dal regionalismo asimmetrico allo Stato asimmetrico, in Id., A. Filippetti,F. Tuzi, C. Cipolloni, Prima che il Nord somigli al Sud. Le regioni tra divario e asimmetria, cit., 159 ss.

[12] Conclusioni del Consiglio europeo sul patrimonio culturale del 21 maggio 2014 (2014/C 183/08), https://eurlex. europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX.Sui diversi profili di rivitalizzazione dei borghi cfr. C. METALLO, R. AGRIFOGLIO, Spazi collaborativi e la rigenerazione dei piccoli borghi, in F. Montanari, spazi collaborativi in azione. Creatività, innovazione e impatto sociale, Milano, 2022, pp. 172 ss.; C. BIZZARRI, R. MICERA, The Valorization of Italian “Borghi” as a Tool for the Tourism Development of Rural Areas, in Sustainability 2021, 13; A. SAU, La rivitalizzazione dei

borghi e dei centri storici minori come strumento di rilancio delle aree interne, in Federalismi.it, 3, 2018, pp. 1 ss. In particolare, sui progetti innovativi come volàno di rinascita dei territori si veda E. MINARDI, N. BORTOLETTO, Laboratori per il benessere e lo sviluppo locale, Homeless Book Editore, Faenza, 2016.

[13] I dati sul “Censimento permanente della popolazione sul territorio” sono stati presentati il 30 maggio 2022 e sono disponibili all’indirizzo istituzionale dell’Istituto Nazionale di Statistica, www.istat.it.

[14] G. MACCHI JANICA, A. PALUMBO (a cura di), Territori spezzati. Spopolamento e abbandono nelle aree interne dell’Italia contemporanea, CISGE – Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici, Roma 2019.

[15] Sulla rigenerazione urbana v. F. FONTANARI, G. PIPERATA (a cura di), Agenda re-cycle. Proposte per reinventare la città, Bologna, 2017; F. DI LASCIO, F. GIGLIONI (a cura di), La rigenerazione di spazi e beni urbani. Contributo al diritto delle città, Bologna, 2017; R. DIPACE, La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, in R. DIPACE, La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, in Riv. Giur. ed., 5, 2014, pp. 237 ss., ora in Giudizio amministrativo e governo del territorio: la generazione dei piani senza espansione, P. STELLA RICHTER (a cura di), Giuffré, Milano, 2016, p. 249 ss. A riguardo si veda P. STELLA RICHTER, I sostenitori dell’urbanistica consensuale, in P. URBANI (a cura di), Le nuove frontiere del diritto urbanistico, Torino, 2013, p. 21. Sulla pianificazione territoriale v. in particolare V. MAZZARELLI, L’urbanistica e la pianificazione territoriale, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, pp. 3376 ss.

[16] Su cui cfr. B.G. DI MAURO, Il diritto dei borghi nel PNRR: verso una (stagione di) rigenerazione urbanisticamente orientata alla conservazione e allo sviluppo dei valori locali, in Urbanistica e appalti, 4/2022. Sulla rigenerazione urbana già precedentemente A. GIUSTI, La rigenerazione urbana. Temi, questioni e approcci dell’urbanistica di nuova generazione, Napoli, 2018; F.F. GUZZI, Rigenerazione urbana e valorizzazione dell’esistente, in Federalismi.it, 16 novembre 2016, 3.

[17] Angiuli, 2014, 2 ss., Severini, 2015, 1 ss.

[18] Sau, 2018, 3, 2 ss.; Francini, Colucci, Palermo, Viapiana, 2012, 25 ss.

[19] Così Fazio, 1976, 11 in Angiuli, nota 7, 2014, 5.

[20] Così D’Alessio, 1983,6.

[21] Angiuli, 2014, 19, Cerasoli, 2018, 10, Pani, 1971, 1, 15, Giannini, 1971, 1124 cit. in nota n. 16, Rago, 2004, AA.VV.1960, Giovannoni, 1938, 5, 276.

[22] Inteso come singola unità immobiliare.

