dell’Avv. Glauco Stagnaro
1. In linea generale, i vincoli all’attività edificatoria costituiscono limitazioni allo ius aedificandi (introdotte direttamente da una legge o da un provvedimento amministrativo emanato in forza di un’apposita previsione legislativa) allo scopo di garantire la tutela di preminenti interessi pubblici[1].
La vigente normativa prevede numerose tipologie di vincoli, assai eterogenei, tra i quali il vincolo idrogeologico (art. 1, r.d. n. 3267/1923), quello demaniale marittimo (art. 55, cod. nav.) e quello doganale (art. 19, d.lgs. n. 374/1990).
Nell’ambito della disciplina vincolistica, assumono particolare rilevanza i vincoli previsti dal d.lgs. n. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio)[2], sui quali si concentra il presente contributo.
Tali vincoli hanno ad oggetto sia la tutela dei beni che presentano un interesse artistico-storico, archeologico ed etnoantropologico (c.d. vincolo culturale: v. art. 10), sia la protezione del paesaggio, inteso quale “ambiente nel suo aspetto visivo“, secondo la definizione formulata dalla
Corte Costituzionale con sentenza n. 367/2007 (c.d. vincolo paesaggistico, che grava sulle aree tutelate per legge, quali le fasce costiere e montane di cui all’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004, nonché sulle ulteriori aree individuate mediante specifici provvedimenti ministeriali: v. l’art. 134 del medesimo d.lgs.)[3].
In alcuni casi l’effettiva sussistenza, o meno, di un vincolo su un immobile può risultare dubbia: si pensi, ad esempio, al vincolo paesaggistico sulle aree boscate (previsto dall’art. 142, comma 1, lett. g del d.lgs. n. 42/2004), dal momento che la nozione di bosco, pur essendo definita normativamente (artt. 3 e ss., d.lgs. n. 34/2018), può comunque dare adito a incertezze sulla sua esatta delimitazione. In tali ipotesi, prima dell’avvio di un’iniziativa edificatoria possono essere acquisite le occorrenti indicazioni presso lo Sportello Unico dell’Edilizia del Comune[4].
2. Fatta questa premessa, con riferimento al regime degli interventi di ristrutturazione edilizia che interessano i beni vincolati dal d.lgs. n. 42/2004, occorre distinguere tra le opere di carattere conservativo (che non comportano la completa rimozione del manufatto preesistente) e quelle consistenti nell’integrale demolizione e ricostruzione del corpo di fabbrica precedentemente in essere.
L’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (testo unico in materia edilizia), laddove reca la definizione di ristrutturazione edilizia, non prevede alcuna specifica disposizione per gli interventi conservativi sugli immobili vincolati, che sono quindi soggetti alla stessa disciplina di quelli non vincolati. In forza di tale norma (v. il comma 1, lett. d dell’art. 3), la nozione di ristrutturazione conservativa risulta assai ampia, comprendendo tutti gli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti“.
Per contro, a seguito della modifica all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 apportata dall’art. 10 del d.l. n. 76/2020 (convertito in legge n. 120/2020), il regime degli interventi di demolizione e ricostruzione risulta differenziato a seconda della presenza, o meno, del vincolo di cui al d.lgs. n. 42/2004.
Infatti, con riferimento agli immobili non vincolati, l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 precisa che “nell’ambito della ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico“[5].
Al contrario, lo stesso art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 – nel testo modificato dal d.l. n. 76/2020, poi ulteriormente novellato nel 2022, come si preciserà nel prosieguo –, per tutti gli immobili soggetti al vincolo culturale/paesaggistico di cui al d.lgs. n. 42/2004, disponeva che “gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria“.
Allo scopo di assicurare un elevato livello di salvaguardia dei beni vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, la novella dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 introdotta nel 2020 aveva quindi stabilito per i medesimi beni un regime assai rigoroso, opposto e speculare a quello degli immobili non vincolati.
Per annoverare la demolizione/ricostruzione degli immobili vincolati nella ristrutturazione edilizia (anziché nell’ambito della nuova costruzione) veniva richiesta – oltre al previo assenso dell’autorità preposta alla tutela del vincolo – la ricostruzione “fedele”. Tale novella aveva dunque dettato una disciplina più restrittiva rispetto a quella in vigore fino al 2020 che, per i beni vincolati, prescriveva unicamente il rispetto della sagoma, e non anche di prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche[6].
Inoltre, la novella all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 introdotta nel 2020 (che, in questa parte, è tuttora vigente) ha esteso l’obbligo di ricostruzione “fedele” anche agli interventi di ristrutturazione che riguardano gli immobili ubicati nelle zone omogenee A (aree di carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale) di cui al decreto del Ministro per i Lavori Pubblici n. 1444/1968, nonché nelle “zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico“.
Peraltro, con riferimento ai suddetti ambiti territoriali (zone A, centri storici e aree equiparate) diversi e ulteriori rispetto a quelli vincolati ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, è ammessa la possibilità (che risulta invece esclusa per gli immobili soggetti a vincolo culturale/paesaggistico) di derogare al requisito dell’integrale “fedeltà” della demolizione/ricostruzione, qualora ciò sia previsto da apposite “previsioni legislative e degli strumenti urbanistici“.
Come rilevato nella circolare emanata congiuntamente dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nonché dal Ministero per la Pubblica Amministrazione in data 2/12/2020 (recante chiarimenti interpretativi sulla novella di cui all’art. 10 del d.l. n. 76/2020)[7], con riferimento alle zone omogenee A e alle aree ad esse assimilate – la cui individuazione può essere in concreto effettuata sulla base della vigente disciplina urbanistica regionale e comunale – la deroga alla ristrutturazione “fedele” trova applicazione esclusivamente in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a) apposite disposizioni della pianificazione urbanistica comunale; b) modifiche alla preesistente struttura dell’edificio “imposte dalla normativa antisismica, energetica, sull’accessibilità, etc.“; c) “eventuali disposizioni di leggi regionali, che consentano, anche per le aree in questione, interventi di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione anche con limiti meno stringenti di quelli individuati dall’art. 3 del testo unico per gli edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004“.
3. In merito alla portata applicativa della disciplina come sopra introdotta nel 2020 per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione “fedele”, si era registrata una difformità di indirizzi tra i vari soggetti pubblici interessati.
Con nota in data 11/8/2021, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (che costituisce organo di consulenza del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili[8]) aveva espresso l’avviso che la ricostruzione “fedele” fosse prescritta esclusivamente per i beni soggetti a vincolo culturale e non anche a vincolo paesaggistico. Ciò nell’assunto che, in relazione ai beni culturali, “la tutela include anche la consistenza materiale del bene“; per contro, secondo lo stesso organo ministeriale, analogo regime di protezione non si applicherebbe ai beni sottoposti a tutela paesaggistica, ogniqualvolta i medesimi risultino “privi di riconosciuto valore storico, artistico o architettonico intrinseco“[9].
Analoga posizione era stata assunta, in precedenza, dalla Regione Liguria con nota del Settore Affari Giuridici del Territorio 12/3/2021[10], secondo cui la ricostruzione “fedele” era richiesta unicamente per gli edifici soggetti a vincolo culturale e, nell’ambito dei beni paesaggistici, per le “cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica” nonché per ville, giardini e parchi (v. l’art. 136, comma 1, lett. a-b, d.lgs. n. 42/2004).
In seguito, sulla questione si era pronunciato anche il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, con la risposta in data 22/9/2021 a un’interrogazione parlamentare[11]. Detto Ministero, previa consultazione con il Ministero della Cultura, aveva rilevato che l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (nel testo in allora vigente), per gli interventi di ristrutturazione edilizia aveva prescritto la “fedele” ricostruzione “con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42“, senza prevedere alcuna distinzione tra i beni culturali e quelli paesaggistici. Di conseguenza, secondo la stessa risposta dell’autorità ministeriale, la norma sulla ricostruzione “fedele” riguardava “non solo gli edifici aventi caratteri intrinseci di pregio architettonico ma anche gli edifici, ricadenti in ambiti tutelati, che potrebbero apparire privi di pregio“.
Ad avviso dello stesso Ministero, tale opzione interpretativa risultava coerente con le finalità della tutela paesaggistica, che “intende preservare la conformazione dello stato dei luoghi, salvaguardando il territorio da qualsiasi trasformazione che sia esteticamente percepibile e include, pertanto, anche gli interventi realizzati su edifici compresi in ambiti vincolati nel loro complesso“, quali beni paesaggistici.
Anche se non erano mancate indicazioni giurisprudenziali di segno opposto[12], la posizione come sopra assunta dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili risultava senz’altro persuasiva, essendo aderente al dato letterale dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 che (nel testo risultante dalla novella del 2020) non recava alcuna espressa distinzione tra i beni culturali e quelli paesaggistici con riferimento agli interventi di demolizione e ricostruzione.