[23] Inteso come ambiente circostante in cui il centro storico trova collocazione; ed in tale contesto, la indissociabilità della tutela del patrimonio artistico dal PRG rende lo strumento giuridico più efficace superando la prospettiva atomistica della tutela del singolo bene culturale in favore di una visione ampia estesa all’intero paesaggio Angiuli, 2014, 7.

[24] Cerasoli, 2018, 16, Di Gioia, 1975, 25.

[25] Sanapò, 2001, 2, così sulla “tutela passiva” dei centri storici ovvero incentrata sulla conservazione dei singoli immobili dei centri storici.

[26] Angiuli, 2014, 6, Bessone, 1974, 134. Le legge 17 agosto del 1942 n.1150 delinea un sistema di diritto urbanistico sprovvisto di strumenti espressamente intesi a garantire la conservazione ed il risanamento del patrimonio edilizio antico.

[27] Dizionario Enciclopedico di Architettura e urbanistica 1969.

[28] Angiuli, 2015, 82.

[29] Con essa si riconosce la necessità di fissare per legge i caratteri e la procedura di formazione dei piani di risanamento conservativo, come speciali piani particolareggiati di iniziativa comunale.

[30] Cfr.: Circolare Ministero Lavori Pubblici n. 3210 del 28 ottobre 1967 per cui: La legge succitata definita come legge Ponte, è stata intesa essenzialmente a sollecitare la formazione ed approvazione degli strumenti urbanistici comunali, ad assicurare che tali strumenti siano formati in modo rispondente all’interesse generale ed a garantire il rispetto della normativa urbanistica. La stessa legge si proponeva di agire, in maniera determinante, sulle componenti causali del disordine urbanistico, ovvero sulla carenza di regolamentazione urbanistica, sulla frequente non rispondenza degli strumenti ai criteri di una sana e corretta disciplina del territorio, soprattutto per quanto riguarda la densità, gli indici di

utilizzazione edilizia e la dotazione di spazi e servizi pubblici; ed infine sulla generale inosservanza della normativa esistente. Le disposizioni dell’art.17 hanno applicazione dopo un anno dall’entrata in vigore della legge, fatta eccezione per quella riguardante i centri di carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale (comma 5), che si applica immediatamente. All’art. 17 comma 5 la legge dispone che qualora l’agglomerato urbano rivesta carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale sono consentite esclusivamente opere di consolidamento o restauro, senza alterazioni di volumi. Essa prevede che, fino all’approvazione del piano regolatore generale, negli agglomerati urbani – per la parte o le parti che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale – sono consentite opere di consolidamento o di restauro, senza alterazioni di volume, ed è vietata l’edificazione delle aree libere.

[31] Con il D.M. 1444/68, decreto attuativo alla Legge Ponte n. 765/67, furono istituite le zone territoriali omogenee, e tra esse le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi.

[32] Legge sulla edificabilità dei suoli, Bucalossi, con i suoi articoli 4 e 12 oggi abrogati dall’articolo 136, commi 1, lettera c) e 2, lettera c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

[33] Bessone, 1974, 134

[34] Bessone, 1974, 133.

[35] Jokilehto, 2011, 119 ss.

[36] Merito della Carta di Washington è quello di aver determinato il superamento della distinzione tra centro antico, centro storico e città storicamente consolidata ormai largamente contestate.

[37] Conversione in legge, con modificazioni, del decreto–legge 5 ottobre 1993, n. 398, recante disposizioni per l’accelerazione degli investimenti a sostegno dell’occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia.

[38] Decreto reso dal ministero dei lavori pubblici in materia di promozione di programmi innovativi in ambito urbano denominati «Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio» pubblicato nella G.u. del 27 novembre 1998, n. 278, S.O.

[39] Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 in G.U. n. 302 del 27 dicembre 1999, s.o. n. 229.

[40] Con D. Lgs n. 63 del 2008, art.2 in modifica del D. Lgs. n. 42 del 2004, art. 136 lett. c).

[41] Fantini, 2015, 4.

[42] Carci, 1980 in D’Alessandro, 2015, 680.

[43] Carci, 1980 in D’Alessandro, 2015, 681.

[44] Sau, 2018, 3, 2, Cervellati, 2010, 2009, 445, 11.

[45] Definizione introdotta per la prima volta da Alberto Predieri nel 1971, nella sua relazione al VI Convegno dell’A.N.C.S.A., tenutosi a Bergamo nel 1971.

[46] Sau, 2018, 3, 2

[47] Sau, 2018, 3, 2, Cervellati, 2010, 2009, 445, 11

[48] La nozione ampia di degrado risulta comprensiva del degrado fisico(urbanistico/edilizio/ambientale)

e di quello immateriale (sociale/territoriale).

[49] Bessone, 1974, 134–138.

[50] Così Bonomo, 2017, 12 secondo cui «La differenziazione terminologica tra la rigenerazione, la riqualificazione e il riuso, ha perso gran parte della sua ragion d’essere, dal momento che le normative degli ultimi anni fanno riferimento solo alla rigenerazione ad intendere tutti gli interventi di recupero, trasformazione ed innovazione dei beni comuni, partecipi tramite metodi di co–progettazione, di processi sociali, economici, tecnologici ed ambientali, ampi ed integrati, che complessivamente incidono sul miglioramento della qualità della vita nella città». Ed in nota: così la definizione del Regolamento di Bologna sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani art. 2 lett. h) Delibera c.c. 172 del 2014. La rigenerazione secondo autorevole dottrina – Chiti, 2016, 15,31, in nota n. 2 Bonomo, idem– viene individuata come una funzione amministrativa tipica di uno specifico modello di azione pubblica al quale possiamo riferirci come enabling state.

[51] Boscolo, 2017, 1, Boschetti, 2016, p. 177 e ss., Bravo e Mingucci, 2008, 1–6, Novak, 2005, 252, Angiuli, 2004, 2 e 20.

[52] Sau, 2018, 3.

[53] Cerasoli, 2018, 23.

[54] Legge 6 ottobre 2017, n. 158, art. 3 comma 1, e Dossier XVI legislatura, Centri storici, borghi antichi, città d’arte e siti italiani inseriti nella Lista del patrimonio mondiale dell’Unesco, Servizio studi del Senato, febbraio 2012 n. 337: Il Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni è destinato al finanziamento di investimenti diretti alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, alla mitigazione del rischio idrogeologico, alla salvaguardia e alla riqualificazione urbana dei centri storici, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici nonché alla promozione dello sviluppo economico e sociale e all’insediamento di nuove attività produttive

[55] Angiuli,2004, 20. Esemplificativi a riguardo i dettati di cui all’art. 5 del D.L. 13.5.2011, n. 70 di poi conv. in L. 12.7.2011 n. 106 –legge quadro in materia di riqualificazione– nonché la L.reg. Puglia n. 21 del 2008 ispirata ad un miglioramento della qualità del patrimonio esistente, architettonico, energetico ed ambientale sia pur nel rispetto della sua tutela e la successiva L. reg. Puglia n.44 del 2013, recante «Disposizioni per il recupero, la tutela e la valorizzazione dei borghi più belli d’Italia in Puglia».

[56] Dipace, 2017, 3, 644 e ss.

[57] Cerasoli, 2010, 1 e ss.

[58] Dipace, 2017, 3, 644, Corazza e Dipace, 2017, p.81.