Peraltro, il necessario rispetto del requisito della “fedeltà” appariva, in concreto, improntato a un’eccessiva rigidità, laddove precludeva la ristrutturazione – mediante demolizione e ricostruzione con differenti caratteristiche tipologiche, architettoniche e dimensionali – anche in relazione a edifici che, pur essendo ubicati in zona di vincolo paesaggistico, non presentano caratteristiche di effettivo pregio. Per tali fabbricati, infatti, la ricostruzione con caratteristiche differenti da quelle originarie potrebbe avere un effetto migliorativo, garantendo un più armonico inserimento delle opere edilizie nel contesto circostante.
4. Più di recente, il quadro normativo sopra descritto è mutato per effetto di due novelle apportate all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 nel corso del 2022, le quali hanno ampliato la nozione della ristrutturazione edilizia dei beni vincolati.
Dapprima, l’art. 28 del d.l. n. 17/2022, come modificato dalla legge di conversione n. 34/2022, ha incluso nella ristrutturazione (anziché nella nuova edificazione) gli interventi di demolizione e ricostruzione – anche con modifiche delle caratteristiche costruttive – di immobili ubicati in aree di vincolo paesaggistico tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del d.lgs.
n. 42/2004 (quali, ad esempio, le fasce costiere e gli ambiti montani).
Da ultimo, la legge n. 91/2022 di conversione del d.l. n. 50/2022 (v. art. 14) ha ulteriormente modificato l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, inserendo nella ristrutturazione anche gli interventi di demolizione e ricostruzione “non fedele” di edifici sottoposti a vincolo paesaggistico in forza dell’art. 136, lett. c) e d) del d.lgs. n. 42/2004 (dette lettere si riferiscono, rispettivamente, ai “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici” nonché alle “bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze“).
5. In sintesi, allo stato attuale il requisito della “fedeltà” continua a essere richiesto, al fine di classificare nella ristrutturazione i lavori di demolizione e ricostruzione, esclusivamente per i seguenti fabbricati tutelati dal d.lgs.
n. 42/2004: 1) edifici sottoposti dalla disciplina di cui alla parte II del medesimo d.lgs. (beni culturali); 2) immobili soggetti al vincolo paesaggistico previsto dalle lett. a) e b) di detto d.lgs. (“le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica” e “le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza“); 3) immobili ubicati nei centri storici di cui alla zona A del d.m. n. 1444/1968 e nelle zone a queste assimilabili.
Le due novelle del 2022 hanno quindi esteso in maniera significativa la portata degli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione sui beni vincolati, introducendo una disciplina differenziata, a seconda della tipologia del regime di tutela.
Da un lato, per i beni soggetti a un vincolo “puntuale” (ossia che grava in via specifica ed esclusiva sul singolo immobile, come nel caso dei beni culturali) la ristrutturazione continua a essere sottoposta al requisito della ricostruzione “fedele”; dall’altro lato, per i vincoli “diffusi” (che non riguardano un unico fabbricato ma un insieme di edifici o un’intera area: si pensi alle bellezze panoramiche) non è più richiesta la “fedeltà” della ricostruzione.
La nuova normativa attualmente in vigore ha dunque tenuto conto del fatto che, nelle aree interessate da un vincolo “diffuso”, possono essere ubicati anche edifici di per sé privi di caratteristiche architettoniche di pregio e quindi suscettibili di essere ricostruiti (previo assenso dell’autorità ministeriale proposta alla tutela del vincolo) anche con caratteristiche differenti, le quali possono contribuire a migliorare l’assetto dell’area medesima[13].
Peraltro, un profilo di incongruenza della nuova disciplina in materia di ristrutturazione è rappresentato dal fatto che il testo in oggi vigente dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 preclude la ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione “non fedele” per gli immobili siti “nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico” (ancorché non soggetti a vincolo culturale e/o paesaggistico), mentre esime dal requisito della “fedeltà” gli interventi ristrutturazione tramite ricostruzione che interessano “i centri ed i nuclei storici“, per i quali opera il vincolo paesaggistico di cui all’art. 136, lett. c), d.lgs. n. 42/2004.
Sotto questo profilo, l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 contiene dunque due previsioni tra loro non coordinate, in relazione alle quali potrebbe ipotizzarsi (quantomeno per i centri storici soggetti al vincolo paesaggistico di cui all’art. 136, lett. c, d.lgs. n. 42/2004) la prevalenza della disposizione che ammette la ricostruzione “non fedele” (trattandosi di norma di carattere speciale introdotta con l’ultima novella del 2022: lex specialis derogat generali; lex posterior derogat priori), limitando quindi il requisito della necessaria “fedeltà” ai centri storici che non risultano tutelati in forza del citato art. 136, lett. c), d.lgs. n. 42/2004.
6. Il sopra descritto regime giuridico degli interventi di ristrutturazione edilizia che interessano i beni vincolati in forza del d.lgs. n. 42/2004 ha assunto particolare rilievo sul piano pratico ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di incentivi per l’efficienza energetica dei fabbricati (c.d. Superbonus), introdotta dall’art. 119 del d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020.
Infatti, tale agevolazione presuppone la preesistenza fabbricato[14], sicché non opera per gli interventi classificati nella nuova edificazione, che comprende anche la demolizione e ricostruzione “non fedele” degli immobili per i quali continua a essere prescritto il requisito della “fedeltà” (beni culturali disciplinati dalla parte II del d.lgs. n. 42/2004; ville e altri immobili di cui all’art. 136, lett. a-b; immobili ubicati nelle zone omogenee A e nelle aree ad esse assimilate)[15].
Per contro, l’agevolazione fiscale del Superbonus trova applicazione per la demolizione e ricostruzione con modifiche costruttive degli edifici vincolati che non risultano più soggetti alla ricostruzione “fedele” ai fini della classificazione nella ristrutturazione (immobili siti in zona paesaggistica tutelata per legge ex art. 142 del d.lgs. n. 142/2004; fabbricati sottoposti al vincolo di cui all’art. 136, lett. c-d del medesimo d.lgs.).
L’art. 119 del d.l. n. 34/2020 ammette, in linea di principio, la possibilità di beneficiare dell’agevolazione fiscale anche per i beni soggetti ai vincoli culturali e paesaggistici di cui al d.lgs. n. 42/2004, introducendo peraltro un’apposita disciplina che si discosta sensibilmente da quella di carattere generale.
Infatti, relativamente agli edifici non vincolati il riconoscimento dell’agevolazione è subordinato alla necessaria esecuzione di almeno uno dei tre interventi “trainanti” (isolamento termico; sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale; miglioramento della sicurezza antisismica), ai quali può eventualmente aggiungersi la contestuale realizzazione di ulteriori interventi “trainati” (efficientamento energetico delle singole unità immobiliari, installazione di ricariche di veicoli elettrici o di impianti fotovoltaici, ecc.: v. i commi 1 e 2 dell’art. 119).
Per contro, nell’ipotesi in cui l’edificio sia sottoposto ad almeno uno dei vincoli (culturale o paesaggistico) di cui al d.lgs. n. 42/2004, nonché nell’ulteriore eventualità in cui gli interventi “trainanti” risultino vietati “da regolamenti edilizi, urbanistici e ambientali“, la detrazione si applica anche per la realizzazione di uno o più interventi “trainati”, senza che sia necessario attuare contestualmente un intervento “trainante” (art. 119, comma 2, d.l. n. 34/2020) [16].
La disciplina in materia di Superbonus degli edifici vincolati intende quindi favorire l’efficientamento energetico dei medesimi, tenendo altresì conto delle esigenze di tutela e conservazione dei valori culturali e paesaggistici, che rendono spesso impossibile (o comunque assai difficoltosa) l’esecuzione degli interventi “trainanti”, i quali possono condurre a una sensibile modifica delle originarie caratteristiche del fabbricato.
L’applicazione della detrazione agli immobili vincolati anche mediante l’esecuzione dei soli interventi “trainati” è comunque subordinata al miglioramento di almeno due classi energetiche ovvero, qualora tale obiettivo non risulti perseguibile, al conseguimento della classe più alta (art. 119, comma 3).
Con circolare 22/12/2020, n. 30/E[17], l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, laddove gli interventi riguardino l’intero edificio vincolato, l’incremento di classe energetica deve essere valutato con riferimento al fabbricato nel suo complesso; qualora invece le opere riguardino soltanto una o più unità immobiliari, il miglioramento deve essere accertato limitatamente alle sole unità interessate.
L’art. 119 non contiene invece alcuna specifica previsione per l’eventualità in cui il vincolo operi soltanto su una porzione del fabbricato (ad esempio, sul prospetto che si affaccia sulla sede stradale). In questa ipotesi – e pur a fronte dell’opinabilità della questione – sembra preferibile ritenere che l’accesso all’agevolazione sia subordinato all’esecuzione di almeno un intervento “trainante” che interessi quantomeno la parte dell’edificio non vincolata.