[59] Deliberazione della Giunta regionale, 27 giugno 2017, n. 1026

[60] Ci si riferisce al maggior uso della tecnologia nell’impiantistica tradizionale degli edifici in un’ottica di rivoluzione del risparmio e della efficienza energetica. Sul punto esemplificativamente si richiama l’esperienza del comune di Lecce laddove la giunta comunale ha approvato in data 6.3.2018, lo schema di protocollo d’intesa tra Puglia Valore Immobiliare s.r.l., Regione Puglia, Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Brindisi Lecce e Taranto, Comune di Lecce e Arca Sud Salento per la valorizzazione dell’Ex sanatorio antitubercolare A. Galateo. Per la prima volta tutti gli enti firmatari sono stati chiamati a sottoscrivere un patto comune sul futuro di questo importante complesso alle porte del quartiere Leuca, collaborando alla progettazione, realizzazione e gestione del progetto di valorizzazione. Il protocollo stabilisce tra le premesse i bisogni a cui dovrà rispondere il progetto di valorizzazione, fortemente legati alle esigenze reali della città: la rigenerazione urbana dell’area e il contrasto al disagio abitativo sofferto oggi dai cittadini che si collocano nella cosiddetta “fascia grigia”: «giovani coppie, giovani soli, studenti universitari fuori sede, famiglie monogenitoriali, lavoratori, anziani, sfrattati o sotto minaccia di sfratto, che, esclusi dai benefici pubblici rivolti ai più bisognosi e alla residenza popolare, non sono tuttavia nelle condizioni di accedere al libero mercato degli alloggi e sono esposti al rischio di peggiorare le proprie condizioni abitative»; da www.giornaledipuglia.com. Altrettanto significativa l’esperienza del social housing in classe A nel centro storico di Palazzolo Acreide a Siracusa. Un borgo abbandonato rinasce con progetto pubblico. Il riuso a canone agevolato dell’edilizia residenziale come volano per la riqualificazione urbana; A.A., 2013, e Garbin,2015,101.

[61] De Matteis, Del Brocco, Figliola, 2015, 109.

[62] Marchionni, De Bernardinis, Bellicoso, 2014, 118.

[63] Aa.Vv., 2015, 16.

[64] Territori e comunità che ce la vogliono fare, Manifesto dei Borghi Autentici edizione 2015, I borghi intelligenti portatori di una idea di futuro, 2015, www.borghiautenticiditalia.it, p. 17 ss.

[65] Aa.Vv., 2015, 16.

[66] Cerasoli, 2018, 26–27, «I progetti pilota “intelligenti” per alcuni centri storici minori sono diversi. Tra questi si possono citare quelli per Chiari (Brescia), Tavagnacco (Udine), Oriolo Romano (Viterbo), Baronissi (Salerno)».

[67] In www.ec.europa.eu/agriculture/sites/agriculture/files/rural–development–2014–2020/look ingahead /rur–dev–small–villages_en.pdf.

[68] Aa.Vv., 2015, 17.

[69] Europhonica.eu/smart–villages–i–borghi–intelligenti–deuropa.

[70] Lanciato un Piano d’azione UE per “borghi intelligenti” in http://territori.formez.it.

[71] Gargano, 2010.

[72] Gargano, 2010.

[73] D’Alessandro, 2015, 683.

[74] D’Alessandro, 2015, 684.

[75] L’idea e la storia, un albergo orizzontale, www.albergodiffuso.com.

[76] Marchionni, De Bernardinis, Bellicoso, 2014, 121.

[77] Marchionni, De Bernardinis, Bellicoso, 2014, 120, Cimini, 2014, 221.

[78] Marchionni, De Bernardinis, Bellicoso, 2014, 122.

[79] Patroni Griffi, 2017.

[80] Il Trattato di Maastricht del 1992 sancisce il principio di sussidiarietà e rafforza il ruolo delle autorità locali nei processi di trasformazione dello spazio urbano, sottolineando la necessità di innescare, da parte dei soggetti attuatori, meccanismi decisionali fondati sulla partecipazione sociale.

[81] Novak, 2005, 254, sul punto.

[82] Mezzi atti a ridurre la distanza tra amministrazioni e privati senza superare il tradizionale assetto del rapporto amministrativo rientranti nel novero degli atti amministrativi non autoritativi. Cfr: Giusti, 2018, 153 ss.

[83] Si rinvia all’esperienza recente quella del comune di Milano con approvazione di linee guida per la sperimentazione di «politiche dirette a promuovere la partecipazione dei cittadini attivi, di gruppi informali, associazioni riconosciute e altri operatori, nella gestione condivisa dei Beni Comuni». Un connubio importante, quello della partecipazione con i lavori pubblici e l’abitare, che ci proietta immediatamente nella cornice di senso della rigenerazione urbana “dal basso” e dei patti di collaborazione come strumenti di resilienza e inclusione sociale. Di fatto, come sostenuto dalla dottrina la causa di tali patti si rinviene nell’animus donandi dei cittadini interessati a collaborare in una dimensione bottom up alla cura e rigenerazione dei beni comuni urbani. Cfr. Michiara, 2016, 2, Calderoni, 2016, e di poi, Cons. Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2015, n. 5501; I contenuti dei Patti sono definiti dal Regolamento e possono variare in base alla complessità dei singoli progetti; Cfr. Giglioni, 2016, 2, 271 e ss., sulla natura giuridica dei patti di collaborazione.