- Inoltre, l’art. 119 reca ulteriori disposizioni riferite a particolari categorie di immobili i quali, per le loro caratteristiche di pregio, risultano di frequente assoggettati al regime vincolistico per i beni culturali e paesaggistici.
Viene infatti esclusa l’applicazione del Superbonus per le abitazioni di tipo signorile (categoria catastale A/1) nonché per le ville (A/8). Con riferimento a castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici (A/9), l’agevolazione fiscale è subordinata alla loro apertura al pubblico, allo scopo di favorirne la fruizione (v. comma 15-bis dell’art. 119), in linea con l’obiettivo, enunciato dall’art. 113 del d.lgs. n. 42/2004, di valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata[18].
- In merito al regime giuridico degli interventi edilizi oggetto di Superbonus, l’art. 119 non reca specifiche disposizioni per i beni vincolati che, sotto questo profilo, risultano quindi assoggettati alle previsioni di carattere generale dettate dalla stessa norma.
Più precisamente, il comma 13-ter dell’art. 119 fa rientrare nella manutenzione straordinaria, soggetta a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA: art. 6-bis, d.P.R. n. 380/2001), tutte le opere “trainanti” e “trainate”, comprese quelle che riguardano le parti strutturali degli edifici e i loro prospetti.
Tale regola subisce un’unica eccezione per gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici, i quali sono ammessi all’agevolazione soltanto qualora rientrino nell’ambito della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (v. art. 119, comma 3, d.l. n. 34/2020). Di conseguenza, per i beni soggetti a vincolo culturale e/o paesaggistico, l’applicazione del Superbonus risulta circoscritta ai soli interventi di demolizione e ricostruzione “fedele”, comportanti il mantenimento di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente.
- In ottemperanza a quanto previsto in linea generale dal d.P.R. n. 380/2001 per le varie iniziative edificatorie (v. art. 20, comma 3, per il permesso di costruire e art. 22, comma 6, per la segnalazione certificata di inizio attività), i titoli edilizi per gli interventi oggetto di Superbonus sugli immobili vincolati devono essere preceduti dall’assenso dell’autorità proposta alla tutela del vincolo, da individuarsi sulla base delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 42/2004 (cfr. l’art. 21 che, per i beni culturali, prevede il nulla osta del Ministero della Cultura nonché l’art. 146, che demanda il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica alla Regione, o all’ente locale dalla stessa delegato, previo parere vincolante della Soprintendenza).
Nell’ipotesi in cui un immobile risulti contemporaneamente assoggettato al vincolo culturale e paesaggistico (si pensi a un fabbricato di particolare pregio architettonico che è altresì ubicato in una zona panoramica), “l’interessato presenta un’unica istanza relativa ad entrambi i titoli abilitativi e la Soprintendenza competente si pronuncia con un atto a contenuto ed efficacia plurimi recante sia le valutazioni relative alla tutela paesaggistica, sia le determinazioni relative alla tutela storica, artistica e archeologica” (art. 16, d.P.R. n. 31/2017, recante regolamento di individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata[19]).
- Nell’ambito degli interventi oggetto di Superbonus, assumono un particolare rilievo quelli relativi alla coibentazione degli edifici (c.d. “cappotti termici”).
Con riferimento ai beni culturali, prima dell’assentimento dell’occorrente titolo edilizio, si rende sempre necessario acquisire l’autorizzazione del Ministero della Cultura alla realizzazione di tali “cappotti termici” (così come degli altri interventi “trainanti” o “trainati”). Ciò in applicazione della disciplina di carattere generale stabilita dall’art. 21 (comma 4) del d.lgs.
n. 42/2004, in forza del quale “l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente“.
Per i beni soggetti a vincolo paesaggistico, la questione inerente alla relativa autorizzazione appare invece più articolata.
Infatti, il già menzionato d.P.R. n. 31/2017 individua, nell’ambito delle opere che non risultano soggette ad autorizzazione paesaggistica (v. l’art. 2 e la voce A2 dell’allegato A), gli “interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfotipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, quali: rifacimento di intonaci, tinteggiature, rivestimenti esterni o manti di copertura; opere di manutenzione di balconi, terrazze o scale esterne; … interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici che non comportino la realizzazione di elementi o manufatti emergenti dalla sagoma, ivi compresi quelli eseguiti sulle falde di copertura“[20].
La circolare del Ministero della Cultura 4/3/2021[21] ha puntualizzato che detta esenzione si applica limitatamente agli interventi di coibentazione “in presenza del pre-requisito della lieve o lievissima entità“, sulla base di una valutazione da condurre caso per caso in relazione alle opere progettate, esclusivamente per “gli immobili ascrivibili all’edilizia contemporanea, realizzati dopo il 1945, purché tali interventi non alterino l’aspetto esteriore anche in termini di finiture“. Al riguardo, nella stessa circolare viene richiamata la precedente circolare ministeriale 21/7/2017[22], nella quale è stata evidenziata “l’indubbia cesura, sia sotto il profilo delle tecnologie costruttive che (e, forse, soprattutto) dei linguaggi architettonici, rinvenibile nella produzione edilizia successiva” al 31/12/1945.
Per gli edifici soggetti a vincolo paesaggistico realizzati prima di tale data, di regola l’esenzione dall’autorizzazione paesaggistica non può invece trovare applicazione. Ciò, in ragione del fatto che i rivestimenti “a cappotto” sono suscettibili di alterare le originarie caratteristiche architettoniche dei fabbricati, connotate dalla presenza sui prospetti di elementi decorativi, che verrebbero “affogati” all’interno della coibentazione.
In tali ipotesi, ove si intendesse procedere comunque alla realizzazione di un “cappotto termico”, occorrerebbe presentare alla Soprintendenza domanda di autorizzazione paesaggistica semplificata (v. voce B3 dell’Allegato B al d.P.R. n. 31/2017, concernente gli interventi sui prospetti comportanti alterazione dell’aspetto esteriore degli edifici).
11. Da ultimo, occorre rilevare che, in forza dell’art. 50 del d.lgs. n. 42/2004, è vietato, “senza l’autorizzazione del soprintendente, disporre ed eseguire il distacco di affreschi, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista“[23]. Tale regime di tutela trova applicazione anche qualora i suddetti elementi decorativi facciano parte di edifici non sottoposti al vincolo culturale (v. l’art. 11 dello stesso d.lgs. n. 42/2004).
Pertanto, ogniqualvolta gli interventi del Superbonus abbiano ad oggetto fabbricati dotati degli elementi decorativi sopra indicati (invero assai diffusi, soprattutto nelle costruzioni anteriori al secondo dopoguerra), prima del rilascio del titolo edilizio si rende necessario ottenere dalla competente Soprintendenza l’autorizzazione di cui al ricordato art. 50 del d.lgs. n. 42/2004.
[1] Sulle limitazioni alla proprietà privata preordinate alla tutela di interessi pubblici, v. la voce Proprietà privata (disciplina amministrativa) del Digesto Discipline Pubblicistiche, 1997, vol. XII, pagg. 111 ss..; cfr. anche la voce Proprietà edilizia dell’Enciclopedia del Diritto, 1988, vol. XXXVII, pagg. 338 ss..
[2] Per un inquadramento generale, cfr. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, 2019; S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, 2010; R. Tamiozzo, La Legislazione dei Beni Culturali e Paesaggistici, 2009; Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, 2007.
[3] V. anche l’art. 2 del d.lgs. n. 42/2004, che così dispone: “1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. 2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. 3. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’articolo 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge”.
[4] Ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. a) del d.P.R. n. 380/2001, lo Sportello Unico dell’Edilizia fornisce agli interessati informazioni in merito alle domande per il rilascio dei titoli edilizi, “anche mediante predisposizione di un archivio informatico contenente i necessari elementi normativi, che consenta a chi vi abbia interesse l’accesso gratuito, anche in via telematica, alle informazioni sugli adempimenti necessari per lo svolgimento delle procedure previste dal presente testo unico, all’elenco delle domande presentate, allo stato del loro iter procedurale, nonché a tutte le possibili informazioni utili disponibili”.
[5] Nella circolare congiunta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nonché del Ministero per la Pubblica Amministrazione in data 2/12/2020 (pubblicata sul sito www.funzionepubblica.gov.it e sulla quale si tornerà a breve nel testo) viene precisato che, a seguito della novella apportata dal decreto legge n. 76/2020, rientra nella nozione di ristrutturazione – fermo restando lo specifico regime per gli edifici vincolati – “qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente, salvi i limiti volumetrici che saranno appresso richiamati [v. par. 2.3 della stessa circolare]. In effetti, al riferimento a sagoma, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche il legislatore aggiunge anche quello ai «prospetti», la cui modifica nel regime normativo anteriore comportava la qualificazione dell’intervento in termini di ristrutturazione «pesante», con conseguente soggezione al regime del permesso di costruire”.