[84] Esemplificativo sul punto il Regolamento della città di Torino approvato con delibera del c.c.11.1.2016 come anche l’altrettanto di Bologna: Giusti, 2018,138, 153, Bonomo, 2017, 18 e Arena, 2014.

[85] Chiti, 2017, 21 e ss., Arena, 2006, Francini, Colucci, Palermo, Viapiana, 2012, 56 e ss, Cassese,2001, 601

[86] Come sostenuto da autorevole dottrina– M.K. Briand e R. Lewanski– istituzionalizzare la partecipazione determina l’insorgere di una modello comportamentale o procedurale indipendentemente dalle caratteristiche, interessi e preferenze dei soggetti coinvolti; in cfr. Brunazzo, 2017, 837 e 838, Lewanski, 2016, 133.

[87] Muzi, 2016, 121, 123

[88] Brunazzo, 2017, 837–838, Bonomo, 2017, 11 e ss., Smith, 2009, 1.

[89] I borghi d’Italia, dalla visione alla rigenerazione, ANCE, ance.it. Roma, dicembre 2017, 23.

[90] I borghi d’Italia, dalla visione alla rigenerazione, Brunazzo, 2017, 840.

[91] Nulli, 2015

[92] Barollo e Castrataro, 2013, 7.

[93] Surowiecki, 2007. «Nel XIX secolo lo scrittore irlandese Jonathan Swift ispirò gli «Irish Loan Fund», una sorta di istituti collettivi di microcredito che combattevano la povertà del popolo irlandese. Di poi, nel 1884 Joseph Pulitzer, proprietario della rivista «The World», lanciò una raccolta di fondi dal basso, per finanziare il piedistallo e l’istallazione della Statua della Libertà, dopo che il Comitato preposto era riuscito a raccogliere solo 150.000 dei 300.000 dollari necessari». Nulli, op. già cit., 8 e 39. Un esempio di crowdfunding civico è Citizinvestor, piattaforma statunitense che consente ai governi e alle organizzazioni non profit di presentare proposte d’intervento di interesse pubblico che i residenti possono scegliere di sostenere (nuovo parco pubblico).

[94] Nulli, 2015, Cogo, 2015, Giannola e Riotta, 2013, 4, 60.

[95] Bai, 2016.

[96] Crowd–funding.cloud/it/spiagge–ricreative–laigueglia–592.asp.

[97] initalia.virgilio.it/al–via–il–crowdfunding–per–i–borghi–piu–belli–ditalia–ecco–i–primi–tre–

[98] Successo di “anci crowd” – finanziati 18 progetti su 21 in anci.it, 17.4.2018. Comunicato stampa Anci. «Anci Crowd, i Comuni per i Comuni» è l’iniziativa lanciata dall’associazione nazionale dei Comuni che si tradurrà in acquisti e interventi in 18 Comuni di Marche e Lazio. L’Anci aveva raccolto 700 mila euro attraverso donazioni di Comuni, associazioni, organizzazioni e privati. A dicembre ha lanciato la campagna di raccolta fondi attraverso il partner, leader nel settore del crowdfunding, Eppela. Attraverso quest’operazione, le risorse disponibili hanno così raggiunto quota un milione e 300 mila euro. Con un avviso pubblico, sono state selezionate 21 proposte di progetto avanzate da altrettanti Comuni con il coinvolgimento delle comunità locali. Diciotto di esse hanno raggiunto l’obiettivo di raccogliere autonomamente almeno la metà del budget necessario per l’opera o l’intervento che volevano realizzare o per l’acquisto di beni che si erano prefissi. Alcune fondazioni bancarie del territorio hanno contribuito in modo particolarmente significativo.

[99] https://www.treccani.it/enciclopedia/malta/

[100] https://www.travelquotidiano.com/estero/malta-e-la-strategia-per-la-ripartenza-turistica/tqid-397282.

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