[6] In proposito, nella predetta circolare ministeriale 2/12/2020 si sottolinea quanto segue: per gli edifici vincolati “la soluzione adottata dal decreto legge n. 76/2020 per assicurare la loro tutela è stata quella di escludere che possano qualificarsi come ristrutturazione edilizia gli interventi comportanti una loro demolizione e ricostruzione non solo nei casi in cui ne sia modificata la sagoma (come previsto nella disciplina previgente), ma anche nei casi di mutamenti del sedime, dei prospetti e delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Sotto tale profilo, il regime degli edifici in questione si atteggia in modo «speculare» rispetto a quello degli edifici non vincolati, nel senso che ciò che per questi ultimi ricade nella definizione di ristrutturazione comporta invece per i primi l’applicazione del regime delle nuove costruzioni”.
[7] Si veda anche la precedente nota 5.
[8] Cfr. il d.P.R. 27/4/2006, n. 204 (regolamento di riordino del Consiglio superiore dei lavori pubblici).
[9] La nota del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici 11/8/2021 (“Oggetto: Art. 3, lettera d) D.P.R. 380/2001 e s.m. – Interventi di ristrutturazione edilizia in ambiti sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Richiesta precisazioni applicative”: v. www.mit.gov.it) afferma che, “in tal senso, si ritiene che dovrebbero essere esclusi dall’applicazione estensiva del citato art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 380/2001, i beni elencati all’art. 136 [del d.lgs. n. 42/2004] e quelli ricompresi nei Piani paesaggistici di cui all’art. 143 [del medesimo d.lgs.]. Un’interpretazione più restrittiva porterebbe ad escludere l’applicazione estensiva dell’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 380/2001”.
[10] La nota 12/3/2021 (pubblicata sul sito www.regione.liguria.it) ha ad oggetto “Aggiornamento sezione Urbanistica del sito internet Regione Liguria e indicazioni applicative in merito a disciplina degli interventi di ristrutturazione edilizia”.
[11] Interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-06704, presentata il 21/9/2021 nella seduta n. 568 della Camera dei Deputati – XVIII Legislatura.; l’interrogazione e la relativa risposta sono pubblicate sul sito www.camera.it.
[12] Cfr. T.A.R. Marche, 18/3/2022, n. 170 (oggetto di appello attualmente pendente al Consiglio di Stato), pubblicata sul sito www.giustizia-amministrativa.it. Tale pronuncia si sofferma sull’esigenza di evitare “un fraintendimento, ossia che la modifica dell’area di sedime di un fabbricato preesistente interessato da un intervento di demolizione e ricostruzione costituisca ex se una «nuova costruzione» e che, comunque, tale tipologia di intervento leda per definizione l’interesse paesaggistico. Al contrario, come si è cercato di spiegare, in molti casi la traslazione del manufatto all’interno del lotto risulta, dal punto di vista paesaggistico, non solo neutra ma addirittura preferibile (e questo è oggetto della valutazione ampiamente discrezionale che la Soprintendenza deve compiere ai sensi dell’art. 146 del Codice dei beni culturali), il che è a dirsi soprattutto per gli immobili realizzati prima dell’introduzione del vincolo”. Nella stessa sentenza si afferma altresì che l’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 “si riferisce chiaramente ai singoli immobili e non anche alle aree tutelate paesaggisticamente, il che trova conferma nel fatto che, non a caso, l’art. 136 del D.Lgs. n. 42/2004 distingue in rubrica fra «immobili» (singoli o costituenti complessi organici, le cui tipologie sono specificate nelle lett. a), b) e c) e «aree» (lett. d). Il fatto che nell’art. 3 si utilizzi l’espressione «immobili» (la quale, effettivamente, non coincide dal punto di vista giuridico con quella di «edifici singoli») è dovuto alla necessità di evitare una ripetizione nell’ambito della stessa frase, per cui una volta il legislatore utilizza il termine «immobili» e un’altra volta utilizza il termine «edifici»”.
[13] In ordine a questo aspetto, con sentenza 3/3/2021, n. 29 (pubblicata su www.cortecostituzionale.it), la Corte Costituzionale ha rilevato “la centralità dell’autorizzazione delle amministrazioni competenti, che è lo strumento volto al controllo della compatibilità degli interventi sul bene tutelato con il valore culturale, storico o paesaggistico espresso dallo stesso, nonché – con il relativo procedimento – la sede deputata al connesso bilanciamento degli interessi che insistono sul bene vincolato; bilanciamento il quale, se e in quanto ontologicamente incompatibile con la logica meramente inibitoria, può concludersi con il rilascio dell’autorizzazione ogni qual volta gli interventi su detti beni non siano suscettibili di incidere sulla conservazione e sulla fruizione pubblica dei valori culturali, storici, ambientali e paesaggistici costituzionalmente tutelati”.
[14] L’art. 119 del d.lgs. n. 34/2020 non precisa espressamente che l’agevolazione è limitata agli edifici preesistenti; tuttavia, le sue disposizioni (v. il comma 1) sono preordinate al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, sicché presuppongono che i medesimi siano già in essere.
[15] Con la circolare 23/6/2022, n. 237E (cfr. www.agenziaentrate.gov.it), l’Agenzia delle Entrate ha puntualizzato che la medesima Amministrazione “non interpreta la normativa edilizia, sicché alla stessa non può essere richiesta nessuna valutazione in merito alla qualificazione dell’intervento edilizio”.
[16] Nella menzionata circolare dell’Agenzia delle Entrate 23/6/2022, n. 237E, viene affermato che: “per effetto del richiamo espresso ai soli interventi «trainati» di cui all’articolo 14 del decreto legge n. 63 del 2013, la possibilità di accedere al Superbonus in mancanza di interventi «trainanti» nei casi sopra rappresentati è, invece, esclusa relativamente alle spese sostenute per gli interventi «trainati» di cui ai commi 5 e 6 (installazione di impianti solari fotovoltaici e sistemi di accumulo integrati) nonché 8 (installazione di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici) del medesimo articolo 119 del decreto Rilancio”.
[17] Pubblicata sul sito www.agenziaentrate.gov.it e avente ad oggetto “Detrazione per interventi di efficientamento energetico e di riduzione del rischio sismico degli edifici prevista dall’articolo 119 del decretolegge 19 maggio 2020, n. 34 (Decreto Rilancio) – Risposte a quesiti”.
[18] Cfr. anche l’art. 38, comma 1, d.gs. n. 42/2004: “I beni culturali restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi con il concorso totale o parziale dello Stato nella spesa, o per i quali siano stati concessi contributi in conto interessi, sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate, caso per caso, da appositi accordi o convenzioni da stipularsi fra il Ministero ed i singoli proprietari all’atto della assunzione dell’onere della spesa ai sensi dell’articolo 34 o della concessione del contributo ai sensi degli articoli 35 e 37”.
[19] L’art. 26, comma 13, legge n. 118/2022, ha previsto l’adozione di disposizioni modificative e integrative del d.P.R. n. 31/2017, “al fine di ampliare e precisare le categorie di interventi e opere di lieve entità e di operare altre semplificazioni procedimentali”.
[20] Inoltre, il d.P.R. n. 31/2017 dispone (v. la suddetta voce A2 dell’allegato A) che, “alle medesime condizioni non è altresì soggetta ad autorizzazione la realizzazione o la modifica di aperture esterne o di finestre a tetto”; tuttavia, l’esenzione non opera qualora gli interventi edilizi interessino i seguenti beni, oggetto di tutela in forza dell’art. 136 del d.lgs. n. 42/2004: gli “immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica”, “le ville, i giardini e i parchi” nonché gli “immobili di interesse storicoarchitettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”.
[21] “Disposizioni integrative alla Circolare n. 42 del 21 luglio 2017, applicativa del D.P.R. n. 31 del 2017. Linee di indirizzo «interventi di coibentazione volti a migliorare l’efficienza energetica» di cui alla voce A2 dell’allegato A, da effettuarsi su edifici sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, parte III in applicazione della Legge n. 77 del 17 luglio 2020, art. 119” (pubblicata sul sito www.beniculturali.it).
[22] Trattasi della circolare applicativa del d.P.R. n. 31 del 2017 (anch’essa pubblicata sul sito www.beniculturali.it); a pag. 10 di questa circolare si richiama l'”ampia convergenza di posizioni … che individua nell’inizio del secondo dopoguerra, e dunque convenzionalmente nel 1945, la soglia cronologica a partire dalla quale può essere individuato il carattere «contemporaneo» del patrimonio architettonico ed edilizio nazionale (anche categorizzabile, secondo una nomenclatura anch’essa assai diffusa, quale «patrimonio del secondo Novecento»)”.
[23] Cfr. il commento all’art. 50 del d.lgs. n. 42/2004 in Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, 2019.